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We do not know each other.
The fog is carving the ghostly
silhouettes of houses, people
and hopes.
And like a sound the hand is –
a semitone of the scream
of seagulls “Arriva … Arriva”
Nothing is coming.
Nothing has come.
I am trying to breathe –
in a time beyond.
In the gardens of the cascades
before the dawn and after the rain.
We do not know each other.
You’ve melted in the sun,
a sun in the fog
and you’ve never been here.
The paper remembers some passed
sounds come from the outer
world – Arriva.

In our eyes we are burning.
A un passaggio a livello
lontano dal mondo
un giorno d'agosto assolato
un capostazione annoiato
vide a un finestrino
di un accelerato
una signora bruna
e piú non lavorò
passava le serate
a guardare la luna
e i treni si scontravano
ma lui non li sentiva
prima o poi l'amore arriva.
tangshunzi Jul 2014
Ogni giorno si arriva a caratterizzare splendido lavoro di Lindsay Madden su SMP è un buon giorno .Ma un giorno in cui si arriva a caratterizzare un intero weekend di festeggiamenti splendidamente fotografato in Turk e Caicos ?Ebbene .non vi è un aggettivo nell'intera dizionario che può descrivere questo.Ma non significa che non si può godere fino all'ultimo abiti da sposa 2014 secondo della loro ripresa amore .cena di benvenuto e matrimonio sotto - e naturalmente c'è ancora di più vi aspetta qui .Oggi è un buon giorno davvero .


Da Lindsay Madden Fotografia .. Chris \u0026Laura ha optato per un amore tiro tropicale prima del giorno delle nozze per documentare il loro tempo speso su Turks e Caicos .Questi vestiti da sposa due erano così felice .rilassato ein amore .Mi è piaciuto molto trascorrere il pomeriggio catturare il loro amore bello sulla morbida sabbia fine e le acque turchesi di Grace Bay .


Da Lindsay Madden Fotografia.Come l'azzurro del cielo ha dato rapidamente il posto a un tramonto pesca.Laura .Chris \u0026i loro ospiti si stabilirono in sul ​​ponte ovest del Seven Stars Resort per Chris e la cena di benvenuto di Laura .Lanterne appeso da una palma all'altra e gli ospiti aveva una vista mozzafiato del tramonto sulla Grace Bay .Questo è stato Chris \u0026Weekend di nozze di Laura calcio d'inizio !Dopo una deliziosa cena tutti hanno fatto la loro strada verso la spiaggia per un falò completo di smores \u0026uno dei principali dance party grazie alla fascia isole Junkanoo .abbiamo FUNK .

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Da Lindsay Madden Photography.Turks e Caicos è un posto davvero speciale per avere un matrimonio di destinazione .Laura \u0026Chris sono nativi newyorkesi e condividere il mio amore \u0026affetto per i Caraibi .Così.quando mi hanno chiesto di volare giù per il paradiso per il loro matrimonio .io .ovviamente .ha detto di sì !Hanno scelto di sposarsi presso il Seven Stars Resort che si trova proprio sulla Grace Bay .La loro cerimonia ha avuto luogo sulla sabbia calda circa un'ora prima del tramonto del sole e il loro cocktail ora / ricevimento si è tenuto in Apollo suite dell'hotel.La suite in sé era un attico con vista sull'oceano e questo ha offerto Chris e ospiti una vista mozzafiato di Laura del tramonto durante l' ora del cocktail e posti in prima fila per la loro sorpresa fuochi d'artificio alla fine della notte .Fiori per Arts ambientali decorato la suite con bellissimi fiori dell'isola \u0026candele.L'atmosfera era calda einvitante che era perfetto per la loro storia intima.Chris \u0026Laura sorrise e si mise a ridere per tutta la giornata



e ** avuto la fortuna di catturare il loro sforzo bel matrimonio di destinazione.
Fotografia : Lindsay Madden Fotografia | Event Planner : NILA Eventi - Lynne Watts | Cake: Seven Stars Resort | Inviti : Jessica Leigh Paperie | Scarpe da sposa : Nine West | Wedding abiti da sposa 2014 Bands : Cartier | Scarpe sposo : Louis Vuitton | vestito dello sposo :su ordine dalla My.Suit | Bikini : lavanderia da Shelli Segal | Dress \u0026 Velo da sposa : Cymbeline | Chris ' Swim Trunks : Vilebrequin | Fuochi d'artificio : Seven Stars Resort | Fiori \u0026 Lighting : Fiori per Arte ambientale { Turks \u0026 Caicos } | Hair \u0026Make Up : Sheque da Shenique | Pantaloni di Laura : Letarte | Località : Seven Stars Resort .Turks e Caicos | Località : West Deck .Seven Stars Resort .Turks e Caicos | Posizione : Grace Bay.Turks e Caicos | Cappello per il sole : Joe FreshLindsay Madden Fotografiaè ñ/ a> e Nila Le destinazioni sono membri del nostro Little Black Book .Scopri come i membri sono scelti visitando la nostra pagina delle FAQ .Lindsay Madden Fotografia vedi portfolio Nila Meta vedi
http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-c-1
http://188.138.88.219/imagesld/td//t35/productthumb/1/986535353535_395299.jpeg
http://www.belloabito.com/goods.php?id=637
Turks e Caicos Wedding Weekend da Lindsay Madden Fotografia_abiti da sposa corti
RJP Aug 2018
Nina Simone, occupying ears singing about bed and dressers.
Sparsely populated
young couple
Interrupted by saying amusements.
Only two stops
I know where to get off

I knew to mind the gap
I'm a responsible citizen
Voter with a valid railcard
Only two stops
Purchased a ticket
Only two stops
I can not throw up in that time

I can not clear my system of over-priced beer
A niche in the market
Exploited in the name of money Making let's just raise them
let's charge extortionate rates for an autoimmune disease

Paying to support a normal drinking culture embedded into the narrative
Growing by in the western world Listening to Nina Simone
Only one stop now you'd never know what life would be like

Without loud pop charts entertaining a few leaving the others yearning the return of ABBA when times were simpler and people cared about Eurovision and illegal music was your own

“Tickets please”
He seems awfully jolly for a late night ****-shift on Arriva Trains Wales
Who's making him work and why's he So ******* happy about it
Real extra effort! Soul sapping in my opinion
Last stop gotta get off.
This is one's for any of the Welsh here.
Edoardo Alaimo Apr 2023
Una nuvola arriva e copre,
Un ombra davanti al sole
Dalle tenebre
Diffonde la luce

Ha le forme di un tocco angelico
Forse un dio, premuroso,
O un suo messaggero,
Che abbaglia gli indifferenti

Ti avrò pensata una, due volte,
O forse cento o forse mille
Ogni volta era pura magia
Con le tue braccia a me avvolte

Ti avrò pensata urlando,
Piangendo e mentre ero felice.
Allo specchio mi son detto,
Rifarei tutto quel che andiam sognando
Thoughts on a plane,
while I was going to a research center
the clouds had just the right shape.

NEVER close your love in a box,
When you feel like it
Just give it all, expand, explode.

2023-04-24
Edoardo
A un passaggio a livello
lontano dal mondo
un giorno d'agosto assolato
un capostazione annoiato
vide a un finestrino
di un accelerato
una signora bruna
e piú non lavorò
passava le serate
a guardare la luna
e i treni si scontravano
ma lui non li sentiva
prima o poi l'amore arriva.
tangshunzi Jul 2014
Mantenere il tuo cappello perché quello che abbiamo per voi proprio qui è la felicità in formato immagine .Ispirato da Confetti sistema .questo photoshoot famiglia è più o meno buono come si arriva .Confetti e glitter e girliness bizzeffe !Catturato dai Ashlee Raubach .non oso a sorridere mentre sfogliando la nostra gallery!

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Da Ashlee .Per questa sessione di famiglia volevo qualcosa di unico e divertente .** deciso di andare con un tema coriandoli del partito .La famiglia è conosciuta per le loro feste stravaganti e amano intrattenere gli ospiti così ** sentito che questa idea era appropriato per loro.Le riprese era tutto in studio e con l'uso di buona luce .grandi oggetti



di scena di Confetti Sistemi e wardrobing impressionante da Crew Cuts per i bambini di questa ripresa è stata un successo !
Nel caso in cui hai avuto il tuo divertimento foto di famiglia sui libri .abbiamo suddiviso l'intero look:

vestiti da sposa White Dress : Soshanna | lanterne di carta : Coriandoli Systems | Tassle Garland : Coriandoli Systems | Little Girls and Boys Abbigliamento: Crew Cuts | Boy Bowtie : Janie \u0026Jack | Suiting uomo: J. Crew | Confetti : vestiti da sposa Signsational di direFotografia

: Ashlee Raubach | Props : Coriandoli Systems abiti da sposa on line | Studio : Studio O2O | Armadio : JCrewJ. Crew è un membro del nostro Look Book .Per ulteriori informazioni su come vengono scelti i membri .fare clic qui
http://www.belloabito.com/goods.php?id=921
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Spara coriandoli Sistema Famiglia + il tuo look_abiti da sposa corti
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno cò suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir questa
Solitudine immensa? Ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu sè queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ** fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
john lindsay Jan 2016
The snagged line grows taut
As I repeat the question
" Is there anything you want?"

House too empty , stairs too steep
She wants me back, I worry
"Weve been to ASDA , dont ask what i bought"

Saturday afternoon phonecall
"How are things?"
The reluctant tagline
"Not so bad"

Front garden going native
I set off down the cracked path
Doesnt want next door to see
I dont wave

TALKING THEIR LANGUAGE

June classroom, stir of voices
Arriva trains glide to the coast
Coffee needs filling, the last biscuit goes
This afternoon we look at idioms

Unpicking centuries, cultures
Somalia, Bangla Desh, Kurdistan
English remains official
Still a puzzle

"Speak slowly and clearly"
"Dont hit trees with sticks"
"Its a piece of cake"

The intricacy of language
Shapes ancient letters
"Lemon squeezy " chimes Messa
Our laughter is shared
UNRAVELLING... during the final years of her life, my mother suffered severe depression. The poem tries to examine the struggle in communication I experienced in these times
TALKING THEIR LANGUAGE
Last year I worked as a voluntary tutor with immigrant learners from various nationalities. This expresses the difficulities the English language sometimes presents , and also some of the fun it can generate, also.
Paul d'Aubin Oct 2016
Peire-Roger, le Chevalier Faydit.

