Submit your work, meet writers and drop the ads. Become a member
Mafe Oct 2012
"Abre sua aversão;
Eis que um nauta fala:
- Mestre, vês somente sofrimento no amor?
- O amor pode conter fuligem e até mesmo grasnar, porém uma vez sentido é como parcel:
não se desfaz fácil dentro do peito.
E mesmo que nos faça presente o basto e dorido retrocesso, o medo,
infindável de obstruir a todo esse amor, mais infindável é o anelo que o amor causa-nos.
Estamos sobre escombros, mas o amor é como papelotas angelicais…
Desce ondulado cheio de idas e vindas, corrupiando até a estabilização.
O amor é granívoro, come pequenas as sementes dos defeitos nossos,
belo como o grande milhafre-preto a planar no céu.
É como a retriz que sente o vento a tocar, é o ósculo entre o paraíso e a imensidão.
Oco somos antes de amar.
Somos como o barril quebrado sem vinho, esperando que o tanoeiro nos venha resgatar.
Encher-nos a transbordar.
Ouça o execrável grito do ódio, sendo cancelado pelo dulçor deste imenso sentimento.
Ouça o esfolar dos descrentes, incorpóreos.
O amor é um reverbrar eterno de luz em cada alma,
é a calma, e a batida de cada pulsação.
Não se pode obstrui-lo, ou excluí-lo da vida,
pois ela o traz em cada vibração.
Como um frincha encontrada dentro de nós,
convertendo aos poucos cada problema em solução.
Transformando o ingrato em um romântico facúndio,
criando paz em meio a escuridão"
tangshunzi Aug 2014
Se c'è una cosa che dovete sapere su di me .è che io sono ossessionato con la caramella .Zuccherino.fruttato .cioccolatoso caramelle.il termine " golosi " e mi vanno di pari passo .Quindi questo capolavoro candy- ispirato di un matrimonio catturato da Ozzy Garcia Fotografia ?Beh.mi ha colpito con il suo bouquet caramelle ( SI ) .fiori rosa -riempita da Ocean Fiori e un infinito visualizzazione dolci.Clicca qui per tutti i dettagli squisiti .E ' al di là abbastanza .

Condividi questa splendida galleria ColorsSeasonsSpringSettingsOutdoorStylesTraditional Eleganza

Da Sposa.Yoav e ** iniziato .scegliendo un luogo che potesse ospitare il nostro matrimonio all'aperto .l'aria calda Miami .una tregua benvenuto da inverni ventoso di Chicago e



Amsterdam e un minimo cambiamento climatico per i nostri 30 membri della vestiti da sposa famiglia che hanno fatto il viaggio dalla lontanaIsraele.La nostra visione per la sera era comfort casual con un lato di zucchero e un paio di sorprese lungo la strada.Jessica Masi di JCG eventi assicurato che questa visione è venuto a vita e Ozzy Garcia .di Ozzy Garcia Fotografia .artisticamente catturato questa visione e immortalato esso .
Avevamo fratello Yoavs officiare una parte della cerimonia .perché abbiamo ritenuto che quando si trattava di integrare i dati personali .chi poteva raccontare la nostra storia meglio di qualcuno che è stato lì fin dall'inizio ?Abbiamo voluto questo per impostare il precedente e il tono per il matrimonio a tutti i presenti .testimoniando il primo giorno della nostra vita in coppia .sono stati tutti .personaggi integrali amare nella nostra storia .

amore è dolce .il mio amore per la caramella è ancora più dolce .e ** sempre saputo che volevo il mio bouquet di essere fatto di caramelle .Alcune persone si asciugano i loro mazzi di fiori .alcune persone li salvano .avevo intenzione di mangiare la mia.Grazie alla Donut Divas .** avuto un ottimo spuntino a tarda notte sulla mia prima notte di nozze !Alcuni dei miei dolci preferiti di zucchero .marshmallow e M \u0026 Ms .sono stati abilmente collocato in un cono di cialda gigante.Il vantaggio di avere un matrimonio in giro per le vacanze di Pasqua è che anche l'erba nel bouquet era commestibile .

Oltre alla mia dipendenza da zucchero .credo davvero che ci sono pochi prodotti alimentari in questo mondo che può farmi felice come una torta di compleanno Publix negozio di alimentari .Al fine di condividere il mio amore per questa confezione con gli altri.dolci display ci ha fatto diversi stand torta di legno colorati .a cui Ocean Fiori aggiunto qualche scintilla .e abbiamo avuto diversi gusti di 8 pollici torte Publix poste sulle tavole di accoglienza .Il piano era quello di rimuovere le torte dopo cena e li hanno tagliati per dessert .ma i nostri ospiti seduti a questi tavoli è diventato così possessivo nei dolci sul loro tavolo che non avrebbe permesso a nessuno di toccarli .I nostri ospiti scavate con le loro forchette .senza nemmeno togliere dalla torta stare !

Oltre a tutti gli elementi fugaci di zucchero che è andato in nostro giorno speciale - le carte escort .il bouquet .i pop anello caramelle .lecca-lecca ragazza di fiore.il candy bar .le torte Publix - Penso che uno dei nostri ricordi preferiti dail giorno è venuto da Erin Una Chainani .** letto di Erin online circa due anni fa dopo googling Miami ritrattista .** chiamato Erin e le ** chiesto se lei sarebbe così incline a frequentare il nostro matrimonio e dipingere una scena.Non solo era pronto.ma ha dipinto due scene di boot!Ha catturato uno della cerimonia e uno del nostro primo ballo in coppia .

Quando il mio nuovo marito ed io stavamo confrontando le note dopo il matrimonio .entrambi abbiamo notato abiti da sposa corti che molte persone ci hanno offerto questo consiglio .amare ogni secondo di questa giornata perché va così veloce .E mentre il giorno ha fatto andare in fretta .non abbiamo mai avuto l'impressione che abbiamo perso tutte le occasioni per tutto dentro E grazie a Erin e Ozzy .abbiamo ricordi che ci ricordano del giorno del nostro matrimonio per sempre .Fotografia

: Ozzy Garcia Fotografia | Floral Design : Mare Flowers | Abito da vestiti da sposa sposa: Pronovias | Wedding Cake: Temptations eleganti | Scarpe : Mojo Moxy | capelli: Tanya Maquez | Abbigliamento dello sposo : Completo di supporto | Cake Stands : Sweet Visualizza | Cake Topper: Questo è il mio Topper | Torte (piccolo ) : Publix Bakery | Candy Profumo: Donut Divas | Cigar Roller : Acope Cigars | Dress Sash : Blue Bird Studio | Orecchini : Matrimoni 826 | Pianificazione + Design : GCP Eventi LLC | Flower Girl Dresses :pretty Flower Girl | Scarpe Flower Girl : Toms | Trucco : Rachel Blair Shapiro | Ritratto Artista : Erin Una Chainani | Wedding Venue : The Palms hotel \u0026
http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-c-1
http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-corti-c-49
http://188.138.88.219/imagesld/td//t35/productthumb/2/2314635353535_397744.jpg
Miami matrimonio al Palms di Ozzy Garcia Fotografia_abiti da sposa 2014
Josias Barrios Jul 2012
El instante en que te vi me di cuenta que eras muy especial lo que no sabia era lo afortunado que habia sido yo el momento que nuestros caminos se cruzaron. No tengo palabras para explicarte lo que me haces sentir cuando estoy contigo, tu sonrisa y tu dulzura inspiran muchas cosas dentro de mi, tu energia me renueva y quisiera estar mas cerca de ti. Tus labios me explicaron que sentias la misma atraccion y tus ojos me contaron lo dificil que es dejar entrar a alguien en tu ser. Eres mi secreto prohibido, cuando te veo, quisiera tomarte entre mis brazos y darte el beso mas profundo de alma a alma, pero tengo que conformarme con un rozo de tu mano, una mirada picara o una sonrisa juguetona. Pasan las horas, cuento los minutos y deseo que los segundos se disuelvan para yo estar junto a ti otra vez.
Nicole Apr 2015
Impregnada de tu olor me encuentro,
en la posterioridad de tan excitante momento.
Mi mente repite cada movimiento,
el vaivén de caderas que majestaron nuestros cuerpos.
Subiendo a tu boca lento,
hasta que se mezclan nuestros alientos.
Te deseo y siempre te pienso,
eres una obra de arte que aún no se ha descubierto.
¿Quién me quita estos pensamientos?
Al tenerte frente a mí, son los más perversos.
Te he querido hace tiempo,
pero anhelo de ese suceso uno perfecto.
La postura ante ti mantengo,
mas tu presencia provoca que eso sea un sufrimiento,
al reflexionar sobre las causas del porqué dentro de mí no te tengo.
Está oscureciendo
y mis manos están enloqueciendo,
cada parte de ti quieren ir conociendo,
Existe una promesa y la tenemos que seguir manteniendo.
Nuestra historia se está escribiendo
y al pasar los años se verá el fruto de nuestro largo detenimiento.
Habrá valido la pena tanto aplazamiento,
nuevos libros serán creados relatando cada acontecimiento,
mostrando la pasión que guardamos dentro.
Adrián Poveda Apr 2014
Fuimos momentos de alguna eternidad, fuimos silencios, historias sin contar, fui para ti un extraño, loco y soñador,
para mí fuiste un camino, un bosque, una selva, un cielo…
imperceptible para mis sentidos, impersonal para mi serenidad,  impronunciable para mi boca, irrenunciable para mi voluntad…
has sido lo que no sabes ser, y la que siempre has sido; dulce como la miel, llena de ideas, silenciosa, impresionante, un paisaje, un poema, siempre un dilema.

Confieso que me enamoró tu misterio, que quiero pretender que no lo sepas, que ideo mil conclusiones de las palabras que no dices, que hay mas en mi de ti, que de mí mismo; que soy lo quiero ser cuando te toco, que soy quien quieres que sea cuando me miras; que no soy nadie, que sólo soy dentro de ti, sin estar dentro de ti.
Fuimos esa eternidad que termina pronto, ese pronto que no termina y que ni siquiera ha llegado. Fuimos lo que nadie ha sido, fuimos sin saberlo, solo dos extraños.
Copyright © 2014 Adrián Poveda All Rights Reserved
Edoardo Alaimo Apr 2016
Quando penso a te,
non sei da qualche parte
a ragionare, a patire.
Un occhio, solo, alla luce,
Uno scudo contro mille lance,
In un terreno di battaglia lontano.
Sei qui con me,
E quando ti penso non ** paura
Né angoscia: io ti ** dentro
Quando ti vedo sei sempre come
Mille libri da cui trarre ispirazione.
Dentro di me, rimani il libro più bello
E il solo vederne la copertina
Mi fa stare meglio:
Sei come il sole, splendido dell'orizzonte,
Che diventa mio, al mattino
Sei una brezza di calma e di serenità
Che sfiora il corpo.
Che io sia ovunque,
Ti tengo stretta:
Con te sono piu forte,
Mi sento migliore
Il mondo intero lo sembra
Vi siano tramonti d'autunno,
O temporali e folgore
Sei la mia buona stella,
In questo luogo,
Dove si annega il pensiero,
E le preoccupazioni
Vorrei stare sospeso con te
In questo luogo;
E raccontarti a chiunque
Tulio Farias Apr 2015
Aquel día vi
Lo que no esperaba
El mundo mas rápido giraba
Era un alma preciosa

Más bella que una prosa
Más dulce que estos versos
Que llegarán a ella
Sin siquiera haberle robado un beso


Que con una palabra
Saca suspiros
Toda mi atención se concentra
Pierdo noción de lo que me rodea

Pero a última hora
Trago mis palabras
Siempre me quedo en blanco
Me pierdo en su brillante mirada

Pero el problema empieza aquí

Me encantaría hacerla reír
Me gustaría hablarle sin parar
Pero se ríe mejor con alguien más
No hay nada que pueda hacer
Ni decir

Me siento capaz
De despertar su más grande interés
Pero el pesimismo ha nublado mi razón
Y el corazón no ve las cosas igual

A veces las ilusiones no dan
Al pensar sobre ellas las ganas se van
Solo queda el realismo y la noche
Que solo rimas me hacen sacar

Algún dia veré
Como se despedirá de todos
Posiblemente de mi
Mientras por dentro lloro

Por haber gastado mi tiempo
En escribir sobre ella tantas hojas
¿Pero que culpa tengo
De que no me escoja?

Nada de esto es perfecto
Es fácil y difícil al mismo tiempo
Te distrae por un momento
Pero cuando no funciona
Dios como lo siento.
Emanuel Martinez Jan 2013
Cada ves que te mirava
Carisia queria darte
Esa carita linda

Amor como te queria
Nunca deje de amarte
En mi corazon gotas de sangre
Cuentan en la eternidad
La profundidad con la que te quiero
Como un reloj de arena eterna

Pedesito de mi alma
Cada momento de existencia
Tu tomas contingo

Que increible la vida
Saber que puedo amar
Pero como tu me rechasas

No quiero amar a nadie mas
Por que la perfeccion que yo busco
Esta escondida dentro de ti

Tras tu rechaso, me vuelvo loco
No entiendo las cadenas
Que me atan a ti
Sin rason, sin autonomia

Mi cuerpo, mi alma, y mi mente
Se atan sin mi permiso
A la idea de tu amor

Como quisiera correr
De la carcel de tu corazon
Donde mi amor esta escondido

Amor como te queria
Nunca deje de amarte
En mi corazon gotas de sangre
Cuentan en la eternidad
La profundidad con la que te quiero
Como un reloj de arena eterna


Pero todo lo que mi ser expressa
Esta fuera de mi control
Cuando me quiero escapar
De lo que siento por ti

Mi mente piensa de ti
Mi alma te siente aqui
Mi cuerpo añora tu carisia

Cada pena que mi corazon
Acumula por ti
Me deja en parálisis
Y no se como puedo escapar

Amor como te queria
Nunca deje de amarte
En mi corazon gotas de sangre
Cuentan en la eternidad
La profundidad con la que te quiero
Como un reloj de arena eterna
January 27, 2013
Dorme la corriera
dorme la farfalla
dormono le mucche
nella stalla

il cane nel canile
il ***** nel bimbile
il fuco nel fucile
e nella notte nera
dorme la pula
dentro la pantera

dormono i rappresentanti
nei motel dell'Esso
dormono negli Hilton
i cantanti di successo
dorme il barbone
dorme il vagone
dorme il contino
nel baldacchino
dorme a Betlemme
Gesù bambino
un po' di paglia
come cuscino
dorme Pilato
tutto agitato

dorme il bufalo
nella savana
e dorme il verme
nella banana
dorme il rondone
nel campanile
russa la seppia
sul'arenile
dorme il maiale
all'Hotel Nazionale
e sull'amaca
sta la lumaca
addormentata

dorme la mamma
dorme il figlio
dorme la lepre
dorme il coniglio
e sotto i camion
nelle autostazioni
dormono stretti
i copertoni

