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Perché i celesti danni
Ristori il sole, e perché l'aure inferme
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta
Delle nubi la grave ombra s'avvalla;
Credano il petto inerme
Gli augelli al vento, e la diurna luce
Novo d'amor desio, nova speranza
Nè penetrati boschi e fra le sciolte
Pruine induca alle commosse belve;
Forse alle stanche e nel dolor sepolte
Umane menti riede
La bella età, cui la sciagura e l'atra
Face del ver consunse
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
Di febo i raggi al misero non sono
In sempiterno? Ed anco,
Primavera odorata, inspiri e tenti
Questo gelido cor, questo ch'amara
Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?
Vivi tu, vivi, o santa
Natura? Vivi e il dissueto orecchio
Della materna voce il suono accoglie?
Già di candide ninfe i rivi albergo,
Placido albergo e specchio
Furo i liquidi fonti. Arcane danze
D'immortal piede i ruinosi gioghi
Scossero e l'ardue selve (oggi romito
Nido dè venti): e il pastorel ch'all'ombre
Meridiane incerte ed al fiorito
Margo adducea dè fiumi
Le sitibonde agnelle, arguto carme
Sonar d'agresti Pani
Udì lungo le ripe; e tremar l'onda
Vide, e stupì, che non palese al guardo
La faretrata Diva
Scendea nè caldi flutti, e dall'immonda
Polve tergea della sanguigna caccia
Il niveo lato e le verginee braccia.
Vissero i fiori e l'erbe,
Vissero i boschi un dì. Conscie le molli
Aure, le nubi e la titania lampa
Fur dell'umana gente, allor che ignuda
Te per le piagge e i colli,
Ciprigna luce, alla deserta notte
Con gli occhi intenti il viator seguendo,
Te compagna alla via, te dè mortali
Pensosa immaginò. Che se gl'impuri
Cittadini consorzi e le fatali
Ire fuggendo e l'onte,
Gl'ispidi tronchi al petto altri nell'ime
Selve remoto accolse,
Viva fiamma agitar l'esangui vene,
Spirar le foglie, e palpitar segreta
Nel doloroso amplesso.
We shared the same bunk bed
in the tiny Astoria projects apartment
I laugh to myself recalling the 3 AM singing sessions
we crooned right along with the Bradshaw brothers
stocking caps plastered to their heads
doo-wopping on the benches below
beautiful voices framing the cold,
unforgiving, angular brick buildings and ghetto nights
Sis, you were my head pall bearer
shouldering the shoe-box casket
along with an odd collection of project kids
forming a procession up 27th avenue
towards the green steeple church on the hill
solemnly we laid Pixie the cat to rest
“Last Looks” I quipped before lowering the box
she had accidentally slipped out of the window
and was not as lucky as Winston Parks
a young toddler who had fortunately
landed in the bushes
when our newborn twin brothers, Chris and Pat
surprised our parents bringing the count to 5 siblings
I officially became the 2nd mom
a reluctant teen, my head buried in a book
simultaneously rocking a twin carriage and stroller
LOL...seems like only yesterday we were camped out
in apartment #6B planning all sorts of mischief
now there is a pile of little shoes next to my door
and the next generation trudging in
with water pistols, bubbles and coloring books
Nicola Pillai Jan 2021
It was a magical night,
The moon beamed from the sky
Vivi looked on patiently for unicorns that could fly
She waited and waited and waited some more
Standing by the window, peering around the door

The time was now, her bag was packed
Oats, some glitter and her camera stacked
She set out on her crusade, she knew just what to find
Moonicorns , MagiCorns and Mermicorns of some kind
The powers they possess from the moon, land and sea
A unicorn explorer one day she would be

Her inquisitive nature
Her belief so profound  
Deep in her quest
She will make all the sounds
A calling for each
A mutter or a neigh
Don't ever stop believing Vivi
We adore you this way
Smarrito nella colorata fantasia delle nostre menti.
Dolci e tenere sussurrano perpetua armonia.
Il tichettio ha cessato d'esistere.
Tutto è immobile.
O siamo noi ad esserci fermati
Protratti nella dimensione creata da noi.

Sorpresi da un tempo diventato impercepibile

D'un tratto
                    siamo vivi
Racconta di uno dei momenti più particolari  della mia vita, e forse solo la persona che l ha vissuta con me sa di cosa parlo. Probabilmente però non leggerà mai questo scritto.
Irena Adler Nov 2018
Virginia Woolf una volte scrisse che " la bellezza ha due tagli, uno di gioia, l'altro di angoscia, che ci dividono il cuore".
La prima cosa che mi passa per la testa di fronte a tali parole è che l'uomo e la donna patiscono continuamente anche quando sono felici. Quel tipo di angoscia che non ti abbandona mai, la sofferenza di fronte alle scelte fatte o non fatte, il desiderio di evasione in un mondo utopico, la volontà di essere completamente liberi e stoici. I pregiudizi sono nostri amici-nemici. Tutto dipende da come gli accogliamo nelle varie circostanze della vita.
Se ci fosse Virginia Woolf qua con me sicuramente  si arrabbierebbe; " Come puoi essere così disordinata? Non mi stavi  per caso citando? E poi sembrava che stessi cercando  di spiegare qualcosa?! Salti da un argomento all'altro per caso. Se devi essere patetica, aggiungici un sarcasmo poetico".
Scusa ma non riesco ad organizzare ancora bene i miei pensieri. Fluttuano come la polvere nell'aria dopo che hai tentato inutilmente  di pulire un armadio vecchio. Scusa Virginia, mi conoscerai meglio con il passare del tempo.  " Ecco, brava! Che sia sempre con te lo spirito di Judith Shakespeare!"




Martedì 6.  

L'artista che corre per la strada e cerca la sua musa, la trova nello specchio che tende subito a scomparire.
Lui non si è accorto del Sole, vive di notte, disegna di notte, sogna di giorno, sogna di notte. Vive.
Non vede, lui osserva, ama l'impossibile, ama il futile eterno, sogna e vede ciò che non sarà mai compreso dagli altri. Lui trema e le sue mani tengono il pennello con un eccitazione che non si può comprendere ma solo provare. L'emozione di fronte ad un opera che deve appena essere creata, immortalata, eterna come la non-realtà.
L'immagine sussiste e lui sbatte le ali del sogno, disubbidisce alla società, gode ed ama l'incomprensibile, lo respira e vive di ciò.

Lo spessore della profondità è inabbattibile. L'acqua non ti fa annegare; è il pensiero. Non pensiamo, nuotiamo, è l'istinto a prevalere eppure abbiamo scelto di morire. Per questo motivo esiste l'altro, per annegarci o salvarci. Mantieni la dignità e vivi. E dunque sanguina.


Venerdì 9.

