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Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu ch'hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla".
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l'amavi forte!
Con lui c'eri tu sola e la sua morte.
O nata in selve tra l'ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l'agonia... "
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! Due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l'eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole".
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l'abbracciò su la criniera
"O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
A me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise:
esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come".
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito.
Irena Adler Nov 2018
Virginia Woolf una volte scrisse che " la bellezza ha due tagli, uno di gioia, l'altro di angoscia, che ci dividono il cuore".
La prima cosa che mi passa per la testa di fronte a tali parole è che l'uomo e la donna patiscono continuamente anche quando sono felici. Quel tipo di angoscia che non ti abbandona mai, la sofferenza di fronte alle scelte fatte o non fatte, il desiderio di evasione in un mondo utopico, la volontà di essere completamente liberi e stoici. I pregiudizi sono nostri amici-nemici. Tutto dipende da come gli accogliamo nelle varie circostanze della vita.
Se ci fosse Virginia Woolf qua con me sicuramente  si arrabbierebbe; " Come puoi essere così disordinata? Non mi stavi  per caso citando? E poi sembrava che stessi cercando  di spiegare qualcosa?! Salti da un argomento all'altro per caso. Se devi essere patetica, aggiungici un sarcasmo poetico".
Scusa ma non riesco ad organizzare ancora bene i miei pensieri. Fluttuano come la polvere nell'aria dopo che hai tentato inutilmente  di pulire un armadio vecchio. Scusa Virginia, mi conoscerai meglio con il passare del tempo.  " Ecco, brava! Che sia sempre con te lo spirito di Judith Shakespeare!"




Martedì 6.  

L'artista che corre per la strada e cerca la sua musa, la trova nello specchio che tende subito a scomparire.
Lui non si è accorto del Sole, vive di notte, disegna di notte, sogna di giorno, sogna di notte. Vive.
Non vede, lui osserva, ama l'impossibile, ama il futile eterno, sogna e vede ciò che non sarà mai compreso dagli altri. Lui trema e le sue mani tengono il pennello con un eccitazione che non si può comprendere ma solo provare. L'emozione di fronte ad un opera che deve appena essere creata, immortalata, eterna come la non-realtà.
L'immagine sussiste e lui sbatte le ali del sogno, disubbidisce alla società, gode ed ama l'incomprensibile, lo respira e vive di ciò.

Lo spessore della profondità è inabbattibile. L'acqua non ti fa annegare; è il pensiero. Non pensiamo, nuotiamo, è l'istinto a prevalere eppure abbiamo scelto di morire. Per questo motivo esiste l'altro, per annegarci o salvarci. Mantieni la dignità e vivi. E dunque sanguina.


Venerdì 9.

L'uomo e la donna. La donna e l'uomo. L'uomo ha sulla testa una lampadine e la donna uno sbattitore da cucina. La natura del cane è quella di abbaiare. La natura della specie umana è quella di riprodursi. Eppure abbiamo la necessità di creare ed inventare, non riusciamo a farne a meno. Sentiamo un bisogno insostenibile di portare fuori ciò che sta dentro. Siamo continuamente alla ricerca dell'essere presenti, passati e futuri. La gioia e l'angoscia d' esistere ci turba le anime. Ci chiediamo sempre qual'è lo scopo del fare e di muoverci. Dove sta il dono o la maledizione di essere stati scaraventati sulla palla ovale che gira intorno a se stessa ed intorno ad una palla ancora più grande che ci mantiene in vita. E' questo il senso? Dipendere dalla luce del sole oppure  soltanto dall'acqua e dal pane?
Dove sta l'essere in questa stanza? E' forse disteso su questo letto a scrivere? Forse.
Oppure si trova proprio nel pensiero che crea quel' atto?
L'esistenza umana è ridotta ad anni di vita, non secoli. Ciò che ci è stato dato l'abbiamo preso ed appreso, ci siamo impossessati ed ora fa parte di noi. Ci è stata data la vita dalla Natura ed essa ci ha pure delimitati.
" Ecco, voi siete parte di me, vivete e morite". Se è così noi dipendiamo gli uni dagli altri, non ha senso vivere soli sulla terra, abbandonati da nessuno. Non possiede alcuna logica.

Mercoledì 33.

Il mare non è sempre stato blu; una volta era violaceo e tutti gli animali potevano entrare nell'acqua senza dove trattenere il fiato. Si respirava nell'acqua, si stava bene. Soltanto quando arrivò l'uomo e ci mise il piede in acqua, essa si contrasse e divenne blu, scura e profonda. Il mare scelse di non dare accesso all'uomo e a quel diverso tipo di intelletto che si preparava a conquistare tutto ciò che mai gli potrà appartenere interamente. Per colpa sua le specie che abitavano la terra ferma dovettero separarsi da quelle marine.
Più l'uomo diventava avido ed egoista più il mare diventava profondo e salato. Non voleva finire nella bocca di quel animale strano che camminava su due stecchi con cinque rami piccoli, ben allineati ma sporchi. L'uomo costrinse il mare a piangere e non capì, non poteva capirlo poichè ora era lui il padrone.
Salamandra
                        (negra
armadura viste el fuego)
calorífero de combustión lenta
entre las fauces de la chimenea
-o mármol o ladrillo-
                                          tortuga estática
o agazapado guerrero japonés
y una u otro
                      -el martirio es reposo -
impasible en la tortura.

                                            Salamandra
nombre antiguo del fuego
y antídoto antiguo contra el fuego
y desollada planta sobre brasas
amiante amante amianto

Salamandra
                        en la ciudad abstracta
entre geometrías vertigiosas
-vidrio cemento piedra hierro-
formidables quimeras
levantadas por el cálculo
multiplicadas por el lucro
al flanco del muro anónimo
amapola súbita

                              Salamandra
garra amarilla
                            roja escritura
en la pared de sal
                                  garra de sol
sobre el montón de huesos

Salamandra
                        estrella caída
en el sinfín del ópalo sangriento
sepultada
bajo los párpados del sílex
niña perdida
en el túnel del ónix
en los círculos del basalto
enterrada semilla
                                  grano de energía
dormida en la médula del granito

Salamandra
                      niña dinametera
en el pecho azul y ***** del hierro
estallas como un sol
te abres como una herida
hablas como una fuente

Salamandra
                        espiga
hija del fuego
espíritu del fuego
condensación de la sangre
sublimación de la sangre
evaporación de la sangre

Salamandra de aire
la roca es llama
                              la llama es humo
vapor rojo
                  recta plegaria
alta palabra de alabanza
exclamación
                      corona de incendio
en la testa del himno
reina escarlata
(y muchacha de medias moradas
corriendo despeinada por el bosque)

Salamandra
                      animal taciturno
***** paño de lágrimas de azufre
(Un húmedo verano
entre las baldosas desunidas
de un patio petrificado por la luna
oí vibrar tu cola cilíndrica)

Salamandra caucásica
en la espalda cenicienta de la peña
aparece y desaparece
breve y negra lengüeta
moteada de azafrán

                          Salamandra
bicho ***** y brillante
escalofrío del musgo
devorador de insectos
heraldo diminuto del chubasco
y familiar de la centella
(Fecundación interna
reproducción ovípara
las crías viven en el agua
ya adultas nadan con torpeza)

Salamandra
Puente colgante entre las eras
puente de sangre fría
eje del movimiento
(Los cambios de la alpina
la especie más esbelta
se cumplen en el claustro de la madre
Entre los huevecillos se logran dos apenas
y hasta el alumbramiento
medran los embriones en un caldo nutricio
la masa fraternal de huevos abortados)

La salamandra española
montañesa negra y roja

No late el sol clavado en la mitad del cielo
no respira
no comienza la vida sin la sangre
sin la brasa del sacrificio
no se mueve la rueda de los días
Xólotl se niega a consumirse
se escondió en el maíz pero lo hallaron
se escondió en el maguey pero lo hallaron
cayó en el agua y fue el pez axólotl
el dos-seres
                        y "luego lo mataron"
Comenzó el movimiento anduvo el mundo
la procesión de fechas y de nombres
Xólotl el perro guía del infierno
el que desenterró los huesos de los padres
el que coció los huesos en la olla
el que encendió la lumbre de los años
el hacedor de hombres
Xólotl el penitente
el ojo reventado que llora por nosotros
Xólotl la larva de la mariposa
del doble de la Estrella
el caracol marino
la otra cara del Señor de la Aurora
Xólotl el ajolote

                            Salamandra
dardo solar
                    lámpara de la luna
columna del mediodía
nombre de mujer
balanza de la noche.
(El infinito peso de la luz
un adarme de sombra en tus pestañas)

Salamandra
                      llama negra
heliotropo
                    sol tú misma
y luna siempre en torno de ti misma
granada que se abre cada noche
astro fijo en la frente del cielo
y latido del mar y luz ya quieta
mente sobre el vaivén del mar abierta

Salamandria
saurio de unos ocho centímetros
vive en las grietas y es color de polvo

Salamandra de tierra y de agua
piedra verde en la boca de los muertos
piedra de encarnación
piedra de lumbre
sudor de la tierra
sal llameante y quemante
sal de la destrucción
y máscara de cal que consume los rostros

Salamandra de aire y de fuego
avispero de soles
roja palabra del principio

La salamandra es un lagarto
su lengua termina en un dardo
su cola termina en un dardo
Es inasible Es indecible
reposa sobre brasas
reina sobre tizones
Si en la llama se esculpe
su monumento incendia.
El fuego es su pasión es su paciencia