dormono i monti
dormono i mari
dorme quel porco
di Scandellari
che m'ha rubato
la mia Liù
per cui io solo
porcamadonna
non dormo più.
Amigo Blas de Otero: Porque sé que tú existes,
y porque el mundo existe, y yo también existo,
porque tú y yo y el mundo nos estamos muriendo,
gastando nuestras vueltas como quien no hace nada,
quiero hablarte y hablarme, dejar hablar al mundo
de este dolor que insiste en todo lo que existe.
Vamos a ver, amigo, si esto puede aguantarse:
El semillero hirviente de un corazón podrido,
los mordiscos chiquitos de las larvas hambrientas,
los días cualesquiera que nos comen por dentro,
la carga de miseria, la experiencia -un residuo-,
las penas amasadas con lento polvo y llanto.
Nos estamos muriendo por los cuatro costados,
y también por el quinto de un Dios que no entendemos.
Los metales furiosos, los mohos del cansancio,
los ácidos borrachos de amarguras antiguas,
las corrupciones vivas, las penas materiales...
todo esto -tú sabes-, todo esto y lo otro.
Tú sabes. No perdonas. Estás ardiendo vivo.
La llama que nos duele quería ser un ala.
Tú sabes y tu verso pone el grito en el cielo.
Tú, tan serio, tan hombre, tan de Dios aun si pecas,
sabes también por dentro de una angustia rampante,
de poemas prosaicos, de un amor sublevado.
Nuestra pena es tan vieja que quizá no sea humana:
ese mugido triste del mar abandonado,
ese temblor insomne de un follaje indistinto,
las montañas convulsas, el éter luminoso,
un ave que se ha vuelto invisible en el viento,
viven, dicen y sufren en nuestra propia carne.
Con los cuatro elementos de la sangre, los huesos,
el alma transparente y el yo opaco en su centro,
soy el agua sin forma que cambiando se irisa,
la inercia de la tierra sin memoria que pesa,
el aire estupefacto que en sí mismo se pierde,
el corazón que insiste tartamudo afirmando.
Soy creciente. Me muero. Soy materia. Palpito.
Soy un dolor antiguo como el mundo que aún dura.
He asumido en mi cuerpo la pasión, el misterio,
la esperanza, el pecado, el recuerdo, el cansancio,
Soy la instancia que elevan hacia un Dios excelente
la materia y el fuego, los latidos arcaicos.
Debo salvarlo todo si he de salvarme entero.
Soy coral, soy muchacha, soy sombra y aire nuevo,
soy el tordo en la zarza, soy la luz en el trino,
soy fuego sin sustancia, soy espacio en el canto,
soy estrella, soy tigre, soy niño y soy diamante
que proclaman y exigen que me haga Dios con ellos.
¡Si fuera yo quien sufre! ¡Si fuera Blas de Otero!
¡Si sólo fuera un hombre pequeñito que muere
sabiendo lo que sabe, pesando lo que pesa!
Mas es el mundo entero quien se exalta en nosotros
y es una vieja historia lo que aquí desemboca.
Ser hombre no es ser hombre. Ser hombre es otra cosa.
Invoco a los amantes, los mártires, los locos
que salen de sí mismos buscándose más altos.
Invoco a los valientes, los héroes, los obreros,
los hombres trabajados que duramente aguantan
y día a día ganan su pan, mas piden vino.
Invoco a los dolidos. Invoco a los ardientes.
Invoco a los que asaltan, hiriéndose, gloriosos,
la justicia exclusiva y el orden calculado,
las rutinas mortales, el bienestar virtuoso,
la condición finita del hombre que en sí acaba,
la consecuencia estricta, los daños absolutos.
Invoco a los que sufren rompiéndose y amando.
Tú también, Blas de Otero, chocas con las fronteras,
con la crueldad del tiempo, con límites absurdos,
con tu ciudad, tus días y un caer gota a gota,
con ese mal tremendo que no te explica nadie.
Irónicos zumbidos de aviones que pasan
y muertos boca arriba que no, no perdonamos.
A veces me parece que no comprendo nada,
ni este asfalto que piso, ni ese anuncio que miro.
Lo real me resulta increíble y remoto.
Hablo aquí y estoy lejos. Soy yo, pero soy otro.
Sonámbulo transcurro sin memoria ni afecto,
desprendido y sin peso, por lúcido ya loco.
Detrás de cada cosa hay otra cosa que es la misma,
idéntica y distinta, real y a un tiempo extraña.
Detrás de cada hombre un espejo repite
los gestos consabidos, mas lejos ya, muy lejos.
Detrás de Blas de Otero, Blas de Otero me mira,
quizá me da la vuelta y viene por mi espalda.
Hace aún pocos días caminábamos juntos
en el frío, en el miedo, en la noche de enero
rasa con sus estrellas declaradas lucientes,
y era raro sentirnos diferentes, andando.
Si tu codo rozaba por azar mi costado,
un temblor me decía: «Ese es otro, un misterio.»
Hablábamos distantes, inútiles, correctos,
distantes y vacíos porque Dios se ocultaba,
distintos en un tiempo y un lugar personales,
en las pisadas huecas, en un mirar furtivo,
en esto con que afirmo: «Yo, tú, él, hoy, mañana»,
en esto que separa y es dolor sin remedio.
Tuvimos aún que andar, cruzar calles vacías,
desfilar ante casas quizá nunca habitadas,
saber que una escalera por sí misma no acaba,
traspasar una puerta -lo que es siempre asombroso-,
saludar a otro amigo también raro y humano,
esperar que dijeras -era un milagro-: Dios al fin escuchaba.
Todo el dolor del mundo le atraía a nosotros.
Las iras eran santas; el amor, atrevido;
los árboles, los rayos, la materia, las olas,
salían en el hombre de un penar sin conciencia,
de un seguir por milenios, sin historia, perdidos.
Como quien dice «sí», dije Dios sin pensarlo.
Y vi que era posible vivir, seguir cantando.
Y vi que el mismo abismo de miseria medía
como una boca hambrienta, qué grande es la esperanza.
Con los cuatro elementos, más y menos que hombre,
sentí que era posible salvar el mundo entero,
salvarme en él, salvarlo, ser divino hasta en cuerpo.
Por eso, amigo mío, te recuerdo, llorando;
te recuerdo, riendo; te recuerdo, borracho;
pensando que soy bueno, mordiéndome las uñas,
con este yo enconado que no quiero que exista,
con eso que en ti canta, con eso en que me extingo
y digo derramado: amigo Blas de Otero.
Victor Marques Dec 2009
Que grande a geração, a de Camões,
Saia de Belém, num pranto oral...
Dizia adeus a grandes multidões!
Olhava o horizonte pequeno Portugal

Traçado o rumo do futuro,
Passado o mar forte e indeciso,
Pegava no leme, firme e duro,
Sem dor, frio ou bramido.

As ninfas, rodeavam o leme,
O Sol, queimava a proa do navio,
O capitão nada teme
Naquele mar, escuro e bravio...

Victor Marques e Atavio Nelson


Chegamos a outros pontos,
Do globo esférico, sem saber!
Que hoje são contos,
Que ainda temos de ler.

Desde Ourique, Calado e Cala trava
Com turbantes brancos reluzentes
Os portugueses lutaram com palavra
Com alegria mostravam seus dentes.

Correram os desertos, tão estéreis
Na defesa de um Santo Universal
Pela cruz combateram infiéis
Dentro e fora de Portugal.

Oh.Isabel que suaves eram tuas flores!
Que rosas encarnadas pueris
Que as músicas sejam cantadas para seus amores
Prendes-te por milagre o teu Diniz.

OH Coimbra.que tiranas do fadário
Oh Sé velha, cheia de segredos
Que encantos lá havia do Hilário
Ainda hoje escritos nos penedos...

Santa Clara, no alto...que te vê clarissa
Jovem, esbelta coimbrã!
Foste, cedo freira e noviça.
Salva-me deste fado, minha irmã!


Olá Marquez, és do Pombal
Traidor, usurpador, ladrão.
NO ódio foste genial.
E TUDO, tudo metia no gibão.
Malandro, enganas-te o teu Rei
Iludiste-o, meu falso...e mandas-te
O Távora, inocente para o cadafalso

Maldito sejas!
Isso não foi Portugal...mas foi
No norte, que uma mulher
Forte, com seios apertados
E espada no dentes bem cerrados
Em serpente e com sua gente
Em zip filas genial
Firme.destinada
Deu a vida mas
Acabou com o Cabral

Sim ali, no monte
Naquele lugar Maria da Fonte

Só com gente destemida, como eu !
Tal como o Lusitano no Gerez
Esta pátria com um plebeu
Concebeu o Tavares com um grande
PORTUGUÊS


Victor Marques
Adrián Poveda Jan 2016
Suenan campanas difíciles de oír, dentro de ti,
son tus metáforas y mi poca cordura en colisión,
formando notas que no podemos decir,

Surcas la nobleza de decir sin decir, naturalmente
quieres que yo diga lo que no puedes contar,
pero ante el andar de la duda y tus acertijos
prefiero volar inconsciente
y darle cabida a un nuevo presente.

Quiero decirte que eres vital para mí
que con tus besos y tus misterios me haces sonreír,
tus recuerdos dibujan conciertos dentro de mí,
es lamentable que me tenga que ir.
A una mujer, una amiga, te quiero...

Copyright © 2016 Adrián Poveda All Rights Reserved
Colhi a alma de tudo quanto toquei
e em tudo quanto olhei larguei parte da minha
o que me torna, hoje, aquilo que sou,
o que me constrói e constitui
são os outros e não eu.

Os outros: as flores banhadas de orvalho,
as árvores vestidas ou nuas,
as paisagens das cidades que amei
mais do que as pessoas com que as corri,
as pessoas que amei e as que toquei apenas
e aquelas que nem a tocar cheguei.

Não sou já gente, se é que fui gente vez alguma!
Será esta alma que trago maior que a minha?
Serei eu, tão cheia de natureza, mais ou menos natural?

Mas serei eu a alma que carrego sem que seja a minha,
o conjunto de seres racionais por dentro de mim
que me controlam o pensamento e, por vezes, o sentir
ou o ser único e puro que sente de forma única e pura?

Serei eu a união de tudo isso,
do que me resta de mim, de quantas versões tenha de mim,
e o que trago dos outros? Serei eu
algo ou alguém sequer?
Importa definir o ser?
Apenas vaho sobre el cristal
con ademanes de ceniza, con estelas de niebla,
señala el mayordomo el lugar reservado
a cada uno de los comensales,
y susurra sus nombres con sílabas de ráfaga.
Franz -todos- bebe copas, copas, copas
de un oro ajado, de un resplandor marchito,
una luz madura en otras tierras
diluidas en la memoria.
¿Dónde estarán los compañeros que no ve?
Acaso fueron arrastrados por las aguas de Heráclito
hasta donde el ocaso se remansa y languidece.
Han cesado las risas. Las palabras son ascuas.
Todo es en este instante
desolación, herrumbre, acabamiento.
Huele a manzanas y a membrillos
demasiado maduros.
A través del ojo de buey
Franz contempla los días
que se aproximan navegando.
La ciudad que lo espera le saluda
con sus brazos alzados a las nubes,
enfundados en terciopelo gris.
Paralizado, congelado, el tiempo
va adquiriendo la pátina de estar atardeciendo,
otoñándose sobre el mar,
sobre la muerte, sobre el amor, sobre la música
que se libera, misteriosamente,
de nadie sabe qué prisiones.
Esta música lleva mucha muerte dentro.
El amor lleva dentro mucha música,
mucho mar, mucha muerte.
La muerte es un amor que habla con el silencio.
El amor es una melodía hija del mar y de la muerte:
asciende, gira, enlaza el cuerpo, lo encadena
hasta asfixiarlo despiadadamente.
La nave fantasmal -pero real- navega-
sobre el amor, sobre la muerte
(también sobre el olvido),
y glisa sobre el arpa de las olas,
navega sobre el agua como el laúd sobre la música
(y es que música y mar tienen el mismo origen).
Este mar lleva dentro mucha música,
mucho amor, mucha muerte.
                        Y también mucha vida.
...Y también mucha vida.
No sólo la que testimonia
el hervor de los brazos blanquísimos de las olas
al otro lado del cristal -solar, lunar- del camarote,
sino la que agoniza en el lado de acá.
Abanicos de plumas y de oro  empiezan a girar.
Giran y giran cada vez más vertiginosamente
-acelerando, siempre acelerando-
absorbidos, cautivos, reclamados por bocas abisales,
fraques azules, grises, rumor de besos y batir de alas,
ojos ennoblecidos por las lágrimas,
labios besados hondamente, que por eso
tienen más vida que quitar,
y el giro, el giro, el vértigo del vals,
el del polaco tísico
que escuchaba en la Valldemosa invernal
golpear insistente sobre el suelo la gota de agua.
El vals futuro, felicidad florida
de la dinastía risueña de los vieneses
resucitados cada 1 de enero en los televisores,
supervivientes de un imperio feliz e injusto
que ya no puede ser.
Son absorbidos, chupados, esclavizados
por lo hondo tenebroso. En el embudo
caen y desaparecen gorjeos de las aves
de los bosques de Viena, huéspedes de las ramas
húmedas de los tilos y los abedules,
aroma de grosellas y frambuesas,
de fresas y de arándanos: todos aprisionados
en las redes de escarcha del otoño.
El implacable sumidero
devora tules, sedas, lámparas de luz azulada,
nubes que se suicidan arrojándose
al hueco que termina
en el corazón verde del mar,
en la hoguera sombría y helada de la nada,
en lo fatal, irreversiblemente mudo.
Los invisibles compañeros
contemplan aterrados y desamparados
ese derrumbamiento que acaba en el silencio.
...El silencio que surca el ataúd de caoba.
a sus desvanecidos compañeros.
Con la clarividencia del moribundo
oye su despedida, sus adioses
con voces de violines, de violas, de violonchelos.
Sonaban a diamante y penumbra.
La nave -¿o ataúd?- en que Franz llega,
irremediablemente solo, cabecea sobre las ondas,
las azota su quilla con ritmo sosegado:
-chasquido, pellizcado, pizzicatto sombrío-
entre dos nadas, entre dos nuncas.
...Entre dos nuncas. El recién llegado
contempla el cielo encajonado
entre dos muros, entre dos sombras, entre dos silencios,
entre dos nadas.
Sentado sobre su banco de cemento
saca de su bolsillo unos trozos de pan,
los desmiga. Da de comer a las palomas.
Victor D López Feb 2019
Heroes Desconocidos: Parte V: Felipe 1931 - 2016  
© 2016, 2019 Victor D. López

Naciste cinco años antes del comienzo de la Guerra Civil Española que vería a tu padre exiliado.
El lenguaje llegó más tarde a ti que a tu hermano pequeño Manuel, y tartamudeaste por un
Tiempo, a diferencia de aquellos que hablan incesantemente sin nada que decir. Tu madre
Confundió la timidez con la falta de lucidez un trágico error que te marcó por vida.

Cuando tu hermano Manuel murió a los tres años de la meningitis, oíste a tu madre exclamar:
"Dios me llevó el listo y me dejó el tonto." Tenías apenas cinco años. Nunca olvidaste esas
Palabras. ¿Como podrías hacerlo? Sin embargo, amaste a tu madre con todo tu corazón.
Pero también te retiraste más en ti mismo, la soledad tu compañera y mejor amiga.

De hecho, eras un niño excepcional. La tartamudez se alejó después de los cinco años para no
Volver jamás, y cuando estaba en la escuela secundaria, tu maestra llamó a tu madre para una
Rara conferencia y le dijo que la tuya era una mente dotada, y que deberías ingresar a la
Universidad para estudiar ciencia, matemáticas o ingeniería.

Ella escribió a tu padre exiliado en Argentina para decirle la buena noticia, que tus profesores
Creían que fácilmente ganarías la entrada a la (entonces y ahora) altamente selectiva universidad Pública donde los asientos eran pocos, y muy difíciles de alcanzar basado en exámenes Competitivos ¿La respuesta de tu padre? Comprale un par de bueyes para arar las tierras.

Esa respuesta de un hombre muy respetado, un pez grande en un pequeño estanque en su nativo Olearos en ese tiempo está más allá de la comprensión. Había optado por preservar su interés
Propio en que continuaras su negocio familiar y trabajara sus tierras en su ausencia. Esa cicatriz También fue añadida a aquellas que nunca sanarían en tu enorme y poro corazón.

Sin la ayuda para los gastos de vida universitarios (todo lo que habrías requerido), quedaste
Decepcionado y dolido, pero no enfadado; Simplemente encontrarías otra opción. Tomaste los Exámenes competitivos para las dos escuelas de entrenamiento militar que proporcionarían una Educación vocacional excelente y un pequeño sueldo a cambio del servicio militar.

De los cientos de aspirantes a los pocos puestos premiados en cada una de las dos instituciones,
Marcaste primero para el más competitiva de las dos (El Parque) y decimotercero para la Segundo, La Fábrica de Armas. Escogiste la inferior para dejarle el puesto a un compañero de
Clase que había quedado eliminado por pocos puntos. Ese eras tú, siempre y para siempre.

En la escuela militar, finalmente estuviste en tu elemento. Te convertiría en una mecánico /
Maquinista de clase mundial, una profesión que te brindaría trabajo bien pagado en cualquier
Parte de la tierra de por vida. Fuiste verdaderamente un genio mecánico quien años más tarde
Añadiría electrónica, mecánica de automóviles y soldadura especializada a tus capacidades.

Dado un taller de máquinas bien montado, podrías con ingeniería inversa duplicar cada maquina
Y montar uno idéntico sin referencia a planes ni instrucciones. Te convertiste en un mecánico
Maestro dotado, y trabajaste en posiciones de línea y de supervisión en un puñado de empresas
En Argentina y en los Estados Unidos, incluyendo a Westinghouse, Warner-Lambert y Pepsi Co.

Te encantó aprender, especialmente en tus campos (electrónica, mecánica, soldadura), buscando
La perfección en todo lo que hiciste. Cada tarea difícil en el trabajo se te dio a ti toda tu vida.
No dormías por la noche cuando un problema necesitaba solución. Hacías cálculos,
Dibujos, planes y trabajabas incluso literalmente en tus sueños con pasión singular.

Estabas en tu elemento enfrentando los rigores académicos y físicos de la escuela militar,
Pero la vida era difícil para ti en la época de Franco cuando algunos instructores
Te llamaban "Roxo" - "rojo" en gallego - que se refería a la política de tu padre en
Apoyo a la República fallida. Finalmente, el abuso fue demasiado para soportar.


Una vez mientras estabas de pie en la atención en un pasillo con los otros cadetes esperando
Dar lista, fuiste repetidamente empujado en la espalda subrepticiamente. Moverte provocaría
Deméritos, y deméritos podrían causar la pérdida de puntos en tu grado final y arresto por
Los fines de semana sucesivos. Lo aguantaste un rato hasta perder la paciencia.