L'uomo e la donna. La donna e l'uomo. L'uomo ha sulla testa una lampadine e la donna uno sbattitore da cucina. La natura del cane è quella di abbaiare. La natura della specie umana è quella di riprodursi. Eppure abbiamo la necessità di creare ed inventare, non riusciamo a farne a meno. Sentiamo un bisogno insostenibile di portare fuori ciò che sta dentro. Siamo continuamente alla ricerca dell'essere presenti, passati e futuri. La gioia e l'angoscia d' esistere ci turba le anime. Ci chiediamo sempre qual'è lo scopo del fare e di muoverci. Dove sta il dono o la maledizione di essere stati scaraventati sulla palla ovale che gira intorno a se stessa ed intorno ad una palla ancora più grande che ci mantiene in vita. E' questo il senso? Dipendere dalla luce del sole oppure  soltanto dall'acqua e dal pane?
Dove sta l'essere in questa stanza? E' forse disteso su questo letto a scrivere? Forse.
Oppure si trova proprio nel pensiero che crea quel' atto?
L'esistenza umana è ridotta ad anni di vita, non secoli. Ciò che ci è stato dato l'abbiamo preso ed appreso, ci siamo impossessati ed ora fa parte di noi. Ci è stata data la vita dalla Natura ed essa ci ha pure delimitati.
" Ecco, voi siete parte di me, vivete e morite". Se è così noi dipendiamo gli uni dagli altri, non ha senso vivere soli sulla terra, abbandonati da nessuno. Non possiede alcuna logica.

Mercoledì 33.

Il mare non è sempre stato blu; una volta era violaceo e tutti gli animali potevano entrare nell'acqua senza dove trattenere il fiato. Si respirava nell'acqua, si stava bene. Soltanto quando arrivò l'uomo e ci mise il piede in acqua, essa si contrasse e divenne blu, scura e profonda. Il mare scelse di non dare accesso all'uomo e a quel diverso tipo di intelletto che si preparava a conquistare tutto ciò che mai gli potrà appartenere interamente. Per colpa sua le specie che abitavano la terra ferma dovettero separarsi da quelle marine.
Più l'uomo diventava avido ed egoista più il mare diventava profondo e salato. Non voleva finire nella bocca di quel animale strano che camminava su due stecchi con cinque rami piccoli, ben allineati ma sporchi. L'uomo costrinse il mare a piangere e non capì, non poteva capirlo poichè ora era lui il padrone.
Victor Marques Oct 2013
Tempo perdido no tempo

Quando me lembro do tempo,
Fico preso no esquecimento,
O tempo deixa no entanto,
Alegria ou tempo de lamento.

O tempo indeterminado,
Tempo presente, futuro, passado.
Tempo que ousadamente esqueci,
Tempo do que sou e vivi.

Tempo que penar é coisa mística,
Pedreiro sem pedra não é artista.
O tempo intemporal de um ser,
Acordar com o amanhecer.

Fogueiras de um tempo que parecem apagadas,
Tempo de janelas abertas e fechadas.
Tempo que parece um ficheiro encerrado,
Incondicional amor bem-amado.

Victor Marques
tempo,amor, viver
Eu pintei-me de preto e vesti-me de *****,
E colori em forma de arco-íris, o meu coração!
Descansei os sapatos e assim com ar integro,
Analisei todos os meus males, aqui atrás do Marão!

Olhei o sol que estava lindo, assim como a luz do dia,
E eu ali senti-me um milhafre perdido no raiar do céu,
Despi-me de preconceitos e agarrei a luz que me alumia,
Comecei a correr até ficar cansado, até perder o chapéu!

Comecei a despir o ***** que trazia vestido e foi nu,
Que comecei a procurar ao redor uma nova capa,
Com cores coloridas com sorrisos tirados do baú!
Não servia sorrir de novo, sorrisos fingidos á socapa!

Jurei que iria sair do escuro, que trazia vestido,
Comprometi-me com a alma, e entregar-me ao destino,
Porque afinal, eu não tinha perdido, então porquê, o alarido!
Seria por me despir, reflectir e sentir culpado e latino?

Hoje não é dia de pensar assim, não é dia de fingir,
Não é dia de mentir, nem é dia de ficar para ali a latir.
Porque quem me pudesse ouvir, estaria ali não para me ouvir,
Mas sim para fingir, que eu era o corvo, e tinha de partir!






Quanto tempo durou o fingimento que te cativou?
Porquê que eu nunca percebi que teria de sair!
Não sei, nem posso deitar-me a adivinhar. Sei, acabou.
Não tenho mais comigo razões para me prostituir!

Como poderia eu ter sido ingrato, se tivesse visto,
Que afinal tudo que vivi, até ali, nunca foi real e meu.
Nunca fui afinal muito mais, que um pequeno imprevisto.
Ingrato, não estou. Hoje eu sei, que afinal, estou ao léu!
Sem qualquer compromisso no coração, e pode ser teu.

Autor: António Benigno
Dedicado do Romeiro para a Rameira.
Credei ch'al tutto fossero
In me, sul fior degli anni,
Mancati i dolci affanni
Della mia prima età:
I dolci affanni, i teneri
Moti del cor profondo,
Qualunque cosa al mondo
Grato il sentir ci fa.

Quante querele e lacrime
Sparsi nel novo stato,
Quando al mio cor gelato
Prima il dolor mancò!
Mancàr gli usati palpiti,
L'amor mi venne meno,
E irrigidito il seno
Di sospirar cessò!

Piansi spogliata, esanime
Fatta per me la vita
La terra inaridita,
Chiusa in eterno gel;
Deserto il dì; la tacita
Notte più sola e bruna;
Spenta per me la luna,
Spente le stelle in ciel.

Pur di quel pianto origine
Era l'antico affetto:
Nell'intimo del petto
Ancor viveva il cor.
Chiedea l'usate immagini
La stanca fantasia;
E la tristezza mia
Era dolore ancor.

Fra poco in me quell'ultimo
Dolore anco fu spento,
E di più far lamento
Valor non mi restò.
Giacqui: insensato, attonito,
Non dimandai conforto:
Quasi perduto e morto,
Il cor s'abbandonò.

Qual fui! Quanto dissimile
Da quel che tanto ardore,
Che sì beato errore
Nutrii nell'alma un dì!
La rondinella vigile,
Alle finestre intorno
Cantando al novo giorno,
Il cor non mi ferì:

Non all'autunno pallido
In solitaria villa,
La vespertina squilla,
Il fuggitivo Sol.
Invan brillare il vespero
Vidi per muto calle,
Invan sonò la valle
Del flebile usignol.

E voi, pupille tenere,
Sguardi furtivi, erranti,
Voi dè gentili amanti
Primo, immortale amor,
Ed alla mano offertami
Candida ignuda mano,
Foste voi pure invano
Al duro mio sopor.

D'ogni dolcezza vedovo,
Tristo; ma non turbato,
Ma placido il mio stato,
Il volto era seren.
Desiderato il termine
Avrei del viver mio;
Ma spento era il desio
Nello spossato sen.

Qual dell'età decrepita
L'avanzo ignudo e vile,
Io conducea l'aprile
Degli anni miei così:
Così quegl'ineffabili
Giorni, o mio cor, traevi,
Che sì fugaci e brevi
Il cielo a noi sortì.

