Submit your work, meet writers and drop the ads. Become a member
Marco Bo Sep 2018
under this suburban sky
red stain on the dull gray, when you move away to your elsewhere
you revive
as a fish returning to the water after a short yet intense pain

for you I'm the bait
and the hook
and the fisherman too,
not in that order
in the order you decide
since you decide

you are elusive, you always look away and tighten your eyes
your words are lashes
I feel weak in your presence,
at the same time your fragility confuses me and it moves me
as a boat adrift in a lonely sea
...................
sotto questo cielo suburbano
macchia rossa su grigio opaco, quando ti muovi nel tuo altrove,

tu rivivi
come un pesce che ritorna in acqua dopo un'agonia breve ma intensa

per te io sono esca
amo ed anche  pescatore,
ma non in quell'ordine
nell'ordine in cui decidi
e tu decidi

sei inafferrabile, distogli sempre lo sguardo e stringi gli occhi
le tue parole sono staffilate
mi sento debole in tua presenza,
allo tempo stesso la tua fragilità mi confonde e mi commuove
come una  barca alla deriva in un solitario mare
..................

bajo este cielo suburbano
mancha roja en gris opaco, cuando te alejas a tu otro lugar,
tu revives

como un pez que regresa al agua después de un dolor breve pero intenso

yo soy cebo para ti
y gancho
y también  pescador
pero no en ese orden
en el orden en que tu decidas
y tu decides

eres evasiva, siempre mira hacia otro lado y cierras los ojos
tus palabras son latigazos
me siento débil en tu presencia,
al mismo tiempo, tu fragilidad me confunde y me conmueve
como un barco a la deriva en un solitario mar
Se la ruota si impiglia nel groviglio
delle stesse filanti ed il cavallo
s'impenna tra la calca, se ti nevica
fra i capelli e le mani un lungo brivido
d'iridi trascorrenti o alzano i bambini
le flebili ocarine che salutano
il tuo viaggio e i lievi echi si sfaldano
giù dal ponte sul fiume
se si sfolla la strada e ti conduce
in un mondo soffiato entro una tremula
bolla d'aria e di luce dove il sole
saluta la tua grazia-hai ritrovato
forse la strada che tentò un istante
il piombo fuso a mezzanotte quando
finì l'anno tranquillo senza spari.

Ed ora vuoi sostare dove un filtro
fa spogli i suoni
e ne deriva i sorridenti ed acri
fumi che ti compongono il domani;
ora chiedi il paese dove gli onagri
mordano quadri di zucchero dalle tue mani
e i tozzi alberi spuntino germogli
miracolosi al becco dei pavoni.

(Oh, il tuo carnevale sarà più triste
stanotte anche del mio, chiusa fra i doni
tu per gli assenti: carri dalle tinte
di rosolio, fantocci ed archibugi,
palle di gomma, arnesi da cucina
lillipuziani: l'urna li segnava
a ognuno dei lontani amici l'ora
che il gennaio si schiuse e nel silenzio
si compì il sortilegio. È carnevale
o il dicembre s'indugia ancora? Penso
che se muovi la lancetta al piccolo
orologio che rechi al polso, tutto
arretrerà dentro un disfatto prisma
babelico di forme e di colori... )

E il natale verrà e il giorno dell'anno
che sfolla le caserme e ti riporta
gli amici spersi e questo carnevale
pur esso tornerà che ora ci sfugge
tra i muri che si fendono già. Chiedi
tu di fermare il tempo sul paese
che attorno si dilata? Le grandi ali
screziate ti sfiorano, le logge
sospingono all'aperto esili bambole
bionde, vive, le pale dei mulini
rotano fisse sulle pozze garrule.
Chiedi di trattenere le campane
d'argento sopra il borgo e il suono rauco
delle colombe? Chiedi tu i mattini
trepidi delle tue prode lontane?

Come tutto si fa strano e difficile
come tutto è impossibile, tu dici.
La tua vita è quaggiù dove rimbombano
le ruote dei carriaggi senza posa
e nulla torna se non forse
in questi disguidi del possibile.
Ritorna là fra i morti balocchi
ove è negato pur morire; e col tempo che ti batte
al polso e all'esistenza ti ridona,
tra le mura pesanti che non s'aprono
al gorgo degli umani affaticato,
torna alla via dove con te intristisco
quella che mi additò un piombo raggelato
alle mie, alle tue sere:
torna alle primavere che non fioriscono.
Saffo, antica maestra e disperata
portatrice d'amore,
Saffo di viole incoronata e altera
rendimi sciolta e in volo poi che accolga
la tua grande parentesi nel cuore.
Le mie notti deserte io le conosco
già dai tuoi grandi, morbidi giacigli
ove amore avventava alle tue labbra
mirra e miele. Anche io non sono sazia
come tu fosti ma mi aggiro eterna
dentro anime aperte ad ogni lutto.
Anche io ** l'amor mio che mi disdegna,
Saffo mia grande e inutile maestra
perché mi lasci e impoverisci il seno
delle tue offerte? Giacerò infeconda
anche stanotte e intorno a me i costanti
fedelissimi aspetti
di cupido apriranno dentro l'ali
rapidissimi inviti cui rifuggo
rimpiangendo e scoperta e innamorata.
Saffo rendimi pura e innominata
Come le parole, ove non cada
lacrima e tempo, ove non misuri
religione i suoi passi, ch'io non crolli
come crollasti tu dalle tue rupi...
Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor né fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
Dè tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna dè mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi dè potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive .
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
Di cui lor sorte rea padre ti fece,
Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra sé. Non io
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avrò quanto si possa aperto:
Ben ch'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civiltà, che sola in meglio
Guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci diè. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fè palese: e, fuggitivo, appelli
Vil chi lui segue, e solo
Magnanimo colui
Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell'alma generoso ed alto,
Non chiama sé né stima
Ricco d'or né gagliardo,
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma sé di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire
Fraterne, ancor più gravi
D'ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che dè mortali
Madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L'umana compagnia,
Tutti fra sé confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul più vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch'ha in error la sede.
Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e su la mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Cò tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente età, che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell'altra è la strage,
Non avvien ciò d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.
Ben mille ed ottocento
Anni varcàr poi che spariro, oppressi
Dall'ignea forza, i popolati seggi,
E il villanello intento
Ai vigneti, che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla e incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
Fatal, che nulla mai fatta più mite
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
Dell'ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando più volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall'inesausto grembo
Su l'arenoso dorso, a cui riluce
Di Capri la marina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l'acqua
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
Vede lontan l'usato
Suo nido, e il picciol campo,
Che gli fu dalla fame unico schermo,
Preda al flutto rovente,
Che crepitando giunge, e inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
Dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all'aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri,
Per li templi deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per vòti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell'uomo ignara e dell'etadi
Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,
Sta natura ognor verde, anzi procede
Per sì lungo cammino
Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l'uom d'eternità s'arroga il vanto.
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
solenn fresnay Nov 2012
A six heures trente- neuf ce matin le grand sourire et un peu trop de blush sur la joue gauche
J'ai senti qu'entre nous deux un léger décalage dans les pratiques professionnelles il y avait
Je n'ai pas su déterminer quel nombre exact de cuillères à café je devais mettre pour l'équivalent d'une cafetière pleine
J'en ai mis six
Il n'en fallait que deux
A midi moins deux minutes nous n'avions toujours pas fini nos toilettes
Il ne restait plus une goutte d'eau, juste des amas de mousse anti-cancer qui s'entassaient là à même le sol, noyés par des milliards de fourmis portant sur leurs dos trop courts des litres de caillots de sang
Le pire c'est le cancer de la vessie, on dirait de la porcelaine, j'osais à peine vous toucher, vous m'excusez?
En attendant le prochain voyage pour la planète cancer j'ai tartiné mon pain de confiture de groseilles, ou était-ce de la prune ?
Peu importe, je ne me sentais pas très bien et je voulais boire le sang de ma propre mère en prenant soin de m'étouffer avec ses quelques caillots restants, en hommage à ses quelques non-dits d'une vie plus que passée et depuis longtemps oubliée
Comme dans la cour d'école, vous ne m'avez pas choisi et j'ai senti que mes jambes me lâchaient
NE FAIRE QUE COMME VOUS ET ÉLIRE DOMICILE DANS VOTRE CAGE D'ESCALIER
J'ai dit "encombré", vous m'avez corrigée et ouvrez les guillemets, je cite: "Pas encombré, mais dyspnéique, cela s'appelle de la dyspnée"
CONN-ASSE
Je me suis appuyée contre le mur, vous ai simplement souri et tout n'allait pas trop bien avec mon blush en surdosage
Les mots étaient là coincés au travers de ma glotte, impossibles à sortir, je ne vous trouvais plus, vous ai simplement servi un café dans une petite tasse en ayant au préalable pensé y cracher toute ma morve dedans
CONNASSE, ON DIT PEUT ETRE DYSPNEIQUE ET PAS ENCOMBRE MAIS QUI DIT QUE TEL PATIENT EST P-SSSY A TOUT BOUT DE CHAMP CA VEUT DIRE QUOI D'AILLEURS ETRE P-SSSY SURTOUT QUAND ON VA CREVER?
Putain, j'ai rien pu dire du tout jusqu'au yaourt aux fruits rouges
Mes seules paroles formulées ne furent pas prises au sérieux et mon salaire ne fut plus qu’une avalanche de vers de terre en pente descendante
Comme un tel visage dépoussiéré et quelques centimètres d'un seul poumon à la surface de vos quatre-vingt trois printemps
Mais que nous reste-t-il donc à vivre ?
La tumeur est là bien visible et vous empêche de parler, presque, de respirer
Vous perdez la tête
Nous perdons la tête
Mais qu'avez-vous donc fait pour mériter telle souffrance?
Chaque nuit le même rêve d'un père que je tue de mes propres mains bouffées par la vermine
De là je l'entends geindre et ses draps sont tachés de sang mais je continue de courir
Je cours encore
Je cours toujours
Je ne sais faire que ça, courir
Je vais m'évanouir
Bon Dieu que je déteste les gens.

Mes cheveux me démangeaient alors dès la sortie des classes je suis allée m'acheter de la compote à la cerise et sur le chemin du retour mes cheveux continuaient à me démanger je les ai donc déposés bien délicatement au fond du caniveau de la rue Edgar Quinet
Je suis nulle, je suis nouille et je travaille à Convention
Et à Convention, vous faites quoi?
Dans le théâtre, je travaille dans le théâtre
Il s'appelle Boris et en fait c'est pas ça du tout
Il n'y avait pas de chauffage chez moi et la femme n'était pas enceinte
Je n'ai jamais rien compris au fonctionnement propre d'un miroir et j'ai mes derniers textes qui attendent d'être classés ainsi que la syntaxe à rafraîchir
Appelez-moi comme vous voulez et arrachez moi toutes mes dents, peu m’importe
J'ai le poste de télévision qui dérive sur la droite
Laissez-moi finir mon chapitre et surtout ne dites à personne ce que je vous ai dit
Oubliez l’écrivaine qui écrit comme elle respire
Je ne fais que torcher des culs comme on emballe des endives, le monde tourne à l'envers, le bateau coule, c'est la crise, non l'escroquerie pardon, te souviens-tu du jour où tu as rêvé...
Prendre un paquebot à l'amiante et t'envoler pour la planète Néant
N'oubliez jamais que peut-être demain matin de votre lit vous ne pourrez plus parler car durant une nuit sans fin votre tête rongée par la culpabilité aura été tranchée
Je sens je pisse encore du sang et ma vie n'est plus qu'un cargo à la dérive
Baissez donc le rideau et laissez-moi, vous m'avez assez emmerdé pour aujourd'hui.

.../...

Je l'ai vraiment tué ?

.../...

Je ne sais plus
Alors j'ai avalé les derniers débris de glace
Il respirait encore quand je suis partie
J'ai chié dans mon jean troué aux deux genoux et j'ai simplement continué de courir.
bk Feb 2015
I:
vorrei essere un grosso caimano & vivere come vive un grosso caimano & morire come un grosso caimano.

II:
pensavi che io fossi un insetto opalescente da infilzare con un grosso spillone & invece sono stata io ad esporti nell'ala del museo dedicata alle cose che non voglio vedere mai più.

III:
permetti agli altri di macchiare le tue lenzuola ma mai ciò che c'è intorno. un consiglio.

IV:
dopo essersi sposati nel bosco, non si rividero mai più. lei rimase col piede incastrato in una trappola per orsi & lui era troppo distante per sentirla urlare.

V**:
vorrei conoscere il numero esatto delle tue ciglia, sono lunghe, nere, belle & mi trafiggono come aghi incandescenti. ogni battito è un ipnosi.
Amour me tue, et si je ne veux dire
Le plaisant mal que ce m'est de mourir :
Tant j'ai grand peur, qu'on veuille secourir
Le mal, par qui doucement je soupire.

Il est bien vrai, que ma langueur désire
Qu'avec le temps je me puisse guérir :
Mais je ne veux ma dame requérir
Pour ma santé : tant me plaît mon martyre.

Tais-toi langueur je sens venir le jour,
Que ma maîtresse, après si long séjour,
Voyant le soin qui ronge ma pensée,

Toute une nuit, folâtrement m'ayant
Entre ses bras, prodigue, ira payant
Les intérêts de ma peine avancée.
I


Les prêtres avaient dit : « En ce temps-là, mes frères,

On a vu s'élever des docteurs téméraires,

Des dogmes de la foi censeurs audacieux :

Au fond du Saint des saints l'Arche s'est refermée,

Et le puits de l'abîme a vomi la fumée

Qui devait obscurcir la lumière des cieux.


L'Antéchrist est venu, qui parcourut la terre :

Tout à coup, soulevant un terrible mystère,

L'impie a remué de profanes débats ;

Il a dressé la tête : et des voix hérétiques

Ont outragé la Bible, et chanté les cantiques

Dans le langage impur qui se parle ici-bas.


Mais si le ciel permet que l'Église affligée

Gémisse pour un temps, et ne soit point vengée ;

S'il lui plaît de l'abattre et de l'humilier :

Si sa juste colère, un moment assoupie.

Dans sa gloire d'un jour laisse dormir l'impie,

Et livre ses élus au bras séculier ;


Quand les temps sont venus, le fort qui se relève

Soudain de la main droite a ressaisi le glaive :

Sur les débris épars qui gisaient sans honneur

Il rebâtit le Temple, et ses armes bénites

Abattent sous leurs coups les vils Madianites,

Comme fait les épis la faux du moissonneur.


Allez donc, secondant de pieuses vengeances,

Pour vous et vos parents gagner les indulgences ;

Fidèles, qui savez croire sans examen,

Noble race d'élus que le ciel a choisie,

Allez, et dans le sang étouffez l'hérésie !

Ou la messe, ou la mort !» - Le peuple dit : Amen.


