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Diego Scarca Mar 2010
Quando la sera scende
sulle nostre spalle come un manto
che non avremmo voluto portare,
non chiedermi di cercarti,
non chiedermi d'amare.

Quando la sera ci inietta nelle vene
la droga che ci fa tremare,
come una carezza perduta,
l'amore che avremmo dovuto amare,
lasciami vagabondare
per le vie in salita,
lasciami sbattere la testa
contro un muro,
lasciami insicuro, ubriaco,
contento di sbagliare.

Quando la sera scende
sulle nostre spalle in un minuto
nel quale non ci saremmo voluti tuffare,
non chiedermi di tornare.
Lascia che come volute di fumo,
come esalazioni nerastre,
le tenebre mi avviluppino
e mi s'offuschi la vista.

Che come un cane fiuti
la mia pista e con la morte
giochi a scacchi la mia partita.
Che un tossicomane m'abbagli,
che una prostituta o un pederasta
m'accostino, che una donna
che credevo morta
mi chieda aiuto dall'oltretomba,
da un'altra vita.

Quando la sera scende sui nostri sbagli
come dita che sentiamo chiudersi
in una stretta, come il viaggio
che non avremmo voluto fare,
come le cose a cui abbiam dovuto
rinunciare troppo in fretta,
come tutte le altre sere,
come ogni sera,
la stessa fitta, la stessa febbre,
un'euforia smarrita...

Quando la sera come un manto
scende sulla nostra vita,
lascia che questo manto
io non lo sopporti,
lascia che cerchi
di scrollarmelo di dosso,
lascia che a più non posso
io mi metta a gridare.
Diego Scarca, Architetture del vuoto, Torino, Edizioni Angolo Manzoni, 2007
Ridonsi donne e giovani amorosi
M’ occostandosi attorno, e perche scrivi,
Perche tu scrivi in lingua ignota e strana
Verseggiando d’amor, e conie t’osi ?
Dinne, se la tua speme sia mai vana
E de pensieri lo miglior t’ arrivi;
Cosi mi van burlando, altri rivi
Altri lidi t’ aspettan, & altre onde
Nelle cui verdi sponde
Spuntati ad hor, ad hor a la tua chioma
L’immortal guiderdon d ‘eterne frondi
Perche alle spalle tue soverchia soma?
Canzon dirotti, e tu per me rispondi
Dice mia Donna, e’l suo dir, e il mio cuore
Questa e lingua di cui si vanta Amore.
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno cò suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir questa
Solitudine immensa? Ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu sè queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ** fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
Io ti ** vista seduta al pianoforte
e mi sei parsa un angelo, una vergine
di certissimo aspetto - come fossi
oggi cresciuta lì su quelle soglie
di sveltissima musica, o fermento
bello di donna dalle dritte spalle
cui le dita di angelo racchiuso

hanno impresso una curva di mistero
mentre che all'apparenza ne gioivi
profondamente come in veste nuova.

E noi tutti di te ripensavamo
cose profonde e più miracolosa
che una vetta di sogno la tua dolce
cara presenza ci scioglieva i nodi
dentro il sangue del male e sollevava
la nostr'aria nel palpito felice
dei tuoi biondi finissimi capelli.
Rivedo le tue lettere d'amore
illuminata, adesso, dal distacco;
senza quasi rancore...
L'illusione era forte a sostenerci;
ci reggevamo entrambi negli abbracci
pregando che durassero gli intenti,
ci promettemmo il "sempre" degli amanti,
certi nei nostri spiriti d'Iddii...
... E hai potuto lasciarmi,
e hai potuto intuire un'altra luce
che seguitasse dopo le mie spalle!
Mi hai suscitato dalle scarse origini
con richiami di musica divina,
mi hai resa divergenza di dolore,
spazio per la tua vita di ricerca
per abitarmi il tempo di un errore...
... E mi hai lasciato solo le tue lettere
onde ne ribevessi la mia assenza!
Oh, un terribile timore;
La lietezza esplode
Contro quei vetri al buio
Ma tale lietezza, che ti fa cantare in voce
È un ritorno dalla morte: e chi può mai ridere -
Dietro, sotto il riquadro del cielo annerito
Riapparizione ctonia!
Non scherzo: ché tu hai esperienza
Di un luogo che non ** mai esplorato,
UN VUOTO NEL COSMO
È vero che la mia terra è piccola
Ma ** sempre affabulato sui luoghi inesplorati
Con una certa lietezza, quasicché non fosse vero
Ma tu ci sei, qui, in voce
La luna è risorta;
le acque scorrono;
il mondo non sa di essere nuovo e la sua nuova giornata
finisce contro gli alti cornicioni e il nero del cielo
Chi c'è, in quel VUOTO DEL COSMO,
che tu porti nei tuoi desideri e conosci?
C'è il padre, sì, lui!
Tu credi che io lo conosca? Oh, come ti sbagli;
come ingenuamente dai per certo ciò che non lo è affatto;
fondi tutto il discorso, ripreso qui, cantando,
su questa presunzione che per te è umile
e non sai invece quanto sia superba
essa porta in sé i segni della volontà mortale della maggioranza -
L'occhio ilare di me mai disceso agli Inferi,
ombra infernale vagolante
nasconde
E tu ci caschi
Tu conosci di ciò che è realtà solo quell'Uomo Adulto
Ossia ciò che si deve conoscere;
lei, la Donna Adulta, stia all'Inferno
o nell'Ombra che precede la vita
e di là operi pure i suoi malefizi, i suoi incantesimi;
odiala, odiala, odiala;
e se tu canti e nessuno ti sente, sorridi
semplicemente perché, per ora, intanto, sei vittoriosa -
in voce come una giovane figlia avida
che però ha sperimentato dolcezza;
Parigi calca dietro alle tue spalle un cielo basso
Con la trama dei rami neri; ormai classici;
questa è la storia -
Tu sorridi al Padre -
Quella persona di cui non ** alcuna informazione,
che ** frequentato in un sogno che evidentemente non ricordo -
strano, è da quel mostro di autorità
che proviene anche la dolcezza
se non altro come rassegnazione e breve vittoria;
accidenti, come l'** ignorato; così ignorato da non saperne niente -
cosa fare?

Tu doni, spargi doni, hai bisogno di donare,
ma il tuo dono te l'ha dato Lui, come tutto;
ed è Nulla il dono di Nessuno;
io fingo di ricevere;
ti ringrazio, sinceramente grato;
Ma il debole sorriso sfuggente
non è di timidezza
è lo sgomento, più terribile, ben più terribile
di avere un corpo separato, nei regni dell'essere - se è una colpa
se non è che un incidente:
ma al posto dell'Altro
per me c'è un vuoto nel cosmo
un vuoto nel cosmo
e da là tu canti.
Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore da ubriaco.