C'est Peire-Roger le Faydit
regardant la vie avec hauteur
Comme l'aigrette flottant
sur son heaume argenté.
Ses terres furent mises en proie
Par les prélats du Pape
Au profit de barons pillards.
Venus de Septentrion.
Il était Languedocien,
Par la langue et le cœur
Sa sœur Esclarmonde, était une «Cathare»,
l’une de ces chrétiens hétérodoxes,
Se vouant à l'Esprit,
Et disant rejeter ce mal
Qui corrompt l'esprit humain,
En colorant de sombre
Les œuvres terrestres.
Très jeune, les jeux de guerre
Furent, pour lui, comme un breuvage ardent.
Il éprouva l'amour brûlant
Pour de belles châtelaines,
Si dures à séduire,
Au jeu du «fin Amor».
Mais il était certes moins aimé
Pour ses vers d'ingénieux troubadour,
Que comme homme fort,
ayant belle prestance,
Et apparaissant triomphant,
dans ses courses au galop,
Et les grands coups
Qu'il donnait pour se frayer
Un passage dans la mêlée,
Dans les éclats, les étincelles
De l'entrechoc des épées.
Bien jeune, il vit son père
Spolié de sa seigneurie,
Confisquée au bénéfice
de la lignée maudite
De la maison de Montfort.
Il fut tout jeune humilié
par la tourbe des seigneurs pillards
Conduite par des fanatiques
Et masquant sous l'apparence
De religion, leur vile convoitise
Et leur voracité de loups.
Une fausse paix obligea son père
A rompre l'allégeance
Avec les comtes de Toulouse.
Alors que la persécution
Des «bonshommes» s'amplifiait,
Et que les libertés Toulousaines
Étaient sous le talon de fer.
Son père s'en vint en Aragon
Parmi tant d'autres hommes,
droits et valeureux,
Pour sauvegarder l'honneur,
Et préparer la reconquête
Des terres confisquées,
par l'avidité de ces nuées
De corbeaux et des loups
Venus faire bombance
De terres Languedociennes.
Comme plus ****,
les Lys viendraient agrandir,
Leurs fiefs pour le seul profit
De Paris la dominante et la vorace.
Sa jeunesse se passa à s'entraîner
Et à rêver au jour où
Il traverserait les cols
Pour la revanche de son sang
Et la mémoire de son père,
Mort en exil en Aragon.
Enfin les appels de Raymond VII de Toulouse,
De Trencavel et du peuple de Tolosa révolté,
Résonnèrent comme buccin
Dans tout le Languedoc sous le joug,
Et l'oriflamme de Tolosa fut levé
Qui embrasa plaines et collines.
Le temps était venu de combattre
Et ce fut une guerre
Aussi ardente que cruelle,
comme une chasse à courre,
Faite de sièges et d'escarmouches
Contre les troupes du Roi Louis VIII.
Peirce-Roger chevaucha et guerroya
Donnant tout son corps et son âme,
Et fut maintes fois blessé,
Mais il lui fallut bien du courage
Pour déposer les armes
Quand les chefs s'entendirent
Pour donner en mariage
Jeanne de Toulouse
A Alphonse de France.
Ce mariage funeste,
annonçait et scellait la perte,
Des libertés et de la tolérance
De la haute civilisation
des pays Tolédans et Languedociens.
Aussi Peire-Roger, l'esprit blessé
Plus encore que ses chairs
Meurtries et tailladées,
Décida de consacrer sa vie
Au soutien et a la protection,
Des «bonshommes» traqués,
Par cette infamie nommée l'inquisition,
Usant des pires moyens,
Dont la délation et la torture,
Pour extirper par les cordes,
les tenailles et le feu,
Ce que la Papauté ne pouvait obtenir
Du choix des consciences,
Par le libre débat et le consentement.
Peire-Roger vint à Montségur
Sur les hauteurs du Po
Transforme en abri, en refuge et en temple,
Sur les terres du comte de Foix.
Il admira Esclarmonde la pure, la parfaite,
Et la pureté de mœurs
De cette communauté de «Bonhommes»,
de Femmes et d'Hommes libres,
Bien divers, mais si fraternels,
Ayant choisi de vivre leur spiritualité.
Contrairement aux calomnies,
Qui les disait adorateurs du Diable,
Ils mettaient par-dessus tout
Leur vie spirituelle et leur idéal commun.
Et leurs autres vertus étaient
Le dépouillement et la simplicité.
Hélas vautours et corbeaux,
Planaient autour de l'altier Pog.
Alors que la bise des premiers froids
Se faisait sentir les matins.
C'est alors qu'un groupe d'inquisiteurs
Chevaucha jusqu'à Avignonet
pour y chercher des proies.
Cela embrasa de colère
nombre de Chevaliers Faydits,
Dont les parents avaient tant soufferts
Le feu de la vengeance l’emporta
Sur la prudente et sage patience.
Et Peire-Roger lui-même
Pris le commandement de la troupe.
Qui arriva de nuit à Avignonet
Pour punir la cruauté par le fer.
Le Bayle, Raymond d'Alfaro
Ouvrit les portes aux vengeurs,
Et un nouveau crime s'ajouta
Aux précédents crimes innombrables.
L’inquisiteur Guillaume Arnaud
Et Étienne de Saint Thibery,
furent massacres avec leurs compagnons.
Leurs cris d'épouvante et d'agonie
Résonnèrent dans cette Avignonet
Qui huma l'acre parfum du sang,
La peur semblait disparue
Et la vengeance rendue.
Mais la lune aussi pleura du sang
Dans le ciel blafard et blême
Vengeance fut ainsi accomplie
Pour les chairs et les âmes martyrisées.
Mais le sang répandu appelle
Toujours plus de sang encore.
Quelques mois après un ost
De plusieurs centaines de soldats,
Sous le commandement
D'Hugues des Arcis.
Vint en mai 1243,
Mettre le siège de la place fortifiée.
Peire-Roger se battit comme un Lion
Avec ses compagnons Faydits,
Ils accomplirent des prouesses
De courage et de vaillance
Furent données.
Mais lorsque de nuit par un chemin secret
Qui leur avait été révélé,
Les assaillant s'emparèrent
Du roc de la tour,
Et y posèrent une Perrière
Pour jeter des projectiles
Sur les fortifications et les assiégés.
L'espoir de Peire-Roger,
des défenseurs et des bonshommes,
Commença à fléchir.
Et une reddition fut conclue
Le 1er mars 1244 laissant aux cathares,
Le choix de la conversion ou de la mort dans les flammes.
Ce fut grand pitié ce 16 mars de voir
Plus de deux cent femmes et hommes bons et justes,
Choisir en conscience de ne pas renier leur choix et leur foi,
Préférant terminer leur vie
D'une manière aussi affreuse,
en ce début du printemps
Qui pointait ses lumières.
Et jusqu'à l'ignoble bûcher,
Leurs chants d'amour,
Furent entendus puis couvert,
Par leurs cris de douleur
Et les crépitements des buches.
Aussi; qu’une honte dans pareille
En retombe sur le Pape si mal nomme, Innovent III
Et sur le roi Louis IX, sanctifié par imposture,
Et sur l'archevêque de Narbonne, Pierre Amiel.
Que surtout vienne le temps
Où la Paix aux doux, aux justes
Et aux Pacifiques s'établisse.
Et qu'une honte et un remord sans fin
Punissent ceux et celles qui continuent
A se comporter en inquisiteurs
qu'elle qu'en soient les raisons et les circonstances.
Il semblerait sans aucune certitude
Que Peire-Roger, le chevalier Faydit
Témoin de ces temps de fer et de feu.
Soit allé, au ****, se retirer et prier
Dans une communauté de bonshommes
En Aragon ou en Lombardie.

Paul Arrighi
Le personnage de Peire-Vidal n'est pas imaginaire. Il a bien existe mais je rassemble en lui les qualités de plusieurs Chevaliers Faydits qui se battirent pour la sauvegarde de leurs terres et des libertés des pays d'Oc et du Languedoc face a l'avidité et au fanatisme - Paul Arrighi
I


J'ai toujours voulu voir du pays, et la vie

Que mène un voyageur m'a toujours fait envie.

Je me suis dit cent fois qu'un demi-siècle entier

Dans le même logis, dans le même quartier ;

Que dix ans de travail, dix ans de patience

A lire les docteurs et creuser leur science,

Ne valent pas six mois par voie et par chemin,

Six mois de vie errante, un bâton à la main.

- Eh bien ! me voici prêt, ma valise est remplie ;

Où vais-je ! - En Italie. - Ah, fi donc ! l'Italie !

Voyage de badauds, de beaux fils à gants blancs.

Qui vont là par ennui, par ton, comme à Coblentz,

En poste, au grand galop, traversant Rome entière,

Et regardent ton ciel, Naples, par la portière.

- Mais ce que je veux, moi, voir avant de mourir,

Où je veux à souhait rêver, chanter, courir.

C'est l'Espagne, ô mon cœur ! c'est l'hôtesse des Maures,

Avec ses orangers et ses frais sycomores,

Ses fleuves, ses rochers à pic, et ses sentiers

Où s'entendent, la nuit, les chants des muletiers ;

L'Espagne d'autrefois, seul débris qui surnage

Du colosse englouti qui fut le moyen âge ;

L'Espagne et ses couvents, et ses vieilles cités

Toutes ceintes de murs que l'âge a respectés ;

Madrid. Léon, Burgos, Grenade et cette ville

Si belle, qu'il n'en est qu'une au monde. Séville !

La ville des amants, la ville des jaloux,

Fière du beau printemps de son ciel andalou,

Qui, sous ses longs arceaux de blanches colonnades,

S'endort comme une vierge, au bruit des sérénades.

Jusqu'à tant que pour moi le jour se soit levé

Où je pourrai te voir et baiser ton pavé,

Séville ! c'est au sein de cette autre patrie

Que je veux, mes amis, mettre, ma rêverie ;

C'est là que j'enverrai mon âme et chercherai

De doux récits d'amour que je vous redirai.


II


A Séville autrefois (pour la date il n'importe),

Près du Guadalquivir, la chronique rapporte

Qu'une dame vivait, qui passait saintement

Ses jours dans la prière et le recueillement :

Ses charmes avaient su captiver la tendresse

De l'alcade, et c'était, comme on dit, sa maîtresse ;

Ce qui n'empêchait pas que son nom fût cité

Comme un exemple à tous d'austère piété.

Car elle méditait souvent les évangiles,

Jeûnait exactement quatre-temps et vigiles.

Communiait à Pâque, et croyait fermement

Que c'est péché mortel d'avoir plus d'un amant

A la fois. Ainsi donc, en personne discrète.

Elle vivait au fond d'une obscure retraite,

Toute seule et n'ayant de gens dans sa maison

Qu'une duègne au-delà de l'arrière-saison,

Qu'on disait avoir eu, quand elle était jolie.

Ses erreurs de jeunesse, et ses jours de folie.

Voyant venir les ans, et les amans partir,

En femme raisonnable elle avait cru sentir

Qu'en son âme, un beau jour, était soudain venue

Une vocation jusqu'alors inconnue ;

Au monde, qui fuyait, elle avait dit adieu,

Et pour ses vieux péchés s'était vouée à Dieu.


Une fois, au milieu d'une de ces soirées

Que prodigue le ciel à ces douces contrées,

Le bras nonchalamment jeté sur son chevet,

Paquita (c'est le nom de la dame) rêvait :

Son œil s'était voilé, silencieux et triste ;

Et tout près d'elle, au pied du lit, sa camariste

Disait dévotement, un rosaire à la main,

Ses prières du soir dans le rite romain.

Voici que dans la rue, au pied de la fenêtre,

Un bruit se fit entendre ; elle crut reconnaître

Un pas d'homme, prêta l'oreille ; en ce moment

Une voix s'éleva qui chantait doucement :


« Merveille de l'Andalousie.

Étoile qu'un ange a choisie

Entre celles du firmament,

Ne me fuis pas ainsi ; demeure,

Si tu ne veux pas que je meure

De désespoir, en te nommant !


J'ai visité les Asturies,

Aguilar aux plaines fleuries,

Tordesillas aux vieux manoirs :

J'ai parcouru les deux Castilles.

Et j'ai bien vu sous les mantilles

De grands yeux et des sourcils noirs :


Mais, ô lumière de ma vie,

Dans Barcelone ou Ségovie,

Dans Girone au ciel embaumé,

Dans la Navarre ou la Galice,

Je n'ai rien vu qui ne pâlisse

Devant les yeux qui m'ont charmé ! »


Quand la nuit est bien noire, et que toute la terre,

Comme de son manteau, se voile de mystère,

Vous est-il arrivé parfois, tout en rêvant,

D'ouïr des sons lointains apportés par le vent ?

Comme alors la musique est plus douce ! Il vous semble

Que le ciel a des voix qui se parlent ensemble,

Et que ce sont les saints qui commencent en chœur

Des chants qu'une autre voix achève dans le cœur.

- A ces sons imprévus, tout émue et saisie,

La dame osa lever un coin de jalousie

Avec précaution, et juste pour pouvoir

Découvrir qui c'était, mais sans se laisser voir.

En ce moment la lune éclatante et sereine

Parut au front des cieux comme une souveraine ;

A ses pâles rayons un regard avait lui,

Elle le reconnut, et dit : « C'est encor lui ! »

C'était don Gabriel, que par toute la ville

On disait le plus beau cavalier de Séville ;

Bien fait, de belle taille et de bonne façon ;

Intrépide écuyer et ferme sur l'arçon,

Guidant son andalou avec grâce et souplesse,

Et de plus gentilhomme et de haute noblesse ;

Ce que sachant très bien, et comme, en s'en allant,

Son bonhomme de père avait eu le talent

De lui laisser comptant ce qu'il faut de richesses

Pour payer la vertu de plus de cent duchesses,

Il allait tête haute, en homme intelligent

Du prix de la noblesse unie avec l'argent.