Salamadre                           Aguamadre
Señor, deja que diga la gloria de tu raza,
la gloria de los hombres de bronce, cuya maza
melló de tantos yelmos y escudos la osadía:
!oh caballeros tigres!, oh caballeros leones!,
!oh! caballeros águilas!, os traigo mis canciones;
!oh enorme raza muerta!, te traigo mi elegía.Aquella tarde, en el Poniente augusto,
el crepúsculo audaz era en una pira
como de algún atrida o de algún justo;
llamarada de luz o de mentira
que incendiaba el espacio, y parecía
que el sol al estrellar sobre la cumbre
su mole vibradora de centellas,
se trocaba en mil átomos de lumbre,
y esos átomos eran las estrellas.Yo estaba solo en la quietud divina
del Valle. ¿Solo? ¡No! La estatua fiera
del héroe Cuauhtémoc, la que culmina
disparando su dardo a la pradera,
bajo del palio de pompa vespertina
era mi hermana y mi custodio era.Cuando vino la noche misteriosa
-jardín azul de margaritas de oro-
y calló todo ser y toda cosa,
cuatro sombras llegaron a mí en coro;
cuando vino la noche misteriosa
-jardín azul de margaritas de oro-.Llevaban una túnica espledente,
y eran tan luminosamente bellas
sus carnes, y tan fúlgida su frente,
que prolongaban para mí el Poniente
y eclipsaban la luz de las estrellas.Eran cuatro fantasmas, todos hechos
de firmeza, y los cuatro eran colosos
y fingían estatuas, y sus pechos
radiaban como bronces luminosos.Y los cuatro entonaron almo coro...
Callaba todo ser y toda cosa;
y arriba era la noche misteriosa
jardín azul de margaritas de oro.Ante aquella visión que asusta y pasma,
yo, como Hamlet, mi doliente hermano,
tuve valor e interrogué al fantasma;
mas mi espada temblaba entre mi mano.-¿Quién sois vosotros, exclamé, que en presto
giro bajáis al Valle mexicano?
Tuve valor para decirles esto;
mas mi espada temblaba entre mi mano.-¿Qué abismo os engendró? ¿De qué funesto
limbo surgís? ¿Sois seres, humo vano?
Tuve valor para decirles esto;
mas mi espada temblaba entre mi mano.-Responded, continué. Miradme enhiesto
y altivo y burlador ante el arcano.
Tuve valor para decirles esto;
¡mas mi espada temblaba entre mi mano...!Y un espectro de aquéllos, con asombros
vi que vino hacia mí, lento y sin ira,
y llevaba una piel sobre los hombros
y en las pálidas manos una lira;
y me dijo con voces resonantes
y en una lengua rítmica que entonces
comprendí: -«¿Que quiénes somos? Los gigantes
de una raza magnífica de bronces.»Yo me llamé Netzahualcóyotl y era
rey de Texcoco; tras de lid artera,
fui despojado de mi reino un día,
y en las selvas erré como alimaña,
y el barranco y la cueva y la montaña
me enseñaron su augusta poesía.»Torné después a mi sitial de plumas,
y fui sabio y fui bueno; entre las brumas
del paganismo adiviné al Dios Santo;
le erigí una pirámide, y en ella,
siempre al fulgor de la primera estrella
y al son del huéhuetl, le elevé mi canto.»Y otro espectro acercóse; en su derecha
levaba una macana, y una fina
saeta en su carcaje, de ónix hecha;
coronaban su testa plumas bellas,
y me dijo: -«Yo soy Ilhuicamina,
sagitario del éter, y mi flecha
traspasa el corazón de las estrellas.»Yo hice grande la raza de los lagos,
yo llevé la conquista y los estragos
a vastas tierras de la patria andina,
y al tornar de mis bélicas porfías
traje pieles de tigre, pedrerías
y oro en polvo... ¡Yo soy Ilhuicamina!»Y otro espectro me dijo: -«En nuestros cielos
las águilas y yo fuimos gemelos:
¡Soy Cuauhtémoc!  Luchando sin desmayo
caí... ¡porque Dios quiso que cayera!
Mas caí como águila altanera:
viendo al sol, y apedreada por el rayo.»El español martirizó mi planta
sin lograr arrancar de mi garganta
ni un grito, y cuando el rey mi compañero
temblaba entre las llamas del brasero:
-¿Estoy yo, por ventura, en un deleite?,
le dije, y continué, sañudo y fiero,
mirando hervir mis pies en el aceite...»Y el fantasma postrer llegó a mi lado:
no venía del fondo del pasado
como los otros; mas del bronce mismo
era su pecho, y en sus negros ojos
fulguraba, en vez de ímpetus y arrojos,
la tranquila frialdad del heroísmo.Y parecióme que aquel hombre era
sereno como el cielo en primavera
y glacial como cima que acoraza
la nieve, y que su sino fue, en la Historia,
tender puentes de bronce entre la gloria
de la raza de ayer y nuestra raza.Miróme con su límpida mirada,
y yo le vi sin preguntarle nada.
Todo estaba en su enorme frente escrito:
la hermosa obstinación de los castores,
la paciencia divina de las flores
y la heroica dureza del granito...¡Eras tú, mi Señor; tú que soñando
estás en el panteón de San Fernando
bajo el dórico abrigo en que reposas;
eras tú, que en tu sueño peregrino,
ves marchar a la Patria en su camino
rimando risas y regando rosas!Eras tú, y a tus pies cayendo al verte:
-Padre, te murmuré, quiero ser fuerte:
dame tu fe, tu obstinación extraña;
quiero ser como tú, firme y sereno;
quiero ser como tú, paciente y bueno;
quiero ser como tú, nieve y montaña.
Soy una chispa; ¡enséñame a ser lumbre!
Soy un gujarro; ¡enséñame a ser cumbre!
Soy una linfa: ¡enséñame a ser río!
Soy un harapo: ¡enséñame a ser gala!
Soy una pluma: ¡enséñame a ser ala,
y que Dios te bendiga, padre mío!.Y hablaron tus labios, tus labios benditos,
y así respondieron a todos mis gritos,
a todas mis ansias: -«No hay nada pequeño,
ni el mar ni el guijarro, ni el sol ni la rosa,
con tal de que el sueño, visión misteriosa,
le preste sus nimbos, ¡y tu eres el sueño!»Amar, ¡eso es todo!; querer, ¡todo es eso!
Los mundos brotaron el eco de un beso,
y un beso es el astro, y un beso es el rayo,
y un beso la tarde, y un beso la aurora,
y un beso los trinos del ave canora
que glosa las fiestas divinas de Mayo.»Yo quise a la Patria por débil y mustia,
la Patria me quiso con toda su angustia,
y entonces nos dimos los dos un gran beso;
los besos de amores son siempre fecundos;
un beso de amores ha creado los mundos;
amar... ¡eso es todo!; querer... ¡todo es eso!»Así me dijeron tus labios benditos,
así respondieron a todos mis gritos,
a todas mis ansias y eternos anhelos.
Después, los fantasmas volaron en coro,
y arriba los astros -poetas de oro-
pulsaban la lira de azur de los cielos.Mas al irte, Señor, hacia el ribazo
donde moran las sombras, un gran lazo
dejabas, que te unía con los tuyos,
un lazo entre la tierra y el arcano,
y ese lazo era otro indio: Altamirano;
bronce también, mas bronce con arrullos.Nos le diste en herencia, y luego, Juárez,
te arropaste en las noches tutelares
con tus amigos pálidos; entonces,
comprendiendo lo eterno de tu ausencia,
repitieron mi labio y mi conciencia:
-Señor, alma de luz, cuerpo de bronce.
Soy una chispa; ¡enséñame a ser lumbre!
Soy un gujarro; ¡enséñame a ser cumbre!
Soy una linfa: ¡enséñame a ser río!
Soy un harapo: ¡enséñame a ser gala!
Soy una pluma: ¡enséñame a ser ala,
y que Dios te bendiga, padre mío!.Tú escuchaste mi grito, sonreíste
y en la sombra infinita te perdiste
cantando con los otros almo coro.
Callaba todo ser y toda cosa;
y arriba era la noche misteriosa
jardín azul de margaritas de oro...
Spanish

   Yo hacía una divina labor, sobre la roca
Creciente del Orgullo. De la vida lejana,
Algún pétalo vívido me voló en la mañana,
Algún beso en la noche. Tenaz como una loca,
Sequía mi divina labor sobre la roca.

   Cuando tu voz que funde como sacra campana
En la nota celeste la vibración humana,
Tendió su lazo do oro al borde de tu boca;

  —Maravilloso nido del vértigo, tu boca!
Dos pétalos de rosa abrochando un abismo…—

Labor, labor de gloria, dolorosa y liviana;
¡Tela donde mi espíritu su fue tramando él mismo!
Tú quedas en la testa soberbia de la roca,

Y yo caigo, sin fin, en el sangriento abismo!


              English

I was at my divine labor, upon the rock
Swelling with Pride. From a distance,
At dawn, some bright petal came to me,
Some kiss in the night. Upon the rock,
Tenacious a madwoman, I clung to my work.