Poi, come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi, case, colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
'O terzo piano, int' 'o palazzo mio,
a pporta a mme sta 'e casa na famiglia,
ggente per bene... timorata 'e Ddio:
marito, moglie, 'o nonno e quatto figlie.
'O capo 'e casa, 'On Ciccio Caccavalle,
tene na putechella int' 'o Cavone:
venne aucielle, scigne e pappavalle,
ma sta sempe arretrato c' 'opesone.

'E chisti tiempe 'a scigna chi s' 'a compra?!
Venne ogni morte 'e papa n'auciello;
o pappavallo è addiventato n'ombra,
nun parla cchiù p' 'a famma, 'o puveriello!

'A moglie 'e Caccavalle, Donn'Aminta,
è una signora con le mani d'oro:
mantene chella casa linda e pinta
ca si 'a vedite è overo nu splendore.

'O nonno, sittant'anne, malandato,
sta segregato dint'a nu stanzino:
'O pover'ommo sta sempe malato,
tene 'e dulure, affanno e nun cammina.

E che bbuò fà! Nce vonno 'e mmedicine,
a fella 'e carne, 'o ppoco 'e muzzarella...
Magnanno nce 'o vuò dà 'o bicchiere 'e vino
e nu tuscano pe na fumatella?

'A figlia, Donn'Aminta, notte e ghiuorno
fa l'assistenza al caro genitore;
trascura 'e figlie e nun se mette scuorno,
e Don Ciccillo sta cu ll'uocchie 'a fora.

Don Ciccio Caccavalle, quanno è 'a sera
ca se ritira, sta sempe ammurbato
pe vvia d' 'o nonno ('o pate d' 'a mugliera),
e fa: - Che ddiece 'e guaio ch'aggio passato. -

Fra medicine, miedece e salasse
'o pover'ommo adda purtà sta croce.
Gli affari vanno male, non s'incassa,
e 'o viecchio nun è carne ca lle coce.

E chesto è overo... 'On Ciccio sta nguaiato!
Porta sul'issso 'o piso 'ncoppa 'e spalle;
'o viecchio nun'è manco penzionato
e s'è appuiato 'ncuollo a Caccavalle.

'O viecchio no... nun vò senti raggione.
Pretenne 'a fella 'e carne, 'a muzzarella...
'A sera po', chello ca cchiù indispone:
- Ciccì, mme l'he purtata 'a sfugliatella? -

Don Ciccio vò convincere 'a mugliera,
ca pure essendo 'a figlia, ragiunasse:
- 'O vicchiariello soffre 'e sta manera...
è meglio ca 'o Signore s' 'o chiammasse! -

E infatti Caccavalle, ch'è credente,
a San Gennaro nuosto ha fatt' 'o vuto:
- Gennà, si 'o faje murì te porto argiento!...
sta grazia me l'he fà... faccia 'ngialluta! -

Ma Caccavalle tene n'attenuante,
se vede ca nun naviga int' a ll'oro...
Invece io saccio 'e ggente benestante
che tene tant' 'e pile 'ncopp' 'o core!
Io stongo 'e casa a 'o vico Paraviso
tengo tre stanze all'urdemo piano,
int' 'a stagione, maneche e 'ncammisa,
mmocca nu miezo sigaro tuscano,
mme metto for' 'a loggia a respirà.
Aiere ssera, quase a vintun'ora,
mentre facevo 'a solita fumata,
quanno mme sento areto nu rummore:
nu fuja-fuja... na specie 'e secutata...
Mm'avoto 'e scatto e faccio: "Chi va là?".

Appizzo ll'uocchio e veco 'a dint' 'o scuro
Bianchina, ferma 'nnanze a nu pertuso
'e chesta posta! Proprio sott' 'o muro.
Ma dato ch'era oscuro... era confuso,
non si vedeva la profondità.

St'appustamento ca faceva 'a gatta,
a ddì la verità, mme 'ncuriosette...
Penzaie:"Ccà nun mme pare buono 'o fatto:
e si Bianchina 'e puzo nce ne mette,
vuol dire qualche cosa nce adda stà".

E, comme infatti, nun m'ero sbagliato:
dentro al pertuso c'era un suricillo
cu ll'uocchie 'a fore... tutto spaventato,
...'o puveriello nun era tranquillo,
pensava: Nun m' 'a pozzo scapputtià.

Tutto a nu tratto 'o sorice parlaie
cu na parlata in italiano puro:
"Bianchina, ma perché con me ce l'hai?
Smettila, via, non farmi più paura!".
Dicette 'a gatta: "I' nun mme movo 'a ccà!".

"Pietà, pietà, pietà! Che cosa ** fatto?".
E s'avutaie 'e botto 'a parte mia:
«Signore, per piacere, dica al suo gatto
che mi lasciasse in pace e così sia!".
"Va bene, va', Bianchì... lascelo stà!".

"Patrò, trasitevenne 'a parte 'e dinto,
che rispunnite a ffà mmiezzo a sti fatte?
Stu suricillo ca fa 'o lindo e pinto,
mme ll'aggia spiccià io ca songo 'a gatta,
si no ccà 'ncoppa che ce stongo a ffà?".

"Va bene, - rispunnette 'mbarazzato -
veditavella vuie sta questione,
però ccà 'ncoppa nun voglio scenate;
e ricordate ca songh'io 'o padrone
e si rispetta l'ospitalità".

"E inutile che staje dint' 'o pertuso,
-'a gatta lle dicette - chesta è 'a fine...
Si cride 'e te scanzà, povero illuso!
He fatto 'o cunto ma senza Bianchina...
Songo decisa e nun mme movo 'a ccà!".

"Pietà di me! Pietà, Bianchina bella!".
Chiagneva e 'mpietto lle tremava 'a voce,
cosa ca te faceva arriccià 'a pella.
Povero suricillo, miso 'ncroce
senza speranza 'e se pute salvà!

"Va buo', pe chesta vota, 'izela 'a mano,
cerca d' 'o fà fui stu suricillo,
chello ca staje facenno nun à umano,
te miette 'ncuollo a chi à cchiù piccerillo...
Embe, che songo chesti nnuvità?".