Volteaste hacia el cadete detrás tuyo y en un movimiento fluido lo cogiste por la chaqueta y con
Una mano lo colgaste en un gancho por encima de una ventana donde estaban Parados. Se
Arremolinó, hasta que fue rescatado por dos instructores militares furiosos.
Tuviste detención de Fin de semana durante meses, y una reducción del 10% en el grado final.

Un destino similar le ocurrió un compañero de trabajo unos años más tarde en Buenos Aires que
Te llamó hijo de puta. Lo levantaste en una mano por la garganta y lo mantuviste allí hasta que
Tus compañeros de trabajo intervinieron, rescatándolo al por la fuerza. La lección fue aprendida
Por todos en términos inconfundibles: Dejar a la mamá de Felipe en paz.

Eras increíblemente fuerte, especialmente en tu juventud, sin duda en parte debido a un trabajo
Agrícola riguroso, tu entrenamiento militar y participación en deportes competitivos. A los quince
Años, una vez te doblaste para recoger algo en vista de un carnero, presentando al animal un
Objetivo irresistible. Te cabeceo encima de un pajar. También aprendió rápidamente su lección.

Te sacudiste el polvo, y corriste hacia el pobre carnero, agarrándolo por los cuernos, girándolo
Alrededor varias vueltas, y lanzándolo encima del mismo pajar. El animal no resultó herido, pero Aprendió a mantener su distancia a partir de ese día. En general, fuiste muy lentos en enfadar
Ausente cabeceos, empujones repetidos o referencias irrespetuosas a tu madre.

Rara vez te vi enfadado; y era mamá, no tú, la disciplinaria, con zapatilla en la mano. Recibí
Muy pocas bofetadas tuyas. Mamá me golpeaba con una zapatilla a menudo cuando yo era
Pequeño, sobre todo porque podía ser un verdadero dolor de cabeza, queriendo Saber / intentar / Hacerlo todo, completamente ajeno al significado de la palabra "no" o de mis limitaciones.

Mamá a veces insistía en que me dieras una buena paliza. En una de esas ocasiones por una Transgresión olvidada cuando yo tenía nueve años, me llevaste a tu habitación, quitaste el
Cinturón, te sentaste a mi lado y te pegaste varias veces a tu propio brazo y mano susurrándome
"Llora", lo cual hice fácilmente. "No se lo digas a mamá." No lo hice. Sin duda lo sabía.

La perspectiva de servir en un ejército que te consideraba un traidor por la sangre se te hizo
Difícil de soportar, y en el tercer año de escuela, un año antes de la graduación, te fuiste a unirte
A tu padre exiliado en Argentina, a comenzar una nueva vida. Dejaste atrás a tu amada madre y a
Dos hermanas para comenzar de nuevo en una nueva tierra. Tu querido perro murió de pena.

Llegaste a Buenos Aires para ver a un padre que no recordabas a los 17 años. Eras demasiado
Joven para trabajar legalmente, pero parecías más viejo que tus años (un rasgo compartido).
Mentiste acerca de tu edad e inmediatamente encontraste trabajo como maquinista / mecánico de
Primer grado. Eso fue inaudito y te trajo algunos celos y quejas en el taller sindical.

El sindicato se quejó con el gerente general sobre tu sueldo y rango. Él respondió, "Daré el
Mismo rango y salario a cualquier persona en la compañía que pueda hacer lo que Felipe hace."
Sin duda, los celos y los gruñidos continuaron durante un tiempo. Pero no había compradores.
Y pronto ganaste el grupo, convirtiéndote en su mascota protegida como "hermano pequeño".

Tu padre partió hacia España dentro de un año de tu llegada cuando Franco emitió un perdón
General a todos los disidentes que no habían derramado sangre. Quería que volvieras a
Reanudar el negocio familiar asumido por tu madre en su ausencia con tu ayuda. Pero te negaste a Renunciar tu alto salario, el respeto y la independencia que se te negaban en su casa.

Tendrías escasamente 18 años, viviendo en una habitación que habías compartido con tu padre al
Lado de una escuela. Pero también habías encontrado una nueva querida familia en tu tío José,
Uno de los hermanos de tu padre, y su familia. su hija, Nieves con su esposo, Emilio, y
Sus hijos, Susana, Oscar (Rubén Gordé) y Osvaldo, se convirtieron en tu nueva familia nuclear.

Te casaste con mamá en 1955 y tuviste dos negocios fallidos en el rápido desvanecimiento en la
Argentina a finales de los años 1950 y comienzos de los años 1960. El primero fue un taller
Con una pequeña fortuna de contratos de gobierno no pagados. El segundo, una tienda de
Comestibles, también falló debido a la hiperinflación y el crédito extendió a clientes necesitados.

A lo largo de todo esto, seguiste ganando un salario excepcionalmente bueno. Pero a mediados
De los años 60, casi todo fue a pagar a los acreedores de la tienda de comestibles fallada.
Tuvimos años muy difíciles. Algún día escribiré sobre eso. Mamá trabajo de sirvienta, incluso
Para amigos ricos. Tu salías de casa a las 4:00 a.m. volviendo de noche para pagar las facturas.

El único lujo que tú y mamá retuvieron fue mi colegio católico. No había otra extravagancia. No
Pagar las facturas nunca fue una opción para ustedes. Nunca entró en sus mentes. No era una
Cuestión de ley u orgullo, sino una cuestión de honor. Pasamos por lo menos tres años muy
Dolorosos con tu y mamá trabajando muy duro, ganando bien pero éramos realmente pobres.

Tú y mamá se cuidaron mucho de esconder esto de mí y sufrieron grandes privaciones para
Aislarme lo mejor que pudieron de las consecuencias de una economía destrozada y su efecto a
Sus ahorros de vida y a nuestra cómoda vida. Llegamos a Estados Unidos a finales de los años 60 Después de esperar más de tres años por visas, a una nueva tierra de esperanza.

Tu hermana y cuñado, Marisa y Manuel, hicieron sus propios sacrificios para traernos aquí.
Traíamos unos $ 1, 000 del pago inicial por nuestra diminuta casa, y las joyas empeñadas de Mamá.
(La hiperinflación y los gastos comieron los pagos restantes). Otras posesiones preciadas
Fueron dejadas en un baúl hasta que pudieran reclamarlas. Nunca lo hicieron.

Incluso los billetes de avión fueron pagados por Marisa y Manuel. Insististe al llegar en términos
Escritos para el reembolso con intereses. Fuiste contratado en tu primera entrevista como un
Mecánico de primer grado a pesar de no hablar una palabra de inglés. Dos meses más tarde, la
Deuda fue saldada, mamá también trabajaba, y nos mudamos a nuestro primer apartamento.

Trabajaste largas horas, incluyendo sábados y horas extras diarias. La salud en declive te obligó
A retirarte a los 63 años y poco después, tú y mamá se mudaron de Queens al Condado de Orange. Compraron una casa a dos horas de nuestra residencia permanente en el Condado de Otsego, y, en la Próxima década, fueron felices, viajando con amigos y visitándonos a menudo.

Entonces las cosas empezaron a cambiar. Problemas cardíacos (dos marcapasos), cáncer de
Colon, Melanoma, enfermedad de hígado y renal causada por sus medicamentos, presión arterial
Alta, la gota, Cirugía de la vejiga biliar, diabetes.... Y aún seguiste hacia adelante, como el
Conejito “Energizer”, remendado, golpeado, magullado pero imparable e imperturbable.

Luego mamá comenzó a mostrar señas de pérdida de memoria junto con sus otros problemas de
Salud. Ella oculto bien sus propias dolencias, y nos dimos cuenta mucho más tarde que había un Problema grave. Hace dos años, su demencia empeoraba pero seguía funcionando hasta que
Complicaciones de cirugía de la vesícula biliar requirieron cuatro cirugías en tres meses.

Ella nunca se recuperó y tuvo que ser colocada en un asilo de ancianos con cuido intensivo.
Varios, de hecho, ya que Rechazó la comida y tú y yo nos negamos a simplemente dejarla ir, lo que Pudiera haber sido más noble. Pero "mientras hay vida, hay esperanza" como dicen los españoles.
No hay nada más allá del poder de Dios. Los milagros suceden.

Durante dos años tu viviste solo, rechazando ayuda externa, engendrando numerosos argumentos Acerca de tener a alguien unos días a la semana para ayudar a limpiar, cocinar, y hacer las tareas.
Tu no eras nada sino terco (otro rasgo compartido). El último argumento sobre el tema hace unas
Dos semanas terminó en tu llanto. No aceptarías ayuda externa hasta que mamá regresara a casa.

Sufriste un gran dolor debido a los discos abultados en la columna vertebral y caminabas con uno
De esos asientos ambulatorios con manillares que mamá y yo te elegimos hace años. Te
Sentabas cuando el dolor era demasiado, y luego seguías adelante con pocas quejas. Hace diez
Días, finalmente acordaste que necesitabas ir al hospital para drenar el líquido abdominal.
Tu hígado y riñones enfermos lo producían y se te hinchó el abdomen y las piernas hasta el punto
Que ponerte los zapatos o la ropa era muy difícil, como lo era la respiración. Me llamaste de una
Tienda local llorando que no podías encontrar pantalones que te cupieran. Hablamos, un rato y te
Calmé, como siempre, no permitiendo que te ahogaras en la lástima propia.

Fuiste a casa y encontraste unos pantalones nuevos extensibles que Alice y yo te habíamos
Comprado y quedaste feliz. Ya tenías dos cambios de ropa que aún te cabían para llevar al
Hospital. Listo, ya todo estaba bien. El procedimiento no era peligroso y lo había ya pasado
Varias veces.  Sería necesario un par de días en el hospital y te vería de nuevo el fin de semana.

No pude estar contigo el lunes 22 de febrero cuando tuviste que ir al hospital, como casi siempre
Lo había hecho, por el trabajo. Se suponía que debías ser admitido el viernes anterior, para yo Acompañarte, pero los médicos también tienen días libres y cambiaron la cita. No pude faltar al
Trabajo. Pero no estabas preocupado; Esto era sólo rutina. Estarías bien. Te vería en unos días.

Iríamos a ver a mamá el viernes, cuando estarías mucho más ligero y te sentirías mucho mejor.
Tal vez podríamos ir a comprate más ropa si la hinchazón no disminuía lo suficiente. Condujiste
Al médico y luego te transportaron por ambulancia al hospital. Yo estaba preocupado, pero no Demasiado. Me llamaste sobre las cinco de la tarde para decirme que estabas bien, descansando.

“No te preocupes. Estoy seguro aquí y bien cuidado." Hablamos un poco sobre lo usual, y te
Asegure que te vería el viernes o el sábado. Estabas cansado y querías dormir. Te pedí que me Llamaras si despertabas más tarde esa noche o te hablaría yo al día siguiente. Alrededor de
Las 10:00 p.m. recibí una llamada de tu celular y respondí de la manera habitual optimista.

“Hola, Papi.” En el otro lado había una enfermera que me decía que mi padre había caído.
Le aseguré que estaba equivocada, ya que mi padre estaba allí para drenar el líquido abdominal.
"No entiendes. Se cayó de su cama y se golpeó la cabeza en una mesita de noche o algo,
Y su corazón se ha detenido. Estamos trabajando en él durante 20 minutos y no se ve bien ".

"¿Puedes llegar aquí?" No pude. Había bebido dos o tres vasos de vino poco antes de la llamada
Con la cena. No pude conducir las tres horas a Middletown. Lloré. Oré. Quince minutos después
Recibí la llamada de que te habías ido. Perdido en el dolor, sin saber qué hacer, llamé a mi
Esposa. Poco después vino una llamada del forense. Se requirió una autopsia. No pudría verte.

Cuatro días después tu cuerpo fue finalmente entregado al director de funeraria que había
Seleccionado por su experiencia con el proceso de entierro en España. Te vi por última vez para Identificar tu cuerpo. Besé mis dedos y toqué tu frente mutilada. Ni siquiera podrías tener la
Dignidad de un ataúd abierto. Querías cremación. Tu cuerpo lo espera mientras escribo esto.

Estabas solo, incluso en la muerte. Solo. En el hospital, mientras desconocidos trabajaron en ti. En la Oficina del médico forense mientras esperabas la autopsia. En la mesa de la autopsia
Mientras pinchaban, empujaban, y cortaban tu cuerpo buscando indicios irrelevantes que no
Cambiarían nada ni beneficiarían a nadie, y menos que a nadie a ti.

Tendremos un servicio conmemorativo el próximo viernes con tus cenizas y una misa el sábado.
Nunca más te veré en esta vida. Alice y yo te llevaremos a casa, a tu pueblo natal, al
Cementerio de Olearos, La Coruña, España este verano. Allí esperarás el amor de tu vida.
Quién se unirá contigo en la plenitud del tiempo. Ella no comprendió mis lágrimas ni tu muerte.

Hay una bendición en la demencia. Ella pregunta por su madre, y dice que está preocupada
Porque no ha venido a visitarla en algún tiempo. “Ella viene”, me asegura siempre que la veo.
Tú la visitabas todos los días, excepto cuando la salud lo impedía. Pasaste este 10 de febrero aparte,
El aniversario 61 de bodas, demasiado enfermo para visitarla. Tampoco yo pude ir. Primera vez.

Espero que no te hayas dado cuenta de que estabais aparte el 10, pero dudo que sea el caso.
No te lo mencioné, esperando que lo hubieras olvidado, y tú tampoco. Eras mi conexión con Mamá.
No puede marcar o contestar un teléfono. Tu le ponías el teléfono celular al oído cuando
Yo no estaba en clase o en reuniones y podía hablar con ella. Ella siempre me reconoció.
Estoy a tres horas de ella. Los visitaba una o dos veces al mes. Ahora incluso esa línea de
Vida está cortada. Mamá está completamente sola, asustada, confundida, y no puedo en el corto
Plazo al menos hacer mucho sobre eso. No habías de morir primero. Fue mi mayor temor, y el
Tuyo, pero como con tantas cosas que no podemos cambiar, lo puse en el fondo de mi mente.

Me mantuvo en pie muchas noches, pero, como tú, todavía creía --y creo-- en milagros.
Yo te hablaba todas las noches, a menudo durante una hora o más, en el camino a casa del trabajo Tarde por la noche durante mi hora de viaje, o desde casa mientras cocinaba mi cena.
La mayoría del tiempo te dejaba hablar, tratando de darte apoyo y aliento.

Estabas solo, triste, atrapado en un ciclo sin fin de dolor emocional y físico. Últimamente eras Especialmente reticente a colgar el teléfono. Cuando mamá estaba en casa y todavía estaba
Relativamente bien, yo llamaba todos los días también, pero por lo general hablaba contigo sólo
Unos minutos y le dabas el teléfono a mamá, con quien conversaba por mucho más tiempo.

Durante meses tuviste dificultades para colgar el teléfono. Sabía que no querías volver al sofá,
Para ver un programa de televisión sin sentido, o para pagar más facturas. Me decías adiós, o
"Ya basta para hoy", y comenzar inmediatamente un nuevo hilo, repitiendo el ciclo, a veces cinco o seis Veces. Me dijiste una vez llorando recientemente, "Cuélgame o seguiré hablando".

Te quería, papá, con todo mi corazón. Discutimos, y yo a menudo te gritaba con frustración,
Sabiendo que nunca lo tomarías a pecho y que por lo general solo me ignorarías y harías lo que querías. Sabía lo desesperadamente que me necesitabas, y traté de ser tan paciente como pude.
Pero había días en los que estaba demasiado cansado, frustrado, y lleno de otros problemas.

Había días en los que me sentía frustrado cuando te quedabas en el teléfono durante una hora
Cuando necesitaba llamar a Alice, comer mi cena fría o incluso mirar un programa favorito.
Muy rara vez te corté una conversación por lo larga que fuese, pero si estuve frustrado a veces,
Incluso sabiendo bien cuánto me necesitabas y yo a ti, y cuán poco me pediste.

¿Cómo me gustaría oír tu voz de nuevo, incluso si fuera quejándote de las mismas cosas, o
Para contarme en detalle más minucioso algún aspecto sin importancia de tu día. Pensé que te haría
Tener al menos un poco más de tiempo. ¿Un año? ¿Dos? Sólo Dios sabía. Habría tiempo. Tenía
Mucho más que compartir contigo, mucho más de aprender cuando la vida se relajara un poco.

Tú me enseñaste a pescar (no tomó) y a cazar (que tomó aún menos) y mucho de lo que sé sobre
La mecánica y la electrónica. Trabajamos en nuestros coches juntos durante años--cambios de
Frenos, silenciadores, “tuneas” en los días en que los puntos, condensadores y luces de
Cronometraje tenían significado. Reconstruimos carburadores, ventanas eléctricas, y chapistería.

Éramos amigos, bunos amigos. Fuimos los domingos en coche a restaurantes favoritos o a
Comprar herramientas cuando yo era soltero y vivía en casa. Me enseñaste todo lo que necesito
Saber en la vida sobre todas las cosas que importan. El resto es papel sin sentido y vestidor.
Conocí tus pocas faltas y tus colosales virtudes y te conocí ser el mejor hombre de los dos.