Mais quand le temps d'aimer, car enfin, quoi qu'on dit,

Il faut tous en passer par cette maladie,

Qui plus tôt, qui plus **** ; quand ce temps fut venu,

Et qu'un trouble arriva jusqu'alors inconnu,

Soudain il devint sombre : au fond de sa pensée

Une image de femme un jour était passée ;

Il la cherchait partout. Seul, il venait s'asseoir

Sous les arbres touffus d'Alaméda, le soir.

A cette heure d'amour où la terre embrasée

Voit son sein rafraîchir sous des pleurs de rosée.

Un jour qu'il était là, triste, allant sans savoir

Où se portaient ses pas, et regardant sans voir,

Une femme passa : vision imprévue.

Qu'il reconnut soudain sans l'avoir jamais vue !

C'était la Paquita : c'était elle ! elle avait

Ces yeux qu'il lui voyait, la nuit, quand il rêvait.

Le souris, la démarche et la taille inclinée

De l'apparition qu'il avait devinée.

Il est de ces moments qui décident des jours

D'un homme ! Depuis lors il la suivait toujours,

Partout, et c'était lui dont la voix douce et tendre

Avait trouvé les chants qu'elle venait d'entendre.


III


Comment don Gabriel se fit aimer, comment

Il entra dans ce cœur tout plein d'un autre amant,

Je n'en parlerai pas, lecteur, ne sachant guère,

Depuis qu'on fait l'amour, de chose plus vulgaire ;

Donc, je vous en fais grâce, et dirai seulement,

Pour vous faire arriver plus vite au dénouement.

Que la dame à son tour. - car il n'est pas possible

Que femme à tant d'amour garde une âme insensible,

- Après avoir en vain rappelé sa vertu.

Avoir prié longtemps, et longtemps combattu.

N'y pouvant plus tenir, sans doute, et dominée

Par ce pouvoir secret qu'on nomme destinée,

Ne se contraignit plus, et cessa d'écouter

Un reste de remords qui voulait l'arrêter :

Si bien qu'un beau matin, au détour d'une allée,

Gabriel vit venir une duègne voilée,

D'un air mystérieux l'aborder en chemin,

Regarder autour d'elle, et lui prendre la main

En disant : « Une sage et discrète personne,

Que l'on ne peut nommer ici, mais qu'on soupçonne

Vous être bien connue et vous toucher de près,

Mon noble cavalier, me charge tout exprès

De vous faire savoir que toute la soirée

Elle reste au logis, et serait honorée

De pouvoir vous apprendre, elle-même, combien

A votre seigneurie elle voudrait de bien. »


Banquiers, agents de change, épiciers et notaires,

Percepteurs, contrôleurs, sous-chefs de ministères

Boutiquiers, électeurs, vous tous, grands et petits.

Dans les soins d'ici-bas lourdement abrutis,

N'est-il pas vrai pourtant que, dans cette matière,

Où s'agite en tous sens votre existence entière.

Vous n'avez pu flétrir votre âme, et la fermer

Si bien, qu'il n'y demeure un souvenir d'aimer ?

Oh ! qui ne s'est, au moins une fois dans sa vie,

D'une extase d'amour senti l'âme ravie !

Quel cœur, si desséché qu'il soit, et si glacé,

Vers un monde nouveau ne s'est point élancé ?

Quel homme n'a pas vu s'élever dans les nues

Des chœurs mystérieux de vierges demi-nues ;

Et lorsqu'il a senti tressaillir une main,

Et qu'une voix aimée a dit tout bas : « Demain »,

Oh ! qui n'a pas connu cette fièvre brûlante,

Ces imprécations à l'aiguille trop lente,

Et cette impatience à ne pouvoir tenir

En place, et comme un jour a de mal à finir !

- Hélas ! pourquoi faut-il que le ciel nous envie

Ces instants de bonheur, si rares dans la vie,

Et qu'une heure d'amour, trop prompte à s'effacer,

Soit si longue à venir, et si courte à passer !


Après un jour, après un siècle entier d'attente,

Gabriel, l'œil en feu, la gorge haletante,

Arrive ; on l'attendait. Il la vit, - et pensa

Mourir dans le baiser dont elle l'embrassa.


IV


La nature parfois a d'étranges mystères !


V


Derrière le satin des rideaux solitaires

Que s'est-il donc passé d'inouï ? Je ne sais :

On entend des soupirs péniblement poussés.

Et soudain Paquita s'écriant : « Honte et rage !

Sainte mère de Dieu ! c'est ainsi qu'on m'outrage !

Quoi ! ces yeux, cette bouche et cette gorge-là,

N'ont de ce beau seigneur obtenu que cela !

Il vient dire qu'il m'aime ! et quand je m'abandonne

Aux serments qu'il me fait, grand Dieu ! que je me donne,

Que je risque pour lui mon âme, et je la mets

En passe d'être un jour damnée à tout jamais,

'Voilà ma récompense ! Ah ! pour que tu réveilles

Ce corps tout épuisé de luxure et de veilles,

Ma pauvre Paquita, tu n'es pas belle assez !

Car, ne m'abusez pas, maintenant je le sais.

Sorti d'un autre lit, vous venez dans le nôtre

Porter des bras meurtris sous les baisers d'une autre :

Elle doit s'estimer heureuse, Dieu merci.

De vous avoir pu mettre en l'état que voici.

Celle-là ! car sans doute elle est belle, et je pense

Qu'elle est femme à valoir qu'on se mette en dépense !

Je voudrais la connaître, et lui demanderais

De m'enseigner un peu ses merveilleux secrets.

Au moins, vous n'avez pas si peu d'intelligence

De croire que ceci restera sans vengeance.

Mon illustre seigneur ! Ah ! l'aimable roué !

Vous apprendrez à qui vous vous êtes joué !

Çà, vite en bas du lit, qu'on s'habille, et qu'on sorte !

Certes, j'espère bien vous traiter de la sorte

Que vous me connaissiez, et de quel châtiment

La Paquita punit l'outrage d'un amant ! »


Elle parlait ainsi lorsque, tout effarée,

La suivante accourut : « A la porte d'entrée,

L'alcade et trois amis, qu'il amenait souper,

Dit-elle, sont en bas qui viennent de frapper !

- Bien ! dit la Paquita ; c'est le ciel qui l'envoie !

- Ah ! señora ! pour vous, gardez que l'on me voie !

- Au contraire, dit l'autre. Allez ouvrir ! merci.

Mon Dieu ; je t'appelais, Vengeance ; te voici ! »

Et sitôt que la duègne en bas fut descendue,

La dame de crier : « A moi ! je suis perdue !

Au viol ! je me meurs ! au secours ! au secours !

Au meurtre ! à l'assassin ! Ah ! mon seigneur, accours ! »

Tout en disant cela, furieuse, éperdue,

Au cou de Gabriel elle s'était pendue.

Le serrait avec rage, et semblait repousser

Ses deux bras qu'elle avait contraints à l'embrasser ;

Et lui, troublé, la tête encor tout étourdie,

Se prêtait à ce jeu d'horrible comédie,

Sans deviner, hélas ! que, pour son châtiment,

C'était faire un prétexte et servir d'instrument !


L'alcade cependant, à ces cris de détresse,

Accourt en toute hâte auprès de sa maîtresse :

« Seigneur ! c'est le bon Dieu qui vous amène ici ;

Vengez-vous, vengez-moi ! Cet homme que voici,

Pour me déshonorer, ce soir, dans ma demeure...

- Femme, n'achevez pas, dit l'alcade ; qu'il meure !

- Qu'il meure ; reprit-elle. - Oui ; mais je ne veux pas

Lui taire de ma main un si noble trépas ;

Çà, messieurs, qu'on l'emmène, et que chacun pâlisse

En sachant à la fois le crime et le supplice ! »

Gabriel, cependant, s'étant un peu remis.

Tenta de résister ; mais pour quatre ennemis,

Hélas ! il était seul, et sa valeur trompée

Demanda vainement secours à son épée ;

Elle s'était brisée en sa main : il fallut

Se rendre, et se soumettre à tout ce qu'on voulut.


Devant la haute cour on instruisit l'affaire ;

Le procès alla vite, et quoi que pussent faire

Ses amis, ses parents et leur vaste crédit.

Qu'au promoteur fiscal don Gabriel eût dit :

« C'est un horrible piège où l'on veut me surprendre.

Un crime ! je suis noble, et je dois vous apprendre,

Seigneur, qu'on n'a jamais trouvé dans ma maison

De rouille sur l'épée ou de tache au blason !

Seigneur, c'est cette femme elle-même, j'en jure

Par ce Christ qui m'entend et punit le parjure.

Qui m'avait introduit dans son appartement ;

Et comment voulez-vous qu'à pareille heure ?... - Il ment !

Disait la Paquita ; d'ailleurs la chose est claire.

J'ai mes témoins : il faut une peine exemplaire.

Car je vous l'ai promis, et qu'un juste trépas

Me venge d'un affront que vous n'ignorez pas ! »


VI


Or, s'il faut maintenant, lecteur, qu'on vous apprenne -

La fin de tout ceci, par la cour souveraine

Il fut jugé coupable à l'unanimité ;

Et comme il était noble, il fut décapité.
A un passaggio a livello
lontano dal mondo
un giorno d'agosto assolato
un capostazione annoiato
vide a un finestrino
di un accelerato
una signora bruna
e piú non lavorò
passava le serate
a guardare la luna
e i treni si scontravano
ma lui non li sentiva
prima o poi l'amore arriva.
tangshunzi Jul 2014
A dire il vero .il mio unico rammarico matrimonio non riesce a prenotare i ritratti nuziali .E 'tempo che oh-così- speciale per volteggiare intorno nel



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Camminando lungo la navata è un ricordo così chiaro e perfetto per me .Ero incredibilmente tranquillo e confortevole.che mi sorprende a questo giorno .Il vestito mi ha fatto sentire così elegante e mi ha permesso di concentrarmi vestiti da sposa su ciò che realmente importava quel giorno.Sono grato che ** trovato un vestito che era confortevole e mi ha fatto sentire come me .Sarà sempre la mia scelta vestito preferito :)

Fotografia : Feather \u0026 Twine | Dress : Mori Lee by Madeline Gardner | Florals : Gambi di Dallas | Parco : Arbor Hills Nature PreserveFeather \u0026 Fotografia Spago è un membro del nostro Little Black Book .Scopri come i membri sono scelti visitando la nostra pagina delle FAQ .Feather \u0026 Twine Fotografia VIEW
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Sessione nuziale a Arbor Hills Nature Preserve_abiti da sposa corti
Adam était fort amoureux.
Maigre comme un clou, les yeux creux ;
Son Ève était donc bien heureuse
D'être sa belle Ève amoureuse,
Mais... fiez-vous donc à demain !
Un soir, en promenant sa main
Sur le moins beau torse du monde,
Ah !... sa surprise fut profonde !
Il manquait une côte... là.
Tiens ! Tiens ! que veut dire cela ?
Se dit Ève, en baissant la tête.
Mais comme Ève n'était pas bête,
Tout d'abord Ève ne fit rien
Que s'en assurer bel et bien.
« Vous, Madame, avec cette mine ?
Qu'avez-vous donc qui vous chagrine ? »
Lui dit Adam, le jour suivant.
« Moi, rien... dit Ève... c'est... le vent. »
Or, le vent donnait sous la plume,
Contrairement à sa coutume.
Un autre eût été dépité,
Mais comme il avait la gaieté
Inaltérable de son âge,
Il s'en fut à son jardinage
Tout comme si de rien n'était.