When your voice, like a sacred bell,
A celestial note with a human tremor,
Stretched its golden lasso from the edge of your mouth;

—Marvelous nest of vertigo, your mouth!
Two rose petals fastened to an abyss…—

Labor, labor of glory, painful and frivolous;
Fabric where my spirit went weaving herself!
You come to the arrogant head of the rock,

And I fall, without end, into the ****** abyss!
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu ch'hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla".
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l'amavi forte!
Con lui c'eri tu sola e la sua morte.
O nata in selve tra l'ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l'agonia... "
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! Due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l'eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole".
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l'abbracciò su la criniera
"O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
A me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise:
esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come".
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito.
bk Jun 2015
mio caro amore  
** deciso che i tempi dello scrivere sotto sedativi sono tornati quindi poggia la testa al sedile, chiudi gli occhi e goditi la corsa.
I:
** messo la testa fuori dalla finestra nella speranza di riempire i miei polmoni di aria gelida ma tutto ciò che ** visto è la solita strada con il solito alienante senso di vuoto che solo un paesino del Sud può regalare. quando ** detto che i vicini di casa mi spaventano non stavo dicendo una bugia: aspetto ancora che qualcuno ammazzi qualcuno sulla mia strada, probabilmente perché un paio di anni fa quello sarebbe dovuto essere il mio destino.
II:
chissà se le persone hanno capito che le mie domande non hanno un doppio fine ma semplicemente ** una vera e propria dipendenza da informazioni, devo avere tutto perfettamente chiaro e perfettamente illuminato, altrimenti perdo il controllo e divento ossessiva finché il tutto non si chiarisce.

III;
penso alle ninfee, alle ranocchie, agli stagni putridi in cui riposano ossa. ogni Monet occulta un cadavere.

IV;
le tue mani sono molto belle e non mi importa se ti mangi le pellicine e non mi importa se le rovini col cemento finché le usi anche per costruìre imperi sulla mia schiena, palazzi con i miei capelli intrecciati.

V:
sono le 02:02 e il mondo non è bello ma almeno è silenzioso.
Diego Scarca Mar 2010
Quando la sera scende
sulle nostre spalle come un manto
che non avremmo voluto portare,
non chiedermi di cercarti,
non chiedermi d'amare.

Quando la sera ci inietta nelle vene
la droga che ci fa tremare,
come una carezza perduta,
l'amore che avremmo dovuto amare,
lasciami vagabondare
per le vie in salita,
lasciami sbattere la testa
contro un muro,
lasciami insicuro, ubriaco,
contento di sbagliare.

Quando la sera scende
sulle nostre spalle in un minuto
nel quale non ci saremmo voluti tuffare,
non chiedermi di tornare.
Lascia che come volute di fumo,
come esalazioni nerastre,
le tenebre mi avviluppino
e mi s'offuschi la vista.

Che come un cane fiuti
la mia pista e con la morte
giochi a scacchi la mia partita.
Che un tossicomane m'abbagli,
che una prostituta o un pederasta
m'accostino, che una donna
che credevo morta
mi chieda aiuto dall'oltretomba,
da un'altra vita.

Quando la sera scende sui nostri sbagli
come dita che sentiamo chiudersi
in una stretta, come il viaggio
che non avremmo voluto fare,
come le cose a cui abbiam dovuto
rinunciare troppo in fretta,
come tutte le altre sere,
come ogni sera,
la stessa fitta, la stessa febbre,
un'euforia smarrita...

Quando la sera come un manto
scende sulla nostra vita,
lascia che questo manto
io non lo sopporti,
lascia che cerchi
di scrollarmelo di dosso,
lascia che a più non posso
io mi metta a gridare.
Diego Scarca, Architetture del vuoto, Torino, Edizioni Angolo Manzoni, 2007
El varón que tiene corazón de lis,
alma de querube, lengua celestial,
el mínimo y dulce Francisco de Asís,
está con un rudo y torvo animal,
bestia temerosa, de sangre y de robo,
las fauces de furia, los ojos de mal:
el lobo de Gubbia, el terrible lobo,
rabioso, ha asolado los alrededores;
cruel ha deshecho todos los rebaños;
devoró corderos, devoró pastores,
y son incontables sus muertes y daños.

Fuertes cazadores armados de hierros
fueron destrozados. Los duros colmillos
dieron cuenta de los más bravos perros,
como de cabritos y de corderillos.

Francisco salió:
al lobo buscó
en su madriguera.
Cerca de la cueva encontró a la fiera
enorme, que al verle se lanzó feroz
contra él. Francisco, con su dulce voz,
alzando la mano,
al lobo furioso dijo: -¡Paz, hermano
lobo! El animal
contempló al varón de tosco sayal;
dejó su aire arisco,
cerró las abiertas fauces agresivas,
y dijo: -¡Está bien, hermano Francisco!
¡Cómo! -exclamó el santo-. ¿Es ley que tú vivas
de horror y de muerte?
¿La sangre que vierte
tu hocico diabólico, el duelo y espanto
que esparces, el llanto
de los campesinos, el grito, el dolor
de tanta criatura de Nuestro Señor,
no han de contener tu encono infernal?
¿Vienes del infierno?
¿Te ha infundido acaso su rencor eterno
Luzbel o Belial?
Y el gran lobo, humilde: -¡Es duro el invierno,
y es horrible el hambre! En el bosque helado
no hallé qué comer; y busqué el ganado,
y en veces comí ganado y pastor.
¿La sangre? Yo vi más de un cazador
sobre su caballo, llevando el azor
al puño; o correr tras el jabalí,
el oso o el ciervo; y a más de uno vi
mancharse de sangre, herir, torturar,
de las roncas trompas al sordo clamor,
a los animales de Nuestro Señor.
Y no era por hambre, que iban a cazar.
Francisco responde: -En el hombre existe
mala levadura.
Cuando nace viene con pecado. Es triste.
Mas el alma simple de la bestia es pura.
Tú vas a tener
desde hoy qué comer.
Dejarás en paz
rebaños y gente en este país.
¡Que Dios melifique tu ser montaraz!
-Está bien, hermano Francisco de Asís.
-Ante el Señor, que todo ata y desata,
en fe de promesa tiéndeme la pata.
El lobo tendió la pata al hermano
de Asís, que a su vez le alargó la mano.
Fueron a la aldea. La gente veía
y lo que miraba casi no creía.
Tras el religioso iba el lobo fiero,
y, baja la testa, quieto le seguía
como un can de casa, o como un cordero.

Francisco llamó la gente a la plaza
y allí predicó.
Y dijo: -He aquí una amable caza.
El hermano lobo se viene conmigo;
me juró no ser ya vuestro enemigo,
y no repetir su ataque sangriento.
Vosotros, en cambio, daréis su alimento
a la pobre bestia de Dios. -¡Así sea!,
contestó la gente toda de la aldea.
Y luego, en señal
de contentamiento,
movió testa y cola el buen animal,
y entró con Francisco de Asís al convento.

Algún tiempo estuvo el lobo tranquilo
en el santo asilo.
Sus bastas orejas los salmos oían
y los claros ojos se le humedecían.
Aprendió mil gracias y hacía mil juegos
cuando a la cocina iba con los legos.
Y cuando Francisco su oración hacía,
el lobo las pobres sandalias lamía.
Salía a la calle,
iba por el monte, descendía al valle,
entraba en las casas y le daban algo
de comer. Mirábanle como a un manso galgo.
Un día, Francisco se ausentó. Y el lobo
dulce, el lobo manso y bueno, el lobo probo,
desapareció, tornó a la montaña,
y recomenzaron su aullido y su saña.
Otra vez sintióse el temor, la alarma,
entre los vecinos y entre los pastores;
colmaba el espanto los alrededores,
de nada servían el valor y el arma,
pues la bestia fiera
no dio treguas a su furor jamás,
como si tuviera
fuegos de Moloch y de Satanás.

Cuando volvió al pueblo el divino santo,
todos lo buscaron con quejas y llanto,
y con mil querellas dieron testimonio
de lo que sufrían y perdían tanto
por aquel infame lobo del demonio.

Francisco de Asís se puso severo.
Se fue a la montaña
a buscar al falso lobo carnicero.
Y junto a su cueva halló a la alimaña.
-En nombre del Padre del sacro universo,
conjúrote -dijo-, ¡oh lobo perverso!,
a que me respondas: ¿Por qué has vuelto al mal?
Contesta. Te escucho.
Como en sorda lucha, habló el animal,
la boca espumosa y el ojo fatal:
-Hermano Francisco, no te acerques mucho...
Yo estaba tranquilo allá en el convento;
al pueblo salía,
y si algo me daban estaba contento
y manso comía.
Mas empecé a ver que en todas las casas
estaban la Envidia, la Saña, la Ira,
y en todos los rostros ardían las brasas
de odio, de lujuria, de infamia y mentira.
Hermanos a hermanos hacían la guerra,
perdían los débiles, ganaban los malos,
hembra y macho eran como perro y perra,
y un buen día todos me dieron de palos.
Me vieron humilde, lamía las manos
y los pies. Seguía tus sagradas leyes,
todas las criaturas eran mis hermanos:
los hermanos hombres, los hermanos bueyes,
hermanas estrellas y hermanos gusanos.
Y así, me apalearon y me echaron fuera.
Y su risa fue como un agua hirviente,
y entre mis entrañas revivió la fiera,
y me sentí lobo malo de repente;
mas siempre mejor que esa mala gente.
y recomencé a luchar aquí,
a me defender y a me alimentar.
Como el oso hace, como el jabalí,
que para vivir tienen que matar.
Déjame en el monte, déjame en el risco,
déjame existir en mi libertad,
vete a tu convento, hermano Francisco,
sigue tu camino y tu santidad.