Ni punto de comparación. Nunca podría hacer lo que hiciste. Nunca podría sobresalir en mis
Campos como lo hiciste en los tuyos. Eras hecho y derecho en todos los sentidos, visto desde
Todos los ángulos, a lo largo de tu vida. No te traté siempre así, pero te amé siempre
Profundamente, como lo sabe cualquiera que nos conoce. Te lo he dicho a menudo, sin vergüenza.

El mundo se ha enriquecido con tu viaje sobre él. No dejas atrás gran riqueza, ni obras que te Sobrevivan. Nunca tuviste tus quince minutos al sol. Pero importaste. Dios conoce tu virtud, tu
Integridad absoluta y la pureza de tu corazón. Nunca conoceré a un hombre mejor. Te amaré, te Extrañaré y te llevaré en mi corazón todos los días de mi vida. Que Dios te bendiga, papá.

  Si desean oír mi lectura de la versión original de este poema en inglés, pueden hacerlo aquí:
https://www.youtube.com/channel/UCRUiSZr1_rWDEObcWJELP7w
This is a translation from the English original I wrote immediately after my dad's passing in February of 2016.  Even in the hardest of times suffering from his own very serious medical conditions, my dad was full of love and easy laughter. I will never see his equal, or my mom's. Tears still blur my eyes as they do now just thinking of them with great love and an irreparable sense of loss.
Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l'aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! Allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
E in su l'aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre dè servi. E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.
Né mi diceva il cor che l'età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
Per invidia non già, che non mi tiene
Maggior di sé, ma perché tale estima
Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol dè malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch'** appresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l'allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell'arida vita unico fiore.
Viene il vento recando il suon dell'ora
Dalla torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
Dolce per sé; ma con dolor sottentra
Il pensier del presente, un van desio
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
Quella loggia colà, volta agli estremi
Raggi del dì; queste dipinte mura,
Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
Su romita campagna, agli ozi miei
Porser mille diletti allor che al fianco
M'era, parlando, il mio possente errore
Sempre, ov'io fossi. In queste sale antiche,
Al chiaror delle nevi, intorno a queste
Ampie finestre sibilando il vento,
Rimbombaro i sollazzi e le festose
Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno
Mistero delle cose a noi si mostra
Pien di dolcezza; indelibata, intera
Il garzoncel, come inesperto amante,
La sua vita ingannevole vagheggia,
E celeste beltà fingendo ammira.
O speranze, speranze; ameni inganni
Della mia prima età! Sempre, parlando,
Ritorno a voi; che per andar di tempo,
Per variar d'affetti e di pensieri,
Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
Son la gloria e l'onor; diletti e beni
Mero desio; non ha la vita un frutto,
Inutile miseria. E sebben vòti
Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
Il mio stato mortal, poco mi toglie
La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
A voi ripenso, o mie speranze antiche,
Ed a quel caro immaginar mio primo;
Indi riguardo il viver mio sì vile
E sì dolente, e che la morte è quello
Che di cotanta speme oggi m'avanza;
Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto
Consolarmi non so del mio destino.
E quando pur questa invocata morte
Sarammi allato, e sarà giunto il fine
Della sventura mia; quando la terra
Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
Fuggirà l'avvenir; di voi per certo
Risovverrammi; e quell'imago ancora
Sospirar mi farà, farammi acerbo
L'esser vissuto indarno, e la dolcezza
Del dì fatal tempererà d'affanno.
E già nel primo giovanil tumulto
Di contenti, d'angosce e di desio,
Morte chiamai più volte, e lungamente
Mi sedetti colà su la fontana
Pensoso di cessar dentro quell'acque
La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
Malor, condotto della vita in forse,
Piansi la bella giovanezza, e il fiore
Dè miei poveri dì, che sì per tempo
Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso
Sul conscio letto, dolorosamente
Alla fioca lucerna poetando,
Lamentai cò silenzi e con la notte
Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
In sul languir cantai funereo canto.
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia! ) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l'accolga e chiami?
Fugaci giorni! A somigliar d'un lampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
O Nerina! E di te forse non odo
Questi luoghi parlar? Caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa Terra natal: quella finestra,
Ond'eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
È deserta. Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,
E l'abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Quel confidente immaginar, quel lume
Di gioventù, quando spegneali il fato,
E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
L'antico amor. Se a feste anco talvolta,
Se a radunanze io movo, infra me stesso
Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
Tu non ti acconci più, tu più non movi.
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando alle fanciulle,
Dico: Nerina mia, per te non torna
Primavera giammai, non torna amore.
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,
Dico: Nerina or più non gode; i campi,
L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
Sospiro mio: passasti: e fia compagna
D'ogni mio vago immaginar, di tutti
I miei teneri sensi, i tristi e cari
Moti del cor, la rimembranza acerba.
¡Viejos olivos sedientos
bajo el claro sol del día,
olivares polvorientos
del campo de Andahicía!
¡El campo andaluz, peinado
por el sol canicular,
de loma en loma rayado
de olivar y de olivar!
Son las tierras
soleadas,
anchas lomas, lueñes sierras
de olivares recamadas.
Mil senderos. Con sus machos,
abrumados de capachos,
van gañanes y arrieros.
¡De la venta del camino
a la puerta, soplan vino
trabucaires bandoleros!
¡Olivares y olivares
de loma en loma prendidos
cual bordados alamares!
¡Olivares coloridos
de una tarde anaranjada;
olivares rebruñidos
bajo la luna argentada!
¡Olivares centellados
en las tardes cenicientas,
bajo los cielos preñados
de tormentas!...
Olivares, Dios os dé
los eneros
de aguaceros,
los agostos de agua al pie,
los vientos primaverales,
vuestras flores racimadas;
y las lluvias otoñales
vuestras olivas moradas.
Olivar, por cien caminos,
tus olivitas irán
caminando a cien molinos.
Ya darán
trabajo en las alquerías
a gañanes y braceros,
¡oh buenas frentes sombrías
bajo los anchos sombreros!...
¡Olivar y olivareros,
bosque y raza,
campo y plaza
de los fieles al terruño
y al arado y al molino,
de los que muestran el puño
al destino,
los benditos labradores,
los bandidos caballeros,
los señores
devotos y matuteros!...
¡Ciudades y caseríos
en la margen de los ríos,
en los pliegues de la sierra!...
¡Venga Dios a los hogares
y a las almas de esta tierra
de olivares y olivares!   A dos leguas de Úbeda, la Torre
de Pero Gil, bajo este sol de fuego,
triste burgo de España. El coche rueda
entre grises olivos polvorientos.
Allá, el castillo heroico.
En la plaza, mendigos y chicuelos:
una orgía de harapos...
Pasamos frente al atrio del convento
de la Misericordia.
¡Los blancos muros, los cipreses negros!
¡Agria melancolía
como asperón de hierro
que raspa el corazón! ¡Amurallada
piedad, erguida en este basurero!...
Esta casa de Dios, decid hermanos,
esta casa de Dios, ¿qué guarda dentro?
Y ese pálido joven,
asombrado y atento,
que parece mirarnos con la boca,
será el loco del pueblo,
de quien se dice: es Lucas,
Blas o Ginés, el tonto que tenemos.
Seguimos. Olivares. Los olivos
están en flor. El carricoche lento,
al paso de dos pencos matalones,
camina hacia Peal. Campos ubérrimos.
La tierra da lo suyo; el sol trabaja;
el hombre es para el suelo:
genera, siembra y labra
y su fatiga unce la tierra al cielo.
Nosotros enturbiamos
la fuente de la vida, el sol primero,
con nuestros ojos tristes,
con nuestro amargo rezo,
con nuestra mano ociosa,
con nuestro pensamiento
-se engendra en el pecado,
se vive en el dolor. ¡Dios está lejos!-.
Esta piedad erguida
sobre este burgo sórdido, sobre este basurero,
esta casa de Dios, decid, oh santos
cañones de von Kluck, ¿qué guarda dentro?
Invitación al llanto.  Esto es un llanto,
      ojos, sin fin, llorando,
escombrera adelante, por las ruinas
        de innumerables días.
Ruinas que esparce un cero -autor de nadas,
obra del hombre-, un cero, cuando estalla.
Cayó ciega.  La soltó,
la soltaron, a seis mil
metros de altura, a las cuatro.
¿Hay ojos que le distingan
a la Tierra sus primores
desde tan alto?
¿Mundo feliz? ¿Tramas, vidas,
que se tejen, se destejen,
mariposas, hombres, tigres,
amándose y desamándose?
No. Geometría.  Abstractos
colores sin habitantes,
embuste liso de atlas.
Cientos de dedos del viento
una tras otra pasaban
las hojas
-márgenes de nubes blancas-
de las tierras de la Tierra,
vuelta cuaderno de mapas.
Y a un mapa distante, ¿quién
le tiene lástima? Lástima
de una pompa de jabón
irisada, que se quiebra;
o en la arena de la playa
un crujido, un caracol
roto
sin querer, con la pisada. 
Pero esa altura tan alta
que ya no la quieren pájaros,
le ciega al querer su causa
con mil aires transparentes.
Invisibles se le vuelven
al mundo delgadas gracias:
La azucena y sus estambres,
colibríes y sus alas,
las venas que van y vienen,
en tierno azul dibujadas,
por un pecho de doncella.
¿Quién va a quererlas
si no se las ve de cerca?
Él hizo su obligación:
lo que desde veinte esferas
instrumentos ordenaban,
exactamente: soltarla
al momento justo.                                   Nada.
Al principio
no vio casi nada.  Una
mancha, creciendo despacio,
blanca, más blanca, ya cándida.
¿Arrebañados corderos?
¿Vedijas, copos de lana?
Eso sería...
¡Qué peso se le quitaba!
Eso sería: una imagen
que regresa.
Veinte años, atrás, un niño.
Él era un niño -allá atrás-
que en estíos campesinos
con los corderos jugaba
por el pastizal.  Carreras,
topadas, risas, caídas
de bruces sobre la grama,
tan reciente de rocío
que la alegría del mundo
al verse otra vez tan claro,
le refrescaba la cara.
Sí; esas blancuras de ahora,
allá abajo
en vellones dilatadas,
no pueden ser nada malo:
rebaños y más rebaños
serenísimos que pastan
en ancho mapa de tréboles.
Nada malo.  Ecos redondos
de aquella inocencia doble
veinte años atrás: infancia
triscando con el cordero
y retazos celestiales,
del sol niño con las nubes
que empuja, pastora, el alba.
 