Chi dalla grave, immemore
Quiete or mi ridesta?
Che virtù nova è questa,
Questa che sento in me?
Moti soavi, immagini,
Palpiti, error beato,
Per sempre a voi negato
Questo mio cor non è?

Siete pur voi quell'unica
Luce dè giorni miei?
Gli affetti ch'io perdei
Nella novella età?
Se al ciel, s'ai verdi margini,
Ovunque il guardo mira,
Tutto un dolor mi spira,
Tutto un piacer mi dà.

Meco ritorna a vivere
La piaggia, il bosco, il monte;
Parla al mio core il fonte,
Meco favella il mar.
Chi mi ridona il piangere
Dopo cotanto obblio?
E come al guardo mio
Cangiato il mondo appar?

Forse la speme, o povero
Mio cor, ti volse un riso?
Ahi della speme il viso
Io non vedrò mai più.
Proprii mi diede i palpiti,
Natura, e i dolci inganni.
Sopiro in me gli affanni
L'ingenita virtù;

Non l'annullàr: non vinsela
Il fato e la sventura;
Non con la vista impura
L'infausta verità.
Dalle mie vaghe immagini
So ben ch'ella discorda:
So che natura è sorda,
Che miserar non sa.

Che non del ben sollecita
Fu, ma dell'esser solo:
Purché ci serbi al duolo,
Or d'altro a lei non cal.
So che pietà fra gli uomini
Il misero non trova;
Che lui, fuggendo, a prova
Schernisce ogni mortal.

Che ignora il tristo secolo
Gl'ingegni e le virtudi;
Che manca ai degni studi
L'ignuda gloria ancor.
E voi, pupille tremule,
Voi, raggio sovrumano,
So che splendete invano,
Che in voi non brilla amor.

Nessuno ignoto ed intimo
Affetto in voi non brilla:
Non chiude una favilla
Quel bianco petto in sé.
Anzi d'altrui le tenere
Cure suol porre in gioco;
E d'un celeste foco
Disprezzo è la mercè.

Pur sento in me rivivere
Gl'inganni aperti e noti;
E, dè suoi proprii moti
Si maraviglia il sen.
Da te, mio cor, quest'ultimo
Spirto, e l'ardor natio,
Ogni conforto mio
Solo da te mi vien.

Mancano, il sento, all'anima
Alta, gentile e pura,
La sorte, la natura,
Il mondo e la beltà.
Ma se tu vivi, o misero,
Se non concedi al fato,
Non chiamerò spietato
Chi lo spirar mi dà.
temoch Nov 2011
Tenia mis dudas,
no lo puedo negar.
Pero el sol aun brilla,
Mi corazon no te ha dejado de amar.
Pense que te alejabas,
Que a mi lado no querias estar,
Pero me equivocaba,
El amor que sientes,
     te ha hecho retornar.

Seria mentira decir que te olvide,
Seria falso profesar la muerte de este amor;
Porque la verdad es que te pensé,
Y que en mis sueños aun te amé.
Respiré de tus memorias,
Vivi de tu sonrisa,
Y cada momento que pasaba
Aunque no estabas aqui,
Me traias alegria.

Pero no todo se ha perdido,
Al fin has regresado.
Mi amor, espero que te quedes,
Quisiera de nuevo despertar a tu lado.

Soy un hombre sencillo,
Sin brillantes que ofrecer.
Mi corazon entero te entrego
Quisiera que este amor pueda florecer.
Te ofresco mi vida y mi alma.
Te ofresco mi cuerpo y todo mi ser.
Porque este amor que por ti siento
Jamas lo sentire otra vez.
I know it's in spanish, but I'd still like some critiques so I can improve my writing. thanks
Como uma gota de água se juntando formando um oceano,
É a cor da esperança azulada desse mar perto dos teus seios,
Nada diferente da saudade das noites loucas perto da água,
Em que vivi momentos eternos para o meu coração,
Não poderia nunca esquecer que aqueci meus anseios junto de ti,
Acreditei na realização dos melhores sonhos perante o teu sorriso,
O teu silêncio confortou-me sempre que precisava de paz e harmonia.
A cor dos teus olhos igual à do meu coração nunca eu vou esquecer,
Como não me esqueço das tuas mãos quentes agarrando o meu corpo,
O teu suspiro suave mantendo-me quente e aconchegado nos teus braços.
Se eu voltar a viver esses momentos para sempre recordar,
Será ironia de um destino permanente e cada vez mais distante,
Mas é essa a verdade que ficou, é difícil ocuparem o teu lugar,
Também porque continua ocupado com as tuas coisas,
O teu cheiro mantem-se impregnado em mim como se fosse hoje,
O som das tuas palavras doces ficou nos meus ouvidos,
E ainda hoje te ouço por vezes nos meus sonhos!
Tudo acabou mal mas não muda a pessoa que tu és!
És exactamente aquilo que te dizia tantas vezes ao ouvido!
Coisas que só eu e tu sabemos e vamos recordando!
Um desejo que estejas bem e guardes de mim boa lembrança!
Se assim for nada que pudesse existir me deixaria mais feliz.

Autor: António Benigno
Sabbathius Sep 2014
Esta espada me foi dada
E me dito: "Segue a estrada"
Tal experiência tão falada,
Para sempre recordada

Uma mensagem recebi
E todo o perigo antevi
Neste reino em que vivi
Da escuridão me apercebi

De lá de cima me foi confiado
Que salvasse todo o reinado
Seguindo o caminho encarnado
Com bravos guerreiros a meu lado

Batalhas a dentro todos liderei
Sempre em frente, sempre ganhei!
Muito orgulho trouxe ao rei
E os invasores daqui expulsei!

Invasores estes que me levam agora
Servido o meu propósito est'hora
Meu Senhor, deixasTes-me à nora!
Servi-Vos e mandais-me embora!