El santo de Asís no le dijo nada.
Le miró con una profunda mirada,
y partió con lágrimas y con desconsuelos,
y habló al Dios eterno con su corazón.
El viento del bosque llevó su oración,
que era: Padre nuestro, que estás en los cielos...
Há uma réstia de neblina em cada um dos meus pensamentos.
Uma vez mais poesio o nada -
A falta de percepção do meu eu interior -
Numa tentativa, queira Deus que não vã, de entender...

    Sinto, sinto tanto!
    Sinto a testa arder e o pesar dos olhos.
    Sinto.
    Sinto o coração apertar e o medo
    Corroer-me as veias como ácido.
    Sinto.
    Sinto...
    Mas porquê? O que me impulsiona a sentir?

Dou por mim mergulhada num rio gélido de angústia;
Dou por mim - juntamente com todas as outras versões de mim -
Perdida dentro de mim mesma,
    às escuras,
Sem saber como me encontrar.

    Sinto. Sinto. Sinto por sentir
    E por não saber porque sinto.
    Sinto por medo do desconhecido que sou eu mesma
    E do que me leva a desconhecer-me.
    Sinto por medo de tantas mais coisas que desconheço também.
    Sinto medo que todo este medo tome conta de mim.

Por isso escrevo e sou um pouco mais eu
E esqueço um pouco do medo no papel.
tangshunzi Jul 2014
Si può o non può avere sentito un po 'di qualcuno di nome Kelly Clarkson sono sposati lo scorso fine settimana .E il suo matrimonio?Total .TOTALE .Svenire .Le nostre LBBers talento ultra dietro Archetype Studio Inc. ha fatto gli onori di catturare il giorno e stanno dando a noi anatre poco fortunati una sbirciatina a tutti la bella .


e dire la verità .un piccolo sguardo a Tennessee fattoria matrimonio di Kelly è tutto quello che dobbiamo sapere che siamo con tutto il cuore in amore .Non siete d'accordo



?
Fotografia : Archetype Studio Inc. | Abito da sposa: " Jessamine " by Temperley London | Anelli : Johnathon Arndt | capelli: Robert Ramos | Vestito dello sposo : John Varvatos | Fascia : Maria Elena | Trucco : Ashley Donovan | Stylist : Steph Ashmore| Luogo: Blackberry Farm

Prima di testa fuori nel fine settimana .abbiamo pochi vincitori super speciale !

Emily R abiti da sposa 2014 portato a casa un paio di Wedgewood Vera **** abiti da sposa 2014 Amore Nodi tostatura flauti da Secrets abiti da sposa corti Puerto Los Cabos Golf \u0026Spa Resort !Woohoo!

E complimenti a Fiona McGregor \u0026Nick Connellan .che hanno vinto una sessione impegno libero da Adrian Tuazon Fotografia !

Buon fine settimana !xoxo SMPTemperley London è un membro del nostro Look Book .Per ulteriori informazioni su come vengono scelti i membri .fare clic qui .Archetype Studio e Adrian Tuazon Fotografia sono membri del nostro Little Black Book .Scopri come i membri sono scelti visitando la nostra pagina delle FAQ .Archetype Studio Inc. vedi portfolio Adrian Tuazon Fotografia VIEW
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http://188.138.88.219/imagesld/td//t35/productthumb/1/4173335353535_396812.jpg
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Nozze di Kelly Clarkson - A Sneak Peak_vestiti da sposa
Julianna Eisner Mar 2014
..
Mouth full of semi-raw fried potatoes and
dehydrated orange wheels, doesn't Mr. Appleseed come out of
nowhere
and plant a speck of a seed right smack dab in the centre of my
reptilian cortex, but I
pay no mind because Buddy has adored me for a whole five minutes until he rebounds
              harder
                        than an
                                    addict discharged
                                                    fr­om
                                                        forest-y­ methadone clinics
                                                        i­n downtown cores
                                                        pop­pin' Hilfiger blue collars
                                                        y­ackin' it on the phones to guys named D, or
                                                        D yackin' it to guys named Friendo, Jai, or
                                                        Little­ Tim,
                                                        buri­ed from ******* back too much hillbilly
                                                       ­ ******, while
                                                        col­lege girls sleep in their Sahara beds,
                                                        sav­ing up to buy bouncy trampolines with
                                                        boun­cy cheques,
                                                        ­listening to lullaby coos of pimps and ******
                                                        on­ the downstairs couch,
                                                        ga­zing fawn-eyed at cavediums next to
                                                        nobody cares muffins and syrup-y coffee
                                                        canyoudropmeoff?
                                             ­           outside of the seventh-story window of
                                                        million dollar saloons,
                                                        ­wearing blings and rings,
                                                        purchase­d by wealthy husbands and
                                                        travelin­g yuppies for their wives' veneer,
                                                        eating breakfast cereals that go
                                                        Snap! Crackle! Pop!
                                                        for three square meals,
                                                        re­furbishing plastic containers
                                                        on foot-stained broadloom,
                                                        with cage and cagey roommates,
                                                        throwing life rafts to bloated bodies in
                                                        Great Lakes
                                                        for the price of a debt,
                                                        recalling waffling road trips,
                                                        visiting one-man tents behind billowing
                                                        smokestacks;
                                                        I blew my brains out in an air duct,
                                                        lost my life lifting up heavy floor mattresses,
                                                        climbing out of basement windows,
                                                        while hitch hiking mothers sing karaoke
                                                        nursery rhymes by Janis Joplin,
                                                        20 notes off-key,
                                                        harboring skeletons in stairwells and rusted
                                                        out Grand Ams,
                                                        making friends in Tim Hortons after last call,
                                                        dressed in leprechaun fatigue,
                                                        driving like England at midnight,
                                                        I spoke to a faceless man,
                                                        whom I'll never get a chance to send a
                                                                ­               thank you
                                                       card...
                                                       as for me? I never touched the stuff

but I was too spent to care and was already floating on cheap Chardonnay and authentic vitamin D with my bindle stuffed to the brim so I thought I'd just American Beauty plastic bag my way through this one, cropped in floral, patio sunglasses, swirling and twirling on Ballet Boulevard until
An e.ch-o-y sound in my
left  ear
I turned my head,
slo-mo tracers flashed in warp speed,
        the testa bursts open.
..
tangshunzi Aug 2014
Ci sono matrimoni ipnotizzante e poi ci sono i matrimoni ipnotizzante.Una giornata così magico che si deve letteralmente smettere di tutti gli altri obblighi per immergersi in ogni ultimo istante della bella .Questo è uno di quei matrimoni.A chiudere la porta .il silenzio al telefono .sollevare i talloni dal tipo di scrivania vicenda che merita veramente la vostra attenzione .Un matrimonio che brilla dalla testa



ai piedi con dettagli contemporanei Fleurs \u0026Coriandoli e stelle filanti .yummy tratta di Sug'art e un Centro des sciences de l'impostazione Montreal che vi toglierà il fiato .Vedi tutto catturato da Isabelle Paille proprio qui.nella piena galleria .
Condividi questa splendida galleria ColorsSeasonsSpringSettingsMuseumUrban SpaceStylesModernWhimsical

Da Isabelle Paille .Questo particolare matrimonio primaverile amo.perché l'equilibrio della città e del verde .di un luogo industriale decorato con calore in tutte le cose capriccio .di una storia d'amore che è tutto molto urbano .ma con tutto il fascino classico ad esso .E ' così equilibrato come questa coppia è .e la preparazione di questo matrimonio con loro è stato a dir poco un sogno !

Lo spazio moderno e industriale era la tela perfetta bianca .con .di notte .una vista mozzafiato sulla abiti da sposa on line città .Gli inviti sono stati fatti in uno stile moderno ma con colori sorbetto aggiunti .giallo.verde e un po 'di pesca !Tavoli da refettorio sono stati abiti da sposa on line utilizzati drappeggiato in bianco .con sedie pieghevoli bianche pure .per dare un aspetto festoso e fresco .Fiori di primavera gialli come i tulipani sono stati usati abbondantemente.così come lo zucchero coperto i limoni .come segnaposto .Gli elementi di arredo sono semplici e freschi sui tavoli degli ospiti.richiamando l'attenzione sulla sposa e dello sposo tabella che è stata decorata abbondantemente .La tabella dolce è stato un enorme successo too.This matrimonio era assolutamente incantevole .dall'inizio alla fine .con tanti dettagli e rifiniture che ha reso gli ospiti giallo con invidia !E un anno dopo .i clienti sono ancora riferendosi ad esso come il matrimonio Science Center.