"'O munno è ghiuto sempe 'e sta manera:
'o pesce gruosso magna 'o piccerillo
(mme rispunnette 'a gatta aiere ssera).
Pur'io aggio perduto nu mucillo
mmocca a nu cane 'e presa; ch'aggia fà?".

"Ma cosa c'entro io con quel cagnaccio!
Anch'io ** una mammina che mi aspetta:
Gesù Bambino, più non ce la faccio!
Nella mia tana vo' tornare in fretta;
se non mi vede mamma mia morrà"»

'O suricillo già vedeva 'a morte
e accumminciaie a chiagnere a dirotto,
'o core lle sbatteva forte forte,
e p' 'a paura se facette sotto.
Mm'avoto e faccio 'a gatta: "Frusta llà!".

'A gatta se facette na resata,
dicette: "E se po' iate int' 'a cucina
e truvate 'o formaggio rusecato,
pecché po' v' 'a pigliate cu Bianchina?
Chisto è 'o duvere mio... chesto aggia fà!".

In fondo in fondo, 'a gatta raggiunava:
si mm' 'a tenevo in casa era p' 'o scopo;
dicimmo 'a verità, chi s' 'a pigliava
si me teneva 'a casa chiena 'e topi?
Chiaie 'e spalle e mme jette a cuccà!
I giudici se vogliono giudicare bisogna che si facciano eleggere
i giornalisti se vogliono scrivere non devono criticare
i sindacalisti devono alzarsi in piedi quando mi vedono entrare
l'opposizione non deve opporsi se no non vale
e insomma una buona volta lasciatemi lavorare
** sei ville in Sardegna e le bollette da pagare
e forse dovrei farmi ricoverare
Mi consenta mi consenta senta
c'è troppa anomalia in questa società violenta

I giudici se vogliono restare non ci devono arrestare
la stampa estera l'Italia non la deve riguardare
e io a casa mia mangio con chi mi pare
e insomma Bettino smettila di telefonare
più di quello che ** fatto proprio non lo posso fare
** sei televisioni sulle spalle da mantenere
e forse mi dovrei far ricoverare
Mi consenta mi consenta senta
c'è troppa finanza in questa società violenta

E i tre saggi se sono saggi non si devono impicciare
e la Rai deve essere complementare
e perdio spiegatemi cosa vuol dire complementare
e non dite che non so l'italiano che mi fate incazzare
e i giudici i processi li devono stipulare
e i giornalisti non devono esageracerbare
e forse mi dovrei far ricoverare
Mi consenta mi consenta senta
c'è troppa poca Fininvest in questa società violenta

E i giudici si alzino in piedi prima di giudicare
e se la mafia mi vota cosa ci posso fare
e il milione di posti l'avevo detto per scherzare
e voglio tremila guardie del corpo che mi devono guardare
e un ritratto di sei metri vestito da imperatore
e che sono fascista non me lo dovete dire
e i giornalisti prima di scrivere si facciano eleggere
e i rigori contro il Milan non li dovete dare
e gli agit-prop vadano in Russia ad agitproppare
e non chiamatemi Bokassa o vi faccio fucilare
e i giudici il paese non lo possono sventrare
e a me gli avvisi di garanzia non li dovete mandare
e forse mi dovrei un po' calmare
ma se io sono Dio cosa ci posso fare
Mi consenta mi consenta senta
no c'è più religione in questa società violenta.
"Era un mattino in cui sognava ignara
nei ròsi orizzonti una luce di mare:
ogni filo d'erba come cresciuto a stento
era un filo di quello splendore opaco e immenso.

Venivamo in silenzio per il nascosto argine
lungo la ferrovia, leggeri e ancora caldi

del nostro ultimo sonno in comune nel nudo
granaio tra i campi ch'era il nostro rifugio.

In fondo Casarsa biancheggiva esanime
nel terrore dell'ultimo proclama di Graziani;

e, colpita dal solo contro l'ombra dei monti,
la stazione era vuota: oltre i radi tronchi

dei gelsi e gli sterpi, solo sopra l'erba
del binario, attendeva il treno per Spilimbergo...

L'** visto allontanarsi con la sua valigetta,
dove dentro un libro di Montale era stretta

tra pochi panni, la sua rivoltella,
nel bianco colore dell'aria e della terra.

Le spalle un po' strette dentro la giacchetta
ch'era stata mia, la nuca giovinetta... ".
Donall Dempsey Oct 2018
A NATION OF ONE

her hair a golden banner
flung out behind her
proclaiming the country of herself

UNA NAZIONE DI UNO

I suoi capelli - una bandiera d'oro
gettata alle sue spalle dietro lei
proclamano la sua patria
Non ** voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

** tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
******>con le quattro
capriole
di fumo
del focolare.
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno cò suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir questa
Solitudine immensa? Ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu sè queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ** fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
Tu insegui le mie forme,
segui tu la giustezza del mio corpo
e non mai la bellezza
di cui vado superba.
Sono animale all'infelice coppia
prona su un letto misero d'assalti,
sono la carezzevole rovina
dei fecondi sussulti alle tue mani,
sono il vuoto cresciuto
sino all'altezza esatta del piacere
ma con mille tramonti alle mie spalle:
quante volte, amor mio, tu mi disdegni.
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno cò suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir questa
Solitudine immensa? Ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu sè queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ** fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
Io stongo 'e casa a 'o vico Paraviso
tengo tre stanze all'urdemo piano,
int' 'a stagione, maneche e 'ncammisa,
mmocca nu miezo sigaro tuscano,
mme metto for' 'a loggia a respirà.
Aiere ssera, quase a vintun'ora,
mentre facevo 'a solita fumata,
quanno mme sento areto nu rummore:
nu fuja-fuja... na specie 'e secutata...
Mm'avoto 'e scatto e faccio: "Chi va là?".

Appizzo ll'uocchio e veco 'a dint' 'o scuro
Bianchina, ferma 'nnanze a nu pertuso
'e chesta posta! Proprio sott' 'o muro.
Ma dato ch'era oscuro... era confuso,
non si vedeva la profondità.

St'appustamento ca faceva 'a gatta,
a ddì la verità, mme 'ncuriosette...
Penzaie:"Ccà nun mme pare buono 'o fatto:
e si Bianchina 'e puzo nce ne mette,
vuol dire qualche cosa nce adda stà".

E, comme infatti, nun m'ero sbagliato:
dentro al pertuso c'era un suricillo
cu ll'uocchie 'a fore... tutto spaventato,
...'o puveriello nun era tranquillo,
pensava: Nun m' 'a pozzo scapputtià.