*A Mensageira by João Massada is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
Perché i celesti danni
Ristori il sole, e perché l'aure inferme
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta
Delle nubi la grave ombra s'avvalla;
Credano il petto inerme
Gli augelli al vento, e la diurna luce
Novo d'amor desio, nova speranza
Nè penetrati boschi e fra le sciolte
Pruine induca alle commosse belve;
Forse alle stanche e nel dolor sepolte
Umane menti riede
La bella età, cui la sciagura e l'atra
Face del ver consunse
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
Di febo i raggi al misero non sono
In sempiterno? Ed anco,
Primavera odorata, inspiri e tenti
Questo gelido cor, questo ch'amara
Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?
Vivi tu, vivi, o santa
Natura? Vivi e il dissueto orecchio
Della materna voce il suono accoglie?
Già di candide ninfe i rivi albergo,
Placido albergo e specchio
Furo i liquidi fonti. Arcane danze
D'immortal piede i ruinosi gioghi
Scossero e l'ardue selve (oggi romito
Nido dè venti): e il pastorel ch'all'ombre
Meridiane incerte ed al fiorito
Margo adducea dè fiumi
Le sitibonde agnelle, arguto carme
Sonar d'agresti Pani
Udì lungo le ripe; e tremar l'onda
Vide, e stupì, che non palese al guardo
La faretrata Diva
Scendea nè caldi flutti, e dall'immonda
Polve tergea della sanguigna caccia
Il niveo lato e le verginee braccia.
Vissero i fiori e l'erbe,
Vissero i boschi un dì. Conscie le molli
Aure, le nubi e la titania lampa
Fur dell'umana gente, allor che ignuda
Te per le piagge e i colli,
Ciprigna luce, alla deserta notte
Con gli occhi intenti il viator seguendo,
Te compagna alla via, te dè mortali
Pensosa immaginò. Che se gl'impuri
Cittadini consorzi e le fatali
Ire fuggendo e l'onte,
Gl'ispidi tronchi al petto altri nell'ime
Selve remoto accolse,
Viva fiamma agitar l'esangui vene,
Spirar le foglie, e palpitar segreta
Nel doloroso amplesso.
Sola nel mondo eterna, a cui si volve
Ogni creata cosa,
In te, morte, si posa
Nostra ignuda natura;
Lieta no, ma sicura
Dall'antico dolor. Profonda notte
Nella confusa mente
Il pensier grave oscura;
Alla speme, al desio, l'arido spirto
Lena mancar si sente:
Così d'affanno e di temenza è sciolto,
E l'età vote e lente
Senza tedio consuma.
Vivemmo: e qual di paurosa larva,
E di sudato sogno,
A lattante fanciullo erra nell'alma
Confusa ricordanza:
Tal memoria n'avanza
Del viver nostro: ma da tema è lunge
Il rimembrar. Che fummo?
Che fu quel punto acerbo
Che di vita ebbe nome?
Cosa arcana e stupenda
Oggi è la vita al pensier nostro, e tale
Qual dè vivi al pensiero
L'ignota morte appar. Come da morte
Vivendo rifuggia, così rifugge
Dalla fiamma vitale
Nostra ignuda natura;
Lieta no ma sicura,
Però ch'esser beato
Nega ai mortali e nega à morti il fato.
Hoje apetece-me penetrar no fundo da vossa escuridão,
E desde já, uma palavra ao leitor passageiro de viagem,
Estas palavras, são minhas e de quem as consegue ler,
Não são para ninguém, a menos que as consiga querer!
A todas as almas negras da minha vida, peço calma,
Não podereis ter sabor de vitória, nem de mim glória,
Sendo pobre que nem riacho sem peixes, ou rico de gral,
Como pobre, sou feliz porque respiro o cheiro do amor,
Do amor que me consola e que como eu se sente rico!
Se fossem de riqueza os meus bolsos, eram as coisas mais simples,
Que teriam lugar em minha vida, pois só assim me deitaria feliz!
Por isso nem que o corpo me tirem, nunca nem assim me venderei,
Nunca a vós darei almas negras, o desdém de perder a minha honra!
Por mais pobre que sejam minhas vestimentas, há coisas que manterei,
Minha integridade e valores de amor verdadeiro, por amigos e meu amor!
Eles conhecem-me a mim e eu conheço-os a eles, e de vós a ideia não mudarei!
Por isso, dediquem-se a ter uma vida de utilidade, deitem-se à noite ignorantes!
Acordem de manha, pensando em vossas vidas, porque eu estou vivendo,
Apesar de pensarem que quero gritar e me despedir, é mentira agora e será.
Será assim, sempre, porque o destino de minhas mãos, depende de eu querer,
Daquilo que me dedico, eu sei fazer, e por isso faço para as merecer!
O céu agora é escuro, distinto do meu coração verde de esperança,
Não desejo a meus inimigos, pior do que aquilo que quero para mim,
Porém, eu sei que o homem, não faz justiça tão atempo, como a de Deus!
E agora vou dormir, continuar sonhando com os sonhos que de dia já vivi,
Sei que vou acordar na lembrança de alguém, de quem eu amo e me ama também!

Autor: António Benigno
Código de autor: 2013.07.15.02.05
Victor Marques Jan 2011
Intimidades


Na mesma madrugada eu me olhei,
Descobri a nudez e idolatrei.
Na mesma madrugada me deitei,
Ai relva que não pisei?


Na madrugada eu não senti,
Inconstância do que vivi.
Não me levantei, nem deitei,
Madrugada que sonhei.


Madrugada que o galo cantou,
Canto que embalou.
Sol que me olhou,
Madrugada do que sou.

Victor Marques
Estava encostado, ao muro da escada,
Que me levava junto à velha casa,
Meditava ao som de uma doce balada,
Passarinhos cantavam música em brasa!

Despertou em mim, que estava ali especado,
Tamanhos sonhos, que dei um grande grito,
No pensamento, sentia o coração alargado,
Abram-se as portas, sem haver qualquer conflito!

É essa a viagem, a mais esperada e que procurei,
Senti ali a direcção, a um mundo muito nobre,
A frontalidade e a esperança, é agora, e eu achei,
É o mundo onde a minha presença não é pobre!

Ali vale a coragem e a dificuldade dos que tentam,
Vale a alma e a presença da aparência, não é sorte,
Todos se sentem belos, porque se vive sem morte,
Aquela morte passaporte, que na vida é mais forte!

Vi o que desejava ali naquela escada, mas nem sonhava,
Naquela velha casa, meu pai e minha mãe nos preparava,
Enquanto vagueava, pensei que o que eu sonhei, não realizava,
Mas mesmo naquela casa, estava tudo com que ambicionava!

O caminho pra o enxergar foi longo e demorado,
Mas vivi tão perto e durante anos não a alcançava!
Não foi em vão a viagem ganhei vida avantajada,
Tirei do pensamento maravilhas maiores doutro mundo!


Autor: António Benigno
Código de autor: 2014.02.02.21.41.04.02
WNDL Sep 2019
we had different course
but I chose to follow yours
not to be with you but to guide you
but after reaching the peak of your path
then I will return to mine
for I have fulfilled my hearts wish
my soul was slacking
as it was lacking love
Dayanne Mendes Jun 2017
Eu vivi vidrada em uma realidade paralela,
Por muito tempo...
Acreditei em pessoas,
Por muito tempo...
Me perdi nas minhas próprias escolhas,
Por muito tempo...

Vivi sendo julgada por pessoas,
Que eu nem conhecia,
Que mal me conheciam...

Que peso tem a maldade!

Derramei lágrimas e lágrimas de saudade,
Que foram interpretadas como atuação dramática.
As pessoas, elas nunca param!
Falam e falam!