II


A l'hôtel de Soissons, dans une tour mystique,

Catherine interroge avec des yeux émus

Des signes qu'imprima l'anneau cabalistique

Du grand Michel Nostradamus.

Elle a devant l'autel déposé sa couronne ;

A l'image de sa patronne,

En s'agenouillant pour prier.

Elle a dévotement promis une neuvaine,

Et tout haut, par trois fois, conjuré la verveine

Et la branche du coudrier.


« Les astres ont parlé : qui sait entendre, entende !

Ils ont nommé ce vieux Gaspard de Châtillon :

Ils veulent qu'en un jour ma vengeance s'étende

De l'Artois jusqu'au Roussillon.

Les pieux défenseurs de la foi chancelante

D'une guerre déjà trop lente

Ont assez couru les hasards :

A la cause du ciel unissons mon outrage.

Périssent, engloutis dans un même naufrage.

Les huguenots et les guisards ! »


III


C'était un samedi du mois d'août : c'était l'heure

Où l'on entend de ****, comme une voix qui pleure,

De l'angélus du soir les accents retentir :

Et le jour qui devait terminer la semaine

Était le jour voué, par l'Église romaine.

A saint Barthélémy, confesseur et martyr.


Quelle subite inquiétude

A cette heure ? quels nouveaux cris

Viennent troubler la solitude

Et le repos du vieux Paris ?

Pourquoi tous ces apprêts funèbres,

Pourquoi voit-on dans les ténèbres

Ces archers et ces lansquenets ?

Pourquoi ces pierres entassées,

Et ces chaînes de fer placées

Dans le quartier des Bourdonnais ?


On ne sait. Mais enfin, quelque chose d'étrange

Dans l'ombre de la nuit se prépare et s'arrange.

Les prévôts des marchands, Marcel et Jean Charron.

D'un projet ignoré mystérieux complices.

Ont à l'Hôtel-de-Ville assemblé les milices,

Qu'ils doivent haranguer debout sur le perron.


La ville, dit-on, est cernée

De soldats, les mousquets chargés ;

Et l'on a vu, l'après-dînée.

Arriver les chevau-légers :

Dans leurs mains le fer étincelle ;

Ils attendent le boute-selle.

Prêts au premier commandement ;

Et des cinq cantons catholiques,

Sur l'Évangile et les reliques,

Les Suisses ont prêté serment.


Auprès de chaque pont des troupes sont postées :

Sur la rive du nord les barques transportées ;

Par ordre de la cour, quittant leurs garnisons,

Des bandes de soldats dans Paris accourues

Passent, la hallebarde au bras, et dans les rues

Des gens ont été vus qui marquaient des maisons.


On vit, quand la nuit fut venue,

Des hommes portant sur le dos

Des choses de forme inconnue

Et de mystérieux fardeaux.

Et les passants se regardèrent :

Aucuns furent qui demandèrent :

- Où portes-tu, par l'ostensoir !

Ces fardeaux persans, je te prie ?

- Au Louvre, votre seigneurie.

Pour le bal qu'on donne ce soir.


IV


Il est temps ; tout est prêt : les gardes sont placés.

De l'hôtel Châtillon les portes sont forcées ;

Saint-Germain-l'Auxerrois a sonné le tocsin :

Maudit de Rome, effroi du parti royaliste,

C'est le grand-amiral Coligni que la liste

Désigne le premier au poignard assassin.


- « Est-ce Coligni qu'on te nomme ? »

- « Tu l'as dit. Mais, en vérité,

Tu devrais respecter, jeune homme.

Mon âge et mon infirmité.

Va, mérite ta récompense ;

Mais, tu pouvais bien, que je pense,

T'épargner un pareil forfait

Pour le peu de jours qui m'attendent ! »

Ils hésitaient, quand ils entendent

Guise leur criant : « Est-ce fait ? »


Ils l'ont tué ! la tête est pour Rome. On espère

Que ce sera présent agréable au saint père.

Son cadavre est jeté par-dessus le balcon :

Catherine aux corbeaux l'a promis pour curée.

Et rira voir demain, de ses fils entourée,

Au gibet qu'elle a fait dresser à Montfaucon.


Messieurs de Nevers et de Guise,

Messieurs de Tavanne et de Retz,

Que le fer des poignards s'aiguise,

Que vos gentilshommes soient prêts.

Monsieur le duc d'Anjou, d'Entrague,

Bâtard d'Angoulême, Birague,

Faites armer tous vos valets !

Courez où le ciel vous ordonne,

Car voici le signal que donne

La Tour-de-l'horloge au Palais.


Par l'espoir du butin ces hordes animées.

Agitant à la main des torches allumées,

Au lugubre signal se hâtent d'accourir :

Ils vont. Ceux qui voudraient, d'une main impuissante,

Écarter des poignards la pointe menaçante.

Tombent ; ceux qui dormaient s'éveillent pour mourir.


Troupes au massacre aguerries,

Bedeaux, sacristains et curés,

Moines de toutes confréries.

Capucins, Carmes, Prémontrés,

Excitant la fureur civile,

En tout sens parcourent la ville

Armés d'un glaive et d'un missel.

Et vont plaçant des sentinelles

Du Louvre au palais des Tournelles

De Saint-Lazare à Saint-Marcel.


Parmi les tourbillons d'une épaisse fumée

Que répand en flots noirs la résine enflammée,

A la rouge clarté du feu des pistolets,

On voit courir des gens à sinistre visage,

Et comme des oiseaux de funeste présage,

Les clercs du Parlement et des deux Châtelets.


Invoquant les saints et les saintes,

Animés par les quarteniers,

Ils jettent les femmes enceintes

Par-dessus le Pont-aux-Meuniers.

Dans les cours, devant les portiques.

Maîtres, écuyers, domestiques.

Tous sont égorgés sans merci :

Heureux qui peut dans ce carnage,

Traversant la Seine à la nage.

Trouver la porte de Bussi !


C'est par là que, trompant leur fureur meurtrière,

Avertis à propos, le vidame Perrière,

De Fontenay, Caumont, et de Montgomery,

Pressés qu'ils sont de fuir, sans casque, sans cuirasse.

Échappent aux soldats qui courent sur leur trace

Jusque sous les remparts de Montfort-l'Amaury.


Et toi, dont la crédule enfance,

Jeune Henri le Navarrois.

S'endormit, faible et sans défense,

Sur la foi que donnaient les rois ;

L'espérance te soit rendue :

Une clémence inattendue

A pour toi suspendu l'arrêt ;

Vis pour remplir ta destinée,

Car ton heure n'est pas sonnée,

Et ton assassin n'est pas prêt !


Partout des toits rompus et des portes brisées,

Des cadavres sanglants jetés par les croisées,

A des corps mutilés des femmes insultant ;

De bourgeois, d'écoliers, des troupes meurtrières.

Des blasphèmes, des pleurs, des cris et des prières.

Et des hommes hideux qui s'en allaient chantant :


« Valois et Lorraine

Et la double croix !

L'hérétique apprenne

Le pape et ses droits !

Tombant sous le glaive.

Que l'impie élève

Un bras impuissant ;

Archers de Lausanne,

Que la pertuisane

S'abreuve de sang !


Croyez-en l'oracle

Des corbeaux passants,

Et le grand miracle

Des Saints-Innocents.

A nos cris de guerre

On a vu naguère,

Malgré les chaleurs,

Surgir une branche

D'aubépine franche

Couverte de fleurs !


Honni qui pardonne !

Allez sans effroi,

C'est Dieu qui l'ordonne,

C'est Dieu, c'est le roi !

Le crime s'expie ;

Plongez à l'impie

Le fer au côté

Jusqu'à la poignée ;

Saignez ! la saignée

Est bonne en été ! »


V


Aux fenêtres du Louvre, on voyait le roi. « Tue,

Par la mort Dieu ! que l'hydre enfin soit abattue !

Qu'est-ce ? Ils veulent gagner le faubourg Saint-Germain ?

J'y mets empêchement : et, si je ne m'abuse,

Ce coup est bien au droit. - George, une autre arquebuse,

Et tenez toujours prête une mèche à la main.


Allons, tout va bien : Tue ! - Ah. Cadet de Lorraine,

Allez-vous-en quérir les filles de la reine.

Voici Dupont, que vient d'abattre un Écossais :

Vous savez son affaire ? Aussi bien, par la messe,

Le cas était douteux, et je vous fais promesse

Qu'elles auront plaisir à juger le procès.


Je sais comment la meute en plaine est gouvernée ;

Comment il faut chasser, en quel temps de l'année.

Aux perdrix, aux faisans, aux geais, aux étourneaux ;

Comment on doit forcer la fauve en son repaire ;

Mais je n'ai point songé, par l'âme de mon père,

A mettre en mon traité la chasse aux huguenots ! »
Ariana V Mar 2011
They carried me to your room.
They placed me on your bed.
Pushed the hair out of my face.
Gently placed it behind my ear,
and softly played with it
as you read.
Benevolently caressing
my face and arms.

As caressing as they were,
as sweet as they are,
as guiding and protecting,
they drive me mad!

The way they make
my soul go through my skin.
How they pull out
the most dormant emotions
of the moment.
How they handle me.
Fingertips tracing my outline,
pushing away the unnecessaries,
pulling my lips closer to yours.
Warm and gentle,
yet pursuing,
traverse under a tent
that hides what is yours.
And as you take the seconds,
and make them hours,
my body yearns.
It's screaming for a warmth,
a very specific one.
Yours.
Your kisses slowly
down my neck to shoulders,
send me into shudders.
And these shudders continue...

And the perfect cliff hanger.
We must postpone this for another moment.
And if all is as intended, that moment would be perfection on earth.
Muse méduse, vierge et tremblante séductrice
Tu m'as demandé de te conter fleurette
Avec des mots fleuris
Avec des mots obscènes
Une fois qu'on serait intimes
Des mots cochons
Des mots sales, crus, cuits et recuits
Des mots tabous, interdits
Indécents et lubriques
Et je t'ai demandé de me fournir un échantillon
Et tu m'as dit que tu n'en possédais aucun.

J'ai cherché en vain un mot qui pourrait te plaire à entendre,
Ma chérie miel
Et aussi bien me plaire à te murmurer à l'oreille
En plein badinage et tripotage
Quelque chose qui véhicule l'idée de muse
Et dans allumeuse il y a muse
Mais allumeuse n 'est pas cochon
J 'ai pensé à fille de joie, fille de vie, traînée, souillon,
Ma cochonne, ma gueuse
Obscènes d'un tout autre âge
Et c'est alors que j'ai entrevu un instant
De te chuchoter catin à l'oreille.
Catin ça fait penser à câlin c'est un avantage
Mais ça fait aussi penser à salope et ça je n 'ai pas trouvé très élégant,
Même quitte à ajouter merveilleuse juste devant,
Ni putain ni **** d'ailleurs, même avec magnifique ou tendre,
Je suis donc revenu en catimini à catin.
Catin de katharina la parfaite, de katharos, pur en grec
Catin de Catherine le diminutif
Ma petite muse catin à moi, ma poupée dévote orthodoxe
Et perverse juste à point comme j'aime
Catin precieuse comme Manon Lescaut, soprano
Et j 'ai laissé le mot tabou macérer dans ma bouche vile quatre jours et quart.
Un jour peut-être j'aurai l 'envie et le courage de te le dire en plein déluge.
Peut-être dans une autre langue.
En anglais par exemple strumpet, trollop, bawd
En portugais meretriz
En roumain cocota
En allemand wanderhure
Tu m'appelleras alors fripon, chevalier des Grieux, ténor,
Tu me demanderas alors de te chanter des chansons cochonnes
Sur des airs de Massenet ou de Puccini
Des chansons à boire, polissonnes
Que je te chanterai à tue-tête pendant l'acte.
Tu voudras me cravacher avec une plume de paon
Pendant que tu me monteras
Ou joueras à l'infirmière
On fera l'amour sur les bancs publics
Discrètement et sûrement
Et tu ne porteras pas ta petite culotte bleue
Imprimée de rares papillons morpho
On échangera nos fantasmes
Comme quand petits on échangeait nos images ou nos billes
Tout ce que nous n'avons jamais fait
Tout ce que nous rêvons de faire ensemble
On parlera de se baîllonner, de s'entraver, de s'attacher
de se mettre un bandeau sur les yeux
On improvisera
Tu seras Poppy la cosmonaute
Et moi E.T. le martien.
Tu seras Apollo VIII
Et moi Cap Canaveral
Obscènes et heureux
Complices
Nus et sincères et amoureux
Dans un voyage intersidéral d'aller-retours
Entre la Terre et la Lune
Saturne et ses lunes
En apesanteur
Pour deux éternités.
Écoutez. Une femme au profil décharné,
Maigre, blême, portant un enfant étonné,
Est là qui se lamente au milieu de la rue.
La foule, pour l'entendre, autour d'elle se rue.
Elle accuse quelqu'un, une autre femme, ou bien
Son mari. Ses enfants ont faim. Elle n'a rien ;
Pas d'argent ; pas de pain ; à peine un lit de paille.
L'homme est au cabaret pendant qu'elle travaille.
Elle pleure, et s'en va. Quand ce spectre a passé,
Ô penseurs, au milieu de ce groupe amassé,
Qui vient de voir le fond d'un cœur qui se déchire,
Qu'entendez-vous toujours ? Un long éclat de rire.

Cette fille au doux front a cru peut-être, un jour,
Avoir droit au bonheur, à la joie, à l'amour.
Mais elle est seule, elle est sans parents, pauvre fille !
Seule ! - n'importe ! elle a du courage, une aiguille,
Elle travaille, et peut gagner dans son réduit,
En travaillant le jour, en travaillant la nuit,
Un peu de pain, un gîte, une jupe de toile.
Le soir, elle regarde en rêvant quelque étoile,
Et chante au bord du toit tant que dure l'été.
Mais l'hiver vient. Il fait bien froid, en vérité,
Dans ce logis mal clos tout en haut de la rampe ;
Les jours sont courts, il faut allumer une lampe ;
L'huile est chère, le bois est cher, le pain est cher.
Ô jeunesse ! printemps ! aube ! en proie à l'hiver !
La faim passe bientôt sa griffe sous la porte,
Décroche un vieux manteau, saisit la montre, emporte
Les meubles, prend enfin quelque humble bague d'or ;
Tout est vendu ! L'enfant travaille et lutte encor ;
Elle est honnête ; mais elle a, quand elle veille,
La misère, démon, qui lui parle à l'oreille.
L'ouvrage manque, hélas ! cela se voit souvent.
Que devenir ! Un jour, ô jour sombre ! elle vend
La pauvre croix d'honneur de son vieux père, et pleure ;
Elle tousse, elle a froid. Il faut donc qu'elle meure !
A dix-sept ans ! grand Dieu ! mais que faire ?... - Voilà
Ce qui fait qu'un matin la douce fille alla
Droit au gouffre, et qu'enfin, à présent, ce qui monte
À son front, ce n'est plus la pudeur, c'est la honte.
Hélas, et maintenant, deuil et pleurs éternels !
C'est fini. Les enfants, ces innocents cruels,
La suivent dans la rue avec des cris de joie.
Malheureuse ! elle traîne une robe de soie,
Elle chante, elle rit... ah ! pauvre âme aux abois !
Et le peuple sévère, avec sa grande voix,
Souffle qui courbe un homme et qui brise une femme,
Lui dit quand elle vient : « C'est toi ? Va-t-en, infâme ! »

Un homme s'est fait riche en vendant à faux poids ;
La loi le fait juré. L'hiver, dans les temps froids ;
Un pauvre a pris un pain pour nourrir sa famille.
Regardez cette salle où le peuple fourmille ;
Ce riche y vient juger ce pauvre. Écoutez bien.
C'est juste, puisque l'un a tout et l'autre rien.
Ce juge, - ce marchand, - fâché de perdre une heure,
Jette un regard distrait sur cet homme qui pleure,
L'envoie au bagne, et part pour sa maison des champs.
Tous s'en vont en disant : « C'est bien ! » bons et méchants ;
Et rien ne reste là qu'un Christ pensif et pâle,
Levant les bras au ciel dans le fond de la salle.