Tutto a nu tratto 'o sorice parlaie
cu na parlata in italiano puro:
"Bianchina, ma perché con me ce l'hai?
Smettila, via, non farmi più paura!".
Dicette 'a gatta: "I' nun mme movo 'a ccà!".

"Pietà, pietà, pietà! Che cosa ** fatto?".
E s'avutaie 'e botto 'a parte mia:
«Signore, per piacere, dica al suo gatto
che mi lasciasse in pace e così sia!".
"Va bene, va', Bianchì... lascelo stà!".

"Patrò, trasitevenne 'a parte 'e dinto,
che rispunnite a ffà mmiezzo a sti fatte?
Stu suricillo ca fa 'o lindo e pinto,
mme ll'aggia spiccià io ca songo 'a gatta,
si no ccà 'ncoppa che ce stongo a ffà?".

"Va bene, - rispunnette 'mbarazzato -
veditavella vuie sta questione,
però ccà 'ncoppa nun voglio scenate;
e ricordate ca songh'io 'o padrone
e si rispetta l'ospitalità".

"E inutile che staje dint' 'o pertuso,
-'a gatta lle dicette - chesta è 'a fine...
Si cride 'e te scanzà, povero illuso!
He fatto 'o cunto ma senza Bianchina...
Songo decisa e nun mme movo 'a ccà!".

"Pietà di me! Pietà, Bianchina bella!".
Chiagneva e 'mpietto lle tremava 'a voce,
cosa ca te faceva arriccià 'a pella.
Povero suricillo, miso 'ncroce
senza speranza 'e se pute salvà!

"Va buo', pe chesta vota, 'izela 'a mano,
cerca d' 'o fà fui stu suricillo,
chello ca staje facenno nun à umano,
te miette 'ncuollo a chi à cchiù piccerillo...
Embe, che songo chesti nnuvità?".

"'O munno è ghiuto sempe 'e sta manera:
'o pesce gruosso magna 'o piccerillo
(mme rispunnette 'a gatta aiere ssera).
Pur'io aggio perduto nu mucillo
mmocca a nu cane 'e presa; ch'aggia fà?".

"Ma cosa c'entro io con quel cagnaccio!
Anch'io ** una mammina che mi aspetta:
Gesù Bambino, più non ce la faccio!
Nella mia tana vo' tornare in fretta;
se non mi vede mamma mia morrà"»

'O suricillo già vedeva 'a morte
e accumminciaie a chiagnere a dirotto,
'o core lle sbatteva forte forte,
e p' 'a paura se facette sotto.
Mm'avoto e faccio 'a gatta: "Frusta llà!".

'A gatta se facette na resata,
dicette: "E se po' iate int' 'a cucina
e truvate 'o formaggio rusecato,
pecché po' v' 'a pigliate cu Bianchina?
Chisto è 'o duvere mio... chesto aggia fà!".

In fondo in fondo, 'a gatta raggiunava:
si mm' 'a tenevo in casa era p' 'o scopo;
dicimmo 'a verità, chi s' 'a pigliava
si me teneva 'a casa chiena 'e topi?
Chiaie 'e spalle e mme jette a cuccà!
Io stongo 'e casa a 'o vico Paraviso
tengo tre stanze all'urdemo piano,
int' 'a stagione, maneche e 'ncammisa,
mmocca nu miezo sigaro tuscano,
mme metto for' 'a loggia a respirà.
Aiere ssera, quase a vintun'ora,
mentre facevo 'a solita fumata,
quanno mme sento areto nu rummore:
nu fuja-fuja... na specie 'e secutata...
Mm'avoto 'e scatto e faccio: "Chi va là?".

Appizzo ll'uocchio e veco 'a dint' 'o scuro
Bianchina, ferma 'nnanze a nu pertuso
'e chesta posta! Proprio sott' 'o muro.
Ma dato ch'era oscuro... era confuso,
non si vedeva la profondità.

St'appustamento ca faceva 'a gatta,
a ddì la verità, mme 'ncuriosette...
Penzaie:"Ccà nun mme pare buono 'o fatto:
e si Bianchina 'e puzo nce ne mette,
vuol dire qualche cosa nce adda stà".

E, comme infatti, nun m'ero sbagliato:
dentro al pertuso c'era un suricillo
cu ll'uocchie 'a fore... tutto spaventato,
...'o puveriello nun era tranquillo,
pensava: Nun m' 'a pozzo scapputtià.

Tutto a nu tratto 'o sorice parlaie
cu na parlata in italiano puro:
"Bianchina, ma perché con me ce l'hai?
Smettila, via, non farmi più paura!".
Dicette 'a gatta: "I' nun mme movo 'a ccà!".

"Pietà, pietà, pietà! Che cosa ** fatto?".
E s'avutaie 'e botto 'a parte mia:
«Signore, per piacere, dica al suo gatto
che mi lasciasse in pace e così sia!".
"Va bene, va', Bianchì... lascelo stà!".

"Patrò, trasitevenne 'a parte 'e dinto,
che rispunnite a ffà mmiezzo a sti fatte?
Stu suricillo ca fa 'o lindo e pinto,
mme ll'aggia spiccià io ca songo 'a gatta,
si no ccà 'ncoppa che ce stongo a ffà?".

"Va bene, - rispunnette 'mbarazzato -
veditavella vuie sta questione,
però ccà 'ncoppa nun voglio scenate;
e ricordate ca songh'io 'o padrone
e si rispetta l'ospitalità".

"E inutile che staje dint' 'o pertuso,
-'a gatta lle dicette - chesta è 'a fine...
Si cride 'e te scanzà, povero illuso!
He fatto 'o cunto ma senza Bianchina...
Songo decisa e nun mme movo 'a ccà!".

"Pietà di me! Pietà, Bianchina bella!".
Chiagneva e 'mpietto lle tremava 'a voce,
cosa ca te faceva arriccià 'a pella.
Povero suricillo, miso 'ncroce
senza speranza 'e se pute salvà!

"Va buo', pe chesta vota, 'izela 'a mano,
cerca d' 'o fà fui stu suricillo,
chello ca staje facenno nun à umano,
te miette 'ncuollo a chi à cchiù piccerillo...
Embe, che songo chesti nnuvità?".

"'O munno è ghiuto sempe 'e sta manera:
'o pesce gruosso magna 'o piccerillo
(mme rispunnette 'a gatta aiere ssera).
Pur'io aggio perduto nu mucillo
mmocca a nu cane 'e presa; ch'aggia fà?".