Se enxergar num espelho e refletir sobre si é tão difícil?!
Dayanne Mendes Apr 2015
Eu deixei meu conhaque no carro,
Não dirigi,
Vim a pé do trabalho.
O amor que me mata,
Me sangra e corrompe.
É o mesmo que floresce, nasce, repara.
Eu queria você.
Você não me queria?
Madrugada a fora,
Eu ia.
Dancei a balada dos embriagados,
Terminei nos seus braços,
Doces e salgados,
Eu vivi a utopia da felicidade,
E agora cá estou,
Nessa cidade
Da morte.
Placida notte, e verecondo raggio
Della cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l'insueto allor gaudio ravviva
Quando per l'etra liquido si volve
E per li campi trepidanti il flutto
Polveroso dè Noti, e quando il carro,
Grave carro di Giove a noi sul capo,
Tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
Natar giova trà nembi, e noi la vasta
Fuga dè greggi sbigottiti, o d'alto
Fiume alla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell'onda.
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
Infinita beltà parte nessuna
Alla misera Saffo i numi e l'empia
Sorte non fenno. À tuoi superbi regni
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo. A me non ride
L'aprico margo, e dall'eterea porta
Il mattutino albor; me non il canto
Dè colorati augelli, e non dè faggi
Il murmure saluta: e dove all'ombra
Degl'inchinati salici dispiega
Candido rivo il puro seno, al mio
Lubrico piè le flessuose linfe
Disdegnando sottragge,
E preme in fuga l'odorate spiagge.
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
In che peccai bambina, allor che ignara
Di misfatto è la vita, onde poi scemo
Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
Dell'indomita Parca si volvesse
Il ferrigno mio stame? Incaute voci
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
Dè celesti si posa. Oh cure, oh speme
Dè più verd'anni! Alle sembianze il Padre,
Alle amene sembianze eterno regno
Diè nelle genti; e per virili imprese,
Per dotta lira o canto,
Virtù non luce in disadorno ammanto.
Morremo. Il velo indegno a terra sparto
Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,
E il crudo fallo emenderà del cieco
Dispensator dè casi. E tu cui lungo
Amore indarno, e lunga fede, e vano
D'implacato desio furor mi strinse,
Vivi felice, se felice in terra
Visse nato mortal. Me non asperse
Del soave licor del doglio avaro
Giove, poi che perir gl'inganni e il sogno
Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
Giorno di nostra età primo s'invola.
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra
Della gelida morte. Ecco di tante
Sperate palme e dilettosi errori,
Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno
Han la tenaria Diva,
E l'atra notte, e la silente riva.
Rui Serra Jul 2014
tu
Estou na margem... Para lá do abismo.
Longe de mim ficaram os momentos que vivi à beira-mar. Mais longe, como uma visão, o teu rosto vindo do céu, esses lábios que não são do ser que nunca fostes e que eu beijei ao esquecer-me de beijar. Tua mão desdobra meus dedos, dobrados pelo tempo. Se o que sou não sinto, o que sinto e sou não importa.
Perché i celesti danni
Ristori il sole, e perché l'aure inferme
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta
Delle nubi la grave ombra s'avvalla;
Credano il petto inerme
Gli augelli al vento, e la diurna luce
Novo d'amor desio, nova speranza
Nè penetrati boschi e fra le sciolte
Pruine induca alle commosse belve;
Forse alle stanche e nel dolor sepolte
Umane menti riede
La bella età, cui la sciagura e l'atra
Face del ver consunse
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
Di febo i raggi al misero non sono
In sempiterno? Ed anco,
Primavera odorata, inspiri e tenti
Questo gelido cor, questo ch'amara
Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?
Vivi tu, vivi, o santa
Natura? Vivi e il dissueto orecchio
Della materna voce il suono accoglie?
Già di candide ninfe i rivi albergo,
Placido albergo e specchio
Furo i liquidi fonti. Arcane danze
D'immortal piede i ruinosi gioghi
Scossero e l'ardue selve (oggi romito
Nido dè venti): e il pastorel ch'all'ombre
Meridiane incerte ed al fiorito
Margo adducea dè fiumi
Le sitibonde agnelle, arguto carme
Sonar d'agresti Pani
Udì lungo le ripe; e tremar l'onda
Vide, e stupì, che non palese al guardo
La faretrata Diva
Scendea nè caldi flutti, e dall'immonda
Polve tergea della sanguigna caccia
Il niveo lato e le verginee braccia.
Vissero i fiori e l'erbe,
Vissero i boschi un dì. Conscie le molli
Aure, le nubi e la titania lampa
Fur dell'umana gente, allor che ignuda
Te per le piagge e i colli,
Ciprigna luce, alla deserta notte
Con gli occhi intenti il viator seguendo,
Te compagna alla via, te dè mortali
Pensosa immaginò. Che se gl'impuri
Cittadini consorzi e le fatali
Ire fuggendo e l'onte,
Gl'ispidi tronchi al petto altri nell'ime
Selve remoto accolse,
Viva fiamma agitar l'esangui vene,
Spirar le foglie, e palpitar segreta
Nel doloroso amplesso.
Io vorrei, superato ogni tremore
giungere alla bellezza che mi incalza,
dalla rovina del silenzio, fonda,
togliere la misura della voce
e cantare all'unisono coi suoni;
stamparmi nelle palme ogni vigore
in crescita perenne e modulare
un attento confine con le cose
ov'io possa con esse colloquiare
difesa sempre da incipienti caos.
Vorrei abitare nel segreto cuore
centro d'ogni più puro movimento,
animare di me gli spenti aspetti
dei fantasmi reali e riplasmare
le parabole ardenti ove ogni grazia
è tocca dal suo limite. Variata
stupendamente da codesti incontri
numererò la plurima mia essenza
entro un solo, perenne,
insistere di toni adolescenti.
Nell'aperta misura delle ali
del più libero uccello,
nel vigore degli alberi,
nella chiarezza-musica dei venti,
nel frastuono puerile dei colori,
nell'aroma del frutto,
sarò creatura in unico e diverso
principio, senza origine né segno
d'ancestrale condanna.
E so, per questa verità, che il tempo
non crollerà spargendo le rovine
dei violati contatti alla mitezza
del mio nuovo apparire, né la sacra
identità del canto verrà meno
ai suoi idoli vivi.
Mateuš Conrad Dec 2015
whether a critic or whether a writer, the most popular genre in modern times in the west is either autobiographical, or disguised biographical... i call it ******* literature of the worst kind... some call mere thinking intellectual *******, those ingrained in the thinking that education per se is just that, and expressing it on paper is just that, what a horrid bunch of people, worse of than the religious types, who at least cling to something, the last rite of man worshipping man involved man having to pray to a man suffering on the ultimate geometry that's the cross, so instead of taking the man down from the cross, they did the opposite: 'hang on! hang on just a little bit longer! we'll just add to judas' profit! hang on old chap! we're coming to get you and take you off the cross! we'll just investigate the chance of making profit, creating a pyramidal ecclasiastical order and you'll be off the perfect geometry of intersection in no time!' ****** sadists... where were we? ah yes... autobiographies... the critics and writers summon the words, like: 'i am quite prepared to be searingly, plum honest waiting for the limo under the eye for the insomniac marks of swollen eye about my life...' i'm sure you are, considering the fact you already lived it, and are now about to revise it; it's like watching a bunch of dead people having another stab at life... they lived it, now they're going to write about it, hardly a reason to summon ghost writers, i'm sure, but that's not really automation; memory if a fickle faculty, disrupted by the educational system feeding you useless pythagorean theorems,  memory is subtle, fragile like a snowflake, once it happens, once the imprint is made, it vanishes, and becomes deistorted from the objective reality, which turns the event, any event, into a falsification process, a subjective reality, we cling to pleasant memories because of the pain ahead, and we do something that nature does with its natural selection: selective memorisation. a true autobiography is therefore something that's written without memory, life as it happens, the opposite of painting with its still life tactic... life as it happens... otherwise we're talking literature's post mortem ex vivi / -o (about the hyphen attached to a letter in a moment)... it was simply those two hands of shade with hammer and chisel grinding little trenches of lettering into the gravestone... goth macabra... a dead man writing his own epitaph... so far went his self-knowledge that it became apparent that no one really knew him. hence? the best autobiographies are those with the mundaneity of life's purposes, written as life happens, deviating from what life could be, truly immersed in life as life in deviation from what can be associated with life's purposes requesting other people's involvement; or least that's the sort of autobiography i'd like to read, less lying involved to a peerage of an admirable social status, and more 'in the moment' moments to consider, quiet frankly no ******* of 'gone with the wind,' hence my other joke, less subtle: a book rather than a door - knock knock (actual knocking on compressed wood that's paper) - who's there? - a reader - answer: flick flick flick and no skimmed reading, please!