Un homme de génie apparaît. Il est doux,
Il est fort, il est grand ; il est utile à tous ;
Comme l'aube au-dessus de l'océan qui roule,
Il dore d'un rayon tous les fronts de la foule ;
Il luit ; le jour qu'il jette est un jour éclatant ;
Il apporte une idée au siècle qui l'attend ;
Il fait son œuvre ; il veut des choses nécessaires,
Agrandir les esprits, amoindrir les misères ;
Heureux, dans ses travaux dont les cieux sont témoins,
Si l'on pense un peu plus, si l'on souffre un peu moins !
Il vient. - Certe, on le va couronner ! - On le hue !
Scribes, savants, rhéteurs, les salons, la cohue,
Ceux qui n'ignorent rien, ceux qui doutent de tout,
Ceux qui flattent le roi, ceux qui flattent l'égout,
Tous hurlent à la fois et font un bruit sinistre.
Si c'est un orateur ou si c'est un ministre,
On le siffle. Si c'est un poète, il entend
Ce chœur : « Absurde ! faux ! monstrueux ! révoltant ! »
Lui, cependant, tandis qu'on bave sur sa palme,
Debout, les bras croisés, le front levé, l'œil calme,
Il contemple, serein, l'idéal et le beau ;
Il rêve ; et, par moments, il secoue un flambeau
Qui, sous ses pieds, dans l'ombre, éblouissant la haine,
Éclaire tout à coup le fond de l'âme humaine ;
Ou, ministre, il prodigue et ses nuits et ses jours ;
Orateur, il entasse efforts, travaux, discours ;
Il marche, il lutte ! Hélas ! l'injure ardente et triste,
À chaque pas qu'il fait, se transforme et persiste.
Nul abri. Ce serait un ennemi public,
Un monstre fabuleux, dragon ou basilic,
Qu'il serait moins traqué de toutes les manières,
Moins entouré de gens armés de grosses pierres,
Moins haï ! -- Pour eux tous et pour ceux qui viendront,
Il va semant la gloire, il recueille l'affront.
Le progrès est son but, le bien est sa boussole ;
Pilote, sur l'avant du navire il s'isole ;
Tout marin, pour dompter les vents et les courants,
Met tour à tour le cap sur des points différents,
Et, pour mieux arriver, dévie en apparence ;
Il fait de même ; aussi blâme et cris ; l'ignorance
Sait tout, dénonce tout ; il allait vers le nord,
Il avait tort ; il va vers le sud, il a tort ;
Si le temps devient noir, que de rage et de joie !
Cependant, sous le faix sa tête à la fin ploie,
L'âge vient, il couvait un mal profond et lent,
Il meurt. L'envie alors, ce démon vigilant,
Accourt, le reconnaît, lui ferme la paupière,
Prend soin de la clouer de ses mains dans la bière,
Se penche, écoute, épie en cette sombre nuit
S'il est vraiment bien mort, s'il ne fait pas de bruit,
S'il ne peut plus savoir de quel nom on le nomme,
Et, s'essuyant les yeux, dit : « C'était un grand homme ! »

Où vont tous ces enfants dont pas un seul ne rit ?
Ces doux êtres pensifs, que la fièvre maigrit ?
Ces filles de huit ans qu'on voit cheminer seules ?
Ils s'en vont travailler quinze heures sous des meules ;
Ils vont, de l'aube au soir, faire éternellement
Dans la même prison le même mouvement.
Accroupis sous les dents d'une machine sombre,
Monstre hideux qui mâche on ne sait quoi dans l'ombre,
Innocents dans un bagne, anges dans un enfer,
Ils travaillent. Tout est d'airain, tout est de fer.
Jamais on ne s'arrête et jamais on ne joue.
Aussi quelle pâleur ! la cendre est sur leur joue.
Il fait à peine jour, ils sont déjà bien las.
Ils ne comprennent rien à leur destin, hélas !
Ils semblent dire à Dieu : « Petits comme nous sommes,
« Notre père, voyez ce que nous font les hommes ! »
Ô servitude infâme imposée à l'enfant !
Rachitisme ! travail dont le souffle étouffant
Défait ce qu'a fait Dieu ; qui tue, œuvre insensée,
La beauté sur les fronts, dans les cœurs la pensée,
Et qui ferait - c'est là son fruit le plus certain -
D'Apollon un bossu, de Voltaire un crétin !
Travail mauvais qui prend l'âge tendre en sa serre,
Qui produit la richesse en créant la misère,
Qui se sert d'un enfant ainsi que d'un outil !
Progrès dont on demande : « Où va-t-il ? Que veut-il ? »
Qui brise la jeunesse en fleur ! qui donne, en somme,
Une âme à la machine et la retire à l'homme !
Que ce travail, haï des mères, soit maudit !
Maudit comme le vice où l'on s'abâtardit,
Maudit comme l'opprobre et comme le blasphème !
Ô Dieu ! qu'il soit maudit au nom du travail même,
Au nom du vrai travail, saint, fécond, généreux,
Qui fait le peuple libre et qui rend l'homme heureux !

Le pesant chariot porte une énorme pierre ;
Le limonier, suant du mors à la croupière,
Tire, et le roulier fouette, et le pavé glissant
Monte, et le cheval triste à le poitrail en sang.
Il tire, traîne, geint, tire encore et s'arrête ;
Le fouet noir tourbillonne au-dessus de sa tête ;
C'est lundi ; l'homme hier buvait aux Porcherons
Un vin plein de fureur, de cris et de jurons ;
Oh ! quelle est donc la loi formidable qui livre
L'être à l'être, et la bête effarée à l'homme ivre !
L'animal éperdu ne peut plus faire un pas ;
Il sent l'ombre sur lui peser ; il ne sait pas,
Sous le bloc qui l'écrase et le fouet qui l'assomme,
Ce que lui veut la pierre et ce que lui veut l'homme.
Et le roulier n'est plus qu'un orage de coups
Tombant sur ce forçat qui traîne des licous,
Qui souffre et ne connaît ni repos ni dimanche.
Si la corde se casse, il frappe avec le pié ;
Et le cheval, tremblant, hagard, estropié,
Baisse son cou lugubre et sa tête égarée ;
On entend, sous les coups de la botte ferrée,
Sonner le ventre nu du pauvre être muet !
Il râle ; tout à l'heure encore il remuait ;
Mais il ne bouge plus, et sa force est finie ;
Et les coups furieux pleuvent ; son agonie
Tente un dernier effort ; son pied fait un écart,
Il tombe, et le voilà brisé sous le brancard ;
Et, dans l'ombre, pendant que son bourreau redouble,
Il regarde quelqu'un de sa prunelle trouble ;
Et l'on voit lentement s'éteindre, humble et terni,
Son œil plein des stupeurs sombres de l'infini,
Où luit vaguement l'âme effrayante des choses.
Hélas !

Cet avocat plaide toutes les causes ;
Il rit des généreux qui désirent savoir
Si blanc n'a pas raison, avant de dire noir ;
Calme, en sa conscience il met ce qu'il rencontre,
Ou le sac d'argent Pour, ou le sac d'argent Contre ;
Le sac pèse pour lui ce que la cause vaut.
Embusqué, plume au poing, dans un journal dévot,
Comme un bandit tuerait, cet écrivain diffame.
La foule hait cet homme et proscrit cette femme ;
Ils sont maudits. Quel est leur crime ? Ils ont aimé.
L'opinion rampante accable l'opprimé,
Et, chatte aux pieds des forts, pour le faible est tigresse.
De l'inventeur mourant le parasite engraisse.
Le monde parle, assure, affirme, jure, ment,
Triche, et rit d'escroquer la dupe Dévouement.
Le puissant resplendit et du destin se joue ;
Derrière lui, tandis qu'il marche et fait la roue,
Sa fiente épanouie engendre son flatteur.
Les nains sont dédaigneux de toute leur hauteur.
Ô hideux coins de rue où le chiffonnier morne
Va, tenant à la main sa lanterne de corne,
Vos tas d'ordures sont moins noirs que les vivants !
Qui, des vents ou des cœurs, est le plus sûr ? Les vents.
Cet homme ne croit rien et fait semblant de croire ;
Il a l'œil clair, le front gracieux, l'âme noire ;
Il se courbe ; il sera votre maître demain.

Tu casses des cailloux, vieillard, sur le chemin ;
Ton feutre humble et troué s'ouvre à l'air qui le mouille ;
Sous la pluie et le temps ton crâne nu se rouille ;
Le chaud est ton tyran, le froid est ton bourreau ;
Ton vieux corps grelottant tremble sous ton sarrau ;
Ta cahute, au niveau du fossé de la route,
Offre son toit de mousse à la chèvre qui broute ;
Tu gagnes dans ton jour juste assez de pain noir
Pour manger le matin et pour jeûner le soir ;
Et, fantôme suspect devant qui l'on recule,
Regardé de travers quand vient le crépuscule,
Pauvre au point d'alarmer les allants et venants,
Frère sombre et pensif des arbres frissonnants,
Tu laisses choir tes ans ainsi qu'eux leur feuillage ;
Autrefois, homme alors dans la force de l'âge,
Quand tu vis que l'Europe implacable venait,
Et menaçait Paris et notre aube qui naît,
Et, mer d'hommes, roulait vers la France effarée,
Et le Russe et le *** sur la terre sacrée
Se ruer, et le nord revomir Attila,
Tu te levas, tu pris ta fourche ; en ces temps-là,
Tu fus, devant les rois qui tenaient la campagne,
Un des grands paysans de la grande Champagne.
C'est bien. Mais, vois, là-bas, le long du vert sillon,
Une calèche arrive, et, comme un tourbillon,
Dans la poudre du soir qu'à ton front tu secoues,
Mêle l'éclair du fouet au tonnerre des roues.
Un homme y dort. Vieillard, chapeau bas ! Ce passant
Fit sa fortune à l'heure où tu versais ton sang ;
Il jouait à la baisse, et montait à mesure
Que notre chute était plus profonde et plus sûre ;
Il fallait un vautour à nos morts ; il le fut ;
Il fit, travailleur âpre et toujours à l'affût,
Suer à nos malheurs des châteaux et des rentes ;
Moscou remplit ses prés de meules odorantes ;
Pour lui, Leipsick payait des chiens et des valets,
Et la Bérésina charriait un palais ;
Pour lui, pour que cet homme ait des fleurs, des charmilles,
Des parcs dans Paris même ouvrant leurs larges grilles,
Des jardins où l'on voit le cygne errer sur l'eau,
Un million joyeux sortit de Waterloo ;
Si bien que du désastre il a fait sa victoire,
Et que, pour la manger, et la tordre, et la boire,
Ce Shaylock, avec le sabre de Blucher,
A coupé sur la France une livre de chair.
Or, de vous deux, c'est toi qu'on hait, lui qu'on vénère ;
Vieillard, tu n'es qu'un gueux, et ce millionnaire,
C'est l'honnête homme. Allons, debout, et chapeau bas !

Les carrefours sont pleins de chocs et de combats.
Les multitudes vont et viennent dans les rues.
Foules ! sillons creusés par ces mornes charrues :
Nuit, douleur, deuil ! champ triste où souvent a germé
Un épi qui fait peur à ceux qui l'ont semé !
Vie et mort ! onde où l'hydre à l'infini s'enlace !
Peuple océan jetant l'écume populace !
Là sont tous les chaos et toutes les grandeurs ;
Là, fauve, avec ses maux, ses horreurs, ses laideurs,
Ses larves, désespoirs, haines, désirs, souffrances,
Qu'on distingue à travers de vagues transparences,
Ses rudes appétits, redoutables aimants,
Ses prostitutions, ses avilissements,
Et la fatalité des mœurs imperdables,
La misère épaissit ses couches formidables.
Les malheureux sont là, dans le malheur reclus.
L'indigence, flux noir, l'ignorance, reflux,
Montent, marée affreuse, et parmi les décombres,
Roulent l'obscur filet des pénalités sombres.
Le besoin fuit le mal qui le tente et le suit,
Et l'homme cherche l'homme à tâtons ; il fait nuit ;
Les petits enfants nus tendent leurs mains funèbres ;
Le crime, antre béant, s'ouvre dans ces ténèbres ;
Le vent secoue et pousse, en ses froids tourbillons,
Les âmes en lambeaux dans les corps en haillons :
Pas de cœur où ne croisse une aveugle chimère.
Qui grince des dents ? L'homme. Et qui pleure ? La mère.
Qui sanglote ? La vierge aux yeux hagards et doux.
Qui dit : « J'ai froid ? » L'aïeule. Et qui dit : « J'ai faim ? » Tous !
Et le fond est horreur, et la surface est joie.
Au-dessus de la faim, le festin qui flamboie,
Et sur le pâle amas des cris et des douleurs,
Les chansons et le rire et les chapeaux de fleurs !
Ceux-là sont les heureux. Ils n'ont qu'une pensée :
A quel néant jeter la journée insensée ?
Chiens, voitures, chevaux ! cendre au reflet vermeil !
Poussière dont les grains semblent d'or au soleil !
Leur vie est aux plaisirs sans fin, sans but, sans trêve,
Et se passe à tâcher d'oublier dans un rêve
L'enfer au-dessous d'eux et le ciel au-dessus.
Quand on voile Lazare, on efface Jésus.
Ils ne regardent pas dans les ombres moroses.
Ils n'admettent que l'air tout parfumé de roses,
La volupté, l'orgueil, l'ivresse et le laquais
Ce spectre galonné du pauvre, à leurs banquets.
Les fleurs couvrent les seins et débordent des vases.
Le bal, tout frissonnant de souffles et d'extases,
Rayonne, étourdissant ce qui s'évanouit ;
Éden étrange fait de lumière et de nuit.
Les lustres aux plafonds laissent pendre leurs flammes,
Et semblent la racine ardente et pleine d'âmes
De quelque arbre céleste épanoui plus haut.
Noir paradis dansant sur l'immense cachot !
Ils savourent, ravis, l'éblouissement sombre
Des beautés, des splendeurs, des quadrilles sans nombre,
Des couples, des amours, des yeux bleus, des yeux noirs.
Les valses, visions, passent dans les miroirs.
Parfois, comme aux forêts la fuite des cavales,
Les galops effrénés courent ; par intervalles,
Le bal reprend haleine ; on s'interrompt, on fuit,
On erre, deux à deux, sous les arbres sans bruit ;
Puis, folle, et rappelant les ombres éloignées,
La musique, jetant les notes à poignées,
Revient, et les regards s'allument, et l'archet,
Bondissant, ressaisit la foule qui marchait.
Ô délire ! et d'encens et de bruit enivrées,
L'heure emporte en riant les rapides soirées,
Et les nuits et les jours, feuilles mortes des cieux.
D'autres, toute la nuit, roulent les dés joyeux,
Ou bien, âpre, et mêlant les cartes qu'ils caressent,
Où des spectres riants ou sanglants apparaissent,
Leur soif de l'or, penchée autour d'un tapis vert,
Jusqu'à ce qu'au volet le jour bâille entr'ouvert,
Poursuit le pharaon, le lansquenet ou l'hombre ;
Et, pendant qu'on gémit et qu'on frémit dans l'ombre,
Pendant que le
Lucia Artly Dec 2012
Now.
My life.
My head. My thoughts.
My eyes. White, black, colors.
My arms. My gestures.
All of me.
What am I?
I am old? I am young? This isn't something to think about.
You are me. A little part. That part that reads what I write now.
That part that understands me. We feel together connected in some way.
You there, me here.
I am you. How is this possible?
Maybe if we meet we could be less connected than now.
But now we are. Now is the moment. Feel it, enjoy it, make it an eternity.