Fotografia : vestiti da sposa Isabelle Paille | Floral Design : Fleurs \u0026 Confetti | Abito da sposa : Anne Jean Michel | Cake: Dolci Pi | Cupcakes : Itsi Bitsi | Inviti : Fleurs \u0026 Confetti | Scarpe : Tenere Renfrew | Rosticcerie : Robert Alexis | Cookies :Sug'art | Event Design + Pianificazione : Fleurs \u0026 Confetti | Albergo : w hotel Montreal | vacanze : Bravo | Wedding Venue : Centre des Sciences de
http://www.belloabito.com/goods.php?id=583
http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-c-1
http://188.138.88.219/imagesld/td//t35/productthumb/1/1950335353535_394921.jpg
Matrimonio Moderno a Montreal da Isabelle Paille_abiti da sposa corti
Baja del cielo la endiablada *****
Con que carne mortal hieres y engañas.
Untada viene de divinas mañas
y cielo y tierra su veneno junta.
La sangre de hombre que en la herida apunta
florece en selvas: sus crecidas cañas
de sombras de oro, hienden las entrañas
del cielo prieto, y su ascender pregunta.
En su vano aguardar de la respuesta
las cañas doblan la empinada testa.
Flamea el cielo sus azules gasas.
Vientos negros, detrás de los cristales
de las estrellas, mueven grandes masas
de mundos muertos, por sus arrabales.Rosas y lirios ves en el espino;
juegas a ser: te cabe en una mano,
esmeralda pequeña, el océano;
hablas sin lengua, enredas el destino.
Plantas la testa en el azul divino
y antípodas, tus pies, en el lejano
revés del mundo; y te haces soberano,
y desatas al sol de tu camino.
Miras el horizonte y tu mirada
hace nacer en noche la alborada;
sueñas y crean hueso tus ficciones.
Muda la mano que te alzaba en vuelo,
y a tus pies cae, cristal roto, el cielo,
y polvo y sombra levan sus talones.Ya te hundes, sol; mis aguas se coloran
de llamaradas por morir; ya cae
mi corazón desenhebrado, y trae,
la noche, filos que en el viento lloran.
Ya en opacas orillas se avizoran
manadas negras; ya mi lengua atrae
betún de muerte; y ya no se distrae
de mí, la espina; y sombras me devoran.
Pellejo muerto, el sol, se tumba al cabo
Como un perro girando sobre el rabo,
la tierra se echa a descansar, cansada.
Mano huesosa apaga los luceros:
Chirrían, pedregosos sus senderos,
con la pupila negra y descarnada.
En la isla en que detiene su esquife el argonauta
del inmortal Ensueño, donde la eterna pauta
de las eternas liras se escucha -isla de oro
en que el tritón elige su caracol sonoro
y la sirena blanca va a ver el sol- un día
se oye el tropel vibrante de fuerza y de harmonía.

Son los Centauros. Cubren la llanura. Les siente
la montaña. De lejos, forman són de torrente
que cae; su galope al aire que reposa
despierta, y estremece la hoja del laurel-rosa.

Son los Centauros. Unos enormes, rudos; otros
alegres y saltantes como jóvenes potros;
unos con largas barbas como los padres-ríos;
otros imberbes, ágiles y de piafantes bríos,
y robustos músculos, brazos y lomos aptos
para portar las ninfas rosadas en los raptos.

Van en galope rítmico, Junto a un fresco boscaje,
frente al gran Océano, se paran. El paisaje
recibe de la urna matinal luz sagrada
que el vasto azul suaviza con límpida mirada.
Y oyen seres terrestres y habitantes marinos
la voz de los crinados cuadrúpedos divinos.
 
Calladas las bocinas a los tritones gratas,
calladas las sirenas de labios escarlatas,
los carrillos de Eolo desinflados, digamos
junto al laurel ilustre de florecidos ramos
la gloria inmarcesible de las Musas hermosas
y el triunfo del terrible misterio de las cosas.
He aquí que renacen los lauros milenarios;
vuelven a dar su lumbre los viejos lampadarios;
y anímase en mi cuerpo de Centauro inmortal
la sangre del celeste caballo paternal.
 
Arquero luminoso, desde el Zodíaco llegas;
aun presas en las crines tienes abejas griegas;
aun del dardo herakleo muestras la roja herida
por do salir no pudo la esencia de tu vida.
¡Padre y Maestro excelso! Eres la fuente sana
de la verdad que busca la triste raza humana:
aun Esculapio sigue la vena de tu ciencia;
siempre el veloz Aquiles sustenta su existencia
con el manjar salvaje que le ofreciste un día,
y Herakles, descuidando su maza, en la harmonía
de los astros, se eleva bajo el cielo nocturno...
 
La ciencia es flor del tiempo: mi padre fue Saturno.
 
Himnos a la sagrada Naturaleza; al vientre
de la tierra y al germen que entre las rocas y entre
las carnes de los árboles, y dentro humana forma,
es un mismo secreto y es una misma norma,
potente y sutilísimo, universal resumen
de la suprema fuerza, de la virtud del Numen.
 
¡Himnos! Las cosas tienen un ser vital; las cosas
tienen raros aspectos, miradas misteriosas;
toda forma es un gesto, una cifra, un enigma;
en cada átomo existe un incógnito estigma;
cada hoja de cada árbol canta un propio cantar
y hay un alma en cada una de las gotas del mar;
el vate, el sacerdote, suele oír el acento
desconocido; a veces enuncia el vago viento
un misterio; y revela una inicial la espuma
o la flor; y se escuchan palabras de la bruma;
y el hombre favorito del Numen, en la linfa
o la ráfaga encuentra mentor -demonio o ninfa.
 
El biforme ixionida comprende de la altura,
por la materna gracia, la lumbre que fulgura,
la nube que se anima de luz y que decora
el pavimento en donde rige su carro Aurora,
y la banda de Iris que tiene siete rayos
cual la lira en sus brazos siete cuerdas, los mayos
en la fragante tierra llenos de ramos bellos,
y el Polo coronado de cándidos cabellos.
El ixionida pasa veloz por la montaña
rompiendo con el pecho de la maleza huraña
los erizados brazos, las cárceles hostiles;
escuchan sus orejas los ecos más sutiles:
sus ojos atraviesan las intrincadas hojas
mientras sus manos toman para sus bocas rojas
las frescas bayas altas que el sátiro codicia;
junto a la oculta fuente su mirada acaricia
las curvas de las ninfas del séquito de Diana;
pues en su cuerpo corre también la esencia humana
unida a la corriente de la savia divina
y a la salvaje sangre que hay en la bestia equina.
Tal el hijo robusto de Ixión y de la Nube.
 
Sus cuatro patas bajan; su testa erguida sube.
 
Yo comprendo el secreto de la bestia. Malignos
seres hay y benignos. Entre ellos se hacen signos
de bien y mal, de odio o de amor, o de pena
o gozo: el cuervo es malo y la torcaz es buena.
 
Ni es la torcaz benigna, ni es el cuervo protervo:
son formas del Enigma la paloma y el cuervo.
 
El Enigma es el soplo que hace cantar la lira.
 
¡El Enigma es el rostro fatal de Deyanira!
MI espalda aun guarda el dulce perfume de la bella;
aun mis pupilas llaman su claridad de estrella.
¡Oh aroma de su ****! ¡O rosas y alabastros!
¡Oh envidia de las flores y celos de los astros!
 
Cuando del sacro abuelo la sangre luminosa
con la marina espuma formara nieve y rosa,
hecha de rosa y nieve nació la Anadiomena.
Al cielo alzó los brazos la lírica sirena,
los curvos hipocampos sobre las verdes ondas
levaron los hocicos; y caderas redondas,
tritónicas melenas y dorsos de delfines
junto a la Reina nueva se vieron. Los confines
del mar llenó el grandioso clamor; el universo
sintió que un nombre harmónico sonoro como un verso
llenaba el hondo hueco de la altura; ese nombre
hizo gemir la tierra de amor: fue para el hombre
más alto que el de Jove; y los númenes mismos
lo oyeron asombrados; los lóbregos abismos
tuvieron una gracia de luz. ¡VENUS impera!
Ella es entre las reinas celestes la primera,
pues es quien tiene el fuerte poder de la Hermosura.
¡Vaso de miel y mirra brotó de la amargura!
Ella es la más gallarda de las emperatrices;
princesa de los gérmenes, reina de las matrices,
señora de las savias y de las atracciones,
señora de los besos y de los corazones.
 
¡No olvidaré los ojos radiantes de Hipodamia!
 
Yo sé de la hembra humana la original infamia.
Venus anima artera sus máquinas fatales;
tras sus radiantes ojos ríen traidores males;
de su floral perfume se exhala sutil daño;
su cráneo obscuro alberga bestialidad y engaño.
Tiene las formas puras del ánfora, y la risa
del agua que la brisa riza y el sol irisa;
mas la ponzoña ingénita su máscara pregona:
mejores son el águila, la yegua y la leona.
De su húmeda impureza brota el calor que enerva
los mismos sacros dones de la imperial Minerva;
y entre sus duros pechos, lirios del Aqueronte,
hay un olor que llena la barca de Caronte.
 
Como una miel celeste hay en su lengua fina;
su piel de flor aun húmeda está de agua marina.
Yo he visto de Hipodamia la faz encantadora,
la cabellera espesa, la pierna vencedora;
ella de la hembra humana fuera ejemplar augusto;
ante su rostro olímpico no habría rostro adusto;
las Gracias junto a ella quedarían confusas,
y las ligeras Horas y las sublimes Musas
por ella detuvieran sus giros y su canto.
 
Ella la causa fuera de inenarrable espanto:
por ella el ixionida dobló su cuello fuerte.
La hembra humana es hermana del Dolor y la Muerte.
 
Por suma ley un día llegará el himeneo
que el soñador aguarda: Cenis será Ceneo;
claro será el origen del femenino arcano:
la Esfinge tal secreto dirá a su soberano.
 
Naturaleza tiende sus brazos y sus pechos
a los humanos seres; la clave de los hechos
conócela el vidente; Homero con su báculo,
en su gruta Deifobe, la lengua del Oráculo.
 