"Ma cosa c'entro io con quel cagnaccio!
Anch'io ** una mammina che mi aspetta:
Gesù Bambino, più non ce la faccio!
Nella mia tana vo' tornare in fretta;
se non mi vede mamma mia morrà"»

'O suricillo già vedeva 'a morte
e accumminciaie a chiagnere a dirotto,
'o core lle sbatteva forte forte,
e p' 'a paura se facette sotto.
Mm'avoto e faccio 'a gatta: "Frusta llà!".

'A gatta se facette na resata,
dicette: "E se po' iate int' 'a cucina
e truvate 'o formaggio rusecato,
pecché po' v' 'a pigliate cu Bianchina?
Chisto è 'o duvere mio... chesto aggia fà!".

In fondo in fondo, 'a gatta raggiunava:
si mm' 'a tenevo in casa era p' 'o scopo;
dicimmo 'a verità, chi s' 'a pigliava
si me teneva 'a casa chiena 'e topi?
Chiaie 'e spalle e mme jette a cuccà!
I giudici se vogliono giudicare bisogna che si facciano eleggere
i giornalisti se vogliono scrivere non devono criticare
i sindacalisti devono alzarsi in piedi quando mi vedono entrare
l'opposizione non deve opporsi se no non vale
e insomma una buona volta lasciatemi lavorare
** sei ville in Sardegna e le bollette da pagare
e forse dovrei farmi ricoverare
Mi consenta mi consenta senta
c'è troppa anomalia in questa società violenta

I giudici se vogliono restare non ci devono arrestare
la stampa estera l'Italia non la deve riguardare
e io a casa mia mangio con chi mi pare
e insomma Bettino smettila di telefonare
più di quello che ** fatto proprio non lo posso fare
** sei televisioni sulle spalle da mantenere
e forse mi dovrei far ricoverare
Mi consenta mi consenta senta
c'è troppa finanza in questa società violenta

E i tre saggi se sono saggi non si devono impicciare
e la Rai deve essere complementare
e perdio spiegatemi cosa vuol dire complementare
e non dite che non so l'italiano che mi fate incazzare
e i giudici i processi li devono stipulare
e i giornalisti non devono esageracerbare
e forse mi dovrei far ricoverare
Mi consenta mi consenta senta
c'è troppa poca Fininvest in questa società violenta

E i giudici si alzino in piedi prima di giudicare
e se la mafia mi vota cosa ci posso fare
e il milione di posti l'avevo detto per scherzare
e voglio tremila guardie del corpo che mi devono guardare
e un ritratto di sei metri vestito da imperatore
e che sono fascista non me lo dovete dire
e i giornalisti prima di scrivere si facciano eleggere
e i rigori contro il Milan non li dovete dare
e gli agit-prop vadano in Russia ad agitproppare
e non chiamatemi Bokassa o vi faccio fucilare
e i giudici il paese non lo possono sventrare
e a me gli avvisi di garanzia non li dovete mandare
e forse mi dovrei un po' calmare
ma se io sono Dio cosa ci posso fare
Mi consenta mi consenta senta
no c'è più religione in questa società violenta.
Oh, un terribile timore;
La lietezza esplode
Contro quei vetri al buio
Ma tale lietezza, che ti fa cantare in voce
È un ritorno dalla morte: e chi può mai ridere -
Dietro, sotto il riquadro del cielo annerito
Riapparizione ctonia!
Non scherzo: ché tu hai esperienza
Di un luogo che non ** mai esplorato,
UN VUOTO NEL COSMO
È vero che la mia terra è piccola
Ma ** sempre affabulato sui luoghi inesplorati
Con una certa lietezza, quasicché non fosse vero
Ma tu ci sei, qui, in voce
La luna è risorta;
le acque scorrono;
il mondo non sa di essere nuovo e la sua nuova giornata
finisce contro gli alti cornicioni e il nero del cielo
Chi c'è, in quel VUOTO DEL COSMO,
che tu porti nei tuoi desideri e conosci?
C'è il padre, sì, lui!
Tu credi che io lo conosca? Oh, come ti sbagli;
come ingenuamente dai per certo ciò che non lo è affatto;
fondi tutto il discorso, ripreso qui, cantando,
su questa presunzione che per te è umile
e non sai invece quanto sia superba
essa porta in sé i segni della volontà mortale della maggioranza -
L'occhio ilare di me mai disceso agli Inferi,
ombra infernale vagolante
nasconde
E tu ci caschi
Tu conosci di ciò che è realtà solo quell'Uomo Adulto
Ossia ciò che si deve conoscere;
lei, la Donna Adulta, stia all'Inferno
o nell'Ombra che precede la vita
e di là operi pure i suoi malefizi, i suoi incantesimi;
odiala, odiala, odiala;
e se tu canti e nessuno ti sente, sorridi
semplicemente perché, per ora, intanto, sei vittoriosa -
in voce come una giovane figlia avida
che però ha sperimentato dolcezza;
Parigi calca dietro alle tue spalle un cielo basso
Con la trama dei rami neri; ormai classici;
questa è la storia -
Tu sorridi al Padre -
Quella persona di cui non ** alcuna informazione,
che ** frequentato in un sogno che evidentemente non ricordo -
strano, è da quel mostro di autorità
che proviene anche la dolcezza
se non altro come rassegnazione e breve vittoria;
accidenti, come l'** ignorato; così ignorato da non saperne niente -
cosa fare?

Tu doni, spargi doni, hai bisogno di donare,
ma il tuo dono te l'ha dato Lui, come tutto;
ed è Nulla il dono di Nessuno;
io fingo di ricevere;
ti ringrazio, sinceramente grato;
Ma il debole sorriso sfuggente
non è di timidezza
è lo sgomento, più terribile, ben più terribile
di avere un corpo separato, nei regni dell'essere - se è una colpa
se non è che un incidente:
ma al posto dell'Altro
per me c'è un vuoto nel cosmo
un vuoto nel cosmo
e da là tu canti.
Donall Dempsey Oct 2017
A NATION OF ONE

her hair a golden banner
flung out behind her
proclaiming the country of herself



UNA NAZIONE DI UNA

I suoi capelli - una bandiera d'oro
gettata alle sue spalle dietro lei
proclamano la sua patria
Sento il peso del mondo sulle mie spalle.
Mi fa male vedere ogni persona che soffre.
Vorrei che tutti fossero felici, anche chi mi ha fatto del male.
Vorrei che gli animali non si debbano ammazzare per sopravvivere.