I feel almost love, at least I think I do. I don't know what is it.
Maybe you know. Then, tell me.
Edoardo Alaimo Apr 2023
Una nuvola arriva e copre,
Un ombra davanti al sole
Dalle tenebre
Diffonde la luce

Ha le forme di un tocco angelico
Forse un dio, premuroso,
O un suo messaggero,
Che abbaglia gli indifferenti

Ti avrò pensata una, due volte,
O forse cento o forse mille
Ogni volta era pura magia
Con le tue braccia a me avvolte

Ti avrò pensata urlando,
Piangendo e mentre ero felice.
Allo specchio mi son detto,
Rifarei tutto quel che andiam sognando
Thoughts on a plane,
while I was going to a research center
the clouds had just the right shape.

NEVER close your love in a box,
When you feel like it
Just give it all, expand, explode.

2023-04-24
Edoardo
i wish i knew how to say “i want to help you see me”
without making you hear “i want to destroy all that you know”
for all that you wound me, i still love you
god, do i love you
and i wish i could say for sure that you knew

blood of my blood, son of my mother
brother of mine as i am your brother
when you speak, you scald me so
to let myself close to you one moment
is to sear my own lips closed the next
the fire of your disapproval burns hotter than you know
and i can lead you to water, but i can’t make you drink
all my efforts earn me
is a place to cool the blisters you leave along the way

brother mine, if you love me, then tell me
because the more you speak, the more i’m unsure
if you even want to know me
i want so much to help you understand
foolhardy though it may be, i haven’t given up on you
but every day, i think more and more
that you’ve given up on me
tangshunzi Jun 2014
<p><p> Io non so voi .ma il mio calendario è pieno zeppo di occasioni speciali di questa primavera - bambino docce .lauree .matrimoni - è il nome .** intenzione di esso !Mi piace aiutare gli amici impostare i loro eventi .così ** sempre prendere nota di eventuali tutorial per composizioni floreali .Questo fresco .succulento centrotavola fai da te da Bare Root Flora \u0026 Laura Murray fotografia è esattamente quello che sto cercando !Non perdere nessuna delle graziosa nella galleria .<p> Condividi questa splendida galleria Da Robyn : Primavera offre una tale generosità incredibile di bellissimi fiori che non abbiamo potuto resistere alla possibilità di riunire alcuni dei nostri preferiti per creare un lussureggiante primavera centrotavola perfetto per i tanti incontri che accadonoin questo periodo dell'anno : docce .feste di laurea .festa <b>abiti da sposa 2014</b>  della mamma e altre occasioni speciali !<p>è? nostro preferito opacoènave ?pezzo di filo di pollo abbastanza grande da creare una forma abbastanza stretta nel vostro contenitoreè? nostra di cinque tipi di vostri fiori preferiti .Provate a variare la forma un po 'così che alcuni sono morbidi e soffici.alcuni hanno una linea più lunga .alcuni sono più grandi .alcuni sono più piccoli .alcuni sono viney in natura.Variety rende la disposizione bellissimo !Abbiamo usato peonie.lillà .rose spray.tulipani .clematis e rami apple blossom .è? Ne o due tipi di fogliame.Sentitevi liberi di foraggiare dal vostro giardino di fiori e foglie !Abbiamo usato Dusty Miller e geranio profumato .è?coltello floreale o alcuni tagliatori -no forbici!Forbici danno gambo di un fiore .che vieta da bere correttamente .<p><p> Il primo passo per qualsiasi composizione floreale stupendo è quello di preparare i vostri fiori !Assicuratevi di pulire fuori qualsiasi fogliame che cadrà al di sotto della linea di galleggiamento .Foglie in acqua incoraggeranno la crescita di batteri .che accorciare la vita del vostro arrangiamento .<p> successivo .preparare il contenitore .Piegate il filo di pollo per adattarsi perfettamente all'interno del contenitore .Il filo di pollo agisce come una griglia per tenere i vostri fiori dove vuoi .dando il vostro disegno la forma desiderata .<p> Iniziare con la raccolta e l'immissione alcuni dei vostri grandi .soffici fiori in un gruppo qui .peonie e rose a spruzzo.Dà la disposizione  <a href="http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-2014-c-13"><b>abiti da sposa 2014</b></a>  un bel punto focale .Successivamente.aggiungere in alcuni dei vostri fiori lungo linea ( nel nostro pezzo abbiamo usato il lillà e tulipani ) .Utilizzare i fiori lungo linea per creare una forma giardino - esque selvaggio .Il movimento è fondamentale .lasciate i fiori raggiungere e picchiata !Darà il suo  <a href="http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-corti-c-49"><b>abiti da sposa corti</b></a>  pezzo così tanto la vita !<p> Trasforma il tuo imbarcazione in cerchio lenti come si progetta .continuando ad effettuare i tuoi più grandi.soffici fiori un po 'più basso .con i vostri fiori linea leggermente più alto .Inizia a riempire con le tue chiome .<p> Abbiamo terminato il nostro accordo con rami di mele e clematidi .La clematide viney è il tocco finale perfetto .Abbiamo lasciato la nostra sbirciare sopra le nostre altri fiori per dare al pezzo un aspetto molto selvaggio .Fotografia <p> : Laura  <p><a href="http://www.belloabito.com/goods.php?id=674" target="blank"><img width="240" height="320" src="http://188.138.88.219/imagesld/td//t35/productthumb/1/4609935353535395473.jpg"></a></p>  Murray Fotografia | Fiori: radice nuda FloraBare Root Flora è un membro del nostro Little Black Book .Scopri come i membri sono scelti visitando la nostra pagina delle FAQ .Bare Root Flora VIEW</p>
DIY Lush Primavera Centrotavola_vestiti da sposa
Ridonsi donne e giovani amorosi
M’ occostandosi attorno, e perche scrivi,
Perche tu scrivi in lingua ignota e strana
Verseggiando d’amor, e conie t’osi ?
Dinne, se la tua speme sia mai vana
E de pensieri lo miglior t’ arrivi;
Cosi mi van burlando, altri rivi
Altri lidi t’ aspettan, & altre onde
Nelle cui verdi sponde
Spuntati ad hor, ad hor a la tua chioma
L’immortal guiderdon d ‘eterne frondi
Perche alle spalle tue soverchia soma?
Canzon dirotti, e tu per me rispondi
Dice mia Donna, e’l suo dir, e il mio cuore
Questa e lingua di cui si vanta Amore.
Rivedo le tue lettere d'amore
illuminata, adesso, dal distacco;
senza quasi rancore...
L'illusione era forte a sostenerci;
ci reggevamo entrambi negli abbracci
pregando che durassero gli intenti,
ci promettemmo il "sempre" degli amanti,
certi nei nostri spiriti d'Iddii...
... E hai potuto lasciarmi,
e hai potuto intuire un'altra luce
che seguitasse dopo le mie spalle!
Mi hai suscitato dalle scarse origini
con richiami di musica divina,
mi hai resa divergenza di dolore,
spazio per la tua vita di ricerca
per abitarmi il tempo di un errore...
... E mi hai lasciato solo le tue lettere
onde ne ribevessi la mia assenza!
Paul d'Aubin Oct 2013
Le cri d'Alep ; ce principe   d’égalité dénié entre les Humains qui nous interpelle  

Combien sont-ils réfugiés dans les caves
À tromper provisoirement la mort
en se promettant une vie meilleure, où leur voix soit entendue
ou en songeant au paradis promis aux martyrs ?

Et ce cinéaste kurde qui vivait à Paris et voulait voler des images à l’anonymat de la grande faucheuse.
Il est parti là-bas muni de l'espoir fou que parfois les images savent atteindre le cœur des hommes.
Certains les appellent des «Djihadistes» et tremblent pour leur propre liberté d’opinion, pour les femmes qui sont traitées comme moins que rien par une masculinité égarée et pour leur rêve d’un nouveau «Califat» qui relève plus d’une blessure historique que d’un projet concret et réalisable.

D’autres défendent tout simplement un même « droit des gens» pour tous les êtres sur la Planète
Pourquoi être né Arabe, Juif, Kurde ou noir ou même apatride, devrait-il à jamais vous rendre la vie plus précaire et vous priver du Droit de choisir vos gouvernants ?
Il fut un temps où des évêques catholiques bénissaient les armes des troupes de Franco et appelaient à libérer l’Espagne des «rouges».
Il fut un temps où l’on enfermait dans le camp du Vernet les courageux combattants des «brigades internationales» ; ceux venus de tous les lieux du Monde qui ne croyaient pas en Allah mais avaient bien une forme de foi terrestre.
Durant ce temps Orwell, Hemingway, Malraux, ceux de la brigade Lincoln, les poètes de vingt ans assassinés tels, Sam Levinger, mort à Belchite, et Joseph Seligman, lors de la bataille du Jarama. Ils avaient vingt ans. Et bien d’autres quittèrent leur quiétude pour défendre l’Humanisme et l’Humanité aux prises avec les cris du «Viva la Muerte» des fascistes.

Que l’on m’explique, aujourd’hui pourquoi, la circonstance de naître dans le croissant fertile devrait vous valoir la servitude à vie et supporter un dirigeant criminel qui va qu’à user du gaz «sarin» contre une partie de sa propre Peuple qui le ***** ?
Et de vivre perpétuellement et sans espoir que cela ne change dans le servage de régimes militaires et de tyrans corrompus ?
La question de la Religion et des «communautés» ne masque-t-elle pas une comptabilité inégalitaire et sordide faite entre les hommes qui vivent sur une même planète ?
Là, en terre d’Islam, vous seriez condamnés à courber le dos entre le bâton et les balles du policier ou la vision et les sermons réducteurs des théocrates et de ceux qui osent se nommer : «Le parti de Dieu» ?
Qui ose ainsi trancher dans l’Humain et réduire le besoin et le souffle des Libertés à certains Peuples ; blancs et riches, de préférence ?

Allons mes ami(e)s, n’oublions pas le message universel des Hume, Paine, Voltaire, Hugo, d’Hemingway qui permit à nos anciens de prendre les Bastilles.
Le Droit à la vie et à la liberté n’est pas d’un continent, ni d’une couleur de peau, ni d’une religion ; il est Universel comme le sourire du jeune enfant à sa mère.
Assez de discriminations et d’hypocrisies ; dénonçons l’imposture des tyrans et les veules par trop intéressés qui nous voudraient taisant et tranquilles.
Il est un «Monde nouveau» qui ne demande qu’à grandir et à vivre si bien sûr, on ne le tue pas avant ou si on ne lui met pas le bâillon.
Ami(e)s ne te fait pas dicter ta conduite par ceux qui sont payés pour écrire que l’ordre immuable doit toujours se perpétuer.
Ose ouvrir les yeux même aux spectacles les plus insoutenables et entendre ce long chœur de gémissements qui est l'Humanité souffrante dont tu fais intrinsèquement partie toi-même, avec les mêmes droits et devoirs.
C’est l’Humanité souffrante qui frappe, devant l’écran de ton téléviseur quand ta journée de travail finie tu t’assoupis et il est trop facile et fallacieux de te dire que des spécialistes vont régler les problèmes à ta place.
Hélas si tous raisonnent ainsi ; rien ne bougera et les Tyrans succéderont aux Tyrans comme les malédictions de Job.
Peut-être ta faible voix comme celle du rouge-gorge doit se mêler à la symphonie du Monde pour qu'enfin puissent tomber les préjugés entre les êtres et les murailles de Jéricho ?

Paul d’Aubin (Paul Arrighi (Historien, Homme de Lettres et Poète) - Toulouse, Toulouse (France) le mardi  1er  octobre  2013.

Paul Arrighi, à Toulouse, (Historien, Homme de Lettres et Poète)
Ikari Kanashī Dec 2020
I'm sorry that I made you feel like I didn't want you.. in truth I want you more than I've ever wanted anything… it's just..  I can't allow myself to get hurt again.
Sam Aug 2012
Mi fai scoppiare in lacrime.
Gioia, tristezza, e l'amore.
Sono sopraffatto
ogni volta
Ti vedo.

Le Farfalle ritorno
Di volta in volta.

Il mento così prominente,
Il tuo sorriso così luminoso,
I tuoi occhi così incantevole.

Un abbraccio come nessun altro,
Caldo, pieno d'amore.
Imbarazzante e scomodo.

Baci soffici, duro, lento, veloce.
Intenso.

Fai finta di essere, cose che non sono,
Ma dentro di me vedere il tuo amore, la compassione,
La paura, il dolore, la gioia.

ride piccoli come un anello vero figlio dalla bocca,
come ** dolcemente solleticare la vostra abbronzato, ventre maculato.

Avvolto tra le tue braccia,
un bruco in un bozzolo.
Cassetta di sicurezza, suono, sicuro.

Abbiamo urlare e piangere.
Ci baciamo e ci sorridiamo.
Abbiamo fatto male e guarire.