El monstruo expresa un ansia del corazón del Orbe,
en el Centauro el bruto la vida humana absorbe,
el sátiro es la selva sagrada y la lujuria,
une sexuales ímpetus a la harmoniosa furia.
Pan junta la soberbia de la montaña agreste
al ritmo de la inmensa mecánica celeste;
la boca melodiosa que atrae en Sirenusa
es de la fiera alada y es de la suave musa;
con la bicorne bestia Pasifae se ayunta,
Naturaleza sabia formas diversas junta,
y cuando tiende al hombre la gran Naturaleza,
el monstruo, siendo el símbolo, se viste de belleza.
 
Yo amo lo inanimado que amó el divino Hesiodo.
 
Grineo, sobre el mundo tiene un ánima todo.
 
He visto, entonces, raros ojos fijos en mí:
los vivos ojos rojos del alma del rubí;
los ojos luminosos del alma del topacio
y los de la esmeralda que del azul espacio
la maravilla imitan; los ojos de las gemas
de brillos peregrinos y mágicos emblemas.
Amo el granito duro que el arquitecto labra
y el mármol en que duermen la línea y la palabra...
 
A Deucalión y a Pirra, varones y mujeres
las piedras aun intactas dijeron: "¿Qué nos quieres?"
 
Yo he visto los lemures florar, en los nocturnos
instantes, cuando escuchan los bosques taciturnos
el loco grito de Atis que su dolor revela
o la maravillosa canción de Filomela.
El galope apresuro, si en el boscaje miro
manes que pasan, y oigo su fúnebre suspiro.
Pues de la Muerte el hondo, desconocido Imperio,
guarda el pavor sagrado de su fatal misterio.
 
La Muerte es de la Vida la inseparable hermana.
 
La Muerte es la victoria de la progenie humana.
 
¡La Muerte! Yo la he visto. No es demacrada y mustia
ni ase corva guadaña, ni tiene faz de angustia.
Es semejante a Diana, casta y virgen como ella;
en su rostro hay la gracia de la núbil doncella
y lleva una guirnalda de rosas siderales.
En su siniestra tiene verdes palmas triunfales,
y en su diestra una copa con agua del olvido.
A sus pies, como un perro, yace un amor dormido.
 
Los mismos dioses buscan la dulce paz que vierte.
 
La pena de los dioses es no alcanzar la Muerte.
 
Si el hombre -Prometeo- pudo robar la vida,
la clave de la muerte serále concedida.
 
La virgen de las vírgenes es inviolable y pura.
Nadie su casto cuerpo tendrá en la alcoba obscura,
ni beberá en sus labios el grito de la victoria,
ni arrancará a su frente las rosas de su gloria...
 
Mas he aquí que Apolo se acerca al meridiano.
Sus truenos prolongados repite el Oceano.
Bajo el dorado carro del reluciente Apolo
vuelve a inflar sus carrillos y sus odres Eolo.
A lo lejos, un templo de mármol se divisa
entre laureles-rosa que hace cantar la brisa.
Con sus vibrantes notas de Céfiro desgarra
la veste transparente la helénica cigarra,
y por el llano extenso van en tropel sonoro
los Centauros, y al paso, tiembla la Isla de Oro.
bk Feb 2015
sono le 01 e 22 e io ** nel corpo e nella testa queste vibrazioni calde e pallide che mi stringono il cuore. sono irragiungibili.
** attaccato alle mie ciglia i pensieri tristi, sono perline trasparenti & i miei capelli non sono ancora abbastanza lunghi per strangolare qualcuno. se potessi scegliere di avvelenare qualsiasi superficie che toccherai, io lo farei.
i miei pensieri sono linee biforcute che corrono qui e lì, si diradano come i rami secchi contro il cielo freddo dell'inverno.
immagino me & te amore mio a danzare su un battello, sotto le stelle, qualche vita fa, in cui eravamo belli e sorridenti.
penso ai sassi lanciati nell'acqua, ai cerchi nel grano, alle macchie sul muro. penso alla mia vita da fantasma, quando vivevo a malapena, penso a chi mi ha uccisa in quei mesi e credo che l'inferno esista solo per chi ha conosciuto il paradiao e lo abbia disprezzato.
penso alle ore di sonno perse, alla pelle nuda, al mascara colato, alle tracce di rossetto sui bicchieri, ai muri della stanza che mi conoscevano più di quanto mi abbia mai conosciuta tu.
credo che il mio sia un caso inverso, ** conosciuto l'inferno e ora sto guadagnando il paradiso che ** sempre meritato.
Stefano Jan 2013
Vorticosi anelli imperlati di caducità. Volto scuro, nell'ombra del sole. Vivace tristezza volteggiante sulla testa. Scintilla di fuoco di una sigaretta sprecata. Respiro forte di polmoni, a riempire il vuoto che c'è nell'anima
con l'etereo.
Catrame nero e traditore, colma le mie mancanze e paziente ascolta i miei lamenti.
Impassibile e maligno.
Luciré para Tilia, en la tragedia
mis estrofas en ópimos racimos;
sangrará cada fruta melodiosa,
como un sol funeral, lúgubres vinos,
Tilia tendrá la cruz
que en la hora final será de luz!
Prenderé para Tilia, en la tragedia,
la gota de fragor que hay en mis labios;
y el labio al encresparse para el beso,
se partirá en cien pétalos sagrados.
Tilia tendrá el puñal,
el puñal floricida y auroral!
Ya en la sombra, heroína, intacta y mártir,
tendrás bajo tus plantas a la Vida;
mientras veles, rezando mis estrofas,
mi testa, como una hostia en sangre tinta!
Y en un lirio, voraz,
mi sangre, como un virus, beberás!
Jade Hell Nov 2018
Quando sparisco
ti sembra tutto calmo
ma è una calma apparente!
Tu credi io sia morta
che mi hai persa per sempre..
ma se guardassi oltre l’apparenza,
vedresti un angelo che nella notte
piange lacrime nere e raffina la tecnica,
affila il coltello per conficcartelo in testa.
Non preoccuparti
che poi tanto l’altra me
verrà a portarti un fiore sulla tua tomba
e cambiando ancora anima,
allontandosi si volterà ridendo
compiaciuta del delitto che ha commesso
perchè infondo ti avrá restituito addosso
il male che tu le hai fatto dentro!
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu ch'hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla".
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l'amavi forte!
Con lui c'eri tu sola e la sua morte.
O nata in selve tra l'ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l'agonia... "
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! Due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l'eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole".
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l'abbracciò su la criniera
"O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
A me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise:
esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come".
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito.
bk Jul 2015
I
ciò che faccio la domenica pomeriggio è ascoltare tutte le canzoni che mi hanno dedicato in passato e non provare proprio nulla
in ogni caso i Pixies non mi sono mai piaciuti

II*
da grande voglio fare la misteriosa bionda che scompare in circostanze ignote dando così la possibilità agli altri personaggi di interrogarsi a riguardo per un totale di 126 puntate,
alcuni si erano innamorati di me, altri mi hanno odiata, altri mi sognavano la notte ma nessuno nessuno mi ha conosciuta mai.
non sono morta come credono loro, bevo drink al cocco su una lontana spiaggia tropicale, con gli occhiali da sole e il foulard in testa.
oppure sono morta e mi sto decomponendo in fondo ad uno stagno, la mia pelle è blu e a brandelli e le ranocchie gracidano e partoriscono girini tra quello che resta dei miei capelli ma non importa perché tanto voi in vita mi avete odiato amato sognato e questo serve a rendermi immortale.
Un murmure, un rombo...
Son solo: ** la testa
confusa di tetri
pensieri. Mi desta
quel murmure ai vetri.
Che brontoli, o bombo?
Che nuove mi porti?
E cadono l'ore
giù giù, con un lento
gocciare. Nel cuore
lontane risento
parole di morti...
Che brontoli, o bombo?
Che avviene nel mondo?
Silenzio infinito.
Ma insiste profondo,
solingo smarrito,
quel lugubre rombo.
bk May 2016
** tinto i capelli di turchese, c'è qualcosa di nuovo nella mia faccia, qualcosa di diabolico.
** scoperto di provare odio, di saper odiare, guarda che belle le mie labbra che si incurvano per sputarti addosso, per sputare su qualsiasi cosa ci sia stato. melenso e falso.
guarda che belle le mie dita che danzano sulla tastiera scrivendo parole di disprezzo, guarda che bello il ghigno si è formato sulla mia faccia.
vorrei avere una spada (emblema di verità) e mozzarti la testa
vorrei avere un'automobile ed investirti ed ancora ed ancora ed ancora
vorrei che tutto ciò che scrivo trafiggesse il tuo cervello, aghi appuntiti nelle pupille, un tatuaggio mentale che ti ricordi perennemente che sei un qualcosa di marcio
perché adesso che ** scoperto la verità è tutto cambiato.
** vinto io.
**non mi sono mai sentita bene come ora
non mi sono mai sentita bene come ora
non mi sono mai sentita bene come ora
non mi sono mai sentita bene come ora
non mi sono mai sentita bene come ora
non mi sono mai sentita bene come ora
¿Qué hemos de hacer nosotros los negros
que no sabemos ni leer?
Fregar escupideras en los grandes hoteles
encerar y barrer
manejar ascensores
en el Gran Club servirles de beber
o hacer que el cadillac sea más lujoso
vistiendo la librea de chofer.
Tenemos la respuesta siempre lista:
en París "oui, monsieur"
y en Georgia, en Lousiana o en Virginia
un eterno "yes sir..."
Los negros, pobres negros de este mundo
¿qué cosa hemos de hacer
debiendo de comer todos los días
(y a veces sin comer)?
Bajar la testa reverente
y a lo mismo de ayer.
Hasta que llega un blanco y "nos descubre"
nos mete al ring
y aquí comienza para mal de males
el principio del fin
Footing, training, sombra;
saco, pera, soga;
upper cuta
hook
cross.
Duchazos, masajes,
fotos, reportajes.
¡Okey, boss...!
El cañaveral de mi lejana tierra
me dio estos fuertes bíceps.
Los buques cargueros de todos los muelles
me dieron envidiable complexión.
Y corriendo, voceando millones de diarios
fortalecí
muslo
pierna
y
pie.
Ahora, en el Madison Square Garden
de New York,
dice mi manager:
¡No whisky!
¡No tobacco!
¡No girls!
(No money)
Negros acomodadores
ubican a los blancos en ring side.
Perder esta pelea
significa volver con ellos:
Con Blackie de Maniatan.
Con Brown de Alabama
Con "Nando" Rodríguez de Puerto Rico
...y entonces
no whiksy
no tobacco
no girls
no money
and
¡knock-out!
My challenger
es *****, como yo
Si pierde le espera lo mismo
                 