Mientras,
detrás de tanta blancura
en la Tierra -no era mapa-
en donde el cero cayó,
el gran desastre empezaba.Muerto inicial y víctima primera:
lo que va a ser y expira en los umbrales
del ser. ¡Ahogado coro de inminencias!
Heráldicas palabras voladoras
-«¡pronto!», «¡en seguida!», «¡ya!»- nuncios de dichas
colman el aire, lo vuelven promesa.
Pero la anunciación jamás se cumple:
la que aguardaba el éxtasis, doncella,
se quedará en su orilla, para siempre
entre su cuerpo y Dios alma suspensa.
¡Qué de esparcidas ruinas de futuro
por todo alrededor, sin que se vean!
Primer beso de amantes incipientes.
¡Asombro! ¿Es obra humana tanto gozo?
¿Podrán los labios repetirlo?  Vuelan
hacia el segundo beso; más que beso,
claridad quieren, buscan la certeza
alegre de su don de hacer milagros
donde las bocas férvidas se encuentran.
¿ Por qué si ya los hálitos se juntan
los labios a posarse nunca llegan?
Tan al borde del beso, no se besan.
Obediente al ardor de un mediodía
la moza muerde ya la fruta nueva.
La boca anhela el más celado jugo;
del anhelo no pasa.  Se le niega
cuando el labio presiente su dulzura
la condensada dentro, primavera,
pulpas de mayo, azúcares de junio,
día a día sumados a la almendra.
Consumación feliz de tanta ruta,
último paso, amante, pie en el aire,
que trae amor adonde amor espera.
Tiembla Julieta de Romeos próximos,
ya abre el alma a Calixto, Melibea.
Pero el paso final no encuentra suelo.
¿Dónde, si se hunde el mundo en la tiniebla,
si ya es nada Verona, y si no hay huerto?
De imposibles se vuelve la pareja.
¿Y esa mano -¿de quién?-, la mano trunca
blanca, en el suelo, sin su brazo, huérfana,
que buscas en el rosal la única abierta,
y cuando ya la alcanza por el tallo
se desprende, dejándose a la rosa,
sin conocer los ojos de su dueña?
¡Cimeras alegrías tremolantes,
gozo inmediato, pasmo que se acerca:
la frase más difícil, la penúltima,
la que lleva, derecho, hasta el acierto,
perfección vislumbrada, nunca nuestra!
¡Imágenes que inclinan su hermosura
sobre espejos que nunca las reflejan!
¡Qué cadáver ingrávido: una mañana
que muere al filo de su aurora cierta!
Vísperas son capullos. Sí, de dichas;
sí, de tiempo, futuros en capullos.
¡Tan hermosas, las vísperas!
                                                          ¡Y muertas!¿Se puede hacer más daño, allí en la Tierra?
Polvo que se levanta de la ruina,
humo del sacrificio, vaho de escombros
dice que sí se puede.  Que hay más pena.
Vasto ayer que se queda sin presente,
vida inmolada en aparentes piedras.
¡Tanto afinar la gracia de los fustes
contra la selva tenebrosa alzados
de donde el miedo viene al alma, pánico!
Junto a un altar de azul, de ola y espuma,
el pensar y la piedra se desposan;
el mármol, que era blanco, es ya blancura.
Alborean columnas por el mundo,
ofreciéndole un orden a la aurora.
No terror, calma pura da este bosque,
de noble savia pórtico.
Vientos y vientos de dos mil otoños
con hojas de esta selva inmarcesible
quisieran aumentar sus hojarascas.
Rectos embisten, curvas les engañan.
Sin botín huyen. ¿Dónde está su fronda?
No pájaros, sus copas, procesiones
de doncellas mantienen en lo alto,
que atraviesan el tiempo, sin moverse.
Este espacio que no era más que espacio
a nadie dedicado, aire en vacío,
la lenta cantería lo redime
piedras poniendo, de oro, sobre piedras,
de aquella indiferencia sin plegaria.
Fiera luz, la del sumo mediodía,
claridad, toda hueca, de tan clara
va aprendiendo, ceñida entre altos muros
mansedumbres, dulzuras; ya es misterio.
Cantan coral callado las ojivas.
Flechas de alba cruzan por los santos
incorpóreos, no hieren, les traen vida
de colores.  La noche se la quita.
La bóveda, al cerrarse abre más cielo.
Y en la hermosura vasta de estos límites
siente el alma que nada la termina.
Tierra sin forma, pobre arcilla; ahora
el torno la conduce hasta su auge:
suave concavidad, nido de dioses.
Poseidón, Venus, Iris, sus siluetas
en su seno se posan.  A esta crátera
ojos, siempre sedientos, a abrevarse
vienen de agua de mito, inagotable.
Guarda la copa en este fondo oscuro
callado resplandor, eco de Olimpo.
Frágil materia es, mas se acomodan
los dioses, los eternos, en su círculo.
Y así, con lentitud que no descansa,
por las obras del hombre se hace el tiempo
profusión fabulosa.  Cuando rueda
el mundo, tesorero, va sumando
-en cada vuelta gana una hermosura-
a belleza de ayer, belleza inédita.
Sobre sus hombros gráciles las horas
dádivas imprevistas acarrean.
¿Vida?  Invención, hallazgo, lo que es
hoy a las cuatro, y a las tres no era.
Gozo de ver que si se marchan unas
trasponiendo la ceja de la tarde,
por el nocturno alcor otras se acercan.
Tiempo, fila de gracias que no cesa.
¡Qué alegría, saber que en cada hora
algo que está viniendo nos espera!
Ninguna ociosa, cada cual su don;
ninguna avara, todo nos lo entregan.
Por las manos que abren somos ricos
y en el regazo, Tierra, de este mundo
dejando van sin pausa
novísimos presentes: diferencias.
¿Flor?  Flores. ¡Qué sinfín de flores, flor!
Todo, en lo igual, distinto: primavera.
Cuando se ve la Tierra amanecerse
se siente más feliz.  La luz que llega
a estrecharle las obras que este día
la acrece su plural. ¡Es más diversa!El cero cae sobre ellas.
Ya no las veo, a las muchas,
las bellísimas, deshechas,
en esa desgarradora
unidad que las confunde,
en la nada, en la escombrera.
Por el escombro busco yo a mis muertos;
más me duele su ser tan invisibles.
Nadie los ve: lo que se ve son formas
truncas; prodigios eran, singulares,
que retornan, vencidos, a su piedra.
Muertos añosos, muertos a lo lejos,
cadáveres perdidos,
en ignorado osario perfecciona
la Tierra, lentamente, su esqueleto.
Su muerte fue hace mucho.  Esperanzada
en no morir, su muerte. Ánima dieron
a masas que yacían en canteras.
Muchas piedras llenaron de temblores.
Mineral que camina hacia la imagen,
misteriosa tibieza, ya corriendo
por las vetas del mármol,
cuando, curva tras curva, se le empuja
hacia su más, a ser pecho de ninfa.
Piedra que late así con un latido
de carne que no es suya, entra en el juego
-ruleta son las horas y los días-:
el jugarse a la nada, o a lo eterno
el caudal de sus formas confiado:
el alma de los hombres, sus autores.
Si es su bulto de carne fugitivo,
ella queda detrás, la salvadora
roca, hija de sus manos, fidelísima,
que acepta con marmóreo silencio
augusto compromiso: eternizarlos.
Menos morir, morir así: transbordo
de una carne terrena a bajel pétreo
que zarpa, sin más aire que le impulse
que un soplo, al expirar, último aliento.
Travesía que empieza, rumbo a siempre;
la brújula no sirve, hay otro norte
que no confía a mapas su secreto;
misteriosos pilotos invisibles,
desde tumbas los guían, mareantes
por aguja de fe, según luceros.
Balsa de dioses, ánfora.
Naves de salvación con un polícromo
velamen de vidrieras, y sus cuentos
mármol, que flota porque vista de Venus.
Naos prodigiosas, sin cesar hendiendo
inmóviles, con proas tajadoras
auroras y crepúsculos, espumas
del tumbo de los años; años, olas
por los siglos alzándose y rompiendo.
Peripecia suprema día y noche,
navegar tesonero
empujado por racha que no atregua:
negación del morir, ansia de vida,
dando sus velas, piedras, a los vientos.
Armadas extrañísimas de afanes,
galeras, no de vivos, no de muertos,
tripulaciones de querencias puras,
incansables remeros,
cada cual con su remo, lo que hizo,
soñando en recalar en la celeste
ensenada segura, la que está
detrás, salva, del tiempo.¡Y todos, ahora, todos,
qué naufragio total, en este escombro!
No tibios, no despedazados miembros
me piden compasión, desde la ruina:
de carne antigua voz antigua, oigo.
Desgarrada blancura, torso abierto,
aquí, a mis pies, informe.
Fue ninfa geométrica, columna.
El corazón que acaban de matarle,
Leucipo, pitagórico,
calculador de sueños, arquitecto,
de su pecho lo fue pasando a mármoles.
Y así, edad tras edad, en estas cándidas
hijas de su diseño
su vivir se salvó.  Todo invisible,
su pálpito y su fuego.
Y ellas abstractos bultos se fingían,
pura piedra, columnas sin misterio.
Más duelo, más allá: serafín trunco,
ángel a trozos, roto mensajero.
Quebrada en seis pedazos
sonrisa, que anunciaba, por el suelo.
Entre el polvo guedejas
de rubia piedra, pelo tan sedeño
que el sol se lo atusaba a cada aurora
con sus dedos primeros.
Alas yacen usadas a lo altísimo,
en barro acaba su plumaje célico.
(A estas plumas del ángel desalado
encomendó su vuelo
sobre los siglos el hermano Pablo,
dulce monje cantero).
Sigo escombro adelante, solo, solo.
Hollando voy los restos
de tantas perfecciones abolidas.
Años, siglos, por siglos acudieron
aquí, a posarse en ellas; rezumaban
arcillas o granitos,
linajes de humedad, frescor edénico.
No piso la materia; en su pedriza
piso al mayor dolor, tiempo deshecho.
Tiempo divino que llegó a ser tiempo
poco a poco, mañana tras su aurora,
mediodía camino de su véspero,
estío que se junta con otoño,
primaveras sumadas al invierno.
Años que nada saben de sus números,
llegándose, marchándose sin prisa,
sol que sale, sol puesto,
artificio diario, lenta rueda
que va subiendo al hombre hasta su cielo.
Piso añicos de tiempo.
Camino sobre anhelos hechos trizas,
sobre los días lentos
que le costó al cincel llegar al ángel;
sobre ardorosas noches,
con el ardor ardidas del desvelo
que en la alta madrugada da, por fin,
con el contorno exacto de su empeño...
Hollando voy las horas jubilares:
triunfo, toque final, remate, término
cuando ya, por constancia o por milagro,
obra se acaba que empezó proyecto.
Lo que era suma en un instante es polvo.
¡Qué derroche de siglos, un momento!
No se derrumban piedras, no, ni imágenes;
lo que se viene abajo es esa hueste
de tercos defensores de sus sueños.
Tropa que dio batalla a las milicias
mudas, sin rostro, de la nada; ejército
que matando a un olvido cada día
conquistó lentamente los milenios.
Se abre por fin la tumba a que escaparon;
les llega aquí la muerte de que huyeron.
Ya encontré mi cadáver, el que lloro.
Cadáver de los muertos que vivían
salvados de sus cuerpos pasajeros.
Un gran silencio en el vacío oscuro,
un gran polvo de obras, triste incienso,
canto inaudito, funeral sin nadie.
Yo sólo le recuerdo, al impalpable,
al NO dicho a la muerte, sostenido
contra tiempo y marea: ése es el muerto.
Soy la sombra que busca en la escombrera.
Con sus siete dolores cada una
mil soledades vienen a mi encuentro.
Hay un crucificado que agoniza
en desolado Gólgota de escombros,
de su cruz separado, cara al cielo.
Como no tiene cruz parece un hombre.
Pero aúlla un perro, un infinito perro
-inmenso aullar nocturno ¿desde dónde?-,
voz clamante entre ruinas por su Dueño.
Iv
Cuando he llegado aquí se detiene mi mano.
Alguien pregunta: -Dime por qué, como las olas
en una misma costa, tus palabras
sin cesar van y vuelven a su cuerpo?
Ella es sólo la forma que tú amas?
Y respondo: mis manos no se sacian,
en ella, mis besos no descansan
por qué retiraría las palabras
que repiten la huella de su contacto amado,
que se cierran guardando
inútilmente como en la red el agua,
la superficie y la temperatura
de la ola más pura de la vida?
Y, amor, tu cuerpo no sólo es la rosa
que en la sombra o la luna se levanta,
o sorprendo o persigo.
No sólo es movimiento o quemadura,
acto de sangre o pétalo del fuego,
sino que para mí tú me has traído
mi territorio, el barro de mi infancia,
las olas de la avena,
la piel redonda de la fruta oscura
que arranqué de la selva,
aroma de maderas y manzanas,
color de agua escondida donde caen
frutos secretos y profundas hojas.
Oh amor, tu cuerpo sube
como una línea pura de vasija
desde la tierra que me reconoce
y cuando te encontraron mis sentidos
tú palpitaste como si cayeran
dentro de ti la lluvia y las semillas!
Ay que me digan cómo
pudiera yo abolirte
y dejar que mis manos sin tu forma
arrancaran el fuego a mis palabras!
Suave mía, reposa
tu cuerpo en estas líneas que te deben
más de lo que me das en tu contacto,
vive en estas palabras y repite
en ellas la dulzura y el incendio,
estremécete en medio de sus sílabas,
duerme en mi nombre como te has dormido
sobre mi corazón, y así mañana
el hueco de tu forma
guardarán mis palabras
y el que las oiga un día recibirá una ráfaga
de trigo y amapolas:
estará todavía respirando
el cuerpo del amor sobre la tierra!
La mirada interior se despliega y un mundo de vértigo y llama nace bajo la frente del que sueña:
soles azules, verdes remolinos, picos de luz que abren astros como granadas,
tornasol solitario, ojo de oro girando en el centro de una explanada calcinada,
bosques de cristal de sonido, bosques de ecos y respuestas y ondas, diálogo de transparencias,
¡viento, galope de agua entre los muros interminables de una garganta de azabache,
caballo, cometa, cohete que se clava justo en el corazón de la noche, plumas, surtidores,
plumas, súbito florecer de las antorchas, velas, alas, invasión de lo blanco,
pájaros de las islas cantando bajo la frente del que sueña!Abrí los ojos, los alcé hasta el cielo y vi cómo la noche se cubría de estrellas.
¡Islas vivas, brazaletes de islas llameantes, piedras ardiendo, respirando, racimos de piedras vivas,
cuánta fuente, qué claridades, qué cabelleras sobre una espalda oscura,
cuánto río allá arriba, y ese sonar remoto de agua junto al fuego, de luz contra la sombra!
Harpas, jardines de harpas.Pero a mi lado no había nadie.
Sólo el llano: cactus, huizaches, piedras enormes que estallan bajo el sol.
No cantaba el grillo,
había un vago olor a cal y semillas quemadas,
las calles del poblado eran arroyos secos
y el aire se habría roto en mil pedazos si alguien hubiese gritado: ¿quién vive?
Cerros pelados, volcán frío, piedra y jadeo bajo tanto esplendor, sequía, sabor de polvo,
rumor de pies descalzos sobre el polvo, ¡y el pirú en medio del llano como un surtidor petrificado!Dime, sequía, dime, tierra quemada, tierra de huesos remolidos, dime, luna agónica,
¿no hay agua,
hay sólo sangre, sólo hay polvo, sólo pisadas de pies desnudos sobre la espina,
sólo andrajos y comida de insectos y sopor bajo el mediodía impío como un cacique de oro?
¿No hay relinchos de caballos a la orilla del río, entre las grandes piedras redondas y relucientes,
en el remanso, bajo la luz verde de las hojas y los gritos de los hombres y las mujeres bahándose al alba?
El dios-maíz, el dios-flor, el dios-agua, el dios-sangre, la Virgen,
¿todos se han muerto, se han ido, cántaros rotos al borde de la fuente cegada?
¿Sólo está vivo el sapo,
sólo reluce y brilla en la noche de México el sapo verduzco,
sólo el cacique gordo de Cempoala es inmortal?Tendido al pie del divino árbol de jade regado con sangre, mientras dos esclavos jóvenes lo abanican,
en los días de las grandes procesiones al frente del pueblo, apoyado en la cruz: arma y bastón,
en traje de batalla, el esculpido rostro de silex aspirando como un incienso precioso el humo de los fusilamientos,
los fines de semana en su casa blindada junto al mar, al lado de su querida cubierta de joyas de gas neón,
¿sólo el sapo es inmortal?He aquí a la rabia verde y fría y a su cola de navajas y vidrio cortado,
he aqui al perro y a su aullido sarnoso,
al maguey taciturno, al nopal y al candelabro erizados, he aquí a la flor que sangra y hace sangrar,
la flor de inexorable y tajante geometría como un delicado instrumento de tortura,
he aquí a la noche de dientes largos y mirada filosa, la noche que desuella con un pedernal invisible,
oye a los dientes chocar uno contra otro,
oye a los huesos machacando a los huesos,
al tambor de piel humana golpeado por el fémur,
al tambor del pecho golpeado por el talón rabioso,
al tam-tam de los tímpanos golpeados por el sol delirante,
he aqui al polvo que se levanta como un rey amarillo y todo lo descuaja y danza solitario y se derrumba
como un árbol al que de pronto se le han secado las raíces, como una torre que cae de un solo tajo,
he aquí al hombre que cae y se levanta y come polvo y se arrastra,
al insecto humano que perfora la piedra y perfora los siglos y carcome la luz,
he aquí a la piedra rota, al hombre roto, a la luz rota.¿Abrir los ojos o cerrarlos, todo es igual?
Castillos interiores que incendia el pensamiento porque otro más puro se levante, sólo fulgor y llama,
semilla de la imagen que crece hasta ser árbol y hace estallar el cráneo,
palabra que busca unos labios que la digan,
sobre la antigua fuente humana cayeron grandes piedras,
hay siglos de piedras, años de losas, minutos espesores sobre la fuente humana.Dime, sequía, piedra pulida por el tiempo sin dientes, por el hambre sin dientes,
polvo molido por dientes que son siglos, por siglos que son hambres,
dime, cántaro roto caído en el polvo, dime,
¿la luz nace frotando hueso contra hueso, hombre contra hombre, hambre contra hambre,
hasta que surja al fin la chispa, el grito, la palabra,
hasta que brote al fin el agua y crezca el árbol de anchas hojas de turquesa?Hay que dormir con los ojos abiertos, hay que soñar con las manos,
soñemos sueños activos de río buscando su cauce, sueños de sol soñando sus mundos,
hay que soñar en voz alta, hay que cantar hasta que el canto eche raíces, tronco, ramas, pájaros, astros,
cantar hasta que el sueño engendre y brote del costado del dormido la espiga roja de la resurrección,
el agua de la mujer, el manantial para beber y mirarse y reconocerse y recobrarse,
el manantial para saberse hombre, el agua que habla a solas en la noche y nos llama con nuestro nombre,
el manantial de las palabras para decir yo, tú, él, nosotros, bajo el gran árbol viviente estatua de la lluvia,
para decir los pronombres hermosos y reconocernos y ser fieles a nuestros nombres
hay que soñar hacia atrás, hacia la fuente, hay que remar siglos arriba,
más allá de la infancia, más allá del comienzo, más allá de las aguas del bautismo,
echar abajo las paredes entre el hombre y el hombre, juntar de nuevo lo que fue separado,
vida y muerte no son mundos contrarios, somos un solo tallo con dos flores gemelas,
hay que desenterrar la palabra perdida, soñar hacia dentro y también hacia afuera,
descifrar el tatuaje de la noche y mirar cara a cara al mediodía y arrancarle su máscara,
bañarse en luz solar y comer los frutos nocturnos, deletrear la escritura del astro y la del río,
recordar lo que dicen la sangre y la marea, la tierra y el cuerpo, volver al punto de partida,
ni adentro ni afuera, ni arriba ni abajo, al cruce de caminos, adonde empiezan los caminos,
porque la luz canta con un rumor de agua, con un rumor de follaje canta el agua
y el alba está cargada de frutos, el día y la noche reconciliados fluyen como un río manso,
el día y la noche se acarician largamente como un hombre y una mujer enamorados,
como un solo río interminable bajo arcos de siglos fluyen las estaciones y los hombres,
hacia allá, al centro vivo del origen, más allá de fin y comienzo.
** conosciuto Gerico,
** avuto anch'io la mia Palestina,
le mura del manicomio
erano le mura di Gerico
e una pozza di acqua infettata
ci ha battezzati tutti.
Lì dentro eravamo ebrei
e i Farisei erano in alto
e c'era anche il Messia
confuso dentro la folla:
un pazzo che urlava al Cielo
tutto il suo amore in Dio.
Noi tutti, branco di asceti
eravamo come gli uccelli
e ogni tanto una rete
oscura ci imprigionava
ma andavamo verso la messe,
la messe di nostro Signore
e Cristo il Salvatore.
Fummo lavati e sepolti,
odoravamo di incenso.
E dopo, quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno.
Ma un giorno da dentro l'avello
anch'io mi sono ridestata
e anch'io come Gesù
** avuto la mia resurrezione,
ma non sono salita ai cieli
sono discesa all'inferno
da dove riguardo stupita
le mura di Gerico antica.
Es tan fácil nacer en sitios que no existen
y sin embargo fueron brumosos y reales
por ejemplo m¡ sitio mi marmita de vida
mi suelta de palomas conservaba
una niebla capaz de confundir las brújulas
y atravesar de tarde los postigos
todo en el territorio de aquella infancia breve
con la casa en la loma cuyo dueño
cara un tal valentín del escobar
y el nombre era sonoro me atraían
las paredes tan blancas y rugosas
ahí descubrí el lápiz como colón su américa
sin saber que era lápiz y mientras lo empuñaba
alguien hacía muecas al costado de un biombo
para que yo comiera pero yo no comía

después es la estación y es el ferrocarril
me envuelven en la manta de viaje y de calor
y había unas mangueras largas ágiles
que lavaban la noche en los andenes

las imágenes quedan como en un incunable
que sólo yo podría descifrar
puesto que soy el único especialista en mí
y sin embargo cuando regresé
apenas treinta y dos años más tarde
no había andén ni manta ni paredes rugosas
ya nadie recordaba la casa en la lomita
tampoco a valentín del escobar
quizá sea por eso que no puedo creer
en pueblo tan ceñido tan variable
sin bruma que atraviese los postigos
y confunda las brújulas
un paso de los toros enmendado
que no tiene ni biombo ni mangueras

el espejo tampoco sabe nada
con torpeza y herrumbre ese necio repite
mi pescuezo mi nuez y mis arrugas
debe haber pocas cosas en el mundo
con menos osadía que un espejo

en mis ojos amén de cataratas
y lentes de contacto con su neblina propia
hay rehenes y brujas
espesas telarañas sin arañas
hay fiscales y jueces
disculpen me quedé sin defensores
hay fiscales que tiemblan frente a los acusados
y jueces majaderos como tías
o deshumanizados como atentos verdugos
hay rostros arduos y fugaces
otros triviales pero permanentes
hay criaturas y perros y gorriones
que van garúa arriba ensimismados
y un sosías de dios que pone cielos
sobre nuestra mejor abolladura
y tampoco el espejo sabe nada
de por qué lo contemplo sin rencor y aburrido

y así de noche en noche
así de nacimiento en nacimiento
de espanto en espantajo
van o vamos o voy con las uñas partidas
de arañar y arañar la infiníta corteza

más allá del orgullo los árboles quedaron
quedaron los presagios las fogatas
allá atrás allá atrás
quién es tan memorioso
ah pero la inocencia ese búfalo herido
interrumpe o reanuda
la fuga o cacería
de oscuro desenlace

todos mis domicilios me abandonan
y el botín que he ganado con esas deserciones
es un largo monólogo en hiladas
turbado peregrino garrafal
contrito y al final desmesurado
para mi humilde aguante