Tu sei mia,
Io sono tuo.
Non importa chi ti ha amato,
o che vi piace quando ci separiamo,
L'amore che sgorga dal mio cuore,
per te,
Continuerà fino a che non cessa di.

Mi fai ridere,
piangere,
urlo,
brivido,
nella gioia, la rabbia, la disperazione, l'amore.

Voi mi levate dal baratro che è la mia mente.
Mi ricordi per questo che voglio essere vivo.
Ce texte est une traduction de Pierre Corneille d'une œuvre
anonyme de piété chrétienne de la fin du XIVe ou début du XVe s.

(Que la vérité parle au dedans du coeur sans aucun bruit de paroles.)

Parle, parle, Seigneur, ton serviteur écoute :
Je dis ton serviteur, car enfin je le suis ;
Je le suis, je veux l'être, et marcher dans ta route
Et les jours et les nuits.

Remplis-moi d'un esprit qui me fasse comprendre
Ce qu'ordonnent de moi tes saintes volontés,
Et réduis mes désirs au seul désir d'entendre
Tes hautes vérités.

Mais désarme d'éclairs ta divine éloquence ;
Fais-la couler sans bruit au milieu de mon coeur
Qu'elle ait de la rosée et la vive abondance
Et l'aimable douceur.

Vous la craigniez, Hébreux, vous croyiez que la foudre,
Que la mort la suivît et dût tout désoler,
Vous qui dans le désert ne pouviez vous résoudre
A l'entendre parler.

" Parle-nous, parle-nous, disiez-vous à Moïse,
Mais obtiens du Seigneur qu'il ne nous parle pas ;
Des éclats de sa voix la tonnante surprise
Serait notre trépas. "

Je n'ai point ces frayeurs alors que je te prie ;
Je te fais d'autres voeux que ces fils d'Israël,  
Et plein de confiance, humblement je m'écrie
Avec ton Samuel :

" Quoi que tu sois le seul qu'ici-bas je redoute,
C'est toi seul qu'ici-bas je souhaite d'ouïr :
Parle donc, ô mon Dieu ! ton serviteur écoute,
Et te veut obéir. "

Je ne veux ni Moïse à m'enseigner tes voies,
Ni quelque autre prophète à m'expliquer tes lois ;
C'est toi qui les instruis, c'est toi qui les envois,
Dont je cherche la voix.

Comme c'est de toi seul qu'ils ont tous ces lumières
Dont la grâce par eux éclaire notre foi,
Tu peux bien sans eux tous me les donner entières,
Mais eux tous rien sans toi.

Ils peuvent répéter le son de tes paroles,
Mais il n'est pas en eux d'en conférer l'esprit,
Et leurs discours sans toi passent pour si frivoles
Que souvent on en rit.

Qu'ils parlent hautement, qu'ils disent des merveilles,
Qu'ils déclarent ton ordre avec pleine vigueur :
Si tu ne parles point, ils frappent les oreilles
Sans émouvoir le coeur.

Ils sèment la parole obscure, simple et nue ;
Mais dans l'obscurité tu rends l'oeil clairvoyant,
Et joins du haut du ciel à la lettre qui tue
L'esprit vivifiant.

Leur bouche sous l'énigme annonce le mystère,
Mais tu nous en fais voir le sens le plus caché ;
Ils nous prêchent tes lois, mais ton secours fait faire
Tout ce qu'ils ont prêché,

Ils montrent le chemin, mais tu donnes la force
D'y porter tous nos pas, d'y marcher jusqu'au bout ;
Et tout ce qui vient d'eux ne passe point l'écorce,
Mais tu pénètres tout.

Ils n'arrosent sans toi que les dehors de l'âme,
Mais sa fécondité veut ton bras souverain ;
Et tout ce qui l'éclaire, et tout ce qui l'enflamme
Ne part que de ta main.

Ces prophètes en fin ont beau crier et dire,
Ce ne sont que des voix, ce ne sont que des cris,
Si pour en profiter l'esprit qui les inspire
Ne touche nos esprits.

Silence donc, Moïse ! et toi, parle en sa place,
Eternelle, immuable, immense vérité :
Parle, que je ne meure enfoncé dans la glace
De ma stérilité.

C'est mourir en effet, qu'à ta faveur céleste
Ne rendre point pour fruit des désirs plus ardents ;
Et l'avis du dehors n'a rien que de funeste
S'il n'échauffe au dedans.

Cet avis écouté seulement par caprice,
Connu sans être aimé, cru sans être observé,
C'est ce qui vraiment tue, et sur quoi ta justice
Condamne un réprouvé.

Parle donc, ô mon Dieu ! ton serviteur fidèle
Pour écouter ta voix réunit tous ses sens,
Et trouve les douceurs de la vie éternelle
En ses divins accents.

Parle pour consoler mon âme inquiétée ;
Parle pour la conduire à quelque amendement ;
Parle, afin que ta gloire ainsi plus exaltée
Croisse éternellement.
Paul d'Aubin Mar 2016
Radio Matin, mars 2016

Radio Matin, mars 2016 ; Tu écoutes la radio du matin ne pouvant te replonger dans l’oubli Et les nouvelles ne vont pas vont pas bien Il paraît que les Grecs auraient abusé, Des subventions de l'Europe se seraient gavés. Et, qu’horrible angoisse, Picsou craint de ne point être remboursé. Mais où va-t-on, si les créanciers rechignent à payer leur dus ? Tu écoutes la radio du matin Et les nouvelles ne vont pas bien. Les banques aussitôt sortis du coma, ont refilé en douce leurs pertes sur le déficit des Etats et ainsi créés un grand branle-bas Et se sont mises comme l’usurier Shylock A provoquer de grands entrechocs. Tu écoutes la radio du matin Il parait que les «marchés» ont le bourdon Car les européens du sud auraient croqué tout le pognon. Les marchés en perdent leur latin De voir la « dolce Vita de tous ces profiteurs. Quant à l’Espagne n’en parlons même pas ! C’est certainement la faute de la sangria. Tu écoutes la radio du matin Et les nouvelles ne vont pas bien. Il va falloir travailler plus longtemps, et du code du travail si ventripotent décréter la grande disette, d’ailleurs Manuel l’a dit, l’ « ancien socialisme » n’est pas « moderne » car il ne se plie pas aux contraintes de ce que nos gourous savants, nous dictent comme étant « la Modernité », d'ailleurs la barbe de Jean  Jaurès ne fait pas assez jeune cadre dynamique ! Et puis il paraît que nous vivons trop longtemps et pour les fonds de pension cela est certes démoralisant. Pourtant ne souhaitons guère tous atteindre cent-ans, Et préférerions disposer librement de notre temps. Tu écoutes encore la radio du matin Et les nouvelles ne vont pas bien. Un tanker s’est est échoué Laissant le pétrole s'écouler, qui sera difficilement colmaté et tue mouettes et cormorans. Les centaines de milliers de réfugiés, souvent par nos propres bombes déplacés ont le toupet de vouloir partager l’espoir de vivre dans un oasis de Paix ; mais pour combien de temps encor, cette paix des cimetières peut-elle durer, et bous laisser consommer seuls dans nos lits pas toujours si douillets ?
Tu n'écoutes plus désormais la radio du matin et la télévision encore moins. Car toutes ces nouvelles te rendaient zinzin. Tu n’es plus sûr, du tout, de la vérité apportée dans cette Babel sonore et tu es consterné par une vision si étriquée de l’humain.
Comment pouvons-nous tant ingurgiter d’insignifiances où se noie la lucidité ? Comment pouvons-nous partager les vrais progrès des sciences et du creuset Mondial des pensées ? Sans jamais nous interroger et garder le nez au raz de cette marée d’informations non triées ? Comment avoir un bon usage d'un village planétaire si divisé ? Et comment redonner le goût de l’Humain pour le plus grand nombre à la participation aux choix dont nous sommes si souvent exclus bien que surinformés ?

Paul Arrighi (Toulouse le vendredi 18 mars 2016)
À Manoel de Barros

PSAUME I

Tapi dans la mangrove, bondissant...sautant-matant

Le ciel aux trois-quarts nu

De giraumon, de pissat et de sang...

Assis sur le trottoir, le ciel tousse

Kein-hein kein-hein

Ivre de parfums rouges errants,

De brocarts et de confettis à ses trousses.

Assis à marée basse, électrique...

Insensible aux chevaux des dieux

Qui tournoient

Au-dessus des tambours

Qui chavirent

Insensibles

Aux orgues charnelles

Des moites guérisseuses...

Le ciel caracole,

Glisse, contorsionniste,

Mascarade immobile

Démêlant le cours des amours burlesques

Entre les atolls obscurs

De pistaches et de bonbons,

D’anges et de démons...

Cabriole, tiède et poisseux,

Cisaille à contre-jour

L’orpailleur en transe

Aboyant dans le sérail de mes âmes

Sevrées, esseulées...

L’aube culbute

Dans les lambeaux du gouffre

Dans les calypsos du soleil

D’où sourdent, dégénérées,

Les jambes et les larmes

Qui fraient encore, exotiques

Sur les pilotis

Du carnaval nocturne

D’où va saillir le jour.

PSAUME II

Il pleut sur le kiosque des songes

Des encres mornes

Comme des brindilles

Enfantées de l’œuf tiède

Où s’aimante

Délicieusement noire

La mygale

Fleuve des nuages

Qui emballe

De son ouate ludique

Le rayon nain

Dérobé

Au serpent arc-en-ciel

Enfin rassasié

PSAUME III

Tellurique, dame Terre esquive les amarres

Effervescentes. Le ciel, hameçon entre les îles,

Rayonne, entonne l’odyssée perpétuelle,

Pion libre dans l’espace

Sempiternellement baigné par les baumes

Incendiaires du soleil obèse, son jumeau

Complice des moissons violées, œcuménique,

Humble, jadis et toujours, Terre :

Oasis, océan, oxygène, oeil

Revêtu d’or, jardin où les ombres basses

Exultent, balbutiant des airs amnésiques..."

PSAUME IV

Rebelle lascive

Telle la lune blette

Suçant les corps subtils

Des mangues sauvages

Enroulées dans la pluie d’obsidienne...

Courtisane de toutes les brousses

Avaleuse de poisson vivant

Pour mieux apprendre à nager

Dans les moues du fleuve douillet...

Les lacets se cabrent, dans un baiser de peaux, de tôles et de croix

Les laves du dernier décan affleurent,

Saupoudrent l’écloserie de marbre humide

Et la pellicule humide de feu cru

Enfouit les dieux écartelés

Aux moues du fleuve endiablé..."

PSAUME V

Soudain pagayer dans le vent et découdre l’odeur légère de la forêt

Chasser les désirs cueillis dans la poudre des oiseaux rares

Et repriser dans les entrailles des pétales juteux...

Puis amarrer à la lumière verticale des matins

Un éclair avec le mot “boum”.

PSAUME VI

"Nomades, où sont les nuits ?"

Grince l’arc débandé du soleil

Embrassé à la portée de cristal

Des nuages en menstrues...

Peut-être que la nuit décante
Blottie dans le nid du large

Faite une enfant, se vautre

Sous les flottilles de jasmin

Dévastant les marées,

Traquant le ressac du temps...

Peut-être que la nuit accouche
Bien après les chaleurs

Faite une gueuse, brise

De son cœur de soprano

Les rames de glace de la lune qui s’épand

Dans un banc d’aquarelles...

Ou peut-être, la nuit, peut-être

La nuit, lisse et lasse,

Allaite les étoiles prises

Aux moustiquaires de cendre

Où le ciel foudroyé

Bat en retraite la chamade.

Peut-être qu’elle arraisonne
Les frêles écailles de l’orgasme total

Pour que nul ne sache

Qu’elle est née sans nombril,

Pour que nul ne sache

Qu’elle est grosse d’un jour

Au goût de sel...

PSAUME VII

"Abysses en vue !" vocifère l’huile en larmes

Faisant voler dans l’onguent vagabond

Les feux follets sortis de leur miroir,

Condors de phosphore, cyclones désemparés

Où se bousculent, palefrenières distraites,

Les couleurs qui rient en allant au supplice...

En chapelets, la lumière débouche, foule, broute,

S’autodévore sous la caresse des truelles,

Moud les étincelles, les taches, les brèches

En route vers le seuil du sacrifice,

Et dans l’embellie de l’œil

Éclot le prétendant buriné

Dans l’apothéose du matin soigneusement peint...

PSAUME VIII

Noyée dans la saumure en flammes

Du soir délicieusement grand ouvert, l’indicible lueur

Cloîtrée dans son écrin liquide

Jalonné de boues, moustiques et palétuviers,

Harponne la braise moribonde de charbon rose

Innombrable qui serpente dans le cirque de sable

A force de nager, à force de nager

Éternellement à joncher les grèves de l’arc-en-ciel.

PSAUME IX

Dans la baie, un sein vert flambe

Campant dans un bain de coton...

L’écho, hypnotique, tourne, tourne, prolifique...

Ô îles, les îles

Notes en menottes, ailes balafrées,

Miels de sel, fiels de ciel...

Ô îles, les îles

Filaments de mangue, eaux assoiffées

Larmes chaudes de tambours incoagulables...

Ô îles, les îles

D’où venez-vous, miettes de sang ?

Comment vous êtes-vous posés, papillons,

Au milieu de la grande termitière d’or bleu ?

PSAUME X

Kaki, dans le jour rectiligne,

Le soleil, bibelot tiède et omniprésent,

Affalé dans les sortilèges

De la pluie ensorceleuse..

.
Incrustée dans son terrier maternel,

Luciole équilibriste,

A demi ivre souffre l’espérance,

Soufflant des goélettes de papier...

Les lunes se rétractent lestes et faibles,

La visibilité est bonne

De chenaux en détroits, vont, naufragées,

En débandade, les voluptés,

Roues flamboyantes

Dilacérant les haillons allumés

Des orbites sismiques..

PSAUME XI

Zéro heure, la chauve cascade

Où le délire se découd

Dans les courbes de l’ennui...

Zéro heure, l’édentée

Déchirant les échos

Des obsèques de minuit...

Zéro heure, poupée

Aptère, assoupie

A l’ombre des rêves...

Cartomancienne hérétique

Châtrant les éruptions chagrines,

Châtrant, multipliant les yeux

Vers les plages pourpres...

Zéro heure, nymphe sourde

Défunte à la canne bossue,

Hissant le grand pavois

De la couleur polyphonique,

L’accord,

La peau du poète,

Éclipse magique

De tous les déluges...

PSAUME XII

Songes dans l’extrême sud

Monochromatique

Ancres tapissées,

Couples éteints, inflorescences...

Chevaux cardiaques

Occultés dans un nid lunaire...

Passager de la nef du fou

Fouetté par le roi si bémol

Qui monte à l’échafaud...

Battements rupestres,

Sentiers crevant les lieues

Au rythme des ailes de nuages...