        (Aquí los únicos
que nunca pierden
son nuestros managers y el promotor).
Comienza el round, voy hacia el centro
-en este plan voy a perder-
este es el round numero trece
¡voy a demostrarle quién es quién!
Me está llevando hacia una esquina,
si caigo aquí me cuentan diez.
¡Virgen del Cobre estoy perdido!
No puedo ver
No... pue.. do... ver...

La gente aplaude al que me mata
El referee no dice "break".
Que mi mujer no sepa nada...
Mi nombre es BENNY "KID" PARET.
bk Jul 2015
sulle lenzuola macchie di sangue dal naso ed io non ricordo chi sono, non ** un'epistassi da quando avevo nove anni ma ricordo distintamente la testa sollevata e il fazzoletto sporco di sangue e tutto questo mi richiama al periodo in cui la foto di un kleenex bagnato di mascara e un cerotto usato erano la somma sintesi della mia esistenza.
Raymond Turco Feb 2018
Ragazzo che dorme
testa sul petto
Drogato.
Da mille sogni
ed aspirazioni:
un cervello affollato,
In cui i pensieri
lo perseguitano
come i cani da caccia.
Di notte.
Oh, tú que me subyugas. ¿Por qué has llegado tarde?
¿Por qué has venido ahora cuando el alma no arde,
Cuando rosas no tengo para hacerte con ellas
Una alegre guirnalda salpicada de estrellas?

Oh tú, de la palabra dulce como el murmullo
Del agua de la fuente; dulce como el arrullo
De la torcaza; dulce como besos dormidos
Sobre dos manos pálidas protectoras de nidos.

Oh tú, que con tus manos puedes tomar mi testa
Y hacerle brotar flores como un árbol en fiesta
Y hacer que entre mis labios se arquee la sonrisa
Como un cielo nublado que de pronto se irisa.

¿Por qué has llegado tarde? ¿Por qué has venido ahora
Cuando he sido vencida por llama destructora,
Cuando he sido arrasada por el fuego divino
Y voy, cegada y triste, por un ***** camino?

Yo quiero, Dios de dioses, que me hagan nueva toda.
Que me tejan con lirios; me sometan a poda
Las manos del Misterio; que me resten maleza.
Tus labios no se hicieron para curar tristeza.

Para tus labios, agua de una pureza suma.
Para tus labios, copas de cristal y la espuma
Blanquísima de un alma que no sepa de abejas,
Ni de mieles, ni sepa de las flores bermejas.

Para tus manos, esas que nunca amortajaron;
Para tus ojos, esos, los que nunca lloraron;
Para tus sueños, sueños como cisnes de oro;
Para que tus pupilas persiguieran mis rastros,

Oh si luego mis pétalos que estrujaran tus manos,
Adquirieran por magia poderes sobrehumanos
Y hechos luz se aferraran a la luz de los astros
Para que tus pupilas persiguieran mis rastros.

Bienvenida la muerte que al sorberme me dieras;
Bienvenido tu fuego que agosta primavera;
Bienvenido tu fuego que mata los rosales:
Que todas las corolas se acerquen a tus males.

Oh tú, a quien idolatro por sobre la existencia,
Oh tú, por quien deseo renovada mi esencia,
¿Por qué has llegado ahora cuando no he de lograr
El divino suplicio de verme deshojar?...
Vanno verso le Terme di Caracalla
giovani amici, a cavalcioni
di Rumi o Ducati, con maschile
pudore e maschile impudicizia,
nelle pieghe calde dei calzoni
nascondendo indifferenti, o scoprendo,
il segreto delle loro erezioni...
Con la testa ondulata, il giovanile
colore dei maglioni, essi fendono
la notte, in un carosello
sconclusionato, invadono la notte,
splendidi padroni della notte...

Va verso le Terme di Caracalla,
eretto il busto, come sulle natie
chine appenniniche, fra tratturi
che sanno di bestia secolare e pie
ceneri di berberi paesi - già impuro
sotto il gaglioffo basco impolverato,
e le mani in saccoccia - il pastore
migrato
undicenne, e ora qui, malandrino e
giulivo
nel romano riso, caldo ancora
di salvia rossa, di fico e d'ulivo...

Va verso le Terme di Caracalla,
il vecchio padre di famiglia, disoccupato,
che il feroce Frascati ha ridotto
a una bestia cretina, a un beato,
con nello chassì i ferrivecchi
del suo corpo scassato, a pezzi,

rantolanti: i panni, un sacco,
che contiene una schiena un po' gobba,
due cosce certo piene di croste,
i calzonacci che gli svolazzano sotto
le saccocce della giacca pese
di lordi cartocci. La faccia
ride: sotto le ganasce, gli ossi
masticano parole, scrocchiando:
parla da solo, poi si ferma,
e arrotola il vecchio mozzicone,
carcassa dove tutta la giovinezza,
resta, in fiore, come un focaraccio
dentro una còfana o un catino:
non muore chi non è mai nato.
Mi domando che madri avete avuto.
Se ora vi vedessero al lavoro
in un mondo a loro sconosciuto,
presi in un giro mai compiuto
d'esperienze così diverse dalle loro,
che sguardo avrebbero negli occhi?
Se fossero lì, mentre voi scrivete
il vostro pezzo, conformisti e barocchi,
o lo passate a redattori rotti
a ogni compromesso, capirebbero chi siete?

Madri vili, con nel viso il timore
antico, quello che come un male
deforma i lineamenti in un biancore
che li annebbia, li allontana dal cuore,
li chiude nel vecchio rifiuto morale.
Madri vili, poverine, preoccupate
che i figli conoscano la viltà
per chiedere un posto, per essere pratici,
per non offendere anime privilegiate,
per difendersi da ogni pietà.

Madri mediocri, che hanno imparato
con umiltà di bambine, di noi,
un unico, nudo significato,
con anime in cui il mondo è dannato
a non dare né dolore né gioia.
Madri mediocri, che non hanno avuto
per voi mai una parola d'amore,
se non d'un amore sordidamente muto
di bestia, e in esso v'hanno cresciuto,
impotenti ai reali richiami del cuore.

Madri servili, abituate da secoli
a chinare senza amore la testa,
a trasmettere al loro feto
l'antico, vergognoso segreto
d'accontentarsi dei resti della festa.
Madri servili, che vi hanno insegnato
come il servo può essere felice
odiando chi è, come lui, legato,
come può essere, tradendo, beato,
e sicuro, facendo ciò che non dice.

Madri feroci, intente a difendere
quel poco che, borghesi, possiedono,
la normalità e lo stipendio,
quasi con rabbia di chi si vendichi
o sia stretto da un assurdo assedio.
Madri feroci, che vi hanno detto:
Sopravvivete! Pensate a voi!
Non provate mai pietà o rispetto
per nessuno, covate nel petto
la vostra integrità di avvoltoi!

Ecco, vili, mediocri, servi,
feroci, le vostre povere madri!
Che non hanno vergogna a sapervi
- nel vostro odio - addirittura superbi,
se non è questa che una valle di lacrime.
È così che vi appartiene questo mondo:
fatti fratelli nelle opposte passioni,
o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo
a essere diversi: a rispondere
del selvaggio dolore di esser uomini.
L'alba per la valle nera
sparpagliò le greggi bianche:
tornano ora nella sera
e s'arrampicano stanche;
una stella le conduce.
Torna via dalla maestra
la covata, e passa lenta:
c'è del biondo alla finestra
tra un basilico e una menta:
è Maria che cuce e cuce.
Per che cuci e per che cosa?
Un lenzuolo? Un bianco velo?
Tutto il cielo è color rosa,
rosa e oro, e tutto il cielo
sulla testa le riluce.
Alza gli occhi dal lavoro:
una lagrima? Un sorriso?
Sotto il cielo rosa e oro,
chini gli occhi, chino il viso,
ella cuce, cuce, cuce.
Non chiamarmi, non dirmi nulla
Non tentare di farmi sorridere.
Oggi io sono come la belva
che si rintana per morire.

Abbassa la lampada, copri il fuoco,
che la stanza sia come una tomba.
Lascia ch'io mi rannicchi nell'angolo
con la testa sulle ginocchia.