No, non mi importa
No, non mi importa più
Va tutto bene nonostante il caos
Va tutto bene nonostante tutto

Se conosco la storia di un cattivo riesco a capire perché è cattivo e diventa mio fratello.
Se conosco la storia di un'assassina capisco perché lo è diventata e diventa mia sorella.
Forse porgere l'altra guancia significa capire che ci sono persone che soffrono più di me.
Forse porgere l'altra guancia lenirà la sofferenza di chi arreca sofferenza perché la sua vita è stata più sofferente della mia.
O forse no e sono solo stronzi.

Si, mi importa relativamente perché...
Va tutto bene in realtà
Sto bene in realtà

È tutto una costruzione della nostra mente.
Una costruzione collettiva e culturale.

Dirò quel che vorrò dire,
se ne approfitterai bene, sennò pazienza.
La stessa pioggia fa scappare gli adulti e fa saltare su pozzanghere bambini.

** visto comunisti comportarsi da fascisti, e io che mi definisco marxista ** provato vergogna per me stesso.
Forse il capitalismo non è tutto da buttare.
** visto femministe attaccare in ma ssa, frenetiche come api sul miele, una ragazza.
E Io che mi definivo femminista intersezionale...
Quante volte io avrò tradito i miei ideali?

Oh sì, va tutto bene in realtà.
Oh si, riesco a planare in questa leggerezza.

La natura si mostra in tutta la sua bellezza.
La natura si mostra in tutta la sua violenza.

Svegliarsi è spiacevole, è così bello dormire,
Svegliarsi è spiacevole ma essere già svegli è più bello.

Qual è il vantaggio di mandare un uomo sulla luna quando l'uomo non riesce a vivere sulla terra?

È tutto ok
E io plano lontano su questa leggerezza.

Inseguo un gatto.
Cammino in alto su un muro e non cado, non cado.

E poi
Un piede sull'asfalto
Uno sulla via lattea
Accendo un falò.
Nuoto dove l'acqua è più blu.

È tutto così bello, tutto è più bello.
Tutto è così leggero...

Come camminare in alto su un muro
E non cadere, non cadere

Tu sei bellissima.

Tu turu tu tu turu tu.

/
Amo tutto di lei ed è così bella.
Non ** bisogno di prendere una farfalla per vederne la bellezza.
Se ti piace un fiore lo prendi,
se lo ami lo annaffi.


Spero che questo mio amore per te possa non finire mai, mi sento benedetto quando amo qualcuno.

Mi sento benedetto a stare sotto questo cielo.

Come camminare in alto su un muro e non cadere, non cadere.

E sento te dentro il mio cuore splendere come un gioiello

Dolci sogni che ricorderò.
Dolci sogni che ricorderò tutti.
.








"Non tentare di renderli felici, ti metterai nei pasticci."
"Non tentare di insegnare a cantare a un maiale, il risultato è che lui si irrita e tu perderai tempo".
'O terzo piano, int' 'o palazzo mio,
a pporta a mme sta 'e casa na famiglia,
ggente per bene... timorata 'e Ddio:
marito, moglie, 'o nonno e quatto figlie.
'O capo 'e casa, 'On Ciccio Caccavalle,
tene na putechella int' 'o Cavone:
venne aucielle, scigne e pappavalle,
ma sta sempe arretrato c' 'opesone.

'E chisti tiempe 'a scigna chi s' 'a compra?!
Venne ogni morte 'e papa n'auciello;
o pappavallo è addiventato n'ombra,
nun parla cchiù p' 'a famma, 'o puveriello!

'A moglie 'e Caccavalle, Donn'Aminta,
è una signora con le mani d'oro:
mantene chella casa linda e pinta
ca si 'a vedite è overo nu splendore.

'O nonno, sittant'anne, malandato,
sta segregato dint'a nu stanzino:
'O pover'ommo sta sempe malato,
tene 'e dulure, affanno e nun cammina.

E che bbuò fà! Nce vonno 'e mmedicine,
a fella 'e carne, 'o ppoco 'e muzzarella...
Magnanno nce 'o vuò dà 'o bicchiere 'e vino
e nu tuscano pe na fumatella?

'A figlia, Donn'Aminta, notte e ghiuorno
fa l'assistenza al caro genitore;
trascura 'e figlie e nun se mette scuorno,
e Don Ciccillo sta cu ll'uocchie 'a fora.

Don Ciccio Caccavalle, quanno è 'a sera
ca se ritira, sta sempe ammurbato
pe vvia d' 'o nonno ('o pate d' 'a mugliera),
e fa: - Che ddiece 'e guaio ch'aggio passato. -

Fra medicine, miedece e salasse
'o pover'ommo adda purtà sta croce.
Gli affari vanno male, non s'incassa,
e 'o viecchio nun è carne ca lle coce.

E chesto è overo... 'On Ciccio sta nguaiato!
Porta sul'issso 'o piso 'ncoppa 'e spalle;
'o viecchio nun'è manco penzionato
e s'è appuiato 'ncuollo a Caccavalle.

'O viecchio no... nun vò senti raggione.
Pretenne 'a fella 'e carne, 'a muzzarella...
'A sera po', chello ca cchiù indispone:
- Ciccì, mme l'he purtata 'a sfugliatella? -

Don Ciccio vò convincere 'a mugliera,
ca pure essendo 'a figlia, ragiunasse:
- 'O vicchiariello soffre 'e sta manera...
è meglio ca 'o Signore s' 'o chiammasse! -

E infatti Caccavalle, ch'è credente,
a San Gennaro nuosto ha fatt' 'o vuto:
- Gennà, si 'o faje murì te porto argiento!...
sta grazia me l'he fà... faccia 'ngialluta! -