La pluie soudain s’est tue

La liesse s’est tue soudain

Dilapidée dans ce jour rongé...

PSAUME XIII

Éteint dans la lumière, le portraitiste

Brûle l’absence mate,

La suie insolite...

La haute mer se dilue..

L’arche hiberne aussi **** que porte la vie

Dans son sanctuaire de sève

Où la terre saigne ses eaux bouclées

Qui écument des épaves de pierre

Aussi **** que porte la vie.

PSAUME XIV

Les îles du matin m’embrassent

Après une nuit de lune rase

Le ronflement du rayon

Macule en naissant le chœur torride

De l’alcôve qui s’écaille émaillée.

Entre traits, tracés et rayures

Flottent des oranges polymorphes

A portée des mains...

Sous la ménagerie de ses eaux poissonneuses

La gomme méthylique du soleil

Frotte dans le bassin d’étincelles

L’orchestre infime de ce lointain carnaval renié

Qui crépite, savonné...

Entre gravillons et bulles

Flottent des oranges polymorphes

A portée des mains...

Devant l’horloge en rut

Se signent les orangers...

Le soleil consent à la lune

La mare de feu

Greffée dans le pouls vivace de l’ombre ivre...

Entre ruines et volutes

Flottent des oranges polymorphes

Scandaleusement

A portée des mains...

PSAUME XV

Le matin nage, innombrable

Salamandre aux cent venins de verre

Qui se distillent dans une encre de cendres

Offertes au soleil insatiable...

Dans le calice débordant

Des récoltes que la nuit

Ne grignote qu’à moitié,

Les sargasses du désir plongent,

Cinglant le silence des incohérences...

Hilare, la lune

Se réveille et butine

Le nectar indigo

Qui s’attarde

Comme une musique rétinienne

Aux confins du jour...

Ainsi emmurés vifs

Dans le flux impénétrable des reflets,

Vont à l’aveuglette

Dans le palais des singes volants

L’amour et ses tribus aborigènes

Veillant sur la toison rouge du ciel...

PSAUME XVI

Mon deuil échoue à l’aube

Les yeux ouverts sur les laves

De ce volcan éteint

Où s’apaisent les étoiles...

La flèche de l’archer s’évanouit, fauchée...

Le licol de mousseline de l’archipel précieux

Vacille, se dissout,

Orphelin mélancolique

Murmurant des baisers d’aniline

Aux marges du rêve...

Insomnuit d’été

Si seulement je pouvais rêver !

PSAUME XVII

Sur l’échiquier, la nuit chancelle, vénéneuse...

Un vaisseau de pierre au galop s’envole

Au chevet de la mer noyée

Suant la résine...

Sifflotant, le saltimbanque

Éconduit les horizons pétales

Pris du soleil gemme étanche

Dans les écumes du ciel d’étain...

Bientôt, les lunes oscillent

Ondulent, se dérobent frivoles,

L’étalon noir se dissipe

Décochant des flèches en forme de cœur...

Quelque chose se brise dans le noir :

Était-ce un masque ou un miroir ?

Quand luit la dernière tranche d’ombre

Déboussolées, dans la dune de verre, les étoiles

Bégaient...

Les coquilles se détellent de la terre réfractaire...

Le soleil dévastateur s’abreuve de ciel

Cachant les antres de brai...

Tâtant les décadences nacrées

Ointes de sueurs salines

L’amazone enfin répudiée

Chantonne aux aguets

Dans la baie couleur sépia...

PSAUME XVIII

Clic
Hennissement aveugle, l’île

Se déhanche

Toute soie et serpent

Contre l’épi de maïs vert...

Clac
“Marée basse”, dit la reine-mère...

Aucune abeille ne rame,

Ne laboure les pollens de la mer...

Clic
**** des brise-lames

Lisses et bouillonnants

Des crinières sans fin et du goémon,

L’iguane sous la villa jaune...

Le long des bougies

Coule le gouvernail du silence...

Clic
Sous les fleurs délabrées de l’éclair

Dans leur hamac vert

Les vagues veuves, les vagues nues

Courent après les lunes

Et lentement chantent les araignées...

Clic
Parfums de lumière

Qui jouent, jouent, jouent

Se décomposent

Dans une brise d’alcools...

Clic
Chimères de la mer, coup de sifflet final

Rongeant les sables glauques

Les tranchées dans le ciel ouvert

Tapis du soleil et son essaim de sujets...

Clic
La nuit, la mer fructifie

Au ralenti...

PSAUME XIX

"Au feu, au feu !

Feu à la dérive !"

Scandent deux coléoptères...

Le feu fuit !

Le magicien s’est brûlé

A faire sa magie.

Le pôle s’évapore,

Le puits fait l’aumône,

L’enfant aboie,

La moto boite,

La forêt détale,

Le lion se vêt de singe

Noir et doré

Et petit à petit

Va planer

Au-dessus de l’autel fugace

Où gît

Hululant, pullulant, virulent,

Le vol agile craché

Du saxophone ténor...

L’hiver fouette le ciel,

La terre meurt prématurée,

Liane après liane,

Sécrétant comme vestiges

Le tapis de talc

D’une aile de sirène

Et le vertige nuptial

De deux notes jaunes inachevées

Au sein des similitudes.

PSAUME **

Prunelle de gris jaune
Prunelle nuit et mer
Bleu coursier d’argile
Tigresse à la crinière couleur de brume.
Dans le rare verger qu’est l’amour
Audacieuse, elle va, incendiaire
Empaillée dans un paquebot hystérique
Vers le hasard des quais identiques
Les yeux pleins de chaux.

Dans ce chant veuf, dans cette capitale pyromane
La voilà, légère,
Aspirant les équinoxes dans cet air enchaîné
En selle pour un bain d’herbes monastique
Geôlière verte
D’émeraude pure...

PSAUME XXI

L’accordéoniste des abysses
Peint dans l’œil de l’obscur :
Un nuage en zigzaguant
Ancre aux eaux du vide.

Et le gong sue...timide.
Et comme en un tango antique
S’écoule le cri acide

Des teintes atteintes par les balles,
Hoquet du temps incarné
A l’aube d’une pluie sèche de chaleurs vertes.
Et le gong sue...tumide.

Et comme en un tango marin
Caracole la pirogue étoilée du tigre intime
Renversant de son parapluie
Les certitudes les plus ensevelies de la peur.

Et le gong sue...tumide.
Et les papillons enfantent
Des flammes dans les sables mouvants,
Des harpes éoliennes
Comme des gymnastes hués par le soleil en ruines
A la recherche des marées sèches.

Et le gong sue... tumide.
Et comme en un tango de funambules
Les œillères des brebis galeuses
Traversent la toile, vieillissent, exhument le salpêtre
D’un bandonéon dont la sueur incendie les cernes
De la nuit qui jazze...

PSAUME XXII

Tendrement
Le messager lit
Les lignes du vent,
Prend le pouls
Du ventre jaspé
De la basilique d’encre de chine :

-Là-bas, sous les monts de Vénus
Rode le messager,
Troubadour englouti
Par une lave obscure,

Passager invisible
Des failles muettes
Qu’il restaure encore...

Tendrement
Le messager
Harponne
Les coquilles du temps...
A la pointe de l’hameçon,

Un morceau de vitrail
Où à peine filtre
La lueur des entrailles,
On devine soudain
La forme d’un cheval marron
Qui hennit.

PSAUME XXIII

Bleu roi
De ces couleurs pièges.
Bleu de ces teintes imprévisibles.
Issu du venin tribal
Des roses du désert
Le bleu tombe,
Comme un nuage de coton doux,
Sur la brousse atlantique des lèvres
Enflées de secrets,
Où, hystérique, il donne le jour
Sous le kiosque sympathique des pluies cyanes
A une larme de sang,
Daltonienne.

Bleu roi
De ces couleurs mutantes :
Seul le baiser de cobalt réchauffe
Les escales mélancoliques
De ces ailes closes,
Révèle les jeux d’artifice,
Et murmurant des flammes,
Fait évanouir
Le deuil magnétique
Des rênes d’ivoire...

La flèche de l’archer pénètre,
Débridée,
Le voile de mousseline de l’archipel précieux
Qui vacille, se dissout,
Orphelin en suspens, spectre d’aniline
Aux gants d’émeraude
Et aux chaussons d’améthyste...

PSAUME XXIV

Dormir, virgule,
Souffler doucement
Des cases jumelles,
Ramper à nouveau, gigoter,
Jusqu’à ce que tout ne soit plus
Qu’une seule immensité...

Au lieu de l’abîme
La clairière dans la caféière.
Dormir, virgule,
Ça et là,
Lune bleue
Embuée
Sous la baguette du silence...

Le rêve entre et sort

Et jusqu’aux nuages
Craignent la chute
Vers le sommeil...

PSAUME XXV

Les îles et une nuits
Me font chavirer,
Je fuis,
Naufragée inlassable,
Hors du clan tentaculaire
Vers la clarté volatile
Des voiles incendiaires...

Mes nerfs à la fleur du large
Bifurquent,
S’évaporent en filigranes
Plus **** encore...

Bleu nuit devient la mer
Aux portes de son repaire
Ancré à la rive gauche du cœur.

La crique n’est plus ce qu’elle était :
La neige reptile teint les dauphins de rose...
Éden ?
De temps à autre

Passe un trapèze
Balayant le silence.

PSAUME XXVI

Ô Reine, Notre Duc
Sous tes ongles laqués
J’imagine un ciel rouge
Aux parfums de lait de cobra...
Le soleil fait pleuvoir des sceptres sur le fleuve
Et des piranhas aux dents d’eau
Larguent des cerfs-volants sans fin...

“Chantez les très riches heures de l’En-Dehors !”
Crie à la face du levant
Un caméléon qui lisse les ailes du hasard
Planté dans le dédale de ta langue baccarat.

PSAUME XXVII

Près de la passerelle d’ivoire :
“Odyssées,
Métamorphoses,
Mues,
Je vous aime !” "
Nat Lipstadt Apr 2016
Selah

~~~

is a word used seventy-four times in the bible.  The meaning of the word is not known, though various interpretations are given below.  It is probably an instruction on the reading of the text, something like *
"stop and listen."  The Amplified Bible translates selah as "pause, and think of that." Alternatively, selah may mean "forever," as it does in some places in the liturgy.  Another interpretation claims that selah comes from the primary Hebrew root word salah, meaning "to hang," and by implication, as in weighing, "to measure"

for Sethnicity
~~~

what trifle these
modern words,
hurled, expelled from the
no country for an old body,
without passport or
earnestness of purpose

the yeah yeah yeah filler
of day tourists who
leave~refuse,
leave their refuse,
never mark-making,
nor even  a mark of
minor distinctions

what mystery valued then in these
olden words,
of which,
there are the fewer than
precious few,
possessing
ineffable, multifarious meanings,
never wasted or with dispassion disgraced

Selah

as a young boy
parentally captive
was POW forced-marched
to synagogue daily,
then weekly,
and now,
free at last,
Oh Lord
free at last,

to go
never

now wanting immunity
for my sins
but asking only from myself
my own forgiveness,
still and well recall the
puzzlingly feeling of

Selah

"forever"
explained the perpetually tired,
older father-man,
"it means forever,"
he who was wearily forever tired from voyaging
and living in a new, stressful,
inhospitable world

carrying in a single suitcase(1)
centuries of the continental drift of
global dispersal diaspora prior,
that cannot be well remembered,
only honored in the
forever recalling

but I disdain the explanation,
as if
"forever"
would satisfy
a ne're satisfied,
irreverent, teenage curiosity

here I am
decades on,
remembering the mysterious

Selah

embracing its many personalities,
endearing now by its revealing opportunities,
and its suitability
in this,
in the the hour of
now me as the
elder father-grandfather

weary-leery,
of a man's age of aging,
the approaching visible runway,
upon which you only land
and never takeoff,
during the phasing out period

and so I reconsider

Selah

and all its variants,
seventy four times

all those elders know too well,
there was never a

forever

so you
stop and listen,
but not to your own heartbeats,
but to tue

poetic lapsing pauses,

the in betweens,
thinking on that
hope for next one Nat

taking your own measure,
the hanging up,
the weighing up
of the always imbalanced
credits and deficits,
accepting the net net
sum of
the totaling up

yet once more,
despite all,
the poet rises,
stands up,
stops to listen,
to give blessing to
you the reader

all poet's
welcomed progeny and prodigy,
hearing your crying hearts,
youngest wishes
and grinding familia of
familiar fears,
expressed so clear
in all your scripts,
pronouncing
over them,
over you


Amen ~ Selah

once again ,
one last time
telling it to God,
or anyone who'll listen,
with fervor

smiling inward
believing even more now
in the olden
specialized mysterious,
powers
of a word
that means
exactly what you meant it
to mean,
when  your say

Selah*

Oct 2, 2015
a poem written and stored away from a sense of
who will get this weary wariness... but I let it go because
it was
selah time

for Sethnicity

(1). he was a Fuller Brush Man
Non ti preparerò col mio mostrarmiti
ad una confidenza limitata,
ma perché nel toccarmi la tua mano
non abbia una memoria di presagi,
giacerò all'informe
fusa io stessa, sciolta dentro il buio,
per quanto possa, elaborata e viva,
ridivenire caos...
Orfeo novello, amico dell'assenza,
modulerai di nuovo dalla cetra
la figura nascente di me stessa.
Sarai alle soglie piano e divinante
di un mistero assoluto di silenzio,
ignorando i miei limiti di un tempo,
godrai il possesso della sola essenza.
Allora, concretandomi in un primo
accenno di presenza,
sarò un ramo fiorito di consenso,
e poi, trovato un punto di contatto,
ammetterò una timida coscienza
di vita d'animale
e mi dirò che non andrò più oltre,
mentre già mi sviluppi,
sapienza ineluttabile e sicura,
in un gioco insperato di armonie,
in una conclusione di fanciulla...
Fanciulla: è questo il termine raggiunto?
E per l'addietro non l'** maturato
e non l'** poi distrutto
delusa, offesa in ogni volontà?
Che vuol dire fanciulla
se non superamento di coscienza?
Era questo di me che non volevo:
condurmi, trascurando ogni mia forma,
al vertice mortale della vita...
Ma la presenza d'ogni mia sembianza
quale urgenza incalzante di sviluppo,
quale presto proporsi
e più presto risolversi d'enigmi!
E quando poi, dal mio aderire stesso,
la forma scivolò in un altro tempo
di più rare e più estranee conclusioni,
quando del mio "sentirmi" voluttuoso
rimase un'aderenza di dolore,
allora, allora preferii la morte
che ribadisse in me questo possesso.
Ma ci si può avanzare nella vita
mano che regge e fiaccola portata
e ci si può liberamente dare
alle dimenticanze più serene
quando gli anelli multipli di noi
si sciolgano e riprendano in accordo,
quando la garanzia dell'immanenza
ci fasci di un benessere assoluto.
Così, nelle tue braccia ordinatrici
io mi riverso, minima ed immensa;
dato sereno, dato irrefrenabile,
attività perenne di sviluppo.
Peut s’ouvrir un débat
long comme l’éternité
de savoir si vrai ou faux
avait raison Don Gomez
qui harangua son fils
en disant :
« Ce n’est que par le sang
Qu’on lave tel outrage. »

Ô quel mot fer,
quel mot acier,
sans une goute d’étain !
Le mot sans verdure,
le mot rouge sans mélange,
plus rouge que le sang,
visant perdre le souffle
au donneur de soufflet !
qui pourra le baptiser cannibalisme
ou bien légitime défense ?