two concepts i rather avoid,
so i did, i made (i) a priori
into a- priori
and (ii) a posteriori
into a- posteriori,
standard literal dictionary definition
without elaboration places
(i) as: from the one before -
thus the hyphenated activity replaces
literal meaning as:
without the one before -
in the current situation, and with
the current population currency
at above 6 billion - it means
without hercules, adam, abraham,
moses, jesus, etc.
the same goes for a- posteriori,
i.e. without the one after...
and if i'm not being pedantic enough
the distinction between *a
and a-
is that the meaning of the unit in
italics means from, while adding
the hyphen as a preposition to
circumstance it as a prefix changes the
meaning to without-,
given that the priori & posteriori
abide by the sixth definition of the unit
discussed, i.e. before a consonant, p is a consonant,
as much as the word amoral defines proper
a- usage and understanding;
however, the point is not about this,
rather tha activity of what happens when
the dynamic changes, by replacing a / a-
with re- / res.
the resulsts are staggering:

(i)
re- priori                    v.              res priori
again the one                             indivisible thing(s)
before                                         before

(ii)
re- posteriori              v.             res posteriori
again the one                             indivisible thing(s)
after                                            after.

for each there's an example, there's a parallelism
in the res examples, e.g. the sun, the moon, the earth,
mountains can crumble, trees can be cut down
to toothpicks...

the re- examples have a certain ambiguity to them,
give the possibility of a dodo / white rhino extinction,
these example are ordained by an ambiguity
naturally, depending on which factor is stressed more,
whether that be man in a japanese symbiosis
with nature, or whether that be man in a european
symbiosis with nature...
given that the former includes man in nature
and allows a neighbouring,
or with the later, which excludes man from nature
and allows man's egoism to come
crashing down not being able to tame a tsunami.
Evelin G hoffman Sep 2018
Mi vida esta invadida por una inmensa tristeza . Son innumerables los momentos que estas en mi mente , sonriendo, hermosa, feliz en mis brazos como esa mujer que tanto deseo tener ami lado dia dia asi.. llena de alegría por tenernos.

Pero al ver que tus días se an combertido en tormentos, porque mi compañía y mi amor dejaron de ser suficientes, porque se que nosoy solo para ti de la forma que tu corazon necesita.. al diablo la sociedad, lo que este bien o mal en ese mundo que mas me da, si no tengo tu sonrisa.

Dicen que no hay q meter a Dios enla politica, pero se que el daria 3 votos ami favor porque al final donde hay amor, pues que gane el amor. Pero me voy y te dejo libre porque se que tengo que luchar por la carne de mi carne.. aunque sienta esta decepcion dentro de mi misma porque quiero correr a tus brazos porque nada me llena ni me hace feliz en este momento , porque siento miedo y celos tambien de que estas haciendo tu vida lejos de la mia.

No quiero que llores por mi , dejame llorar ami por las dos. Quiero desde lo mas profundo de mi alma que seas feliz, deja que sea yo la que se retuerza de celos cuando te vea feliz al lado de otra persona que te dio lo que esta cobarde no pudo. Deja que sea yo la que te llore a mares por el resto de mi vida.

Se que hay dias de sol, dias de lluvia y de tormentas. Pero la tormenta de tu recuerdo nunca se alejara de mi, porque se lo que vivi, se que es real. Se que esa coneccion se quedara en mi memoria por el resto de mis días . Vuelvo a mi monotonia pero ahora atormentada por ese recuerdo perfecto de tu sonrisa cuando estamos juntas.
"Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d'amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo. " - Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. -
"Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance,
alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
questo voglio, dell'ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso m'ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ** qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater."
Mariah Tulli Jun 2019
Na mesma posição, estática por dentro, pra quem olha de fora a inquietação é vívida, aquele esfregar das mãos e as pernas que não param de balançar. Gosto de observar a fundo todas as situações enquanto a mente tenta formular algo pra dizer, mas por final já está tudo pronto e a boca parece estar acostumada a repetir aquelas falas. Sabe quando você para na beira de uma cachoeira contemplando aquela natureza linda e nota como a água segue o seu fluxo natural? É apenas sobre isso... A vida adulta é sobre aceitação ela disse, mal sabia o quão habituada estou a essa palavra, já faz parte de mim a um bom tempo. O chá de camomila esfriou, o sono prometido nem deu as caras e sigo escutando as gotas de água caindo sobre o chão da vila, acompanhada das minhas escorrendo pela face. Agradeço pelo encontro, vivi mais uma vez e foi bom.
Vi Jun 19
They call me
A...
Mummy
Partner
& Love

They call me
Friend
Lover
Playmate

They call me
Sister
Daughter
& Auntie Iva

They call me
Mother Dearest
When they're feeling
Cultured
& Refined

Or Mummylumps
When feeling
Content
Shiny
Or snugly

They call me
Hey you
Miss
& Ma'am
When I'm just another body
In line
In traffic
In their way

They call me
Vivi
Vi
Or by my full name
When they know my mom and dad

They call me
Student
Client
Patient
Or User
When they want my money

They call me
With tears, sometimes
Or with ire
With confusion
Joy
Or small triumphs
When I have the privilege
Of being their person


They call me names
These are their names
They are not mine
Written on silent solo retreat spring 2024
dead0phelia May 2019
I
não pode ser justo que eu tenha nascido nesse mundo com a culpa de uma vida inteira que ainda nem vivi que antes de ter chegado meus olhos já tivessem visto tudo o mais que eu não pudesse suportar e carregado tanto peso em minhas costas pequenas costas de criança frustrada interrompida silenciada com medo sem nem saber o porquê era o peso de uma mulher pesada amargurada despreparada sozinha cansada invalidada com medo era também a ironia de que aquilo que eu mais temia a mulher pesada que me tinha em seu colo era também o que eu mais viria a precisar desde o leite e da pedra a mulher pesada aquilo que eu mais temia a que me tinha em seu seio era também o que eu viria a me tornar sem escapatória sem saber que eu já havia me tornado muito antes de existir e a culpa tão grande a culpa desde o leite e da pedra
Credei ch'al tutto fossero
In me, sul fior degli anni,
Mancati i dolci affanni
Della mia prima età:
I dolci affanni, i teneri
Moti del cor profondo,
Qualunque cosa al mondo
Grato il sentir ci fa.