Ma Caccavalle tene n'attenuante,
se vede ca nun naviga int' a ll'oro...
Invece io saccio 'e ggente benestante
che tene tant' 'e pile 'ncopp' 'o core!
Oh, un terribile timore;
La lietezza esplode
Contro quei vetri al buio
Ma tale lietezza, che ti fa cantare in voce
È un ritorno dalla morte: e chi può mai ridere -
Dietro, sotto il riquadro del cielo annerito
Riapparizione ctonia!
Non scherzo: ché tu hai esperienza
Di un luogo che non ** mai esplorato,
UN VUOTO NEL COSMO
È vero che la mia terra è piccola
Ma ** sempre affabulato sui luoghi inesplorati
Con una certa lietezza, quasicché non fosse vero
Ma tu ci sei, qui, in voce
La luna è risorta;
le acque scorrono;
il mondo non sa di essere nuovo e la sua nuova giornata
finisce contro gli alti cornicioni e il nero del cielo
Chi c'è, in quel VUOTO DEL COSMO,
che tu porti nei tuoi desideri e conosci?
C'è il padre, sì, lui!
Tu credi che io lo conosca? Oh, come ti sbagli;
come ingenuamente dai per certo ciò che non lo è affatto;
fondi tutto il discorso, ripreso qui, cantando,
su questa presunzione che per te è umile
e non sai invece quanto sia superba
essa porta in sé i segni della volontà mortale della maggioranza -
L'occhio ilare di me mai disceso agli Inferi,
ombra infernale vagolante
nasconde
E tu ci caschi
Tu conosci di ciò che è realtà solo quell'Uomo Adulto
Ossia ciò che si deve conoscere;
lei, la Donna Adulta, stia all'Inferno
o nell'Ombra che precede la vita
e di là operi pure i suoi malefizi, i suoi incantesimi;
odiala, odiala, odiala;
e se tu canti e nessuno ti sente, sorridi
semplicemente perché, per ora, intanto, sei vittoriosa -
in voce come una giovane figlia avida
che però ha sperimentato dolcezza;
Parigi calca dietro alle tue spalle un cielo basso
Con la trama dei rami neri; ormai classici;
questa è la storia -
Tu sorridi al Padre -
Quella persona di cui non ** alcuna informazione,
che ** frequentato in un sogno che evidentemente non ricordo -
strano, è da quel mostro di autorità
che proviene anche la dolcezza
se non altro come rassegnazione e breve vittoria;
accidenti, come l'** ignorato; così ignorato da non saperne niente -
cosa fare?

Tu doni, spargi doni, hai bisogno di donare,
ma il tuo dono te l'ha dato Lui, come tutto;
ed è Nulla il dono di Nessuno;
io fingo di ricevere;
ti ringrazio, sinceramente grato;
Ma il debole sorriso sfuggente
non è di timidezza
è lo sgomento, più terribile, ben più terribile
di avere un corpo separato, nei regni dell'essere - se è una colpa
se non è che un incidente:
ma al posto dell'Altro
per me c'è un vuoto nel cosmo
un vuoto nel cosmo
e da là tu canti.
Rivedo le tue lettere d'amore
illuminata, adesso, dal distacco;
senza quasi rancore...
L'illusione era forte a sostenerci;
ci reggevamo entrambi negli abbracci
pregando che durassero gli intenti,
ci promettemmo il "sempre" degli amanti,
certi nei nostri spiriti d'Iddii...
... E hai potuto lasciarmi,
e hai potuto intuire un'altra luce
che seguitasse dopo le mie spalle!
Mi hai suscitato dalle scarse origini
con richiami di musica divina,
mi hai resa divergenza di dolore,
spazio per la tua vita di ricerca
per abitarmi il tempo di un errore...
... E mi hai lasciato solo le tue lettere
onde ne ribevessi la mia assenza!
I giudici se vogliono giudicare bisogna che si facciano eleggere
i giornalisti se vogliono scrivere non devono criticare
i sindacalisti devono alzarsi in piedi quando mi vedono entrare
l'opposizione non deve opporsi se no non vale
e insomma una buona volta lasciatemi lavorare
** sei ville in Sardegna e le bollette da pagare
e forse dovrei farmi ricoverare
Mi consenta mi consenta senta
c'è troppa anomalia in questa società violenta

I giudici se vogliono restare non ci devono arrestare
la stampa estera l'Italia non la deve riguardare
e io a casa mia mangio con chi mi pare
e insomma Bettino smettila di telefonare
più di quello che ** fatto proprio non lo posso fare
** sei televisioni sulle spalle da mantenere
e forse mi dovrei far ricoverare
Mi consenta mi consenta senta
c'è troppa finanza in questa società violenta

E i tre saggi se sono saggi non si devono impicciare
e la Rai deve essere complementare
e perdio spiegatemi cosa vuol dire complementare
e non dite che non so l'italiano che mi fate incazzare
e i giudici i processi li devono stipulare
e i giornalisti non devono esageracerbare
e forse mi dovrei far ricoverare
Mi consenta mi consenta senta
c'è troppa poca Fininvest in questa società violenta

E i giudici si alzino in piedi prima di giudicare
e se la mafia mi vota cosa ci posso fare
e il milione di posti l'avevo detto per scherzare
e voglio tremila guardie del corpo che mi devono guardare
e un ritratto di sei metri vestito da imperatore
e che sono fascista non me lo dovete dire
e i giornalisti prima di scrivere si facciano eleggere
e i rigori contro il Milan non li dovete dare
e gli agit-prop vadano in Russia ad agitproppare
e non chiamatemi Bokassa o vi faccio fucilare
e i giudici il paese non lo possono sventrare
e a me gli avvisi di garanzia non li dovete mandare
e forse mi dovrei un po' calmare
ma se io sono Dio cosa ci posso fare
Mi consenta mi consenta senta
no c'è più religione in questa società violenta.
"Era un mattino in cui sognava ignara
nei ròsi orizzonti una luce di mare:
ogni filo d'erba come cresciuto a stento
era un filo di quello splendore opaco e immenso.

Venivamo in silenzio per il nascosto argine
lungo la ferrovia, leggeri e ancora caldi

del nostro ultimo sonno in comune nel nudo
granaio tra i campi ch'era il nostro rifugio.

In fondo Casarsa biancheggiva esanime
nel terrore dell'ultimo proclama di Graziani;

e, colpita dal solo contro l'ombra dei monti,
la stazione era vuota: oltre i radi tronchi

dei gelsi e gli sterpi, solo sopra l'erba
del binario, attendeva il treno per Spilimbergo...

L'** visto allontanarsi con la sua valigetta,
dove dentro un libro di Montale era stretta

tra pochi panni, la sua rivoltella,
nel bianco colore dell'aria e della terra.

Le spalle un po' strette dentro la giacchetta
ch'era stata mia, la nuca giovinetta... ".
'O terzo piano, int' 'o palazzo mio,
a pporta a mme sta 'e casa na famiglia,
ggente per bene... timorata 'e Ddio:
marito, moglie, 'o nonno e quatto figlie.
'O capo 'e casa, 'On Ciccio Caccavalle,
tene na putechella int' 'o Cavone:
venne aucielle, scigne e pappavalle,
ma sta sempe arretrato c' 'opesone.

'E chisti tiempe 'a scigna chi s' 'a compra?!
Venne ogni morte 'e papa n'auciello;
o pappavallo è addiventato n'ombra,
nun parla cchiù p' 'a famma, 'o puveriello!