Quoi qu’on dise, tranchons :
ce fut verser le sang.
Et jugeons :
Ce qu’à l’époque fut d’or
l’acte de le Cid1 Compeador
ne le serait point aujourd’hui.
C’est comme le triomphe d’Achille2
Sur son ennemi Hector.
Les deux grand guerriers, avides de sang
et de gloire malsaine,
vallées et plaines coururent,
lacs et rivières nagèrent,
étangs et marécages pataugèrent,
monts et collines gravirent,
et descendirent en volant,
se voulant l’un l’autre proie,
et l’emporta le plus criminel.

A l’Epoque Contemporaine
Pas toute victoire ne se couvre de lauriers.

La Pucelle d’Orléans ne fut-elle
brûlée vive par l’ennemi,
son tueur ignoré par tant,
et son Nom à jamais porta la couronne
à la façon de la Sainte Vierge
qui jamais ne lutta que contre le péchée,
et son arme au combat ne fut que piété,
contrairement à Charlemagne
qui fut couronné de fer
dont il eut son bon usage.

Le trépas d’un héro ne tue pas l’héroïsme.

Ce fut le cas, ce semble, du Prince
Né **** d’un palais royal.
Ce Prince qu’on le nomme :
Mohammed Bouazizi.
La montée au sommet ne fut pas improviste
ni sujet de surprise ;
c’est le fruit du courage bénit,
lequel conditionnera et la pluie et le soleil
dans tous les coins du monde.

1. Le Cid : Personnage Principal de la Tragi-comédie qui porte son nom de Pierre Corneille dont la première représentation eut lieu le 5 janvier 16372.
2. Achille et Hector sont les personnages les plus célèbres de L’Iliade d’Homère VIIIe siècle av. J.-C.
En mémoire du héro tunisien Mohammed Bouazizi
www.amazon.author/bonim007
allison Feb 2016
J'ai l'impression de mourir
tangshunzi Jul 2014
Sono così incredibilmente eccitato quando data la possibilità di condividere qualcosa di totalmente incantevole con tutti voi ;e in questo caso .sto morendo di presentarvi Doie Lounge .Questi abiti splendidi .realizzati con materiali eco-compatibili più morbide .sono davvero l'ultimo regalo per le vostre donne di indossare il vostro grande giorno !


Non solo questi pretties fatti proprio qui negli Stati Uniti .sono anche realizzati dei tessuti sostenibili + naturali .così si può veramente sentirsi bene con quello che si sta acquistando .Perfetto per coloro che " la mattina di" foto .Doie Lounge abiti sono disponibili in una varietà di colori e modelli di dimensioni x - piccole a x -large e guardare incredibile su entrambi i frame brevi e alti !Elegante e molto confortevoli .questi abiti mozzafiato hanno sia un esterno un legame interiore .in modo che davvero restare.Amato da feste nuziali e celebrità (qui ) .sia.Doie Lounge abiti sono un dono faranno effettivamente utilizzare di nuovo .Oh .e ottenere questo .ci sono sconti per l'acquisto in ***** !


non vedi la combo colore che avete bisogno



o avete una domanda vestiti da sposa dimensionamento ?Email Sara direttamente .sara { at} doielounge.com .per ottenere risposte alle tue domande o per venire con esattamente la veste che vuoi !Ci possono essere anche alcune combinazioni di colori nascosti fuori sede .in modo da essere sicuri di chiedere .Ora le cose si fanno piuttosto eccitante .miei cari .perché Doie Lounge sta dando un lettore fortunato una veste di loro scelta !Per partecipare.è sufficiente commentare questo post con cui veste è il vostro preferito (assicuratevi di dare uno sguardo a tutti loro qui ! ) .Un vincitore sarà scelto a caso e ha annunciato il Venerdì 14 febbraio 2014 . Buona fortuna !

Photo Credits vestiti da sposa : 1 : Valorie Cara Fotografia / capelli: Trace Hennigsen / Make Up : Artistry da Danika 2 : Maggie Thalheimer di Gerber e Scarpelli 3 : Jeff Tisman Fotografia 3 : Katie Hall Photo 4: ES Fotografia Creation abiti da sposa 2014 5 : Swords
http://www.belloabito.com/goods.php?id=799
http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-c-1
http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-2014-c-13
Doie Lounge Robes + A Giveaway !_abiti da sposa corti
Adrien Jul 2014
Au temps

Au temps où l'on va toujours plus vite, pour en gagner
Autant de temps à perdre devant la télé
Quand les pieds d'argile ont des chaussures en croco
Au temps de la guerre des égos
À celui passé à l'usine, qui roule sa bosse
Quand c'est tout ce qu'on apprends à nos gosses
Fais de l'argent, entres dans le moule
À l'heure où notre joli navire coule
Quand les recherches les plus subventionnées sont militaires
Quand l'homme avance un pas en avant, deux pas en arrière
Quand on a plus que jamais tous du sang sur nos doigts
Là où on trouve moins d'eau que de soda
À l'heure des strings et des braguettes
Quand la pucelle à honte de l'être
Quand on fait l'amour à des images, à du kevlar
À l'heure où l'art fait sa pute, et au street art
Aux endettés que le temps presse
Aux laodicéens qui pensent boire de l'eau fraiche
Au temps passé en emmenant nos valeurs
Au temps modernes, au temps perdu, au temps qui fait peur
Au temps qui veut m'arracher ce que j'ai de plus précieux
Ma sauvagerie, ma liberté, comme la prunelle de mes yeux
Au temps, à ses aiguilles qu'on ne peut casser,
Qui passent sur nous comme on laboure un champ
Plient et tâchent une peau tant de fois griffée,
Puis laissent à nos yeux que le blanc
Au temps qui nous abimes, qui passe et nous emporte l'un après l'autre
Au temps des idoles et des rois, au temps des apôtres
Au temps qui passe et estompe nos mirages
Qui file tout le temps, qui jauni nos images
Qui nous vieilli, nous flétris, nous habitue
Qui nous ternis, nous aigris, puis qui nous tue.
Au temps qui ne s'est pas passé comme prévu
Aux tremblotants, au temps qui nous fait perdre la vue
Aux palpitants qui s'arrêtent
Aux pétillants qui naissent
À ceux qui ont tant passé à contre courant, au monuments
Qui résistent contre le vent, qui malgré tout et pour autant
Au temps.
« Notre amour était mon seul arme
                                     Aujourd’hui  j’ai que des larmes
Notre confiance  était le seul accord
                    Maintenant le doute tue votre propre âme
J’ai compris votre jalousie mais
                            N’oublies pas que je suis une femme
Une femme amoureuse de toi ,fidèle
                        Et surtout confiante à toi et à moi-même
Oublies les paroles ,et les critiques des autres
         Laisses nous vivre une histoire pleine de charme
Pardonnes moi de tous ce que j’ai fait
                                 Stp pardonnes votre futur dame  »
Elle m’ a dit;
J’ai répondu:
  « personne ne mérite tes larmes
             Et celui qui les mérite ne fera surement pas pleurer
Sois sur que je te souhaite que de bonheur
             le bonhur… que t'  attends...
                                          avec quelqu'un que  tu admires
  Tu as choisi de jouer  tes cartes au profondeur
                 Et mon jeu était toujours à la hauteur
Tu as détruit ton propre  amour
  Tu m’as perdu pour toujours
                                pour m’oublier    ,  Tu as besoin du temps
                                mêmes les anges ont besoins du temps de repos
cherche quelqu’un qui fait rire ton cœur
moi je ne peux  t’assurer que de malheur
                                           la vie m’a donné une deuxième chance
                                              je vais rattraper mes fautes d’enfance  
tu étais la grande faute de ma vie
tu es la personne que  …………j’ ai pas envie.   »

Abdelkadir BELHADJ
taken under by the swell
dragged and punched by
a wave

[too] high
to climb so far above
to the crest

who needs sea-foam
anyway
its mostly ******* air

hot to drop
to the coolest depths
and be covered over

ill be turned on
over
to reveal the barnacles and moss

taking lichens for a walk now
mon-tue
only twenty clams
À Manoel de Barros

PSAUME I

Tapi dans la mangrove, bondissant...sautant-matant

Le ciel aux trois-quarts nu

De giraumon, de pissat et de sang...

Assis sur le trottoir, le ciel tousse

Kein-hein kein-hein

Ivre de parfums rouges errants,

De brocarts et de confettis à ses trousses.

Assis à marée basse, électrique...

Insensible aux chevaux des dieux

Qui tournoient

Au-dessus des tambours

Qui chavirent

Insensibles

Aux orgues charnelles

Des moites guérisseuses...

Le ciel caracole,

Glisse, contorsionniste,

Mascarade immobile

Démêlant le cours des amours burlesques

Entre les atolls obscurs

De pistaches et de bonbons,

D’anges et de démons...

Cabriole, tiède et poisseux,

Cisaille à contre-jour

L’orpailleur en transe

Aboyant dans le sérail de mes âmes

Sevrées, esseulées...

L’aube culbute

Dans les lambeaux du gouffre

Dans les calypsos du soleil

D’où sourdent, dégénérées,

Les jambes et les larmes

Qui fraient encore, exotiques

Sur les pilotis

Du carnaval nocturne

D’où va saillir le jour.

PSAUME II

Il pleut sur le kiosque des songes

Des encres mornes

Comme des brindilles

Enfantées de l’œuf tiède

Où s’aimante

Délicieusement noire

La mygale

Fleuve des nuages

Qui emballe

De son ouate ludique

Le rayon nain

Dérobé

Au serpent arc-en-ciel

Enfin rassasié

PSAUME III

Tellurique, dame Terre esquive les amarres

Effervescentes. Le ciel, hameçon entre les îles,

Rayonne, entonne l’odyssée perpétuelle,

Pion libre dans l’espace

Sempiternellement baigné par les baumes

Incendiaires du soleil obèse, son jumeau

Complice des moissons violées, œcuménique,

Humble, jadis et toujours, Terre :

Oasis, océan, oxygène, oeil

Revêtu d’or, jardin où les ombres basses

Exultent, balbutiant des airs amnésiques..."

PSAUME IV

Rebelle lascive

Telle la lune blette

Suçant les corps subtils

Des mangues sauvages

Enroulées dans la pluie d’obsidienne...

Courtisane de toutes les brousses

Avaleuse de poisson vivant

Pour mieux apprendre à nager

Dans les moues du fleuve douillet...

Les lacets se cabrent, dans un baiser de peaux, de tôles et de croix

Les laves du dernier décan affleurent,

Saupoudrent l’écloserie de marbre humide

Et la pellicule humide de feu cru

Enfouit les dieux écartelés

Aux moues du fleuve endiablé..."

PSAUME V

Soudain pagayer dans le vent et découdre l’odeur légère de la forêt

Chasser les désirs cueillis dans la poudre des oiseaux rares

Et repriser dans les entrailles des pétales juteux...

Puis amarrer à la lumière verticale des matins

Un éclair avec le mot “boum”.

PSAUME VI

"Nomades, où sont les nuits ?"

Grince l’arc débandé du soleil

Embrassé à la portée de cristal

Des nuages en menstrues...

Peut-être que la nuit décante
Blottie dans le nid du large

Faite une enfant, se vautre

Sous les flottilles de jasmin

Dévastant les marées,

Traquant le ressac du temps...

Peut-être que la nuit accouche
Bien après les chaleurs

Faite une gueuse, brise

De son cœur de soprano

Les rames de glace de la lune qui s’épand

Dans un banc d’aquarelles...

Ou peut-être, la nuit, peut-être

La nuit, lisse et lasse,

Allaite les étoiles prises

Aux moustiquaires de cendre

Où le ciel foudroyé

Bat en retraite la chamade.

Peut-être qu’elle arraisonne
Les frêles écailles de l’orgasme total

Pour que nul ne sache

Qu’elle est née sans nombril,

Pour que nul ne sache

Qu’elle est grosse d’un jour

Au goût de sel...

PSAUME VII

"Abysses en vue !" vocifère l’huile en larmes

Faisant voler dans l’onguent vagabond

Les feux follets sortis de leur miroir,

Condors de phosphore, cyclones désemparés

Où se bousculent, palefrenières distraites,

Les couleurs qui rient en allant au supplice...

En chapelets, la lumière débouche, foule, broute,

S’autodévore sous la caresse des truelles,

Moud les étincelles, les taches, les brèches

En route vers le seuil du sacrifice,

Et dans l’embellie de l’œil

Éclot le prétendant buriné

Dans l’apothéose du matin soigneusement peint...

PSAUME VIII

Noyée dans la saumure en flammes

Du soir délicieusement grand ouvert, l’indicible lueur

Cloîtrée dans son écrin liquide

Jalonné de boues, moustiques et palétuviers,

Harponne la braise moribonde de charbon rose

Innombrable qui serpente dans le cirque de sable

A force de nager, à force de nager

Éternellement à joncher les grèves de l’arc-en-ciel.

PSAUME IX

Dans la baie, un sein vert flambe

Campant dans un bain de coton...

L’écho, hypnotique, tourne, tourne, prolifique...

Ô îles, les îles

Notes en menottes, ailes balafrées,

Miels de sel, fiels de ciel...

Ô îles, les îles

Filaments de mangue, eaux assoiffées

Larmes chaudes de tambours incoagulables...

Ô îles, les îles

D’où venez-vous, miettes de sang ?

Comment vous êtes-vous posés, papillons,

Au milieu de la grande termitière d’or bleu ?

PSAUME X

Kaki, dans le jour rectiligne,

Le soleil, bibelot tiède et omniprésent,

Affalé dans les sortilèges

De la pluie ensorceleuse..

.
Incrustée dans son terrier maternel,

Luciole équilibriste,

A demi ivre souffre l’espérance,

Soufflant des goélettes de papier...

Les lunes se rétractent lestes et faibles,

La visibilité est bonne

De chenaux en détroits, vont, naufragées,

En débandade, les voluptés,

Roues flamboyantes

Dilacérant les haillons allumés

Des orbites sismiques..

PSAUME XI

Zéro heure, la chauve cascade

Où le délire se découd

Dans les courbes de l’ennui...

Zéro heure, l’édentée

Déchirant les échos

Des obsèques de minuit...