Cependant, Ève s'em...bêtait
Comme s'ennuie une Princesse.
« Il faut, nom de Dieu ! que ça cesse »,
Se dit Ève, d'un ton tranchant.
« Je veux le voir, oui, sur-le-champ »,
Je dirai : « Sire, il manque à l'homme
Une côte, c'est sûr ; en somme,
En général, ça ne fait rien,
Mais ce général, c'est le mien.
Il faut donc la lui donner vite.
Moi, j'ai mon compte, ça m'évite
De vous importuner ; mais lui,
N'a pas le sien, c'est un ennui.
Ce détail me gâte la fête.
Puisque je suis toute parfaite,
J'ai bien droit au mari parfait.
Il ne peut que dire : en effet »,
Ici la Femme devint... rose,

« Et s'il dit, prenant mal la chose :
« Ton Adam n'est donc plus tout nu !
Que lui-même il n'est pas venu ?
A-t-il sa langue dans sa poche ?
Sur la mèche où le cœur s'accroche,
La casquette à n'en plus finir ?
Est-il en train de devenir...
Soutenu ?... » Que répliquerai-je ?
La Femme ici devint... de neige.

Sitôt qu'Adam fut de retour
Ève passa ses bras autour
Du cou, le plus fort de son monde,
Et, renversant sa tête blonde,
Reçut deux grands baisers joyeux ;
Puis fermant à demi les yeux,
Pâmée au rire de sa bouche,
Elle l'attira vers sa couche,
Où, commençant à s'incliner,
L'on se mit à se lutiner.
Soudain : « Ah ! qu'as-tu là ? » fit Ève.
Adam parut sortir d'un rêve.
« Là... mais, rien... », dit-il. « Justement,
Tu n'as rien, comme c'est charmant !
Tu vois, il te manque une côte.
Après tout, ce n'est pas ta faute,
Tu ne dois pas te tourmenter ;
Mais sur l'heure, il faut tout quitter,
Aller voir le Prince, et lui dire
Ce qu'humblement ton cœur désire ;
Que tu veux ta côte, voilà.
Or, pour lui, qu'est-ce que cela ?
Moins que rien, une bagatelle. »
Et prenant sa voix d'Immortelle :
« Allons ! Monsieur... tout de ce pas. »
Ève changea de ritournelle,
Et lorsqu'Adam était... sur elle,
Elle répétait d'un ton las :
« Pourquoi, dis, que tu m'aimes pas ? »
« Mais puisque ça ne se voit pas »,
Dit Adam. « Ça se sent », dit Ève,
Avec sa voix sifflante et brève.

Adam partit à contrecœur,
Car dans le fond il avait peur
De dire, en cette conjoncture,
À l'Auteur de la créature :
Vous avez fait un pas de clerc
En ratant ma côte, c'est clair.
Sa démarche impliquait un blâme.
Mais il voulait plaire à sa femme.

Ève attendit une heure vingt
Bonnes minutes ; il revint
Souriant, la mine attendrie,
Et, baisant sa bouche fleurie,
L'étreignant de son bras musclé :
« Je ne l'ai pas, pourtant je l'ai.
Je la tiens bien puisque je t'aime,
Sans l'avoir, je l'ai tout de même. »

Ève, sentant que ça manquait
Toujours, pensa qu'il se moquait ;
Mais il lui raconta l'histoire
Qu'il venait d'apprendre, il faut croire,
De l'origine de son corps,
Qu'Ève était sa côte, et qu'alors...
La chose...

« Ah ! c'est donc ça..., dit-elle,
Que le jour, oui, je me rappelle,
Où nous nous sommes rencontrés
Dans les parterres diaprés,
Tu m'as, en tendant tes mains franches,
Dit : « Voici la fleur de mes branches,
Et voilà le fruit de ma chair ! »
« En effet, ma chère ! »

« Ah !... mon cher !
J'avais pris moi cette parole
Au figuré... Mais j'étais folle ! »

« Je t'avais prise au figuré
Moi-même », dit Adam, paré
De sa dignité fraîche éclose
Et qui lui prêtait quelque chose
Comme un ton de maître d'hôtel,
Déjà suffisamment mortel ;
« L'ayant dit un peu comme on tousse.
Vois, quand la vérité nous pousse,
Il faut la dire, malgré soi. »

« Je ne peux pas moi comme toi »,
Fut tout ce que répondit Ève.

La nuit s'en va, le jour se lève,
Adam saisit son arrosoir,
Et : « Ma belle enfant, à ce soir ! »
Sa belle enfant ! pauvre petite !
Elle, jadis sa... favorite,
Était son enfant, à présent.
Quoi ? Ce n'était pas suffisant
Qu'Adam n'eût toujours pas sa côte,
À présent c'était de sa faute !
Elle en avait les bras cassés !
Et ce n'était encore assez.
Il fallait cette côte absente
Qu'elle en parût reconnaissante !

Doux Jésus !
Tout fut bien changé.

Ève prit son air affligé,
Et lorsqu'Adam parmi les branches
Voyait bouder ses... formes blanches
Et que, ne pouvant s'en passer,
Il accourait, pour l'embrasser,
Tout rempli d'une envie affreuse :
« Ah ! que je suis donc malheureuse ! »
Disait Ève, qui s'affalait.

Enfin, un jour qu'Adam parlait
D'une voix trop brusque et trop haute :
« Pourquoi, dis, que t'as pas ta côte ? »

« Voyons ! vous vous... fichez de moi !
Tu le sais bien,... comment, c'est toi,
Toi, ma côte, qui se réclame ! »
« Ça n'empêche pas, dit la Femme,
À ta place, j'insisterais. »

« Si je faisais de nouveaux frais,
Dit Adam, j'aurais trop de honte.
Nous avons chacun notre compte,
Toi comme moi, tu le sais bien,
Et le Prince ne nous doit rien ;
Car nul en terme de boutique
Ne tient mieux son arithmétique. »
Ce raisonnement était fort,
Ève pourtant n'avait pas tort.

Sur ces entrefaites, la femme
S'en vint errer, le vague à l'âme,
Autour de l'arbre défendu.
Le serpent s'y trouvait pendu
Par la queue, il leva la tête.
« Ève, comme vous voilà faite ! »
Dit-il, en la voyant venir.

La pauvre Ève n'y put tenir ;
Elle lui raconta sa peine,
Et même fit voir... une veine.
Le bon Vieux en parut navré.
« Tiens ! Tiens ! dit-il ; c'est pourtant vrai.
Eh ! bien ! moi : j'ai votre remède ;
Et je veux vous venir en aide,
Car je sais où tout ça conduit.
Écoute-moi, prends de ce fruit. »
« Oh ! non ! » dit Ève « Et la défense ? »
« Ton prince est meilleur qu'il ne pense
Et ne peut vous faire mourir.
Prends cette pomme et va l'offrir
À ton mari, pour qu'il en mange,
Et, dit, entr'autres choses, l'Ange,
Parfaits alors, comme des Dieux,
En lui, plus de vide odieux !
Vois quelle épine je vous ôte.
Ce pauvre Adam aura sa côte. »
C'était tout ce qu'Ève voulait.
Le fruit était là qui parlait,
Ève étendît donc sa main blanche
Et le fit passer de la branche
Sous sa nuque, dans son chignon.

Ève trouva son compagnon
Qui dormait étendu sur l'herbe,
Dans une pose peu superbe,
Le front obscurci par l'ennui.

Ève s'assit auprès de lui,
Ève s'empara de la pomme,
Se tourna du côté de l'Homme
Et la plaçant bien sous son nez,
**** de ses regards étonnés :
« Tiens ! regarde ! la belle pêche ! »
- « Pomme », dit-il d'une voix sèche.
« Pêche ! Pêche ! » - « Pomme. » - « Comment ?
Ce fruit d'or, d'un rose charmant,
N'est pas une pomme bien ronde ?
Voyons !... demande à tout le monde ? »
- « Qui, tout le monde ? » Ève sourit :
« J'ai dit tout le monde ? » et reprit,
Lui prenant doucement la tête :
« Eh ! oui, c'est une pomme, bête,
Qui ne comprends pas qu'on voulait
T'attraper... Ah ! fi ! que c'est laid !
Pour me punir, mon petit homme,
Je vais t'en donner, de ma pomme. »
Et l'éclair de son ongle luit,
Qui se perd dans la peau du fruit.

On était au temps des cerises,
Et justement l'effort des brises,
Qui soufflait dans les cerisiers,
En fit tomber une à leurs pieds !

« Malheureuse ! que vas-tu faire ? »
Crie Adam, rouge de colère,
Qui soudain a tout deviné,
Veut se saisir du fruit damné,
Mais l'homme avait trouvé son maître.
« Je serai seule à la commettre »,
Dit Ève en éloignant ses bras,
Si hautaine... qu'il n'osa pas.

Puis très tranquillement, sans fièvres,
Ève met le fruit sur ses lèvres,
Ève le mange avec ses dents.

L'homme baissa ses yeux ardents
Et de ses mains voila sa face.

« Moi, que voulez-vous que j'y fasse ?
Dit Ève ; c'est mon bon plaisir ;
Je n'écoute que mon désir
Et je le contente sur l'heure.
Mieux que vous... qu'a-t-il donc ? il pleure !
En voulez-vous ?
Non, et pourquoi ?
Vous voyez, j'en mange bien, moi.
D'ailleurs, songez qu'après ma faute
Nous ne vivrons plus côte à côte,
On va nous séparer... c'est sûr,
On me l'a dit, par un grand mur.
En voulez-vous ? »
Lui, tout en larmes,
S'enfonçait, songeant à ses charmes,
Dans le royaume de Sa voix.
Enfin, pour la dernière fois
Prenant sa tête qu'Ève couche,
« En veux-tu, dis ? Ouvre ta bouche ! »

Et c'est ainsi qu'Adam mangea
À peu près tout, Ève déjà
N'en ayant pris qu'une bouchée ;
Mais Ève eût été bien fâchée
Du contraire, pour l'avenir.
Il a besoin de devenir
Dieu, bien plus que moi, pensait-Elle.

Quand l'homme nous l'eut baillé belle,
Tu sais ce qui lors arriva ;
Le pauvre Adam se retrouva
Plus bête qu'avant, par sa faute.
Car s'il eût su plaindre sa côte,
Son Ève alors n'eût point péché ;
De plus, s'il se fût attaché
À son Prince, du fond de l'âme,
S'il n'eût point écouté sa femme,
Ton cœur a déjà deviné
Que le Seigneur eût pardonné,
Le motif d'Ève, au fond valable,
N'ayant pas eu pour détestable
Suite la faute du mari.