Me desquito clavándole mi agüero
me vengo espolvoreándolo de culpas
pero la soledad
                            esa guitarra
esa botella al mar
esa pancarta sin muchedumbrita
esa efemérides para el olvido
oasis que ha perdido su desierto
flojo tormento en espiral
cúpula rota y que se llueve
ese engendro del prójimo que soy
tierno rebuzno de la angustia
farola miope

tímpano
ceniza
nido de águila para torcazas
escobajo sin uvas
borde de algo importante que se ignora
esa insignificante libertad de gemir
ese carnal vacío
ese naipe sin mazo
ese adiós a ninguna
esa espiga de suerte
ese hueco en la almohada
esa impericia
ese sabor grisáceo
esa tapa sin libro
ese ombligo inservible
la soledad en fin
                              esa guitarra
de pronto un día suena repentina y llamante
inventa prójimas de mi costilla
y hasta asombra la sombra
qué me cuentan

en verdad en verdad os digo que
nada existe en el mundo como la soledad
para buscarnos tierna compañía
cohorte escolta gente caravana

y el espejo ese apático supone
que uno está solo sólo porque rumia
en cambio una mujer cuando nos mira sabe
que uno nunca está solo aunque lo crea
ah por eso hijos míos si debéis elegir
entre una muchacha y un espejo
elegid la muchacha

cómo cambian los tiempos y el azogue
los espejos ahora vienen antinarcisos
hace cuarenta años la gente los compraba
para sentirse hermosa para saberse joven
eran lindos testigos ovalados
hoy en cambio son duros enemigos
cuadrados de rencor bruñidos por la inquina
nos agravian mortifican zahieren
y como si tal cosa pronuncian su chispazo
mencionan lustros y colesterol
pero no las silvestres bondades de estraperlo
la lenta madurez esa sabiduría
la colección completa de delirios
nada de eso         solamente
exhuman
las averías del pellejo añejo
el desconsuelo y sus ojeras verde
la calvicie que empieza o que concluye
los párpados vencidos siniestrados
las orejas mollejas la chatura nasal
las vacantes molares las islas del eczema

pero no hay que huir despavorido
ni llevarle el apunte a ese reflejo
nadie mejor que yo
para saber que miente

no caben en su estanque vertical
los que fui los que soy los que seré
siempre soy varios en parejos rumbos
el que quiere asomarse al precipicio
el que quiere vibrar inmóvil como un trompo
el que quiere respirar simplemente

será que nada de eso está en mis ojos
nadie sale a pedir el vistobueno
de los otros que acaso y sin acaso
también son otros y en diversos rumbos
el que aspira a encontrarse con su euforia
el que intenta ser flecha sin el arco
el que quiere respirar simplemente
será que nada de eso está en mi ceño
en mis hombros mi boca mis orejas
será que ya no exporto dudas ni minerales
no genera divisas mi conducta
tiene desequilibrios mi balanza de pagos
la caridad me cobra intereses leoninos
y acaparo dolor para el mercado interno

será que nada de eso llega al prójimo
pero yo estoy hablando del y con el espejo
y en su Iuna no hay prójima y si hay
será tina entrometida que mira sobre mi hombro

los prójimos y prójimas no están el el luciente
sencillamente son habitantes de mi
y bueno se establecen en mi como pamperos
como arroyos o como burbujas

por ejemplo las dudas no están en el espejo
las dudas que son meras preconfianzas
por ejemplo los miércoles no están
ya que el espejo es un profesional
de noches sabatinas y tardes domingueras
los miércoles de miércoles quien se le va a arrimar
pedestre o jadeante
inhumano y cansado
con la semana a medio resolver
las tardes gordas de preocupaciones
el ómnibus oliendo a axila de campeón

los insomnios no caben por ejemplo
no son frecuentes pero si poblados
de canciones a trozos
de miradas que no eran para uno
y alguna que otra bronco no del todo prevista
de ésas clue consumen la bilis del trimestre

tampoco aquellos tangos en Ios que uno sujeta
en suave diagonal la humanidad contigua
y un magnetismo cálido y a la vez transitorio
consterna los gametos sus ene cromosomas
y entre corte y cortina se esparcen monosílabos
y tanto las pavadas aleluya
como las intuiciones aleluya aleluya
derriban las fronteras ideológicas

verbigracia qué puede rescatar el espejo
de una ausencia tajante
una de esas ausencias que concurren
que numeran sus cartas
y escriben besos ay de amor remoto

qué puede qué podría reconocer carajo
de las vidas y vidas que ya se me murieron
esos acribillados esos acriborrados
del abrazo y el mapa y los boliches
o los que obedecieron a su corazonada
hasta que el corazón les explotó en la mano
sea en el supermarket de la mala noticia
o en algún pobre rancho de un paisaje sin chau

poco puede conocer de los rostros
que no fueron mi rostro y sin embargo
siguen estando en mí
y menos todavía
de los desesperantes terraplenes
que traté de subir o de bajar
esos riesgos minúsculos que parecen montañas
y los otros los graves que salvé como un sordo
así hasta que la vida quedó sin intervalos
y la muerte quedó sin vacaciones
y mi piel se quedó sin otras pieles
y mis brazos vacíos como mangas
declamaron socorro para el mundo

en la esquina del triste no hay espejo
y lo que es
                  más
austero
                                        no
hay auxilio
por qué será que cunden fas alarmas
y no huy manera ya de descundirlas

el país tiene heridas grandes como provincias
y hay que aprender a andar sobre sus bordes
sin vomitar en ellas ni caer como bolos
ni volverse suicida u miserable
ni decir no va más
porque está yendo
y exportamos los huérfanos y viudas
como antes la lana o el tasajo

en el muelle del pobre no hay espejo
y lo que es
                   más
sencillo
                                        no
hay adioses

los tratemos que estaban en el límite
las muchachas que estaban en los poemas
asaltaron de pronto el minuto perdido
y se desparramaron como tinta escarlata
sobre las ínfulas y los sobornos
metieron sus urgencias que eran gatos
en bolsas de arpillera
y cuando las abrieron aquello fue un escándalo
la fiesta prematura
igual que si se abre una alcancía

hacía tanto que éramos comedidos y cuerdos
que no nos vino mal este asedio a la suerte

los obreros en cambio no estaban en los poemas
estaban en sus manos nada más
que animan estructuras telas fibras
y cuidan de su máquina oh madre inoxidable
y velan su garganta buje a buje
y le toman el pulso
y le vigilan la temperatura
y le controlan la respiración
y aquí atornillan y desatornillan
y allí mitigan ayes y chirridos y ecos
o escuchar sus maltrechas confidencias
y por fin cuando suena el pito de las cinco
la atienden la consuelan y la apagan

los obreros no estaban en los poemas
pero a menudo estaban en las calles
eon su rojo proyecto y eon su puño
sus alpargatas y su humor de lija
y su beligerancia su paz y su paciencia
sus cojones de clase
qué clase de cojones
sus olas populares
su modestia y su orgullo
que son casi lo mismo

las muchachas que estaban en los poemas
los obreros que estaban en las mulos
hoy están duros en la cárcel firmes
como las cuatro barras que interrumpen el cielo

pero habrá otro tiempo
es claro que habrá otro
habrá otro ticnlpo porque el tiempo vuela
no importa que ellas y ellos no estén en el espejo
el tiempo volará
                             no
como el cóndor
ni como el buitre ni como el albatros
ni como el churrinche ni como el venteveo
el tiempo volara como la historia
esa ave migratoria de atlas fuertes
que cuando Ilega es para quedarse

y por fin las muchachas estarán en las mulos
y por fin los obreros estarán en los poemas
ay espejo ignorás tanta vida posible
tenés mi soledad
vaya conquista
en qué mago atolón te obligaste a varar
hay un mundo de amor que te es ajeno
así chic no te. quedes mirando má mirada
la modorra no escucha campanas ni promesas
tras de mi sigue habiendo un pedazo do historia
y yo tengo la llave de ese cobre barato
pero atrás más atrás
o adelante mucho más adelante
hay una historia plena
una patria en andamios con banderas posibles
y todo sin oráculo y sin ritos
y sin cofre y sin llave
simplemente una patria

ay espejo las sombras que te cruzan
son mucho más corpóreas que mi cuerpo depósito
el tiempo inagotable hace sus propios cálculos
y yo tengo pulmones y recuerdos y nuca
y otras abreviaturas de lo frágil
quizá una vez, te quiebres
dicen que es mala suerte
pero ningún espejo pudo con el destino
o yo mismo me rompa sin que vos te destruyas
y sea así otra sombra que te cruce

pero espejo ya tuve como dieciocho camas
en los tres años últimos de este gran desparramo
como todas las sombras pasadas o futuras
soy nómada y testigo y mirasol
dentro de tres semanas tal vez me vaya y duerma
en ml cama vacía número diecinueve
no estarás para verlo
no estaré para verte

en otro cuarto neutro mengano y transitorio
también habrá un espejo que empezará a
   escrutarme
tan desprolijamente como vos
y aquí en este rincón duramente tranquilo
se instalará otro huesped temporal como yo
o acaso dos amantes recién homologados
absortos en su canje de verguenzas
con fragores de anule e isócronos vaivenes

no podrás ignorarlos
egos le ignorarán
no lograrás desprestigiar su piel
porque será de estreno y maravilla
ni siquiera podr á vituperar mi rostro
porque ya estaré fuera de tu alcance
diciéndole a otra luna de impersonal herrumbre
lo que una vez te dije con jactancia y recelo

he venido con toldos mis enigmas
he venido con todos mis fantasmas
he venido con lerdees mis amores

y antes de que me mire
como vos me miraste
con ojos que eran sello parodia de mis ojos
soltaré de una vez el desafío

ay espejo cuadrado
nuevo espejo de hotel y lejanía
aquí estoy
                  ya podés
empezar a ignorarme.
Atraviesa la muerte con herrumbrosas lanzas,
y en traje de cañón, las parameras
donde cultiva el hombre raíces y esperanzas,
y llueve sal, y esparce calaveras.
Verdura de las eras,
¿qué tiempo prevalece la alegría?
El sol pudre la sangre, la cubre de asechanzas
y hace brotar la sombra más sombría.
El dolor y su manto
vienen una vez más a nuestro encuentro.
Y una vez más al callejón del llanto
lluviosamente entro.
Siempre me veo dentro
de esta sombra de acíbar revocada,
amasado con ojos y bordones,
que un candil de agonía tiene puesto a la entrada
y un rabioso collar de corazones.
Llorar dentro de un pozo,
en la misma raíz desconsolada
del agua, del sollozo,
del corazón quisiera:
donde nadie me viera la voz ni la mirada,
ni restos de mis lágrimas me viera.
Entro despacio, se me cae la frente
despacio, el corazón se me desgarra
despacio, y despaciosa y negramente
vuelvo a llorar al pie de una guitarra.
Entre todos los muertos de elegía,
sin olvidar el eco de ninguno,
por haber resonado más en el alma mía,
la mano de mi llanto escoge uno.
Federico García
hasta ayer se llamó: polvo se llama.
Ayer tuvo un espacio bajo el día
que hoy el hoyo le da bajo la grama.
¡Tanto fue! ¡Tanto fuiste y ya no eres!
Tu agitada alegría,
que agitaba columnas y alfileres,
de tus dientes arrancas y sacudes,
y ya te pones triste, y sólo quieres
ya el paraíso de los ataúdes.
Vestido de esqueleto,
durmiéndote de plomo,
de indiferencia armado y de respeto,
te veo entre tus cejas si me asomo.
Se ha llevado tu vida de palomo,
que ceñía de espuma
y de arrullos el cielo y las ventanas,
como un raudal de pluma
el viento que se lleva las semanas.
Primo de las manzanas,
no podrá con tu savia la carcoma,
no podrá con tu muerte la lengua del gusano,
y para dar salud fiera a su poma
elegirá tus huesos el manzano.
Cegado el manantial de tu saliva,
hijo de la paloma,
nieto del ruiseñor y de la oliva:
serás, mientras la tierra vaya y vuelva,
esposo siempre de la siempreviva,
estiércol padre de la madreselva.
¡Qué sencilla es la muerte: qué sencilla,
pero qué injustamente arrebatada!
No sabe andar despacio, y acuchilla
cuando menos se espera su turbia cuchillada.
Tú, el más firme edificio, destruido,
tú, el gavilán más alto, desplomado,
tú, el más grande rugido,
callado, y más callado, y más callado.
Caiga tu alegre sangre de granado,
como un derrumbamiento de martillos feroces,
sobre quien te detuvo mortalmente.
Salivazos y hoces
caigan sobre la mancha de su frente.
Muere un poeta y la creación se siente
herida y moribunda en las entrañas.
Un cósmico temblor de escalofríos
mueve temiblemente las montañas,
un resplandor de muerte la matriz de los ríos.
Oigo pueblos de ayes y valles de lamentos,
veo un bosque de ojos nunca enjutos,
avenidas de lágrimas y mantos:
y en torbellino de hojas y de vientos,
lutos tras otros lutos y otros lutos,
llantos tras otros llantos y otros llantos.
No aventarán, no arrastrarán tus huesos,
volcán de arrope, trueno de panales,
poeta entretejido, dulce, amargo,
que al calor de los besos
sentiste, entre dos largas hileras de puñales,
largo amor, muerte larga, fuego largo.
Por hacer a tu muerte compañía,
vienen poblando todos los rincones
del cielo y de la tierra bandadas de armonía,
relámpagos de azules vibraciones.
Crótalos granizados a montones,
batallones de flautas, panderos y gitanos,
ráfagas de abejorros y violines,
tormentas de guitarras y pianos,
irrupciones de trompas y clarines.
Pero el silencio puede más que tanto instrumento.
Silencioso, desierto, polvoriento
en la muerte desierta,
parece que tu lengua, que tu aliento,
los ha cerrado el golpe de una puerta.
Como si paseara con tu sombra,
paseo con la mía
por una tierra que el silencio alfombra,
que el ciprés apetece más sombría.
Rodea mi garganta tu agonía
como un hierro de horca
y pruebo una bebida funeraria.
Tú sabes, Federico García Lorca,
que soy de los que gozan una muerte diaria.
La luna vino a la fragua
con su polisón de nardos.
El niño la mira mira.
El niño la está mirando.

En el aire conmovido
mueve la luna sus brazos
y enseña, lúbrica y pura,
sus senos de duro estaño.

Huye luna, luna, luna.
Si vinieran los gitanos,
harían con tu corazón
collares y anillos blancos.

Niño déjame que baile.
Cuando vengan los gitanos,
te encontrarán sobre el yunque
con los ojillos cerrados.

Huye luna, luna, luna,
que ya siento sus caballos.
Niño déjame, no pises,
mi blancor almidonado.

El jinete se acercaba
tocando el tambor del llano.
Dentro de la fragua el niño,
tiene los ojos cerrados.

Por el olivar venían,
bronce y sueño, los gitanos.
Las cabezas levantadas
y los ojos entornados.

¡Cómo canta la zumaya,
ay como canta en el árbol!
Por el cielo va la luna
con el niño de la mano.

Dentro de la fragua lloran,
dando gritos, los gitanos.
El aire la vela, vela.
el aire la está velando.
En el alba de callados venenos
amanecemos serpientes.

Amanecemos piedras,
raíces obstinadas,
sed descarnada, labios minerales.

La luz en estas horas es acero,
es el desierto labio del desprecio.
Si yo toco mi cuerpo soy herido
por rencorosas púas.
Fiebre y jadeo de lentas horas áridas,
miserables raíces atadas a las piedras.

Bajo esta luz de llanto congelado
el henequén, inmóvil y rabioso,
en sus índices verdes
hace visible lo que nos remueve,
el callado furor que nos devora.

En su cólera quieta,
en su tenaz verdor ensimismado,
la muerte en que crecemos se hace espada
y lo que crece y vive y muere
se hace lenta venganza de lo inmóvil.

Cuando la luz extiende su dominio
e inundan blancas olas a la tierra,
blancas olas temblantes que nos ciegan,
y el puño del calor nos niega labios,
un fuego verde cerca al henequén,
muralla viva que devora y quema
al otro fuego que en el aire habita.
Invisible cadena, mortal soplo
que aniquila la sed de que renace.

Nada sino la luz. No hay nada, nada
sino la luz contra la luz rabiosa,
donde la luz se rompe, se desangra
en oleaje estéril, sin espuma.