Quante querele e lacrime
Sparsi nel novo stato,
Quando al mio cor gelato
Prima il dolor mancò!
Mancàr gli usati palpiti,
L'amor mi venne meno,
E irrigidito il seno
Di sospirar cessò!

Piansi spogliata, esanime
Fatta per me la vita
La terra inaridita,
Chiusa in eterno gel;
Deserto il dì; la tacita
Notte più sola e bruna;
Spenta per me la luna,
Spente le stelle in ciel.

Pur di quel pianto origine
Era l'antico affetto:
Nell'intimo del petto
Ancor viveva il cor.
Chiedea l'usate immagini
La stanca fantasia;
E la tristezza mia
Era dolore ancor.

Fra poco in me quell'ultimo
Dolore anco fu spento,
E di più far lamento
Valor non mi restò.
Giacqui: insensato, attonito,
Non dimandai conforto:
Quasi perduto e morto,
Il cor s'abbandonò.

Qual fui! Quanto dissimile
Da quel che tanto ardore,
Che sì beato errore
Nutrii nell'alma un dì!
La rondinella vigile,
Alle finestre intorno
Cantando al novo giorno,
Il cor non mi ferì:

Non all'autunno pallido
In solitaria villa,
La vespertina squilla,
Il fuggitivo Sol.
Invan brillare il vespero
Vidi per muto calle,
Invan sonò la valle
Del flebile usignol.

E voi, pupille tenere,
Sguardi furtivi, erranti,
Voi dè gentili amanti
Primo, immortale amor,
Ed alla mano offertami
Candida ignuda mano,
Foste voi pure invano
Al duro mio sopor.

D'ogni dolcezza vedovo,
Tristo; ma non turbato,
Ma placido il mio stato,
Il volto era seren.
Desiderato il termine
Avrei del viver mio;
Ma spento era il desio
Nello spossato sen.

Qual dell'età decrepita
L'avanzo ignudo e vile,
Io conducea l'aprile
Degli anni miei così:
Così quegl'ineffabili
Giorni, o mio cor, traevi,
Che sì fugaci e brevi
Il cielo a noi sortì.

Chi dalla grave, immemore
Quiete or mi ridesta?
Che virtù nova è questa,
Questa che sento in me?
Moti soavi, immagini,
Palpiti, error beato,
Per sempre a voi negato
Questo mio cor non è?

Siete pur voi quell'unica
Luce dè giorni miei?
Gli affetti ch'io perdei
Nella novella età?
Se al ciel, s'ai verdi margini,
Ovunque il guardo mira,
Tutto un dolor mi spira,
Tutto un piacer mi dà.

Meco ritorna a vivere
La piaggia, il bosco, il monte;
Parla al mio core il fonte,
Meco favella il mar.
Chi mi ridona il piangere
Dopo cotanto obblio?
E come al guardo mio
Cangiato il mondo appar?

Forse la speme, o povero
Mio cor, ti volse un riso?
Ahi della speme il viso
Io non vedrò mai più.
Proprii mi diede i palpiti,
Natura, e i dolci inganni.
Sopiro in me gli affanni
L'ingenita virtù;

Non l'annullàr: non vinsela
Il fato e la sventura;
Non con la vista impura
L'infausta verità.
Dalle mie vaghe immagini
So ben ch'ella discorda:
So che natura è sorda,
Che miserar non sa.

Che non del ben sollecita
Fu, ma dell'esser solo:
Purché ci serbi al duolo,
Or d'altro a lei non cal.
So che pietà fra gli uomini
Il misero non trova;
Che lui, fuggendo, a prova
Schernisce ogni mortal.

Che ignora il tristo secolo
Gl'ingegni e le virtudi;
Che manca ai degni studi
L'ignuda gloria ancor.
E voi, pupille tremule,
Voi, raggio sovrumano,
So che splendete invano,
Che in voi non brilla amor.

Nessuno ignoto ed intimo
Affetto in voi non brilla:
Non chiude una favilla
Quel bianco petto in sé.
Anzi d'altrui le tenere
Cure suol porre in gioco;
E d'un celeste foco
Disprezzo è la mercè.

Pur sento in me rivivere
Gl'inganni aperti e noti;
E, dè suoi proprii moti
Si maraviglia il sen.
Da te, mio cor, quest'ultimo
Spirto, e l'ardor natio,
Ogni conforto mio
Solo da te mi vien.

Mancano, il sento, all'anima
Alta, gentile e pura,
La sorte, la natura,
Il mondo e la beltà.
Ma se tu vivi, o misero,
Se non concedi al fato,
Non chiamerò spietato
Chi lo spirar mi dà.
Leydis Jul 2017
Que lastima que no te haya funcionado.
Imagino lo que estas pasando.
No lo imagino, se exactamente que se siente;
que alguien se burle de tus sentimientos,
que tu leña la conviertan en copas de nieves,
que tu hoguera se inunde de agua salada,
que tu mundo se derrumbe como avalancha de fango,
que tus sueños se conviertan en desvelo,
que la estrellas que acobijaste cada noche, dejen de brillar.

¿Como lo se?
¡Lo vivi!
el desamor,
la traicion,
la pesadumbre del olvido,
que te escupan en la cara..
como tú lo hicistes conmigo.  

Si, lo siento….
pero, a mí, no puedes regresar.
Aquí no hay espacios para los tres..
¡Tu, yo, y tu condecorado ego!
Tienes que quedarte con tu trofeo.
Fue por eso que me dejaste ¿no?

Porque mi cuerpo estaba en decadencia,
y el de ella..bueno, en pura primavera.
Porque mis pupilas para ti ya no brillaban,
y los de ella..bueno, la ilusión te acomodaban,
Porque mi cansancio te repugnaba,
mas la energia de esa doncella te aniba.
Porque mis flores marchita estaban,
mas los botones de sus rosales apenas brotaban.
Porque mis rios se secaron,
y de su juventud--emanaban maremotos, manantiales,
que a tu pasion excitaban.  
Que la vida me habia vuelta fria y deteriorada,
mas de ella, su dulzura al hablarte, tu hombria endulzaba.