Lequel plus **** fut bien chéri
Et bien dorloté par « sa chère »,
Mais quand, mécontent de la chère,
Il disait : « Je suis trop bon, moi !
- Sans doute, disait Ève, toi,
T'es-un-bon-bonhomme, sur terre,
Mais... tu n'as pas de caractère ! »
tokonoma Oct 2014
This very dawn is just a white breath,
an obscene pain: a semblance
of you hardening my veins.
And my father wakes me up: asking
for car keys, but i'll need them
to see if i am seeing you
and then we fight. This october
annoys me and is cheating,
but what i meant is good for you too
you who, with your ecstatic moods,
never listen nor care, ever: as if
on certain days water comes even from the sun
and in mirror shop windows i’m all blue.
And there’s nothing like a ****
that can liberate from the future,
from the multitude of folds
and parts above, over which i identify,
as, on the other hand, all do. So i’m
seeking those private holy parts
and i immediately see yours, that you
reckon so distinguishable. That semblance
of yours, and its vessels, are as red as
bootyless burglars or amphorae,
turned to chamber pots
or spittoons. And
my mum shows up doing the math
about the month that’s not coming ; and yet she knows
that our rhythms are not alike .
Not that i’m feeling supportive gender empathy; rather,
i would not wish daughters like her. I’ll withdraw
if i hear them trot me out, in the room
that i want inadequate and warm; i’ll be
alone or with someone: i’ll disclose you
tomorrow on the phone, without telling you.
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­Italian version, written in 1995

turbe vascolari

l’alba proprio bianca è un alito,
un dolore osceno: una parvenza
di te che indurisce le vene.
e mio padre mi sveglia: chiede
le chiavi della macchina, ma la macchina
mi serve per vedere se ti vedo
e litighiamo. quest’ottobre
disturba e mi tradisce,
ma quello che ** deciso è un bene anche per te
che non stai, con una certa tua aria estatica,
ad ascoltare né a sentire, mai: come
in certi giorni l’acqua viene anche dal sole
e nelle vetrine a specchio sono tutta azzurra.
e non c’è niente come un cazzo
che possa liberare dal futuro,
da questa moltitudine di pieghe
e parti sotto, sopra cui mi riconosco,
come, d’altra parte tutti. la cerco dunque
questa parte, privata e benedetta,
e penso subito alla tua, che credi che
si conosca cosí bene. quella sua
parvenza, e i vasi, sono rossi co-
me le vergogne di ladri senza refur-
tiva o anfore, a far pitali
o sputacchiere. e
mia madre arriva e fa di conto
sul mese che non torna; eppure sa
che i nostri ritmi sono differenti.
non che senta, io, solidale complicità di genere; anzi,
non vorrei figlie come lei. mi ritirerò se
li sentirò tirarmi in  ballo, nella stanza
che mi piace scarna e riscaldata; starò
da sola o con qualcuno: te lo telefono
domani, senza dirti niente.
Elle ne connaissait ni l'orgueil ni la haine ;
Elle aimait ; elle était pauvre, simple et sereine ;
Souvent le pain qui manque abrégeait son repas.
Elle avait trois enfants, ce qui n'empêchait pas
Qu'elle ne se sentît mère de ceux qui souffrent.
Les noirs événements qui dans la nuit s'engouffrent,
Les flux et les reflux, les abîmes béants,
Les nains, sapant sans bruit l'ouvrage des géants,
Et tous nos malfaiteurs inconnus ou célèbres,
Ne l'épouvantaient point ; derrière ces ténèbres,
Elle apercevait Dieu construisant l'avenir.
Elle sentait sa foi sans cesse rajeunir
De la liberté sainte elle attisait les flammes
Elle s'inquiétait des enfants et des femmes ;
Elle disait, tendant la main aux travailleurs :
La vie est dure ici, mais sera bonne ailleurs.
Avançons ! - Elle allait, portant de l'un à l'autre
L'espérance ; c'était une espèce d'apôtre
Que Dieu, sur cette terre où nous gémissons tous,
Avait fait mère et femme afin qu'il fût plus doux ;
L'esprit le plus farouche aimait sa voix sincère.
Tendre, elle visitait, sous leur toit de misère,
Tous ceux que la famine ou la douleur abat,
Les malades pensifs, gisant sur leur grabat,
La mansarde où languit l'indigence morose ;
Quand, par hasard moins pauvre, elle avait quelque chose,
Elle le partageait à tous comme une sœur ;
Quand elle n'avait rien, elle donnait son cœur.
Calme et grande, elle aimait comme le soleil brille.
Le genre humain pour elle était une famille
Comme ses trois enfants étaient l'humanité.
Elle criait : progrès ! amour ! fraternité !
Elle ouvrait aux souffrants des horizons sublimes.

Quand Pauline Roland eut commis tous ces crimes,
Le sauveur de l'église et de l'ordre la prit
Et la mit en prison. Tranquille, elle sourit,
Car l'éponge de fiel plaît à ces lèvres pures.
Cinq mois, elle subit le contact des souillures,
L'oubli, le rire affreux du vice, les bourreaux,
Et le pain noir qu'on jette à travers les barreaux,
Edifiant la geôle au mal habituée,
Enseignant la voleuse et la prostituée.
Ces cinq mois écoulés, un soldat, un bandit,
Dont le nom souillerait ces vers, vint et lui dit
- Soumettez-vous sur l'heure au règne qui commence,
Reniez votre foi ; sinon, pas de clémence,
Lambessa ! choisissez. - Elle dit : Lambessa.
Le lendemain la grille en frémissant grinça,
Et l'on vit arriver un fourgon cellulaire.
- Ah ! voici Lambessa, dit-elle sans colère.
Elles étaient plusieurs qui souffraient pour le droit
Dans la même prison. Le fourgon trop étroit
Ne put les recevoir dans ses cloisons infâmes
Et l'on fit traverser tout Paris à ces femmes
Bras dessus bras dessous avec les argousins.
Ainsi que des voleurs et que des assassins,
Les sbires les frappaient de paroles bourrues.
S'il arrivait parfois que les passants des rues,
Surpris de voir mener ces femmes en troupeau,
S'approchaient et mettaient la main à leur chapeau,
L'argousin leur jetait des sourires obliques,
Et les passants fuyaient, disant : filles publiques !
Et Pauline Roland disait : courage, sœurs !
L'océan au bruit rauque, aux sombres épaisseurs,
Les emporta. Durant la rude traversée,
L'horizon était noir, la bise était glacée,
Sans l'ami qui soutient, sans la voix qui répond,
Elles tremblaient. La nuit, il pleuvait sur le pont
Pas de lit pour dormir, pas d'abri sous l'orage,
Et Pauline Roland criait : mes soeurs, courage !
Et les durs matelots pleuraient en les voyant.
On atteignit l'Afrique au rivage effrayant,
Les sables, les déserts qu'un ciel d'airain calcine,
Les rocs sans une source et sans une racine ;
L'Afrique, lieu d'horreur pour les plus résolus,
Terre au visage étrange où l'on ne se sent plus
Regardé par les yeux de la douce patrie.
Et Pauline Roland, souriante et meurtrie,
Dit aux femmes en pleurs : courage, c'est ici.
Et quand elle était seule, elle pleurait aussi.
Ses trois enfants ! **** d'elle ! Oh ! quelle angoisse amère !
Un jour, un des geôliers dit à la pauvre mère
Dans la casbah de Bône aux cachots étouffants :
Voulez-vous être libre et revoir vos enfants ?
Demandez grâce au prince. - Et cette femme forte
Dit : - J'irai les revoir lorsque je serai morte.
Alors sur la martyre, humble cœur indompté,
On épuisa la haine et la férocité.
Bagnes d'Afrique ! enfers qu'a sondés Ribeyrolles !
Oh ! la pitié sanglote et manque de paroles.
Une femme, une mère, un esprit ! ce fut là
Que malade, accablée et seule, on l'exila.
Le lit de camp, le froid et le chaud, la famine,
Le jour l'affreux soleil et la nuit la vermine,
Les verrous, le travail sans repos, les affronts,
Rien ne plia son âme ; elle disait : - Souffrons.
Souffrons comme Jésus, souffrons comme Socrate. -
Captive, on la traîna sur cette terre ingrate ;
Et, lasse, et quoiqu'un ciel torride l'écrasât,
On la faisait marcher à pied comme un forçat.
La fièvre la rongeait ; sombre, pâle, amaigrie,
Le soir elle tombait sur la paille pourrie,
Et de la France aux fers murmurait le doux nom.
On jeta cette femme au fond d'un cabanon.
Le mal brisait sa vie et grandissait son âme.
Grave, elle répétait : « Il est bon qu'une femme,
Dans cette servitude et cette lâcheté,
Meure pour la justice et pour la liberté. »
Voyant qu'elle râlait, sachant qu'ils rendront compte,
Les bourreaux eurent peur, ne pouvant avoir honte
Et l'homme de décembre abrégea son exil.
« Puisque c'est pour mourir, qu'elle rentre ! » dit-il.
Elle ne savait plus ce que l'on faisait d'elle.
L'agonie à Lyon la saisit. Sa prunelle,
Comme la nuit se fait quand baisse le flambeau,
Devint obscure et vague, et l'ombre du tombeau
Se leva lentement sur son visage blême.
Son fils, pour recueillir à cette heure suprême
Du moins son dernier souffle et son dernier regard,
Accourut. Pauvre mère ! Il arriva trop ****.
Elle était morte ; morte à force de souffrance,
Morte sans avoir su qu'elle voyait la France
Et le doux ciel natal aux rayons réchauffants
Morte dans le délire en criant : mes enfants !
On n'a pas même osé pleurer à ses obsèques ;
Elle dort sous la terre. - Et maintenant, évêques,
Debout, la mitre au front, dans l'ombre du saint lieu,
Crachez vos Te Deum à la face de Dieu !

Jersey, le 12 mars 1853.
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
a li disperde.

Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d'inesauribile segreto.
Nel più alto punto
dove scienza è oblìo d'ogni sapere
e certezza, mi dicono,
certezza irrefutabile venuta incontro

o nel tempo appeso a un filo
d'un riacquisto d'infanzia,

tra sonno e veglia, tra innocenza e colpa,

dove c'è e non c'è opera nostra voluta e scelta.

"La salute della mente
è là" dice una voce
con cui contendo da anni,
una voce che ora è di sirena.

Si naviga tra Sardegna e Corsica.
C'è un po' di mare
e la barca appruata scarricchia.
L'equipaggio dorme. Ma due
vegliano nella mezzaluce della plancia.
È passato agosto; Siamo alla rottura dei tempi.
È una notte viva.
Viva più di questa notte,
viva tanto da serrarmi la gola
è la muta confidenza
di quelli che riposano
si curi in mano d'altri
e di questi che non lasciano la manovra e il calcolo

mentre pregano per i loro uomini in mare
da un punto oscuro della costa, mentre arriva
dalla parte del Rodano qualche raffica.
Ognuno 'e nuie nasce cu nu destino:
'a malasciorta, 'e 'vvote, va..., pò torna;
chi nasce c'o scartiello arreto 'e rine,
chi nasce c'o destino 'e purtà 'e ccorne.

Io, per esempio, nun mme metto scuorno:
che nce aggio 'a fà si tarde ll'aggio appreso?
Penzavo: sì, aggio avuto quacche cuorno,
ma no a tal punto da sentirme offeso.

E stato aiere 'o juorno, 'a chiromante,
liggénneme cu 'a lente mmiezo 'a mano,
mm'ha ditto: "Siete stato un triste amante,
vedete questa linea comme è strana?

Questa se chiamma 'a linea del cuore,
arriva mmiezo 'o palmo e pò ritorna.
Che v'aggia dì, carissimo signore;
cu chesta linea vuie tenite 'e ccorne.

Guardate st'atu segno fatto a uncino,
stu segno ormai da tutti è risaputo
ca 'o porta mmiezo 'a mano San Martino:
'o Santo prutettore d'e cornute".

Sentenno sti pparole 'int'o cerviello
accuminciaie a ffà mille penziere.
Mo vaco 'a casa e faccio nu maciello,
pe Ddio, aggia fà correre 'e pumpiere.

" Ma no... Chi t'o ffa fà? " (na voce interna
mme suggerette). "Lieve ll'occasione.
'E ccorne ormai songhe na cosa eterna,
nun c'è che ffà, è 'a solita canzone.

'O stesso Adamo steva mparaviso,
eppure donna Eva ll'ha traduto.
Ncoppa a sti ccorne fatte 'nu surriso,
ca pure Napulione era cornuto!".
V'aggia spià na cosa Donn'Amà:
vurria sapè pecché quanno ve veco,
la capa mia nun pò cchiù raggiunà.
Si me parlate, 'mpietto 'a voce vosta,
m'arriva comme n'arpa, nu viulino;
quanno rerite sento 'e manduline:
na sinfunia 'e Betove e di Sciopè.
Che v'aggio ditto... niente Donn'Amà!
Quanno cu st'uocchie vuoste me guardate,
me sento tutto 'o sango e friccecà.
'O core fa na sosta, nun cammina;
me dice chiano chiano sottovoce:
- Dincello a Donn'Amalia... è bella, è ddoce!...
i' tengo 'o desiderio 'e ma spusà. -
J'avais toujours rêvé le bonheur en ménage,
Comme un port où le cœur, trop longtemps agité,
Vient trouver, à la fin d'un long pèlerinage,
Un dernier jour de calme et de sérénité.