L'ore si spengano nel silenzio.
Salga in torbide onde l'angoscia
e m'affoghi: altro non chiedo
che di perdere la conoscenza.

Ma non è dato. Quel volto,
quel riso l'** sempre davanti.
Giorno e notte il ricordo m'è uncino
confitto nella carne viva.

Forse morire io non potrò
mai: condannata in eterno
a vegliare il mio strazio in me,
piangendo con occhi senza palpebre.
Padre viejo y triste, rey de las divinas canciones:
son en mi camino focos de una luz enigmática
tus pupilas mustias, vagas de pensar y abstracciones,
y el límpido y noble marfil de tu testa socrática.
Flota, como el tuyo, mi afán entre dos aguijones:
alma y carne; y brega con doble corriente simpática
para hallar la ubicua beldad con nefandas uniones,
y después expía y gime con lira hierática.
Padre, tú que hallaste por fin el sendero, que, arcano,
a Jesús nos lleva, dame que mi numen doliente
virgen sea, y sabio, a la vez que radioso y humano.
Tu virtud lo libre del mal de la antigua serpiente,
para que, ya salvos al fin de la dura pelea,
laudemos a Cristo en vida perenne. Así sea.
¡Luna! ¡Corona de una testa inmensa,
que te vas deshojando en sombras gualdas!
¡Roja corona de un Jesús que piensa
trágicamente dulce de esmeraldas!
¡Luna! Alocado corazón celeste
¿porqué bogas así, dentro la copa
llena de vino azul, hacia el oeste,
cual derrotada y dolorida popa?
¡Luna! Y a fuerza de volar en vano,
te holocaustas en ópalos dispersos:
tú eres tal vez mi corazón gitano
que vaga en el azul llorando versos!...
1
Suelo. Nada más
Suelo. Nada menos.
Y que te baste con eso.
Porque en el suelo los pies hincados,
en los pies torso derecho,
en el torso la testa firme,
y allá, al socaire de la frente,
la idea pura, y en la idea pura
el mañana, la llave
-mañana- de lo eterno.
Suelo. Ni más ni menos.
Y que te baste con eso.
Io sono.
Tu sei.
Abolita ogni struttura e ogni narrazione.
Tutto quello in cui credi è solo un racconto che ti é stato appiccicato addosso.
Se fossi venuta dalla luna ti avremmo chiamata alieno, e tu ci avresti creduto.
Ma saresti stata sempre tu.
La verità allora esiste solo nella loro testa.


2) Se un'aquila un giorno decidesse di comportarsi da pollo, questo la renderebbe un pollo?
Quindi, sperimentati come ti pare.
“E coloro che furono visti danzare vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica.”
Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti,
Dai boschi, dall'**** fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo sudor,
Un volgo disperso repente si desta;
Intende l'orecchio, solleva la testa
Percosso da novo crescente romor.
Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
Qual raggio di sole da nuvoli folti,
Traluce de' padri la fiera virtù:
Ne' guardi, ne' volti, confuso ed incerto
Si mesce e discorda lo spregio sofferto
Col misero orgoglio d'un tempo che fu.
S'aduna voglioso, si sperde tremante,
Per torti sentieri, con passo vagante,
Fra tema e desire, s'avanza e ristà;
E adocchia e rimira scorata e confusa
De' crudi signori la turba diffusa,
Che fugge dai brandi, che sosta non ha.
Ansanti li vede, quai trepide fere,
Irsuti per tema le fulve criniere,
Le note latebre del covo cercar;
E quivi, deposta l'usata minaccia,
Le donne superbe, con pallida faccia,
I figli pensosi pensose guatar.
E sopra i fuggenti, con avido brando,
Quai cani disciolti, correndo, frugando,
Da ritta, da manca, guerrieri venir:
Li vede, e rapito d'ignoto contento,
Con l'agile speme precorre l'evento,
E sogna la fine del duro servir.
Udite! Quei forti che tengono il campo,
Che ai vostri tiranni precludon lo scampo,
Son giunti da lunge, per aspri sentier:
Sospeser le gioie dei prandi festosi,
Assursero in fretta dai blandi riposi,
Chiamati repente da squillo guerrier.
Lasciar nelle sale del tetto natio
Le donne accorate, tornanti all'addio,
A preghi e consigli che il pianto troncò:
Han carca la fronte de' pesti cimieri,
Han poste le selle sui bruni corsieri,
Volaron sul ponte che cupo sonò.
A torme, di terra passarono in terra,
Cantando giulive canzoni di guerra,
Ma i dolci castelli pensando nel cor:
Per valli petrose, per balzi dirotti,
Vegliaron nell'arme le gelide notti,
Membrando i fidati colloqui d'amor.
Gli oscuri perigli di stanze incresciose,
Per greppi senz'orma le corse affannose,
Il rigido impero, le fami durâr;
Si vider le lance calate sui petti,
A canto agli scudi, rasente agli elmetti,
Udiron le frecce fischiando volar.
E il premio sperato, promesso a quei forti,
Sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
D'un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
All'opere imbelli dell'**** officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.
Il forte si mesce col vinto nemico,
Col novo signore rimane l'antico;
L'un popolo e l'altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D'un volgo disperso che nome non ha.
Vanno verso le Terme di Caracalla
giovani amici, a cavalcioni
di Rumi o Ducati, con maschile
pudore e maschile impudicizia,
nelle pieghe calde dei calzoni
nascondendo indifferenti, o scoprendo,
il segreto delle loro erezioni...
Con la testa ondulata, il giovanile
colore dei maglioni, essi fendono
la notte, in un carosello
sconclusionato, invadono la notte,
splendidi padroni della notte...

Va verso le Terme di Caracalla,
eretto il busto, come sulle natie
chine appenniniche, fra tratturi
che sanno di bestia secolare e pie
ceneri di berberi paesi - già impuro
sotto il gaglioffo basco impolverato,
e le mani in saccoccia - il pastore
migrato
undicenne, e ora qui, malandrino e
giulivo
nel romano riso, caldo ancora
di salvia rossa, di fico e d'ulivo...

Va verso le Terme di Caracalla,
il vecchio padre di famiglia, disoccupato,
che il feroce Frascati ha ridotto
a una bestia cretina, a un beato,
con nello chassì i ferrivecchi
del suo corpo scassato, a pezzi,

rantolanti: i panni, un sacco,
che contiene una schiena un po' gobba,
due cosce certo piene di croste,
i calzonacci che gli svolazzano sotto
le saccocce della giacca pese
di lordi cartocci. La faccia
ride: sotto le ganasce, gli ossi
masticano parole, scrocchiando:
parla da solo, poi si ferma,
e arrotola il vecchio mozzicone,
carcassa dove tutta la giovinezza,
resta, in fiore, come un focaraccio
dentro una còfana o un catino:
non muore chi non è mai nato.
Vanno verso le Terme di Caracalla
giovani amici, a cavalcioni
di Rumi o Ducati, con maschile
pudore e maschile impudicizia,
nelle pieghe calde dei calzoni
nascondendo indifferenti, o scoprendo,
il segreto delle loro erezioni...
Con la testa ondulata, il giovanile
colore dei maglioni, essi fendono
la notte, in un carosello
sconclusionato, invadono la notte,
splendidi padroni della notte...

Va verso le Terme di Caracalla,
eretto il busto, come sulle natie
chine appenniniche, fra tratturi
che sanno di bestia secolare e pie
ceneri di berberi paesi - già impuro
sotto il gaglioffo basco impolverato,
e le mani in saccoccia - il pastore
migrato
undicenne, e ora qui, malandrino e
giulivo
nel romano riso, caldo ancora
di salvia rossa, di fico e d'ulivo...

Va verso le Terme di Caracalla,
il vecchio padre di famiglia, disoccupato,
che il feroce Frascati ha ridotto
a una bestia cretina, a un beato,
con nello chassì i ferrivecchi
del suo corpo scassato, a pezzi,

rantolanti: i panni, un sacco,
che contiene una schiena un po' gobba,
due cosce certo piene di croste,
i calzonacci che gli svolazzano sotto
le saccocce della giacca pese
di lordi cartocci. La faccia
ride: sotto le ganasce, gli ossi
masticano parole, scrocchiando:
parla da solo, poi si ferma,
e arrotola il vecchio mozzicone,
carcassa dove tutta la giovinezza,
resta, in fiore, come un focaraccio
dentro una còfana o un catino:
non muore chi non è mai nato.
La noche tiene una
Torva y caliginosa dulcedumbre.
Sobre el cielo de estaño dá la luna
La impresión de un lunar lleno de herrumbre.

La brisa, como un gato, entre el ramaje
De los árboles negros, juega y salta.
Sobre el lomo del campo es un tatuaje
La alberca que de líquenes se esmalta.

Y es cada cosa un avisor oído
Que se alarga atisbando la tormenta.
Flota un olor de surco removido
              Y de tierra sedienta.

¡Ah, qué larga pereza nos enerva
Y con sus grillos nuestros piés sujeta!
¡ Qué ganas de dormir sobre esta hierba
              Esponjada y discreta!

Y así hasta que la lluvia nos despierte
Con sus cien dedos de frescor salobre,
Y el viento a nuestro lado agite fuerte,
Sus campanillas de cristal y cobre.

¡Qué alocado retorno hacia la aldea,
Ceñidos por los hilos de la lluvia,
Mientras el vendaval peina y orea
Mi testa negra y tu cabeza rubia!

— The End —