No sabes amor, cuanto lo siento,
que tu trofeo de juventud, te haya dejado,
por los mismos galardones, por lo cuales cobardemente,
me abandonastes un dia.

LeydisProse
7/20/2017
https://www.facebook.com/LeydisProse/
hi da s Jul 2019
lembro que um dia acordei e de repente gostava de coisa antiga
e eu:
usava os anéis da minha mãe que eram da minha avó
gostava mais de usar batom com cheiro de velho
tinha apreço por histórias passadas de amor recatado
adorava o fusca do vô.

e passou um tempo, me esqueci desse meu gosto indo de cabeça na juventude adolescente incorporando meu olhar a moda daquele tempo.

até que o tempo passou e mais uma vez me apaixonei pela velhice; usava vestidos floridos e bem cortados, assistia filmes antigos e suspirava viver numa época em que vanguardas nasciam e a arte, política e comportamentos revolucionários construiam caminhos que hoje apenas nos inspiramos.

por um tempo quis fingir que o digital não existia pintando em telas, escrevendo em papéis, datilografando e fotografando em rolo; tudo pra construir uma cegueira sobre as atualizações constantes ao redor.

é engraçado ver o tempo passar e imaginar minhas tentativas de cópia do passado que nunca vivi e tanto desejei. esquecendo que o agora é onde devo estar e que aquele tal passado fabuloso era difícil e mais solitário, árduo e penoso.

o ontem já é passado e uma hora atrás também, é só olhar no relógio do celular.
Mariana Seabra Mar 2022
Ó vida!

Que de ti se apagou a luz

Da escrita criativa.



Não foi de ti, vida,

Foi de mim.



Foi de mim que se extinguiu!

E a mim que ela levou,

                Depois que me partiu…

Como se me levasse a vida!

Toda!

            a que existia.



E como é criativa,

A musa que me inspira à escrita!

Foi de mim;

Levou-me a vida;

                              Mas conseguiu deixar-me viva.



“Tem tanto de triste

Como de cruel:

Ser peso morto que respira.”



Escrevi isso em algum papel…

Que logo depois perdi,

Ou se molhou,

Ou o esqueci,

Em algum lugar

Ao qual não pretendo voltar.



Mais tarde, estava de frente com o Mar

Quando dei por mim a chorar…



Em algum momento pensei:

“Talvez a dor da sua partida

Seja outra faísca perdida no ar

À qual me vou agarrar,

E sentir entre os dedos

Antes de a transformar  

Em algo mais.”



O “algo mais” que me referia,

Creio que seja esta desordenada poesia.



É o sangue quente, frio, vermelho, azul, é rio, és fogo,

Sou maresia, és eu, sou tu, somos nós, é o mundo,

É a fantasia, é a verdade disfarçada de ironia,

É dor, é amor, é tudo o que caiba num poema,

É tudo o que faça encher; se possível, transbordar!



Foram tantos!  

Os que me imploraram para os escrever.

Era eu que ia buscar a inspiração;

Ou era ela que me vinha socorrer?!



No frenesim da escrita maldita

Ficou outra questão por responder.



A caneta tornou-se um órgão essencial

Que não pedi para transplantarem cá dentro;

Sentia a sua forte presença nos momentos de maior alento;

Era a ponte que eu percorria, entre o sentir e o saber;

Assisti enquanto se estendia; dobrava! mas nunca partia;

Até encontrar na página branca uma saída

Para poder florescer; e florescia!

Nascia uma folha que era tecida; com uma teia tão fina que ninguém via;

Só brilhava quando a luz lhe batia; resplandecia!

Quando existia uma ligação direta entre mim e a magia;

De estar na beira do precipício entre a morte e a armadilha;

A que escolhem chamar de vida.



Ah! Musa criativa…

A única que me inspira à escrita!

Sei que um dia te irei reler,

Mas só quando estiver pronta para te entender.



Prometo que vou fazer por o merecer!



Talvez quando esta agonia paradoxal

De ser

Tão humana e sentimental

De ter

De amar à distância  

Uma humana tão excecional

Fizer sentido;  

                        Ou então desaparecer!



Foi um “adeus” que nem te cheguei a dizer…



Nem vou tentar romancear

Toda a angústia que vivi; contida

Numa simples despedida.  



Foi como se dissesse adeus à vida!



Pois nem toda a tinta

Alguma vez já vertida

Serviu para camuflar o *****

Que saiu da minha espinha

Quando a adaga me acertou.



Até hoje, nem eu sei como me atingiu!

Se fui eu que não a vi,

Ou se fui eu quem a espetou?!



Mas era *****, muito *****,

Tudo o que de mim sangrou;

Quando descobri,

Num mero dia, num inferno acaso,

Que no final das contas

A única que eu tanto amava

Se tinha entregue a um alguém tão raso.



Tapei os olhos com terra suja!...

Tal como decidiu fazer a minha musa.



“O pior cego é o que não quer ver!”

Prefere fechar os olhos porque abri-los é sofrer!



Induzi-me à cegueira;

Amnésia propositada;

Alma bem trancada;

Tudo para a tentar esquecer.



Tudo para lhe pagar na mesma moeda!



Então, claramente, o desfecho da narrativa só poderia ser:

De olhos bem fechados se deu a queda…



Foi assim que aprendi:

A vingança tal como o ódio,

É veneno para quem a traz!



Parei…

Dei um, dois, três, quatro, cinco mil passos atrás.

Relaxei…

Segui em frente.

                                         Lá ia eu  

                                                        com a corrente…



Inspirei amor e paz.



E foi assim que os abri,

Com uma chapada de água fria.



Não posso dizer que não a mereci.



Foi à chuva, nua, de frente com a verdade pura e crua,  

que descobri do que era capaz; e quando soltei ar de novo,  

expeli branco, afastou-se um corvo, brilhou o sol com a lua atrás, e:



Ahhhhh! Lá estava ela, exatamente ali!



Onde sempre tinha estado.

No lugar que lhe era reservado,

Onde estava eu também.



Olhamo-nos;

Com um olhar triste; influenciado

Por restos de terra suja

Que ainda não se tinham descolado.



                                                             Quase não aguentei;

                               Contrariei

                              A vontade de fugir;

                                                               ­                                                                 ­      
                                                                ­      E sorri-lhe…



Já fui um ser não tão humano,

Que até para amar estava cansado!

Preso por correntes de ilusões;

Ego;

Egoísmo;

E muito mais do que considero errado.



Como tudo na História

Isso pertence apenas ao passado.



Ah! Musa criativa…

A única que me inspira à escrita!

Ela, melhor que ninguém, o deveria saber;

Que me tornei um ninguém melhor,

Só por a conhecer.



Fiquei mais ardida

Que a Roma Antiga!

Quando aquela louca,

Tal musa criativa,

Me pegou na mão

E fez-me a vida colorida.



(Despertou-me fogo no coração!)



Alastrem-se cores de cinza!

Espalhem-se! Que os vamos fazer ver:

Mesmos os templos em ruína

São possíveis de reerguer.

— The End —