Une femme modeste, à peu près de mon âge
Et deux petits enfants jouant à son côté ;
Un cercle peu nombreux d'amis du voisinage,
Et de joyeux propos dans les beaux soirs d'été.

J'abandonnais l'amour à la jeunesse ardente
Je voulais une amie, une âme confidente,
Où cacher mes chagrins, qu'elle seule aurait lus ;

Le ciel m'a donné plus que je n'osais prétendre ;
L'amitié, par le temps, a pris un nom plus tendre,
Et l'amour arriva qu'on ne l'attendait plus.
Aux petits incidents il faut s'habituer.
Hier on est venu chez moi pour me tuer.
Mon tort dans ce pays c'est de croire aux asiles.
On ne sait quel ramas de pauvres imbéciles
S'est rué tout à coup la nuit sur ma maison.
Les arbres de la place en eurent le frisson,
Mais pas un habitant ne bougea. L'escalade
Fut longue, ardente, horrible, et Jeanne était malade.
Je conviens que j'avais pour elle un peu d'effroi.
Mes deux petits-enfants, quatre femmes et moi,
C'était la garnison de cette forteresse.
Rien ne vint secourir la maison en détresse.
La police fut sourde ayant affaire ailleurs.
Un dur caillou tranchant effleura Jeanne en pleurs.
Attaque de chauffeurs en pleine Forêt-Noire.
Ils criaient : Une échelle ! une poutre ! victoire !
Fracas où se perdaient nos appels sans écho.
Deux hommes apportaient du quartier Pachéco
Une poutre enlevée à quelque échafaudage.
Le jour naissant gênait la bande. L'abordage
Cessait, puis reprenait. Ils hurlaient haletants.
La poutre par bonheur n'arriva pas à temps.
" Assassin ! - C'était moi. - Nous voulons que tu meures !
Brigand ! Bandit ! " Ceci dura deux bonnes heures.
George avait calmé Jeanne en lui prenant la main.
Noir tumulte. Les voix n'avaient plus rien d'humain ;
Pensif, je rassurais les femmes en prières,
Et ma fenêtre était trouée à coups de pierres.
Il manquait là des cris de vive l'empereur !
La porte résista battue avec fureur.
Cinquante hommes armés montrèrent ce courage.
Et mon nom revenait dans des clameurs de rage :
A la lanterne ! à mort ! qu'il meure ! il nous le faut !
Par moments, méditant quelque nouvel assaut,
Tout ce tas furieux semblait reprendre haleine ;
Court répit ; un silence obscur et plein de haine
Se faisait au milieu de ce sombre viol ;
Et j'entendais au **** chanter un rossignol.
Donc, vieux passé plaintif, toujours tu reviendras
Nous criant : - Pourquoi donc est-on si **** ? Ingrats !
Qu'êtes-vous devenus ? Dites, avec l'abîme
Quel pacte avez-vous fait ? Quel attentat ? Quel crime ? -
Nous questionnant, sombre et de rage écumant,
Furieux.
Nous avons marché, tout bonnement.
Qui marche t'assassine, ô bon vieux passé blême.
Mais que veux-tu ? Je suis de mon siècle, et je l'aime !
Je te l'ai déjà dit. Non, ce n'est plus du tout
L'époque où la nature était de mauvais goût,
Où Bouhours, vieux jésuite, et le Batteux, vieux cancre,
Lunette au nez et plume au poing, barbouillaient d'encre
Le cygne au bec doré, le bois vert, le ciel bleu ;
Où l'homme corrigeait le manuscrit de Dieu.
Non, ce n'est plus le temps où Lenôtre à Versailles
Raturait le buisson, la ronce, la broussaille ;
Siècle où l'on ne voyait dans les champs éperdus
Que des hommes poudrés sous des arbres tondus.
Tout est en liberté maintenant. Sur sa nuque
L'arbre a plus de cheveux, l'homme a moins de perruque.
La vieille idée est morte avec le vieux cerveau.
La révolution est un monde nouveau.
Notre oreille en changeant a changé la musique.
Lorsque Fernand Cortez arriva du Mexique,
Il revint la main pleine, et, du jeune univers,
Il rapporta de l'or ; nous rapportons des vers.
Nous rapportons des chants mystérieux. Nous sommes
D'autres yeux, d'autres fronts, d'autres cœurs, d'autres hommes.

Braves pédants, calmez votre bon vieux courroux.
Nous arrachons de l'âme humaine les verrous.
Tous frères, et mêlés dans les monts, dans les plaines,
Nous laissons librement s'en aller nos haleines
À travers les grands bois et les bleus firmaments.
Nous avons démoli les vieux compartiments.

Non, nous ne sommes plus ni paysan, ni noble,
Ni lourdaud dans son pré, ni rustre en son vignoble,
Ni baron dans sa tour, ni reître à ses canons ;
Nous brisons cette écorce, et nous redevenons
L'homme ; l'homme enfin hors des temps crépusculaires ;
L'homme égal à lui-même en tous ses exemplaires ;
Ni tyran, ni forçat, ni maître, ni valet ;
L'humanité se montre enfin telle qu'elle est,
Chaque matin plus libre et chaque soir plus sage ;
Et le vieux masque usé laisse voir le visage.

Avec Ézéchiel nous mêlons Spinosa.
La nature nous prend, la nature nous a ;
Dans son antre profond, douce, elle nous attire ;
Elle en chasse pour nous son antique satyre,
Et nous y montre un sphinx nouveau qui dit : pensez.
Pour nous les petits cris au fond des nids poussés,
Sont augustes ; pour nous toutes les monarchies
Que vous saluez, vous, de vos têtes blanchies,
Tous les fauteuils royaux aux dossiers empourprés,
Sont peu de chose auprès d'un liseron des prés.
Régner ! Cela vaut-il rêver sous un vieux aulne ?
Nous regardons passer Charles-Quint sur son trône,
Jules deux sous son dais, César dans les clairons,
Et nous avons pitié lorsque nous comparons
À l'aurore des cieux cette fausse dorure.
Lorsque nous contemplons, par une déchirure
Des nuages, l'oiseau volant dans sa fierté,
Nous sentons frissonner notre aile, ô liberté !
En fait d'or, à la cour nous préférons la gerbe.
La nature est pour nous l'unique et sacré verbe,
Et notre art poétique ignore Despréaux.
Nos rois très excellents, très puissants et très hauts,
C'est le roc dans les flots, c'est dans les bois le chêne.
Mai, qui brise l'hiver, c'est-à-dire la chaîne,
Nous plaît. Le vrai nous tient. Je suis parfois tenté
De dire au mont Blanc : - Sire ! Et : - Votre majesté
À la vierge qui passe et porte, agreste et belle,
Sa cruche sur son front et Dieu dans sa prunelle.
Pour nous, songeurs, bandits, romantiques, démons,
Bonnets rouges, les flots grondants, l'aigle, les monts,
La bise, quand le soir ouvre son noir portique,
La tempête effarant l'onde apocalyptique,
Dépassent en musique, en mystère, en effroi,
Les quatre violons de la chambre du roi.
Chaque siècle, il s'y faut résigner, suit sa route.
Les hommes d'autrefois ont été grands sans doute ;
Nous ne nous tournons plus vers les mêmes clartés.
Jadis, frisure au front, ayant à ses côtés
Un tas d'abbés sans bure et de femmes sans guimpes,
Parmi des princes dieux, sous des plafonds olympes,
Prêt dans son justaucorps à poser pour Audran,
La dentelle au cou, grave, et l'œil sur un cadran,
Dans le salon de Mars ou dans la galerie
D'apollon, submergé dans la grand'seigneurie,
Dans le flot des Rohan, des Sourdis, des Elbeuf,
Et des fiers habits d'or roulant vers l'Œil-de-Boeuf,
Le poète, fût-il Corneille, ou toi, Molière,
- Tandis qu'en la chapelle ou bien dans la volière,
Les chanteurs accordaient le théorbe et le luth,
Et que Lulli tremblant s'écriait : gare à l'ut ! -
Attendait qu'au milieu de la claire fanfare
Et des fronts inclinés apparût, comme un phare,
Le page, aux tonnelets de brocart d'argent fin,
Qui portait le bougeoir de monsieur le dauphin.
Aujourd'hui, pour Versaille et pour salon d'Hercule,
Ayant l'ombre et l'airain du rouge crépuscule,
Fauve, et peu coudoyé de Guiche ou de Brissac,
La face au vent, les poings dans un paletot sac,
Seul, dans l'immensité que l'ouragan secoue,
Il écoute le bruit que fait la sombre proue
De la terre, et pensif, sur le blême horizon,
À l'heure où, dans l'orchestre inquiet du buisson,
De l'arbre et de la source, un frémissement passe,
Où le chêne chuchote et prend sa contrebasse,
L'eau sa flûte et le vent son stradivarius,
Il regarde monter l'effrayant Sirius.

Pour la muse en paniers, par Dorat réchauffée,
C'est un orang-outang ; pour les bois, c'est Orphée.
La nature lui dit : mon fils. Ce malotru,
Ô grand siècle ! Écrit mieux qu'Ablancourt et Patru.
Est-il féroce ? Non. Ce troglodyte affable
À l'ormeau du chemin fait réciter sa fable ;
Il dit au doux chevreau : bien bêlé, mon enfant !
Quand la fleur, le matin, de perles se coiffant,
Se mire aux flots, coquette et mijaurée exquise,
Il passe et dit : Bonjour, madame la marquise.
Et puis il souffre, il pleure, il est homme ; le sort
En rayons douloureux de son front triste sort.
Car, ici-bas, si fort qu'on soit, si peu qu'on vaille,
Tous, qui que nous soyons, le destin nous travaille
Pour orner dans l'azur la tiare de Dieu.
Le même bras nous fait passer au même feu ;
Et, sur l'humanité, qu'il use de sa lime,
Essayant tous les cœurs à sa meule sublime,
Scrutant tous les défauts de l'homme transparent,
Sombre ouvrier du ciel, noir orfèvre, tirant
Du sage une étincelle et du juste une flamme,
Se penche le malheur, lapidaire de l'âme.

Oui, tel est le poète aujourd'hui. Grands, petits,
Tous dans Pan effaré nous sommes engloutis.
Et ces secrets surpris, ces splendeurs contemplées,
Ces pages de la nuit et du jour épelées,
Ce qu'affirme Newton, ce qu'aperçoit Mesmer,
La grande liberté des souffles sur la mer,
La forêt qui craint Dieu dans l'ombre et qui le nomme,
Les eaux, les fleurs, les champs, font naître en nous un homme
Mystérieux, semblable aux profondeurs qu'il voit.
La nature aux songeurs montre les cieux du doigt.
Le cèdre au torse énorme, athlète des tempêtes,
Sur le fauve Liban conseillait les prophètes,
Et ce fut son exemple austère qui poussa
Nahum contre Ninive, Amos contre Gaza.
Les sphères en roulant nous jettent la justice.
Oui, l'âme monte au bien comme l'astre au solstice ;
Et le monde équilibre a fait l'homme devoir.
Quand l'âme voit mal Dieu, l'aube le fait mieux voir.
La nuit, quand Aquilon sonne de la trompette,
Ce qu'il dit, notre cœur frémissant le répète.
Nous vivons libres, fiers, tressaillants, prosternés,
Éblouis du grand Dieu formidable ; et, tournés
Vers tous les idéals et vers tous les possibles,
Nous cueillons dans l'azur les roses invisibles.
L'ombre est notre palais. Nous sommes commensaux
De l'abeille, du jonc nourri par les ruisseaux,
Du papillon qui boit dans la fleur arrosée.
Nos âmes aux oiseaux disputent la rosée.
Laissant le passé mort dans les siècles défunts,
Nous vivons de rayons, de soupirs, de parfums,
Et nous nous abreuvons de l'immense ambroisie
Qu'Homère appelle amour et Platon poésie.
Sous les branchages noirs du destin, nous errons,
Purs et graves, avec les souffles sur nos fronts.