'A moglie 'e Caccavalle, Donn'Aminta,
è una signora con le mani d'oro:
mantene chella casa linda e pinta
ca si 'a vedite è overo nu splendore.

'O nonno, sittant'anne, malandato,
sta segregato dint'a nu stanzino:
'O pover'ommo sta sempe malato,
tene 'e dulure, affanno e nun cammina.

E che bbuò fà! Nce vonno 'e mmedicine,
a fella 'e carne, 'o ppoco 'e muzzarella...
Magnanno nce 'o vuò dà 'o bicchiere 'e vino
e nu tuscano pe na fumatella?

'A figlia, Donn'Aminta, notte e ghiuorno
fa l'assistenza al caro genitore;
trascura 'e figlie e nun se mette scuorno,
e Don Ciccillo sta cu ll'uocchie 'a fora.

Don Ciccio Caccavalle, quanno è 'a sera
ca se ritira, sta sempe ammurbato
pe vvia d' 'o nonno ('o pate d' 'a mugliera),
e fa: - Che ddiece 'e guaio ch'aggio passato. -

Fra medicine, miedece e salasse
'o pover'ommo adda purtà sta croce.
Gli affari vanno male, non s'incassa,
e 'o viecchio nun è carne ca lle coce.

E chesto è overo... 'On Ciccio sta nguaiato!
Porta sul'issso 'o piso 'ncoppa 'e spalle;
'o viecchio nun'è manco penzionato
e s'è appuiato 'ncuollo a Caccavalle.

'O viecchio no... nun vò senti raggione.
Pretenne 'a fella 'e carne, 'a muzzarella...
'A sera po', chello ca cchiù indispone:
- Ciccì, mme l'he purtata 'a sfugliatella? -

Don Ciccio vò convincere 'a mugliera,
ca pure essendo 'a figlia, ragiunasse:
- 'O vicchiariello soffre 'e sta manera...
è meglio ca 'o Signore s' 'o chiammasse! -

E infatti Caccavalle, ch'è credente,
a San Gennaro nuosto ha fatt' 'o vuto:
- Gennà, si 'o faje murì te porto argiento!...
sta grazia me l'he fà... faccia 'ngialluta! -

Ma Caccavalle tene n'attenuante,
se vede ca nun naviga int' a ll'oro...
Invece io saccio 'e ggente benestante
che tene tant' 'e pile 'ncopp' 'o core!
Io ti ** vista seduta al pianoforte
e mi sei parsa un angelo, una vergine
di certissimo aspetto – come fossi
oggi cresciuta lì su quelle soglie
di sveltissima musica, o fermento
bello di donna dalle dritte spalle
cui le dita di angelo racchiuso

hanno impresso una curva di mistero
mentre che all'apparenza ne gioivi
profondamente come in veste nuova.

E noi tutti di te ripensavamo
cose profonde e più miracolosa
che una vetta di sogno la tua dolce
cara presenza ci scioglieva i nodi
dentro il sangue del male e sollevava
la nostr'aria nel palpito felice
dei tuoi biondi finissimi capelli.
Non ** voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

** tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
******>con le quattro
capriole
di fumo
del focolare.
"Era un mattino in cui sognava ignara
nei ròsi orizzonti una luce di mare:
ogni filo d'erba come cresciuto a stento
era un filo di quello splendore opaco e immenso.

Venivamo in silenzio per il nascosto argine
lungo la ferrovia, leggeri e ancora caldi

del nostro ultimo sonno in comune nel nudo
granaio tra i campi ch'era il nostro rifugio.

In fondo Casarsa biancheggiva esanime
nel terrore dell'ultimo proclama di Graziani;

e, colpita dal solo contro l'ombra dei monti,
la stazione era vuota: oltre i radi tronchi

dei gelsi e gli sterpi, solo sopra l'erba
del binario, attendeva il treno per Spilimbergo...

L'** visto allontanarsi con la sua valigetta,
dove dentro un libro di Montale era stretta

tra pochi panni, la sua rivoltella,
nel bianco colore dell'aria e della terra.

Le spalle un po' strette dentro la giacchetta
ch'era stata mia, la nuca giovinetta... ".
Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore da ubriaco.

Poi, come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi, case, colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Rivedo le tue lettere d'amore
illuminata, adesso, dal distacco;
senza quasi rancore...
L'illusione era forte a sostenerci;
ci reggevamo entrambi negli abbracci
pregando che durassero gli intenti,
ci promettemmo il "sempre" degli amanti,
certi nei nostri spiriti d'Iddii...
... E hai potuto lasciarmi,
e hai potuto intuire un'altra luce
che seguitasse dopo le mie spalle!
Mi hai suscitato dalle scarse origini
con richiami di musica divina,
mi hai resa divergenza di dolore,
spazio per la tua vita di ricerca
per abitarmi il tempo di un errore...
... E mi hai lasciato solo le tue lettere
onde ne ribevessi la mia assenza!
Tu insegui le mie forme,
segui tu la giustezza del mio corpo
e non mai la bellezza
di cui vado superba.
Sono animale all'infelice coppia
prona su un letto misero d'assalti,
sono la carezzevole rovina
dei fecondi sussulti alle tue mani,
sono il vuoto cresciuto
sino all'altezza esatta del piacere
ma con mille tramonti alle mie spalle:
quante volte, amor mio, tu mi disdegni.
Tu insegui le mie forme,
segui tu la giustezza del mio corpo
e non mai la bellezza
di cui vado superba.
Sono animale all'infelice coppia
prona su un letto misero d'assalti,
sono la carezzevole rovina
dei fecondi sussulti alle tue mani,
sono il vuoto cresciuto
sino all'altezza esatta del piacere
ma con mille tramonti alle mie spalle:
quante volte, amor mio, tu mi disdegni.
Io ti ** vista seduta al pianoforte
e mi sei parsa un angelo, una vergine
di certissimo aspetto - come fossi
oggi cresciuta lì su quelle soglie
di sveltissima musica, o fermento
bello di donna dalle dritte spalle
cui le dita di angelo racchiuso

hanno impresso una curva di mistero
mentre che all'apparenza ne gioivi
profondamente come in veste nuova.

E noi tutti di te ripensavamo
cose profonde e più miracolosa
che una vetta di sogno la tua dolce
cara presenza ci scioglieva i nodi
dentro il sangue del male e sollevava
la nostr'aria nel palpito felice
dei tuoi biondi finissimi capelli.
Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore da ubriaco.

Poi, come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi, case, colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Non ** voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

** tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
******>con le quattro
capriole
di fumo
del focolare.

— The End —