El agua suena. Sueña.
El agua intocable en tu tumba de piedra,
sin salida en su tumba de aire.
El agua ahorcada,
el agua subterránea,
de húmeda lengua humilde, encarcelada.
El agua secreta en su tumba de piedra
sueña invisible en su tumba de agua.

A las seis de la tarde
alza la tierra un vaho blanquecino.
Vuelan pájaros mudos, barro helado.
Arrasen nubes crueles el cielo sin orillas.

Pero en la noche el agua gime.
Un cielo de metal
oprime pecho y venas
y tiembla en el ahogo el horizonte.
El agua gime entre sus negros hierros.
El hombre corre de la muerte al sueño.

El henequén vigila cielo y tierra.
Es la venganza de la tierra,
la mano de los hombres contra el cielo.
¿Qué tierra es ésta?,
¿qué extraña violencia alimenta
en su cáscara pétrea?
¿qué fría obstinación,
años de fuego frío,
petrificada saliva persistente,
acumulando lentamente un jugo,
una fibra, una púa?

Una región que existe
antes que sobre el mundo alzara el aire
su bandera de fuego y el agua sus cristales;
una región de piedra
nacida antes del nacimiento mismo de la muerte,
una región, un párpado de fiebre,
unos labios sin sueño
que recorre sin término la sed,
como el mar a las lajas en las costas desiertas.

La tierra sólo da su flor funesta,
su espada vegetal.
Su crecimiento rige
la vida de los hombres.
Por sus fibras crueles
corre una sed de arena
trepando desde sótanos ciegos,
duras capas de olvido donde el tiempo no existe.

Furiosos años lentos, concentrados,
como no derramada, oculta lágrima,
brotando al fin sombríos
en un verdor ensimismado,
rasgando el aire, pulpa, ahogo,
blanda carne invisible y asfixiada.
Al cabo de veinticinco amargos años
alza una flor sola, roja y quieta.
Una vara ****** la levanta
y queda entre los aires, isla inmóvil,
petrificada espuma silenciosa.

Oh esplendor vengativo,
única llama de este infierno seco,
¿tanta fiebre acallada,
surge en tu llama rígida, desnuda,
para cantar, sólo, tu muerte?
¡Si yo pudiera,
en esta orilla que la sed ilumina,
cantar al hombre que la habita y la puebla,
cantar al hombre que su sed aniquila!

Al hombre húmedo y persistente como lluvia,
al hombre como un árbol hermoso y ultrajado
que arranca su nacimiento al llanto,
al hombre como un río entre las llamas,
como un pájaro semejante a un relámpago.
Al hombre entre sus fines y sus frutos.

Los frutos de la tierra son los fines del hombre.
Mezcla su sal henchida con las sales terrestres
y esa sal es más tierna que la sal de los mares:
le dio Adán, con su sangre, su orgulloso castigo.

¡Si pudiera cantar
al hombre que vive bajo esta piel amarga!
El nacimiento,
el espanto nocturno,
la vasta mano que puebla y despuebla la tierra.

Entre el primer silencio y el postrero,
entre la piedra y la flor,
tú caminas. Te ciñe un pulso aéreo,
un silencio flotante,
como fuga de sangre, como humo,
como agua que olvida.

Llamas petrificadas te sostienen.
Caminas entre espadas,
casi invisible
bajo el temblor del cielo liso,
con un paso, un solo paso tierno,
un leve paso de animal que huye.

Tú caminas. Tú duermes. Tú fornicas.
Tú danzas, bebes, sueñas.
Sueñas en otros labios que prolonguen tu sueño.

Alguien te sueña, solo.
Tu nombre, polvo, piedra,
en el polvo sediento precipita su ruina.

Mas no es el ritmo oscuro del planeta,
el renacer de cada día,
el remorir de cada noche,
lo que te mueve por la tierra.
¡Oh rueda del dinero,
que ni te palpa ni te roza
y te deshace cada día!

Ángel de tierra y sueño,
agua remota que se ignora,
oh condenado,
oh inocente,
oh bestia pura entre las horas del dinero,
entre esas horas que no son nuestras nunca,
por esos pasadizos de tedio devorante
donde el tiempo se para y se desangra.

¡El mágico dinero!
Invisible y vacío,
es la señal y el signo,
la palabra y la sangre,
el misterio y la cifra,
la espada y el anillo.

Es el agua y el polvo,
la lluvia, el sol amargo,
la nube que crea el mar solitario
y el fuego que consume los aires.
Es la noche y el día:
la eternidad sola y adusta
mordiéndose la cola.

El hermoso dinero da el olvido,
abre las puertas de la música,
cierra las puertas al deseo.
La muerte no es la muerte: es una sombra,
un sueño que el dinero no sueña.

¡El mágico dinero!
Sobre los huesos se levanta,
sobre los huesos de los hombres se levanta.

Pasas como una flor por este infierno estéril,
hecho sólo del tiempo encadenado,
carrera maquinal, rueda vacía
que nos exprime y deshabita,
y nos seca la sangre,
y el lugar de las lágrimas nos mata.

Porque el dinero es infinito y crea desiertos infinitos.
Dame, llama invisible, espada fría,
tu persistente cólera,
para acabar con todo,
oh mundo seco,
oh mundo desangrado,
para acabar con todo.

Arde, sombrío, arde sin llamas,
apagado y ardiente,
ceniza y piedra viva,
desierto sin orillas.

Arde en el vasto cielo, laja y nube,
bajo la ciega luz que se desploma
entre estériles peñas.

Arde en la soledad que nos deshace,
tierra de piedra ardiente,
de raíces heladas y sedientas.

Arde, furor oculto,
ceniza que enloquece,
arde invisible, arde
como el mar impotente engendra nubes,
olas como el rencor y espumas pétreas.
Entre mis huesos delirantes, arde;
arde dentro del aire hueco,
horno invisible y puro;
arde como arde el tiempo,
como camina el tiempo entre la muerte,
con sus mismas pisadas y su aliento;
arde como la soledad que te devora,
arde en ti mismo, ardor sin llama,
soledad sin imagen, sed sin labios.
Para acabar con todo,
oh mundo seco,
para acabar con todo.
Saffo, antica maestra e disperata
portatrice d'amore,
Saffo di viole incoronata e altera
rendimi sciolta e in volo poi che accolga
la tua grande parentesi nel cuore.
Le mie notti deserte io le conosco
già dai tuoi grandi, morbidi giacigli
ove amore avventava alle tue labbra
mirra e miele. Anche io non sono sazia
come tu fosti ma mi aggiro eterna
dentro anime aperte ad ogni lutto.
Anche io ** l'amor mio che mi disdegna,
Saffo mia grande e inutile maestra
perché mi lasci e impoverisci il seno
delle tue offerte? Giacerò infeconda
anche stanotte e intorno a me i costanti
fedelissimi aspetti
di cupido apriranno dentro l'ali
rapidissimi inviti cui rifuggo
rimpiangendo e scoperta e innamorata.
Saffo rendimi pura e innominata
Come le parole, ove non cada
lacrima e tempo, ove non misuri
religione i suoi passi, ch'io non crolli
come crollasti tu dalle tue rupi...
Juliet R May 2014
como num sobressalto,
com os pés bem assentes no asfalto,
lembro-me do teu cheiro,
no meio deste nevoeiro
sinto-me dentro do alheio,
dentro do teu devaneio
murmúrio o que cá está solto,
tudo muito envolto
sem capacidade de entendimento, c
om a vista embrulhada no cinzento
partilho dores,
partilho ardores,
partilho amores
surpreendo-te unicamente
e não ficas indiferente
e assim mostra num som,
num único tom
de como intenso é amar,
de como difícil é apaixonar
não por uma pessoa nova,
sem precisar de alguma prova
mas sim por a especial
e, aquela que de nada tem igual,
traços únicos
e puros como o som de acústico
olho-te nos olhos brilhantes e amo-te sem variantes
Daniela Mrtz May 2014
Yo tengo dos personas
en mi interior
una que me dice
que no ame a nadie
otra que me pide
que sueñe con alguien
a veces una me ruega
que sueñe con ella
mientras que la otra me ordena
pasar la noche en vela
a veces una me aconseja
que tome conciencia
y mientras otra me susurra
que corra con demencia
pero no he amado a nadie
y he soñado con todos
y pase las noches en vela
mientras soñaba despierto
y he sido consiente
de que estoy demente
así que creo que
no tengo dos personas
dentro de mí
creo que dos personas
me tienen dentro de sí.
Todos me dizem que o seu coração é impenetrável
O Castelo mais seguro perderia
Não tenho códigos, chaves e nem força
Tenho apenas palavras escritas
Mas como também me dizem, palavras abrem portas
E se portas podem ser abertas
Seu coração também pode ser penetrado
Por mais difícil que seja
Leia o que eu escrevo
Pode ser meio complicado pelas lágrimas que mancham o papel
Nas palavras manchadas pelas lágrimas
Finja que "amor" está escrito
Por que com amor as coisas ficam mais bonitas
Mais uma lagrima cai no papel
Mais amor eu vejo nele
É aconselhável eu parar por aqui
Pode ser que o papel se rasgue
E se meu papel se rasgar
Ler isso você não vai
E então  as portas continuaram fechadas
Ficarei sem códigos, chaves, força e agora sem palavras
Então o que você guarda ai dentro do seu coração não será desvendado
Por toda a eternidade.
Irena Adler Nov 2018
Virginia Woolf una volte scrisse che " la bellezza ha due tagli, uno di gioia, l'altro di angoscia, che ci dividono il cuore".
La prima cosa che mi passa per la testa di fronte a tali parole è che l'uomo e la donna patiscono continuamente anche quando sono felici. Quel tipo di angoscia che non ti abbandona mai, la sofferenza di fronte alle scelte fatte o non fatte, il desiderio di evasione in un mondo utopico, la volontà di essere completamente liberi e stoici. I pregiudizi sono nostri amici-nemici. Tutto dipende da come gli accogliamo nelle varie circostanze della vita.
Se ci fosse Virginia Woolf qua con me sicuramente  si arrabbierebbe; " Come puoi essere così disordinata? Non mi stavi  per caso citando? E poi sembrava che stessi cercando  di spiegare qualcosa?! Salti da un argomento all'altro per caso. Se devi essere patetica, aggiungici un sarcasmo poetico".
Scusa ma non riesco ad organizzare ancora bene i miei pensieri. Fluttuano come la polvere nell'aria dopo che hai tentato inutilmente  di pulire un armadio vecchio. Scusa Virginia, mi conoscerai meglio con il passare del tempo.  " Ecco, brava! Che sia sempre con te lo spirito di Judith Shakespeare!"




Martedì 6.  

L'artista che corre per la strada e cerca la sua musa, la trova nello specchio che tende subito a scomparire.
Lui non si è accorto del Sole, vive di notte, disegna di notte, sogna di giorno, sogna di notte. Vive.
Non vede, lui osserva, ama l'impossibile, ama il futile eterno, sogna e vede ciò che non sarà mai compreso dagli altri. Lui trema e le sue mani tengono il pennello con un eccitazione che non si può comprendere ma solo provare. L'emozione di fronte ad un opera che deve appena essere creata, immortalata, eterna come la non-realtà.
L'immagine sussiste e lui sbatte le ali del sogno, disubbidisce alla società, gode ed ama l'incomprensibile, lo respira e vive di ciò.

Lo spessore della profondità è inabbattibile. L'acqua non ti fa annegare; è il pensiero. Non pensiamo, nuotiamo, è l'istinto a prevalere eppure abbiamo scelto di morire. Per questo motivo esiste l'altro, per annegarci o salvarci. Mantieni la dignità e vivi. E dunque sanguina.


Venerdì 9.

L'uomo e la donna. La donna e l'uomo. L'uomo ha sulla testa una lampadine e la donna uno sbattitore da cucina. La natura del cane è quella di abbaiare. La natura della specie umana è quella di riprodursi. Eppure abbiamo la necessità di creare ed inventare, non riusciamo a farne a meno. Sentiamo un bisogno insostenibile di portare fuori ciò che sta dentro. Siamo continuamente alla ricerca dell'essere presenti, passati e futuri. La gioia e l'angoscia d' esistere ci turba le anime. Ci chiediamo sempre qual'è lo scopo del fare e di muoverci. Dove sta il dono o la maledizione di essere stati scaraventati sulla palla ovale che gira intorno a se stessa ed intorno ad una palla ancora più grande che ci mantiene in vita. E' questo il senso? Dipendere dalla luce del sole oppure  soltanto dall'acqua e dal pane?
Dove sta l'essere in questa stanza? E' forse disteso su questo letto a scrivere? Forse.
Oppure si trova proprio nel pensiero che crea quel' atto?
L'esistenza umana è ridotta ad anni di vita, non secoli. Ciò che ci è stato dato l'abbiamo preso ed appreso, ci siamo impossessati ed ora fa parte di noi. Ci è stata data la vita dalla Natura ed essa ci ha pure delimitati.
" Ecco, voi siete parte di me, vivete e morite". Se è così noi dipendiamo gli uni dagli altri, non ha senso vivere soli sulla terra, abbandonati da nessuno. Non possiede alcuna logica.

Mercoledì 33.

Il mare non è sempre stato blu; una volta era violaceo e tutti gli animali potevano entrare nell'acqua senza dove trattenere il fiato. Si respirava nell'acqua, si stava bene. Soltanto quando arrivò l'uomo e ci mise il piede in acqua, essa si contrasse e divenne blu, scura e profonda. Il mare scelse di non dare accesso all'uomo e a quel diverso tipo di intelletto che si preparava a conquistare tutto ciò che mai gli potrà appartenere interamente. Per colpa sua le specie che abitavano la terra ferma dovettero separarsi da quelle marine.
Più l'uomo diventava avido ed egoista più il mare diventava profondo e salato. Non voleva finire nella bocca di quel animale strano che camminava su due stecchi con cinque rami piccoli, ben allineati ma sporchi. L'uomo costrinse il mare a piangere e non capì, non poteva capirlo poichè ora era lui il padrone.
Gaby Comprés Jan 2018
tu nombre
i've whispered it into the night
a million times
i've tasted it in mi boca
like honey, slow and sweet
tu nombre
lo sabe la luna
i've sung it to the stars
to my heart
like a lullaby to calm the sea dentro de mí
tu nombre
lo llevo tatuado en los labios
en cada espacio
tu nombre
i've said it like a prayer
lo he llorado
se lo he cantado al alma
hoping it finds peace
tu nombre
is in todas las cosas
está en everything
en el verano
and its rain
in spring y las flores.
tu nombre
todo. everything.
Natalia Rivera Jun 2014
En la vida de una mujer existen muchos hombres que le marcan la vida de por vida, la mayoría amores. La mía fue marcada por un jugador de soccer, la persona más idiota del mundo. Reservada, hostil, difícil por demás, con un sentido del humor un tanto cínico, la persona que me marcó la vida. No lleva en mi vida 10 años pero supo dejar una gran huella dentro de mi, mi jugador de soccer. El niño más terco y hermoso que existe en el mundo el cual estoy muy orgullosa de llamarlo mejor amigo. No un mejor amigo típico de esos que salen y se regalan cosas o se envían párrafos cada segundo del día. No, nuestra relación es más completa que eso, completa en todos los sentidos. Siempre esta aquí, siempre me apoya, siempre sabe que decir, siempre me trata a su manera ¿y que más puedo pedir? Si lo aprendí a amar así. Ese niño, hombre, amigo, mejor amigo me marcó la vida y estoy agradecida por eso.
No es un poema, no es un verso, es simplemente algo inspirado para el aunque no lo lea.
Se eu fosse pintor o amor queria pintar
O pintaria com as cores de verde e azul
Azul seria representaria liberdade que dá o mar,
E no verde estaria o amor que ninguém calcule!

Se fosse matemático o amor seriam somas,
Seriam somas de sentimentos sempre bons,
E se a arte fosse a musica imitaria seus sons,
Entregar os sentimentos sem quaisquer retomas!

Como seria bom encarar todas as profissões,
Dedica-las ao amor e viver todas as emoções,
Construindo em cada dia coisas das boas vibrações,
Sentir cá dentro o carinho nos nossos corações!

Mas o que é isto que é o amor?
Qual a cor e qual o som que tem esse calor?
O amor é a dissolução de qualquer dor,
São cores e sons que se apresentem com glamour!

E assim, que em todos os corações haja um ninho,
Como o deva haver também dentro de qualquer lar,
Porque o ninho é pequenino e há grande bem-estar
Que o amor nos siga sempre por qualquer caminho!

Autor: António Benigno
Código de Autor: 2014.09.07.13.21.08.05@
Creímos que todo estaba
roto, perdido, manchado...
-Pero, dentro, sonreía
lo verdadero, esperando-.

¡Lágrimas rojas, calientes,
en los cristales helados!...
-Pero, dentro, sonreía
lo verdadero, esperando-.