Notre adoration, notre autel, notre Louvre,
C'est la vertu qui saigne ou le matin qui s'ouvre ;
Les grands levers auxquels nous ne manquons jamais,
C'est Vénus des monts noirs blanchissant les sommets ;
C'est le lys fleurissant, chaste, charmant, sévère ;
C'est Jésus se dressant, pâle, sur le calvaire.

Le 22 novembre 1854.
the village remembered

there were blue skies

we went by bus
Aidons-nous mutuellement,
La charge des malheurs en sera plus légère ;
Le bien que l'on fait à son frère
Pour le mal que l'on souffre est un soulagement.
Confucius l'a dit ; suivons tous sa doctrine.
Pour la persuader aux peuples de la Chine,
Il leur contait le trait suivant.

Dans une ville de l'Asie
Il existait deux malheureux,
L'un perclus, l'autre aveugle, et pauvres tous les deux.
Ils demandaient au Ciel de terminer leur vie ;
Mais leurs cris étaient superflus,
Ils ne pouvaient mourir. Notre paralytique,
Couché sur un grabat dans la place publique,
Souffrait sans être plaint : il en souffrait bien plus.
L'aveugle, à qui tout pouvait nuire,
Etait sans guide, sans soutien,
Sans avoir même un pauvre chien
Pour l'aimer et pour le conduire.
Un certain jour, il arriva
Que l'aveugle à tâtons, au détour d'une rue,
Près du malade se trouva ;
Il entendit ses cris, son âme en fut émue.
Il n'est tel que les malheureux
Pour se plaindre les uns les autres.
" J'ai mes maux, lui dit-il, et vous avez les vôtres :
Unissons-les, mon frère, ils seront moins affreux.
- Hélas ! dit le perclus, vous ignorez, mon frère,
Que je ne puis faire un seul pas ;
Vous-même vous n'y voyez pas :
A quoi nous servirait d'unir notre misère ?
- A quoi ? répond l'aveugle ; écoutez. A nous deux
Nous possédons le bien à chacun nécessaire :
J'ai des jambes, et vous des yeux.
Moi, je vais vous porter ; vous, vous serez mon guide :
Vos yeux dirigeront mes pas mal assurés ;
Mes jambes, à leur tour, iront où vous voudrez.
Ainsi, sans que jamais notre amitié décide
Qui de nous deux remplit le plus utile emploi,
Je marcherai pour vous, vous y verrez pour moi. "
Des laboureurs vivaient paisibles et contents
Dans un riche et nombreux village ;
Dès l'aurore ils allaient travailler à leurs champs,
Le soir ils revenaient chantants
Au sein d'un tranquille ménage ;
Et la nature bonne et sage,
Pour prix de leurs travaux, leur donnait tous les ans
De beaux bleds et de beaux enfants.
Mais il faut bien souffrir, c'est notre destinée.
Or il arriva qu'une année,
Dans le mois où le blond Phébus
S'en va faire visite au brûlant Sirius,
La terre, de sucs épuisée,
Ouvrant de toutes parts son sein,
Haletait sous un ciel d'airain.
Point de pluie et point de rosée.
Sur un sol crevassé l'on voit noircir le grain,
Les épis sont brûlés, et leurs têtes penchées
Tombent sur leurs tiges séchées.
On trembla de mourir de faim ;
La commune s'assemble. En hâte on délibère ;
Et chacun, comme à l'ordinaire,
Parle beaucoup et rien ne dit.
Enfin quelques vieillards, gens de sens et d'esprit,
Proposèrent un parti sage :
Mes amis, dirent-ils, d'ici vous pouvez voir
Ce mont peu distant du village ;
Là se trouve un grand lac, immense réservoir
Des souterraines eaux qui s'y font un passage.
Allez saigner ce lac ; mais sachez ménager
Un petit nombre de saignées,
Afin qu'à votre gré vous puissiez diriger
Ces bienfaisantes eaux dans vos terres baignées.
Juste quand il faudra nous les arrêterons.
Prenez bien garde au moins... oui, oui, courons, courons,
S'écrie aussitôt l'assemblée.
Et voilà mille jeunes gens
Armés d'hoyaux, de pics, et d'autres instruments,
Qui volent vers le lac : la terre est travaillée
Tout autour de ses bords ; on perce en cent endroits
À la fois ;
D'un morceau de terrain chaque ouvrier se charge :
Courage ! Allons ! Point de repos !
L'ouverture jamais ne peut être assez large.
Cela fut bientôt fait. Avant la nuit, les eaux,
Tombant de tout leur poids sur leur digue affaiblie,
De partout roulent à grands flots.
Transports et compliments de la troupe ébahie,
Qui s'admire dans ses travaux.
Le lendemain matin ce ne fut pas de même :
On voit flotter les bleds sur un océan d'eau ;
Pour sortir du village il faut prendre un bateau ;
Tout est perdu, noyé. La douleur est extrême,
On s'en prend aux vieillards : c'est vous, leur disait-on,
Qui nous coûtez notre moisson ;
Votre maudit conseil... il était salutaire,
Répondit un d'entre eux ; mais ce qu'on vient de faire
Est fort **** du conseil comme de la raison.
Nous voulions un peu d'eau, vous nous lâchez la bonde ;
L'excès d'un très grand bien devient un mal très grand :
Le sage arrose doucement,
L'insensé tout de suite inonde.
La mort, reine du monde, assembla certain jour,
Dans les enfers, toute sa cour.
Elle voulait choisir un bon premier ministre
Qui rendît ses états encore plus florissants.
Pour remplir cet emploi sinistre,
Du fond du noir Tartare avancent à pas lents
La fièvre, la goutte et la guerre.
C'étaient trois sujets excellents ;
Tout l'enfer et toute la terre
Rendaient justice à leurs talents.
La mort leur fit accueil. La peste vint ensuite.
On ne pouvait nier qu'elle n'eût du mérite,
Nul n'osait lui rien disputer ;
Lorsque d'un médecin arriva la visite,
Et l'on ne sut alors qui devait l'emporter.
La mort même était en balance :
Mais, les vices étant venus,
Dès ce moment la mort n'hésita plus,
Elle choisit l'intempérance.
Prenez garde, mes fils, côtoyez moins le bord,
Suivez le fond de la rivière ;
Craignez la ligne meurtrière,
Ou l'épervier plus dangereux encor.
C'est ainsi que parlait une carpe de Seine
A de jeunes poissons qui l'écoutaient à peine.
C'était au mois d'avril : les neiges, les glaçons,
Fondus par les zéphyrs, descendaient des montagnes.
Le fleuve, enflé par eux, s'élève à gros bouillons,
Et déborde dans les campagnes.
Ah ! ah ! criaient les carpillons,
Qu'en dis-tu, carpe radoteuse ?
Crains-tu pour nous les hameçons ?
Nous voilà citoyens de la mer orageuse ;
Regarde : on ne voit plus que les eaux et le ciel,
Les arbres sont cachés sous l'onde,
Nous sommes les maîtres du monde,
C'est le déluge universel.
Ne croyez pas cela, répond la vieille mère ;
Pour que l'eau se retire il ne faut qu'un instant :
Ne vous éloignez point, et, de peur d'accident,
Suivez, suivez toujours le fond de la rivière.
Bah ! disent les poissons, tu répètes toujours
Mêmes discours.
Adieu, nous allons voir notre nouveau domaine.
Parlant ainsi, nos étourdis
Sortent tous du lit de la Seine,
Et s'en vont dans les eaux qui couvrent le pays.
Qu'arriva-t-il ? Les eaux se retirèrent,
Et les carpillons demeurèrent ;
Bientôt ils furent pris,
Et frits.
Pourquoi quittaient-ils la rivière ?
Pourquoi ? je le sais trop, hélas !
C'est qu'on se croit toujours plus sage que sa mère
C'est qu'on veut sortir de sa sphère,
C'est, que... c'est que... je ne finirai pas.
L'adultère, celui du moins codifié

Au mépris de l'Église et de Dieu défié,

Tout d'abord doit sembler la faute irrémissible.

Tel un trait lancé juste, ayant l'enfer pour cible !

Beaucoup de vrais croyants, questionnés ici,

Répondraient à coup sûr qu'il en retourne ainsi.

D'autre part le mondain, qui n'y voit pas un crime,

Pour qui tous mauvais tours sont des bons coups d'escrime,

Rit du procédé lourd, préférant, affrontés,

Tous risques et périls à ces légalités

Abominablement prudentes et transies

Entre ces droits divers et plusieurs fantaisies,

Enfin juge le cas boiteux, piteux, honteux.


Le Sage, de qui l'âme et l'esprit vont tous deux,

Bien équilibrés, droit, au vrai milieu des causes,

Pleure sur telle femme en route pour ces choses.

Il plaide l'ignorance, elle donc ne sachant

Que le côté naïf, c'est-à-dire méchant

Hélas ! de cette douce et misérable vie.

Elle plait et le sait, et ce qu'elle est ravie

Mais son caprice tue, elle l'ignore tant !

Elle croit que d'aimer c'est de l'argent comptant,

Non un fonds travaillant, qu'on paie et qu'on est quitte,

Que d'aimer c'est toujours « qu'arriva-t-elle ensuite »,

Non un seul vœu qui tient jusqu'à la mort de nous.


Et certes suscité, néanmoins son courroux

Gronde le seul péché, plaignant les pécheresses,

Coupables tout au plus de certaines paresses,

Et les trois quarts du temps luxurieuses point.

Bêle orgueil, intérêt mesquin, voilà le joint,

Avec d'avoir été trop ou trop peu jalouses.


Seigneur, ayez pitié des âmes, nos épouses.
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno cò suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir questa
Solitudine immensa? Ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu sè queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ** fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
Un bonhomme de mes parents,
Que j'ai connu dans mon jeune âge,
Se faisait adorer de tout son voisinage ;
Consulté, vénéré des petits et des grands,
Il vivait dans sa terre en véritable sage.
Il n'avait pas beaucoup d'écus,
Mais cependant assez pour vivre dans l'aisance ;
En revanche force vertus,
Du sens, de l'esprit par-dessus,
Et cette aménité que donne l'innocence.
Quand un pauvre venait le voir,
S'il avait de l'argent, il donnait des pistoles ;
Et s'in n'en avait point, du moins par ses paroles
Il lui rendait un peu de courage et d'espoir.
Il raccommodait les familles,
Corrigeait doucement les jeunes étourdis,
Riait avec les jeunes filles,
Et leur trouvait de bons maris.
Indulgent aux défauts des autres,
Il répétait souvent : n'avons-nous pas les nôtres ?
Ceux-ci sont nés boiteux, ceux-là sont nés bossus,
L'un un peu moins, l'autre un peu plus :
La nature de cent manières
Voulut nous affliger : marchons ensemble en paix ;
Le chemin est assez mauvais
Sans nous jeter encor des pierres.
Or il arriva certain jour
Que notre bon vieillard trouva dans une tour
Un trésor caché sous la terre.
D'abord il n'y voit qu'un moyen
De pouvoir faire plus de bien ;
Il le prend, l'emporte et le serre.
Puis, en réfléchissant, le voilà qui se dit :
Cet or que j 'ai trouvé ferait plus de profit
Si j'en augmentais mon domaine ;
J'aurais plus de vassaux, je serais plus puissant.
Je peux mieux faire encor : dans la ville prochaine
Achetons une charge, et soyons président.
Président ! Cela vaut la peine.
Je n'ai pas fait mon droit ; mais, avec mon argent,
On m'en dispensera, puisque cela s'achète.
Tandis qu'il rêve et qu'il projette,
Sa servante vient l'avertir
Que les jeunes gens du village
Dans la cour du château sont à se divertir.
Le dimanche, c'était l'usage,
Le seigneur se plaisait à danser avec eux.
Oh ! Ma foi, répond-il, j'ai bien d'autres affaires ;
Que l'on danse sans moi. L'esprit plein de chimères,
Il s'enferme tout seul pour se tourmenter mieux.
Ensuite il va joindre à sa somme
Un petit sac d'argent, reste du mois dernier.
Dans l'instant arrive un pauvre homme
Qui tout en pleurs vient le prier
De vouloir lui prêter vingt écus pour sa taille :
Le collecteur, dit-il, va me mettre en prison,
Et n'a laissé dans ma maison
Que six enfants sur de la paille.
Notre nouveau Crésus lui répond durement
Qu'il n'est point en argent comptant.
Le pauvre malheureux le regarde, soupire,
Et s'en retourne sans mot dire.
Mais il n'était pas ****, que notre bon seigneur
Retrouve tout-à-coup son cœur ;
Il court au paysan, l'embrasse,
De cent écus lui fait don,
Et lui demande encor pardon.
Ensuite il fait crier que sur la grande place
Le village assemblé se rende dans l'instant.
On obéit : notre bonhomme
Arrive avec toute sa somme,
En un seul monceau la répand.
Mes amis, leur dit-il, vous voyez cet argent :
Depuis qu'il m'appartient, je ne suis plus le même,
Mon âme est endurcie et la voix du malheur
N'arrive plus jusqu'à mon cœur.
Mes enfants, sauvez-moi de ce péril extrême ;
Prenez et partagez ce dangereux métal ;
Emportez votre part chacun dans votre asile ;
Entre tous divisé, cet or peut être utile ;
Réuni chez un seul, il ne fait que du mal.
Soyons contents du nécessaire
Sans jamais souhaiter de trésors superflus :
Il faut les redouter autant que la misère,
Comme elle ils chassent les vertus.
Marco Bo Aug 2018
presso queste dimenticate periferie del mondo
le barricate della memoria a volte ci legano prigionieri a madornali errori e pregiudizi
così come il vestito sbagliato delle parole
che lanciamo al vento come freccie di fuoco