Zéro heure, poupée

Aptère, assoupie

A l’ombre des rêves...

Cartomancienne hérétique

Châtrant les éruptions chagrines,

Châtrant, multipliant les yeux

Vers les plages pourpres...

Zéro heure, nymphe sourde

Défunte à la canne bossue,

Hissant le grand pavois

De la couleur polyphonique,

L’accord,

La peau du poète,

Éclipse magique

De tous les déluges...

PSAUME XII

Songes dans l’extrême sud

Monochromatique

Ancres tapissées,

Couples éteints, inflorescences...

Chevaux cardiaques

Occultés dans un nid lunaire...

Passager de la nef du fou

Fouetté par le roi si bémol

Qui monte à l’échafaud...

Battements rupestres,

Sentiers crevant les lieues

Au rythme des ailes de nuages...

La pluie soudain s’est tue

La liesse s’est tue soudain

Dilapidée dans ce jour rongé...

PSAUME XIII

Éteint dans la lumière, le portraitiste

Brûle l’absence mate,

La suie insolite...

La haute mer se dilue..

L’arche hiberne aussi **** que porte la vie

Dans son sanctuaire de sève

Où la terre saigne ses eaux bouclées

Qui écument des épaves de pierre

Aussi **** que porte la vie.

PSAUME XIV

Les îles du matin m’embrassent

Après une nuit de lune rase

Le ronflement du rayon

Macule en naissant le chœur torride

De l’alcôve qui s’écaille émaillée.

Entre traits, tracés et rayures

Flottent des oranges polymorphes

A portée des mains...

Sous la ménagerie de ses eaux poissonneuses

La gomme méthylique du soleil

Frotte dans le bassin d’étincelles

L’orchestre infime de ce lointain carnaval renié

Qui crépite, savonné...

Entre gravillons et bulles

Flottent des oranges polymorphes

A portée des mains...

Devant l’horloge en rut

Se signent les orangers...

Le soleil consent à la lune

La mare de feu

Greffée dans le pouls vivace de l’ombre ivre...

Entre ruines et volutes

Flottent des oranges polymorphes

Scandaleusement

A portée des mains...

PSAUME XV

Le matin nage, innombrable

Salamandre aux cent venins de verre

Qui se distillent dans une encre de cendres

Offertes au soleil insatiable...

Dans le calice débordant

Des récoltes que la nuit

Ne grignote qu’à moitié,

Les sargasses du désir plongent,

Cinglant le silence des incohérences...

Hilare, la lune

Se réveille et butine

Le nectar indigo

Qui s’attarde

Comme une musique rétinienne

Aux confins du jour...

Ainsi emmurés vifs

Dans le flux impénétrable des reflets,

Vont à l’aveuglette

Dans le palais des singes volants

L’amour et ses tribus aborigènes

Veillant sur la toison rouge du ciel...

PSAUME XVI

Mon deuil échoue à l’aube

Les yeux ouverts sur les laves

De ce volcan éteint

Où s’apaisent les étoiles...

La flèche de l’archer s’évanouit, fauchée...

Le licol de mousseline de l’archipel précieux

Vacille, se dissout,

Orphelin mélancolique

Murmurant des baisers d’aniline

Aux marges du rêve...

Insomnuit d’été

Si seulement je pouvais rêver !

PSAUME XVII

Sur l’échiquier, la nuit chancelle, vénéneuse...

Un vaisseau de pierre au galop s’envole

Au chevet de la mer noyée

Suant la résine...

Sifflotant, le saltimbanque

Éconduit les horizons pétales

Pris du soleil gemme étanche

Dans les écumes du ciel d’étain...

Bientôt, les lunes oscillent

Ondulent, se dérobent frivoles,

L’étalon noir se dissipe

Décochant des flèches en forme de cœur...

Quelque chose se brise dans le noir :

Était-ce un masque ou un miroir ?

Quand luit la dernière tranche d’ombre

Déboussolées, dans la dune de verre, les étoiles

Bégaient...

Les coquilles se détellent de la terre réfractaire...

Le soleil dévastateur s’abreuve de ciel

Cachant les antres de brai...

Tâtant les décadences nacrées

Ointes de sueurs salines

L’amazone enfin répudiée

Chantonne aux aguets

Dans la baie couleur sépia...

PSAUME XVIII

Clic
Hennissement aveugle, l’île

Se déhanche

Toute soie et serpent

Contre l’épi de maïs vert...

Clac
“Marée basse”, dit la reine-mère...

Aucune abeille ne rame,

Ne laboure les pollens de la mer...

Clic
**** des brise-lames

Lisses et bouillonnants

Des crinières sans fin et du goémon,

L’iguane sous la villa jaune...

Le long des bougies

Coule le gouvernail du silence...

Clic
Sous les fleurs délabrées de l’éclair

Dans leur hamac vert

Les vagues veuves, les vagues nues

Courent après les lunes

Et lentement chantent les araignées...

Clic
Parfums de lumière

Qui jouent, jouent, jouent

Se décomposent

Dans une brise d’alcools...

Clic
Chimères de la mer, coup de sifflet final

Rongeant les sables glauques

Les tranchées dans le ciel ouvert

Tapis du soleil et son essaim de sujets...

Clic
La nuit, la mer fructifie

Au ralenti...

PSAUME XIX

"Au feu, au feu !

Feu à la dérive !"

Scandent deux coléoptères...

Le feu fuit !

Le magicien s’est brûlé

A faire sa magie.

Le pôle s’évapore,

Le puits fait l’aumône,

L’enfant aboie,

La moto boite,

La forêt détale,

Le lion se vêt de singe

Noir et doré

Et petit à petit

Va planer

Au-dessus de l’autel fugace

Où gît

Hululant, pullulant, virulent,

Le vol agile craché

Du saxophone ténor...

L’hiver fouette le ciel,

La terre meurt prématurée,

Liane après liane,

Sécrétant comme vestiges

Le tapis de talc

D’une aile de sirène

Et le vertige nuptial

De deux notes jaunes inachevées

Au sein des similitudes.

PSAUME **

Prunelle de gris jaune
Prunelle nuit et mer
Bleu coursier d’argile
Tigresse à la crinière couleur de brume.
Dans le rare verger qu’est l’amour
Audacieuse, elle va, incendiaire
Empaillée dans un paquebot hystérique
Vers le hasard des quais identiques
Les yeux pleins de chaux.

Dans ce chant veuf, dans cette capitale pyromane
La voilà, légère,
Aspirant les équinoxes dans cet air enchaîné
En selle pour un bain d’herbes monastique
Geôlière verte
D’émeraude pure...

PSAUME XXI

L’accordéoniste des abysses
Peint dans l’œil de l’obscur :
Un nuage en zigzaguant
Ancre aux eaux du vide.

Et le gong sue...timide.
Et comme en un tango antique
S’écoule le cri acide

Des teintes atteintes par les balles,
Hoquet du temps incarné
A l’aube d’une pluie sèche de chaleurs vertes.
Et le gong sue...tumide.

Et comme en un tango marin
Caracole la pirogue étoilée du tigre intime
Renversant de son parapluie
Les certitudes les plus ensevelies de la peur.

Et le gong sue...tumide.
Et les papillons enfantent
Des flammes dans les sables mouvants,
Des harpes éoliennes
Comme des gymnastes hués par le soleil en ruines
A la recherche des marées sèches.

Et le gong sue... tumide.
Et comme en un tango de funambules
Les œillères des brebis galeuses
Traversent la toile, vieillissent, exhument le salpêtre
D’un bandonéon dont la sueur incendie les cernes
De la nuit qui jazze...

PSAUME XXII

Tendrement
Le messager lit
Les lignes du vent,
Prend le pouls
Du ventre jaspé
De la basilique d’encre de chine :

-Là-bas, sous les monts de Vénus
Rode le messager,
Troubadour englouti
Par une lave obscure,

Passager invisible
Des failles muettes
Qu’il restaure encore...

Tendrement
Le messager
Harponne
Les coquilles du temps...
A la pointe de l’hameçon,

Un morceau de vitrail
Où à peine filtre
La lueur des entrailles,
On devine soudain
La forme d’un cheval marron
Qui hennit.

PSAUME XXIII

Bleu roi
De ces couleurs pièges.
Bleu de ces teintes imprévisibles.
Issu du venin tribal
Des roses du désert
Le bleu tombe,
Comme un nuage de coton doux,
Sur la brousse atlantique des lèvres
Enflées de secrets,
Où, hystérique, il donne le jour
Sous le kiosque sympathique des pluies cyanes
A une larme de sang,
Daltonienne.

Bleu roi
De ces couleurs mutantes :
Seul le baiser de cobalt réchauffe
Les escales mélancoliques
De ces ailes closes,
Révèle les jeux d’artifice,
Et murmurant des flammes,
Fait évanouir
Le deuil magnétique
Des rênes d’ivoire...

La flèche de l’archer pénètre,
Débridée,
Le voile de mousseline de l’archipel précieux
Qui vacille, se dissout,
Orphelin en suspens, spectre d’aniline
Aux gants d’émeraude
Et aux chaussons d’améthyste...

PSAUME XXIV

Dormir, virgule,
Souffler doucement
Des cases jumelles,
Ramper à nouveau, gigoter,
Jusqu’à ce que tout ne soit plus
Qu’une seule immensité...

Au lieu de l’abîme
La clairière dans la caféière.
Dormir, virgule,
Ça et là,
Lune bleue
Embuée
Sous la baguette du silence...

Le rêve entre et sort

Et jusqu’aux nuages
Craignent la chute
Vers le sommeil...

PSAUME XXV

Les îles et une nuits
Me font chavirer,
Je fuis,
Naufragée inlassable,
Hors du clan tentaculaire
Vers la clarté volatile
Des voiles incendiaires...

Mes nerfs à la fleur du large
Bifurquent,
S’évaporent en filigranes
Plus **** encore...

Bleu nuit devient la mer
Aux portes de son repaire
Ancré à la rive gauche du cœur.

La crique n’est plus ce qu’elle était :
La neige reptile teint les dauphins de rose...
Éden ?
De temps à autre

Passe un trapèze
Balayant le silence.

PSAUME XXVI

Ô Reine, Notre Duc
Sous tes ongles laqués
J’imagine un ciel rouge
Aux parfums de lait de cobra...
Le soleil fait pleuvoir des sceptres sur le fleuve
Et des piranhas aux dents d’eau
Larguent des cerfs-volants sans fin...

“Chantez les très riches heures de l’En-Dehors !”
Crie à la face du levant
Un caméléon qui lisse les ailes du hasard
Planté dans le dédale de ta langue baccarat.

PSAUME XXVII

Près de la passerelle d’ivoire :
“Odyssées,
Métamorphoses,
Mues,
Je vous aime !” "
Sei comparsa al portone
in un vestito rosso
per dirmi che sei fuoco
che consuma e riaccende.

Una spina mi ha punto
delle tue rose rosse
perché succhiassi al dito,
come già tuo, il mio sangue.

Percorremmo la strada
che lacera il rigoglio
della selvaggia altura,
ma già da molto tempo
sapevo che soffrendo con temeraria fede,
l'età per vincere non conta.

Era di lunedì,
per stringerci le mani
e parlare felici
non si trovò rifugio
che in un giardino triste
della città convulsa.
Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor né fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
Dè tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna dè mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi dè potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive .
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
Di cui lor sorte rea padre ti fece,
Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra sé. Non io
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avrò quanto si possa aperto:
Ben ch'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civiltà, che sola in meglio
Guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci diè. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fè palese: e, fuggitivo, appelli
Vil chi lui segue, e solo
Magnanimo colui
Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell'alma generoso ed alto,
Non chiama sé né stima
Ricco d'or né gagliardo,
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma sé di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire
Fraterne, ancor più gravi
D'ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che dè mortali
Madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L'umana compagnia,
Tutti fra sé confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul più vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch'ha in error la sede.
Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e su la mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Cò tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente età, che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell'altra è la strage,
Non avvien ciò d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.
Ben mille ed ottocento
Anni varcàr poi che spariro, oppressi
Dall'ignea forza, i popolati seggi,
E il villanello intento
Ai vigneti, che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla e incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
Fatal, che nulla mai fatta più mite
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
Dell'ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando più volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall'inesausto grembo
Su l'arenoso dorso, a cui riluce
Di Capri la marina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l'acqua
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
Vede lontan l'usato
Suo nido, e il picciol campo,
Che gli fu dalla fame unico schermo,
Preda al flutto rovente,
Che crepitando giunge, e inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
Dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all'aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri,
Per li templi deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per vòti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell'uomo ignara e dell'etadi
Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,
Sta natura ognor verde, anzi procede
Per sì lungo cammino
Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l'uom d'eternità s'arroga il vanto.
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
Nat Lipstadt Aug 2022
Something’s changed.


6:00 AM Sun August 16 2022

The temperature today will baby step
up the kitchen ladder, careful, senior slow,
to hover at a pleasant 79 Fahrenheit.

But, I am unfooled.

‘tis the birthing of the
changeling of mid-Augustus,
June’s initiating summer solstice,
an intimate longing now a long
gone forgotten memory, now a
calendar X a valedictorian graduate.

But of late, the sun has lately been
heisted by late afternoon by a batter
thick grayish cloud cover, right here,
hovering upon this godly place on earth.

there is a underlying fragrance, familiar,
an unmistakable chilling odor of cool fall.

an urgency emerges, hurry up you,
pluck the blueberries, harvest the peaches,
because trace hints of crispin fall apples,
falling browning foliage, curling leaves,
pumpkin flavorings and yellow gourds
is unjustly barely there, a definitely discernible.  

Back-to-school ads replace banners proclaiming
bargain prices for summer necessities, vin rosé.

Even the squirrels are enjoying a Sunday rest,
after mornin’ worship, no feverish acorn collection,
a subtle hint, winter supplying must be nearly done.

dare not superstitious say out loud, the **** geese,
have made themselves scarce going on two weeks,
having learned a trick or two from the Ukrainians,
I chuckle to think that we may have regained territory.

But, I am unfooled.

Morning boats of all ilk and demeanor ply-plow the
bay waters, but all seem less hurried, savoring the pretense
of forever long summer days, beyond-belief sunsets, soft white
ice of creamy calming waters, no impasto^ seas wintry rough.

Return-to-bed, coffee mugged, I await the Dumps early call,
the sorting done, metal, plastic,compostable, so easy to bring
order to our daily detritus, thinking if only one could sort the seasons then I would be a forever summer man, here,
on this godly place.


But, I am unfooled.

7:06 AM Tue Aug 16 2020
Shelter Island, N.Y.

————————
^Impasto is a technique used in painting, where paint is laid on an area of the surface thickly, usually thick enough that the brush or painting-knife strokes are visible. Paint can also be mixed right on the canvas. When dry, impasto provides texture; the paint appears to be coming out of the canvas.
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l'emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d'amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra.

— The End —