Se acababa el día *****
revuelto en frío mojado...
-Pero, dentro, sonreía
lo verdadero, esperando-.
não desaprendo o amor pelo sonho
surge-se-me belo e ardente
pelo olhar de dentro
da alma, o amor,
pelo rosto da mulher-anjo.

sei quem é e que a amo
quer porque lho digo,
quer porque o sinto
pela ausência que me arde
as entranhas.

sei quem é e que a amo,
sei que o que é, é mais que ser mulher
sei-a água na essência,
incêndio e vento na ausência
sei
que a não posso conhecer.
Natalia Rivera Apr 2015
El otro día estaba limpiando la vieja casa en donde crecí cuando era pequeña,  mis padres iban a venderla y necesitaban un poco de ayuda así que accedí. Quise limpiar mi habitación, y al decir limpiar hablaba de quitarle el polvo a los estantes y pasar una escoba. Al entrar la luz del sol entraba por la ventana, dejando todo el polvo que había al descubierto, mis estantes tenían una que otra pieza de porcelana, bailarinas y algunas fotos viejas. Le di la vuelta al cuarto hasta llegar al armario el que se suponía que estuviera vacío, se suponía. Habían dos cajas grandes una al lado de la otra, viejas y dañadas por la humedad; las tome y abrí una de ellas, frente a mi estaban cinco años de mi vida, guardadas todo este tiempo. Fotos, cartas, postales, discos, joyería, las sacaba una por una rápidamente preguntándome que hacían allí, quien las había puesto allí, desde cuando estaban allí. Limpie todo de prisa, le avise a mi madre que me iba y tome las cajas, me dirigía a mi apartamento.

Llegando tome un baño, me serví una cerveza y puse una de las cajas encima de la cama. Me tome el tiempo de ver cada una de las fotos; algunas eran mías usando algún traje espantoso, otras de amigos y familia. Reí leyendo las cartas que tenía y escogí la joyería que aun quería conservar. Fui a levantar la otra caja para ver que había dentro y era algo pesada, demasiado para ser ropa o chucherías como lo que contenía la otra. Grandes, pequeños, de todos los colores, carpeta dura y blanda, ahí estaba una colección inmensa de libros que había perdido. Mis libros. Las interrogantes que tuve en la casa volvieron, decidí abrir uno de ellos al azar. Era color verde y tenía algunos garabatos en la portada, “Poemas y Relatos” el mundo se había congelado. Tenía en mi mano uno de mis diarios de hace cinco, casi seis años atrás. Supe que esa noche, tendría de visitante a las lágrimas que hacen varias semanas no aparecían; pasaba las páginas y leí los poemas, las historias, las frases, hasta que en una de las paginas había algo que me llamo la atención. Era un fragmento de algún día.


“5 de junio de 2010

He pasado el verano cuidado a una pequeña, y esta casa es inmensa. Pero me reconforta el saber que en algún momento mi teléfono sonará mi teléfono y será un mensaje de él. Un como estas, que hiciste en el día, estuve esquiando, hace demasiado frio por acá, has comido algo. Me gusta mucho, me ha dicho te amo unas cuantas veces y mi corazón se va elevando con la rapidez que se acaba un suspiro. Blanco como la arena, sus ojos azules como el mar, hermosos, al igual que su sonrisa. Era inevitable no sonreír luego de verlo. Carismático, sarcástico y simpático; inteligente y cariñoso. Es como un ángel, el cual me  trae estúpida e imbécil. Enamorada me trae.


                                                         ­                                                        NARR”


No necesitaba saber el nombre, sabia para quien era aquello. Mucho tiempo había pasado desde que tuve la última conversación con él, pero así era. Como las estrellas fugaces, aparecen cuando quieren y así era él. Los sentimientos me invadían y quise con todas mis fuerzas saber porque se había ido, porque me había abandonado. Así que me asome a la ventana y susurre su nombre, como parte de un hechizo o un ritual.
-Llegue. Me volteé y ahí estaba. Parado frente a mí con sus enormes ojos azules. Me quede paralizada y solo pude decir “llegaste”.
-Oh valla. Demasiado tiempo para solo eso ¿no crees? Repentino silencio, pero luego comenzó a preguntarme que había hecho y como me iba. Hablamos de todo un poco, de las que todos hablan hasta que comenzó
-Hace algunos años atrás tuve un accidente y estuve en coma. Al despertar no recordaba caras, personas, amigos, sucesos. Pero me acorde de ti. No recuerdo exactamente como nos conocimos y porque hemos dejado de hablar, pero me acuerdo de ti.
La sangre la sentía correr fría, el corazón me iba a estallar. El seguía parado junto a mí y yo sentada en la ventana. Cuando finalmente pude hablar le dije
-Siempre me has acordado ese verano. En su mirada que no sabía de qué hablaba así que le mostré lo que había escrito en la libreta.
- Así que, ¿nos gustábamos?
-Al menos yo de ti me enamore, y llegaste a decirme unas cuantas veces un te amo. Perdimos comunicación porque jamás fui suficiente para ti, así que decidí dejar de intentarlo. Poco después supe que tenías pareja, hablamos por última vez y luego desapareciste.
- Lo supuse cuando después de todo me acordaba de tu nombre; eres mi único recuerdo de ese verano. “ángel” susurro casi tan bajo que apenas pude escucharlo. Sonreí y él lo hizo también. Se sentó al lado mío y dejo que descansara mi cabeza en su hombro. Pude sentir su olor, apreciarlo más, ver que aquel rostro de niño había evolucionado. Al lado mío estaba un viejo amor, un viejo amigo, al cual su corazón le pertenecía a alguien más igual que el mío. Pero mi corazón me pedía gritos unas últimas palabras así que le pregunte.
-¿Alguna vez me extrañas?

El me dio un beso en la frente y también recostó su cabeza en la mía, la brisa soplo y yo sonreí.
Para J.M
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu ch'hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla".
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l'amavi forte!
Con lui c'eri tu sola e la sua morte.
O nata in selve tra l'ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l'agonia... "
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! Due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l'eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole".
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l'abbracciò su la criniera
"O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
A me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise:
esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come".
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito.
Si pudiera llorar de miedo en una casa sola,
si pudiera sacarme los ojos y comérmelos,
lo haría por tu voz de naranjo enlutado
y por tu poesía que sale dando gritos.

Porque por ti pintan de azul los hospitales
y crecen las escuelas y los barrios marítimos,
y se pueblan de plumas los ángeles heridos,
y se cubren de escamas los pescados nupciales,
y van volando al cielo los erizos:
por ti las sastrerías con sus negras membranas
se llenan de cucharas y de sangre,
y tragan cintas rotas, y se matan a besos,
y se visten de blanco.

Cuando vuelas vestido de durazno,
cuando ríes con risa de arroz huracanado,
cuando para cantar sacudes las arterias y los dientes,
la garganta y los dedos,
me moriría por lo dulce que eres,
me moriría por los lagos rojos
en donde en medio del otoño vives
con un corcel caído y un dios ensangrentado,
me moriría por los cementerios
que como cenicientos ríos pasan
con agua y tumbas,
de noche, entre campanas ahogadas:
ríos espesos como dormitorios
de soldados enfermos, que de súbito crecen
hacia la muerte en ríos con números de mármol
y coronas podridas, y aceites funerales:
me moriría por verte de noche
mirar pasar las cruces anegadas,
de pie y llorando,
porque ante el río de la muerte lloras
abandonadamente, heridamente,
lloras llorando, con los ojos llenos
de lágrimas, de lágrimas, de lágrimas.

Si pudiera de noche, perdidamente solo,
acumular olvido y sombra y humo
sobre ferrocarriles y vapores,
con un embudo *****,
mordiendo las cenizas,
lo haría por el árbol en que creces,
por los nidos de aguas doradas que reúnes,
y por la enredadera que te cubre los huesos
comunicándote el secreto de la noche.

Ciudades con olor a cebolla mojada
esperan que tú pases cantando roncamente,
y silenciosos barcos de esperma te persiguen,
y golondrinas verdes hacen nido en tu pelo,
y además caracoles y semanas,
mástiles enrollados y cerezas
definitivamente circulan cuando asoman
tu pálida cabeza de quince ojos
y tu boca de sangre sumergida.

Si pudiera llenar de hollín las alcaldías
y, sollozando, derribar relojes,
sería para ver cuándo a tu casa
llega el verano con los labios rotos,
llegan muchas personas de traje agonizante,
llegan regiones de triste esplendor,
llegan arados muertos y amapolas,
llegan enterradores y jinetes,
llegan planetas y mapas con sangre,
llegan buzos cubiertos de ceniza,
llegan enmascarados arrastrando doncellas
atravesadas por grandes cuchillos,
llegan raíces, venas, hospitales,
manantiales, hormigas,
llega la noche con la cama en donde
muere entre las arañas un húsar solitario,
llega una rosa de odio y alfileres,
llega una embarcación amarillenta,
llega un día de viento con un niño,
llego yo con Oliverio, Norah,
Vicente Aleixandre, Delia,
Maruca, Malva Marina, María Luisa y Larco,
la Rubia, Rafael, Ugarte,
Cotapos, Rafael Alberti,
Carlos, Bebé, Manolo Altolaguirre,
Molinari,
Rosales, Concha Méndez,
y otros que se me olvidan,

Ven a que te corone, joven de la salud
y de la mariposa, joven puro
como un ***** relámpago perpetuamente libre,
y conversando entre nosotros,
ahora, cuando no queda nadie entre las rocas,
hablemos sencillamente como eres tú y soy yo:
para qué sirven los versos si no es para el rocío?

Para qué sirven los versos si no es para esa noche
en que un puñal amargo nos averigua, para ese día,
para ese crepúsculo, para ese rincón roto
donde el golpeado corazón del hombre se dispone a morir?

Sobre todo de noche,
de noche hay muchas estrellas,
todas dentro de un río,
como una cinta junto a las ventanas
de las casas llenas de pobres gentes.

Alguien se les ha muerto, tal vez
han perdido sus colocaciones en las oficinas,
en los hospitales, en los ascensores,
en las minas,
sufren los seres tercamente heridos
y hay propósito y llanto en todas partes:
mientras las estrellas corren dentro de un río interminable
hay mucho llanto en las ventanas,
los umbrales están gastados por el llanto,
las alcobas están mojadas por el llanto
que llega en forma de ola a morder las alfombras.

Federico,
tú ves el mundo, las calles,
el vinagre,
las despedidas en las estaciones
cuando el humo levanta sus ruedas decisivas
hacia donde no hay nada sino algunas
separaciones, piedras, vías férreas.

Hay tantas gentes haciendo preguntas
por todas partes.
Hay el ciego sangriento, y el iracundo, y el
desanimado,
y el miserable, el árbol de las uñas,
el bandolero con la envidia a cuestas.

Así es la vida, Federico, aquí tienes
las cosas que te puede ofrecer mi amistad
de melancólico varón varonil.
Ya sabes por ti mismo muchas cosas,
y otras irás sabiendo lentamente.
Derekis Apr 2015
Hoy me siento triste y despojado
me siento tan infeliz, tan desolado
no puedo creer que el destino me prohíba tenerte a mi lado.

Una tras otra, cada noche espero tu promesa
esperando a que me des una carta o un mensaje
pero en vano , por un momento contigo, mi alma reza
sin saber si en realidad tu piensas en mi,
sin saber si tu das el mas mínimo suspiro por mi ser o mi existencia.

Estoy solo, de nuevo, en esta noche de impotencia
preguntándole a mi corazón la razón de esta locura
que no me deja ni pensar ni vivir sin tu presencia.

Cada vez que me niegas tus amistosas palabras
siento como una daga mi pecho atraviesa
tan profundo y tan doloroso como unas tijeras
que cortan los lazos de mi amor hacia tu gentileza.

Las noche sin ti es un interminable tormento
sangra mi corazón herido y abierto
me siento tan solo sin ti, tan frió, tan muerto,
sin ti me quedo sin aliento
y con ganas de que este sea mi ultimo momento.

No puedo sacarte de mi pensamiento,
tan fuerte siento sobre ti que mi cuerpo sufre en silencio
por esa jugarreta del destino y mi intenso remordimiento
de no haber actuado antes y de haber perdido la oportunidad de ganar tu corazón y tu aprecio.

No sabes las ganas que tengo de oír tus palabras susurrarme en el oído,
aunque me llenes el alma con falsa esperanza
para que después esos sueños mueran en el olvido.

Tus recuerdos y tus fotos me lastiman el alma
al pensar que tus sonrisas yo no puedo experimentarlas
el dolor estará dentro de mi hasta el día en que tu te intereses en mi
o hasta el momento en que yo me olvide de ti..

En la ventana miro la cuidad muerta,
tan solitaria como mi alma que grita por tu cariño
pero tu solo le cierras la puerta
sin saber que lo único que quiero es cumplir mi destino.

He llevado mi sufrimiento a las calles de mi pensamiento
se ven como un paisaje desolado, tan frías y tan turbulentas,
al final de un callejón en mi mente veo como tu me huyes
y sufro al sentir como mis ojos se llenan de lagrimas sangrientas.

Tu silencio ha esculpido mi llanto
el viento frío que ha dejado mí aliento,
esta noche he querido llorarte,
pero solo he conseguido esperarte.

Tengo tantas ganas y deseos de llamarte
pero tengo tanto miedo de molestarte
y decirte que te quiero.

Si pudiera hacer que me entendieras
o que por un momento esta desesperación sintieras,
el sufrimiento que mi corazón experimenta
al sentir como el amor aumenta
pero la persona que se quiere ni siquiera lo enfrenta..

Tonto es el corazón,
que al saber que aunque no hay razón
sigue queriendo con tanta pasión
sin importar el dolor causado por el desamor.
I dont...
want to..
destroy life.  Remember...
I still believe♫
Sam Aug 2012
Mi fai scoppiare in lacrime.
Gioia, tristezza, e l'amore.
Sono sopraffatto
ogni volta
Ti vedo.

Le Farfalle ritorno
Di volta in volta.

Il mento così prominente,
Il tuo sorriso così luminoso,
I tuoi occhi così incantevole.

Un abbraccio come nessun altro,
Caldo, pieno d'amore.
Imbarazzante e scomodo.

Baci soffici, duro, lento, veloce.
Intenso.

Fai finta di essere, cose che non sono,
Ma dentro di me vedere il tuo amore, la compassione,
La paura, il dolore, la gioia.

ride piccoli come un anello vero figlio dalla bocca,
come ** dolcemente solleticare la vostra abbronzato, ventre maculato.

Avvolto tra le tue braccia,
un bruco in un bozzolo.
Cassetta di sicurezza, suono, sicuro.

Abbiamo urlare e piangere.
Ci baciamo e ci sorridiamo.
Abbiamo fatto male e guarire.

Tu sei mia,
Io sono tuo.
Non importa chi ti ha amato,
o che vi piace quando ci separiamo,
L'amore che sgorga dal mio cuore,
per te,
Continuerà fino a che non cessa di.

Mi fai ridere,
piangere,
urlo,
brivido,
nella gioia, la rabbia, la disperazione, l'amore.

Voi mi levate dal baratro che è la mia mente.
Mi ricordi per questo che voglio essere vivo.
LKenzo Dec 2020
Las puertas de palacio
están abiertas
para todas esas bellas damas
con sus bonitos vestidos.
No te equivoques, puedo ser tan fuerte
como débil, lo demuestro
Me puedo romper con tanta facilidad
como con la que me construyo.
Soy un furgón y una jarra de vino.
Una navaja afilada, si es que te acercas.
Si quieres pelear, me da igual, lo haré
aunque tu sangre sea la misma que la mía
la que fue, alguna vez.
Las mujeres que están en palacio
son de diferente estatus al mío
se vivir, estoy preparada para morir
para la lucha.
Apago todos los cigarros en mis mejillas
y dejo que las lágrimas saladas curen las heridas
hoy llevo puestas mis medias de rejilla
y mentiría si dijese que a ti en especial
no te pienso una vez al día.
Hoy llevo puesta la armadura
Tumbada en el sucio suelo
saliendo humo de cada orificio
de mi roto cuerpo.
A todas las putas de palacio
les cosieron una tela en el ombligo
para que los hombres que se acostasen con ellas
olvidasen que ese “ser” alguna vez
había nacido.
Cuando termine el invierno
y la hierba levante el suelo,
cuando crezcan los crisantemos
y se abran todos los cerezos,
cuando eclosionen todas
las crisálidas y la nieve se funda bajo tu peso.
¿Compensará el arte por el ****?
¿amarme o amar?
¿Y si Dios es real? ¿Y si me equivoco?
una vez más.
Estoy atrapada dentro del palacio
¿Y si despierto y todo es real?
me volveré a equivocar
una vez más.
No te necesito para seguir viviendo
ni a ti ni a nadie, no me conoces lo suficiente
soy el huracán que arrasa
con las playas de Florida
Soy la rama del junco que, aunque firme,
se doblará pero nunca se quebrará.
Estoy atrapada dentro de la bestia;
Las calles nocturnas de aquella ciudad
y el mar
el faro
y la verja que hay que atravesar
el puerto
los labios
y las escaleras que llevan al agua.
La sensación de beber
viviendo en un panal lleno de miel.
Atrapada en el interior de la bestia
como en un romance cruel.

— The End —