dovremmo imparare di nuovo ad andar lontano
verso un deserto sconfinato
e poi là soli su quella immensa spianata
ascoltarlo il vento
quello che arriva dalla direzione del futuro
e rinascere ancora ogni singolo giorno che il destino manda in terra

rinascere nudi e soli nel silenzio
e così rimanere per tempo e tempo
tutto quello necessario
e ancora

…………..

in these forgotten suburbs of the world
the barricades of memory sometimes bind us prisoners of enormous errors and prejudices
as the wrong dress of the words we throw into the wind like arrows of fire

we should learn again to go far
towards a boundless desert
and out there alone on that immense esplanade
listen to that wind
the one coming from the future

and so coming to life again every single day that fate sends to earth
coming to life naked and alone
in silence
and so remaining for time and time
all that is needed
and more
……………

en estos suburbios olvidados del mundo
las barricadas de la memoria a veces nos atan prisioneros de errores immensos y prejuicios
así como el vestido equivocado de las palabras que tiramos como flechas de fuego

deberíamos aprender de nuevo a ir lejos
hacia un desierto sin límites
y luego solos en esa inmensa explanada
escucharlo el viento
aquel que viene del futuro

y así nacer de nuevo cada singulo día que el destino envía en tierra
nacer de nuevo desnudos y solos en silencio
y así quedarse por tiempo y tiempo
todo el necesario
y más
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno cò suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir questa
Solitudine immensa? Ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu sè queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ** fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
Une chouette était sur une porte clouée ;
Larve de l'ombre au toit des hommes échouée.
La nature, qui mêle une âme aux rameaux verts,
Qui remplit tout, et vit, à des degrés divers,
Dans la bête sauvage et la bête de somme,
Toujours en dialogue avec l'esprit de l'homme,
Lui donne à déchiffrer les animaux, qui sont
Ses signes, alphabet formidable et profond ;
Et, sombre, ayant pour mots l'oiseau, le ver, l'insecte,
Parle deux langues : l'une, admirable et correcte,
L'autre, obscur bégaîment. L'éléphant aux pieds lourds,
Le lion, ce grand front de l'antre, l'aigle, l'ours,
Le taureau, le cheval, le tigre au bond superbe,
Sont le langage altier et splendide, le verbe ;
Et la chauve-souris, le crapaud, le putois,
Le crabe, le hibou, le porc, sont le patois.
Or, j'étais là, pensif, bienveillant, presque tendre,
Épelant ce squelette, et tâchant de comprendre
Ce qu'entre les trois clous où son spectre pendait,
Aux vivants, aux souffrants, au bœuf triste, au baudet,
Disait, hélas ! la pauvre et sinistre chouette,
Du côté noir de l'être informe silhouette.

Elle disait :

« Sur son front sombre
Comme la brume se répand !
Il remplit tout le fond de l'ombre.
Comme sa tête morte pend !
De ses yeux coulent ses pensées.
Ses pieds troués, ses mains percées
Bleuissent à l'air glacial,
Oh ! comme il saigne dans le gouffre !
Lui qui faisait le bien, il souffre
Comme moi qui faisait le mal.

« Une lumière à son front tremble.
Et la nuit dit au vent : « Soufflons
Sur cette flamme ! » et, tous ensemble,
Les ténèbres, les aquilons,
La pluie et l'horreur, froides bouches,
Soufflent, hagards, hideux, farouches,
Et dans la tempête et le bruit
La clarté reparaît grandie... -
Tu peux éteindre un incendie,
Mais pas une auréole, ô nuit !

« Cette âme arriva sur la terre,
Qu'assombrit le soir incertain ;
Elle entra dans l'obscur mystère
Que l'ombre appelle son destin ;
Au mensonge, aux forfaits sans nombre,
À tout l'horrible essaim de l'ombre,
Elle livrait de saints combats ;
Elle volait, et ses prunelles
Semblaient deux lueurs éternelles
Qui passaient dans la nuit d'en bas.

« Elle allait parmi les ténèbres,
Poursuivant, chassant, dévorant
Les vices, ces taupes funèbres,
Le crime, ce phalène errant ;
Arrachant de leurs trous la haine,
L'orgueil, la fraude qui se traîne,
L'âpre envie, aspic du chemin,
Les vers de terre et les vipères,
Que la nuit cache dans les pierres
Et le mal dans le cœur humain !

« Elle cherchait ces infidèles,
L'Achab, le Nemrod, le Mathan,
Que, dans son temple et sous ses ailes,
Réchauffe le faux dieu Satan,
Les vendeurs cachés sous les porches,
Le brûleur allumant ses torches
Au même feu que l'encensoir ;
Et, quand elle l'avait trouvée,
Toute la sinistre couvée
Se hérissait sous l'autel noir.

« Elle allait, délivrant les hommes
De leurs ennemis ténébreux ;
Les hommes, noirs comme nous sommes,
Prirent l'esprit luttant pour eux ;
Puis ils clouèrent, les infâmes,
L'âme qui défendait leurs âmes,
L'être dont l'œil jetait du jour ;
Et leur foule, dans sa démence,
Railla cette chouette immense
De la lumière et de l'amour !

« Race qui frappes et lapides,
Je te plains ! hommes, je vous plains !
Hélas ! je plains vos poings stupides,
D'affreux clous et de marteaux pleins !
Vous persécutez pêle-mêle
Le mal, le bien, la griffe et l'aile,
Chasseurs sans but, bourreaux sans yeux !
Vous clouez de vos mains mal sûres
Les hiboux au seuil des masures,
Et Christ sur la porte des cieux ! »

Mai 1843.
Dans cette ville où rien ne rit et ne palpite,
Comme dans une femme aujourd'hui décrépite,
On sent que quelque chose, hélas ! a disparu !
Les maisons ont un air fâché, rogue et bourru ;
Les fenêtres, luisant d'un luisant de limace,
Semblent cligner des yeux et faire la grimace,
Et de chaque escalier et de chaque pignon,
Il sort je ne sais quoi de triste et de grognon.
Des portes à claveaux du temps de Louis treize,
Des bonshommes de pierre avec pourpoint et fraise,
Des cours avec arceaux en anses de panier,
Force carreaux cassés, maint immonde grenier,
Des tours, de grands toits bleus sur des façades rouges,
Ce serait des palais si ce n'était des bouges.
Voilà ce qu'on rencontre à chaque pas, et puis
D'affreux enfants tout nus jouant au bord des puits.
Quelques arbres malsains, tout couverts de verrues,
Percent le long des murs le pavé dans les rues.
Les écriteaux sont pleins d'un gothique alphabet ;
Les poteaux à lanterne ont un air de gibet ;
Les vastes murs, les toits aigus, les girouettes,
Font sur le ciel brumeux de mornes silhouettes.
C'est surtout effrayant et lugubre le soir.
Le jour, les habitants sont rares. On croit voir
Partout le même vieux avec la même vieille.
Dans ces réduits vitrés en verres de bouteille,
Dans ces trous où jamais le, soleil n'arriva,
On entend bougonner le siècle qui s'en va.
itsall iwrite Sep 2018
overground ticket office closures -  30.09.18

welcome to draconian
just like poetry and criticism
jump barrier at the road caledonian
no staff on shop floor or camera crew doing voyeurism.
don't be fooled
cuts will travel benefit
vigilantes are getting up tooled
taking full advantage of deficit.
beggars and scammers are like cadbury
they are a good receiver
going to waterloo to direct to canonbury
poetry not going well with arriva.
51 stations are to be closed
not going to dent or groove
barnsbury is next to be exposed
for benefit to no paying customers it will improve.
RMT not wanting to slash
they no ticket officers play a crucial role
begging sadiq khan is **** cash
we need a human not a machine with no sole.
welcoming to the best ever city
machines are on and automatic
back to humans queen did sing with no pity
ahead of times proves so graphic.
will share my views
travelwatch get poetry online
i will be first to break the news
ticket office closures is transportation decline.
Nel più alto punto
dove scienza è oblìo d'ogni sapere
e certezza, mi dicono,
certezza irrefutabile venuta incontro

o nel tempo appeso a un filo
d'un riacquisto d'infanzia,

tra sonno e veglia, tra innocenza e colpa,

dove c'è e non c'è opera nostra voluta e scelta.

"La salute della mente
è là" dice una voce
con cui contendo da anni,
una voce che ora è di sirena.

Si naviga tra Sardegna e Corsica.
C'è un po' di mare
e la barca appruata scarricchia.
L'equipaggio dorme. Ma due
vegliano nella mezzaluce della plancia.
È passato agosto; Siamo alla rottura dei tempi.
È una notte viva.
Viva più di questa notte,
viva tanto da serrarmi la gola
è la muta confidenza
di quelli che riposano
si curi in mano d'altri
e di questi che non lasciano la manovra e il calcolo

mentre pregano per i loro uomini in mare
da un punto oscuro della costa, mentre arriva
dalla parte del Rodano qualche raffica.
Elle avait fui de mon âme offensée ;
Bien **** de moi je crus l'avoir chassée :
Toute tremblante, un jour, elle arriva,
Sa douce image, et dans mon cœur rentra.
Point n'eus le temps de me mettre en colère ;
Point ne savais ce qu'elle voulait faire ;
Un peu trop **** mon cœur le devina.

Sans prévenir, elle dit : « Me voilà !
Ce cœur m'attend. Par l'Amour que j'implore,
Comme autrefois j'y viens régner encore ! »
Au nom d'amour ma raison se troubla ;
Je voulus fuir, et tout mon corps trembla ;
Je bégayai des plaintes au perfide ;
Pour me toucher il prit un air timide ;
Puis à mes pieds, en pleurant, il tomba :
J'oubliai tout dès que l'Amour pleura !
Lyna Salman May 2020
Forget this newel we call love
Cut the strings and rise above
Past the smoke and ashes
Unravel bonded acacia lashes
Let ouroboros feelings emerge
So our volcanic sagacity merge
With woven words over history
Our connection remains a mystery
                         ∴
Prova dì vivere il nostro amore
Per dimenticare il nostro dolore
Il nostro mondo e diversò
Loro mondo no e lo stesso
Noi sentiamo la nostra  gioia
Loro vivono come  la Troia
Ti amo come un matto
La tu anima arriva delle alto
Siamo fatti per essere insieme
Dio lo provato et lo fatto bene

∴ Lyna Salman
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
a li disperde.

Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d'inesauribile segreto.

— The End —