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tangshunzi Jun 2014
Sarò onesto .L'autunno è la mia stagione preferita .E ** tempo per maglioni accogliente .buonissimo cacao caldo e curling dal fuoco per quasi tutto l'anno .Cioè .fino a quando io offro i miei occhi su un tropicale amore -fest come questo giorno cara catturato dai Jonas Peterson .Perché questo .amici miei .è un insieme capolavoro piena di sole contro la terra mozzafiato conosciuta come Fiji .e se ogni ultima immagine gloriosa non ti vuole mettere in valigia un po 'di infradito e prendere il primo volo fuori .non so cosa farà .Vedi tutto qui .


E un piccolo film magia Zoom Fiji ?Penso che lo faremo .Si prega di aggiornare il tuo

browserColorsSeasonsSpringSettingsGolf ResortStylesDestination Da Sposa.Sono cresciuto sognando di sposarsi su un'isola tropicale e Fiji era il posto perfetto per rendere questo sogno .Fiji occupa un posto speciale in entrambi i nostri cuori come Dave mi ha sorpreso proponendo e organizzato per volare verso Fiji il giorno successivo per una vacanza incredibile .Siamo entrambi innamorati amare la cultura delle Fiji abiti da sposa on line .il popolo delle Fiji sono così felice e cordiale e ci siamo sempre sentiti così benvenuti.Abbiamo deciso di fare l'Intercontinental Golf Resort \u0026 Spa sulla Coral Coast .un posto così bello .Volevamo un matrimonio intimo con amici e famiglia per condividere il nostro giorno speciale .Abbiamo voluto creare un'atmosfera divertente e rilassante dove i nostri ospiti possono rilassarsi e hanno una grande vacanza !Ciò che era speciale era di essere in grado di uscire con i nostri ospiti che portano al matrimonio .cocktail a bordo piscina .snorkelling sulla barriera corallina e grandi cene .La mia wedding planner Jane all'Intercontinental Golf Resort e Spa ha fatto il lavoro più sorprendente prendersi cura di tutto.Dave e io non dovevano preoccuparsi per una cosa !Come eravamo sposati all'estero ** ancora voluto mettere il mio tocco speciale al nostro matrimonio così ** avuto una



palla di abiti da sposa 2014 progettare i nostri inviti di nozze.Volevo solo qualcosa di casuale e divertente per riflettere la giornata .
erano così felici con quello che il villaggio fornito in termini di fiori e decorazioni .siamo stati fortunati nostra famiglia sono stati in grado di aiutare le decorazioni parlare etc oltre a Fiji .E 'stato importante per noi per i nostri ospiti di sperimentare alcuni la cultura delle Fiji così abbiamo incorporato ballerini Fiji e uno spettacolo di fuoco .tutti i nostri ospiti davvero apprezzato questo .è veramente fatto la notte così speciale .Abbiamo anche avuto serenaders giocare prima della cerimonia e durante l' ora del cocktail .** anche avuto il privilegio di essere scortato alla cappella da due guerrieri delle Fiji .Il nostro ricevimento si è tenuto presso la firma raffinato ristorante Intercontinentals Navo che si affaccia sulla laguna e l'isola di Navo .Dave e ** organizzato un cocktail speciale per tutti i nostri ospiti in arrivo .è stato un mojito di cocco .i nostri ospiti davvero apprezzato questo tocco speciale .** amato il mio bouquet di orchidee e la bella rosa zenzero damigelle mazzi di fiori .hanno legato perfettamente con i loro abiti Amsale .I ragazzi hanno ben sopportare il calore indossando abiti in calore !

Una cosa che era molto importante per me era il nostro fotografo di matrimoni .Avevo fatto la mia ricerca.ma il mio cuore è stato impostato su Jonas Peterson .Non sono rimasto deluso .ha catturato il nostro giorno così bello .entrambi amiamo le nostre foto e li faremo amare sempre .** anche volato su un artista makeup incredibile da Sydney .Christina Chiaramente che era stato a Fiji molte volte quindi sapevo che ero in buone mani .Lei ha fatto un ottimo lavoro e siamo tutti sembrava così bello .il nostro trucco rimase tutto il giorno e la notte .** una squadra di provenienza dei capelli locale da Fiji .non sono rimasto deluso .sapevano esattamente quello che volevo e la loro conoscenza lavorando con i capelli al calore delle Fiji era incredibile !Abbiamo anche avuto il piacere di lavorare con Zoomfiji .hanno anche fatto un ottimo lavoro catturare il nostro giorno speciale .Ognuno è andato al di là di rendere il nostro giorno così incredibile .

Il personale era incredibile all'Intercontinental abiti da sposa 2014 e niente era troppo disturbo per loro .Hanno davvero fatto in modo che si cura di noi e abbiamo avuto il giorno avevamo sempre sognato !Vinaka !

Fotografo: Jonas Peterson | Abito da sposa: Spose di Beecroft | Cancelleria Wedding : Fave Paper Designs | Scarpe da sposa : peeptoe Scarpe | Abiti da sposa : Amsale | Makeup Artist : Christina Cleary | Capelli: Capelli N Mkp Perfezionista | Striscioni pubblicitari : Lullaby Mobiles| Pezzo di capelli della sposa : Kristi Bonnici Accessori da sposa | Abiti Girls ' : Silk \u0026 More | Località : Intercontinental Golf Resort \u0026 Spa FijiAmsale è un membro del nostro Look Book .Per ulteriori informazioni su come vengono scelti i membri .fare clic qui
http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-c-1
http://www.belloabito.com/goods.php?id=861
http://188.138.88.219/imagesld/td//t35/productthumb/2/4171635353535_396853.jpg
Fiji Wedding da Jonas Peterson_abiti da sposa corti
Leydis Jun 2017
Un beso no es solo un beso
Un beso no es solo un roce
de dos labios, de dos caras.

Un beso es un pórtico a un mundo de duendes.
Es transitar entre saliva aguas celestes.
Es atascar la puerta al existencialismo al cerrar los ojos.
Por eso cerramos los ojos al besar,
porque, es una entrega amena.
Un beso es poder entregarte completamente.
Desafiando la duda impertinente.
Retando el tiempo entre suspiros.
Es hablarle al corazón atreves de fluidos.
Es exponer la tibieza  de tu esencia a quien tiene el privilegio de peregrinar en tus ríos.
Espacios donde habita la esencia más pura de tu ser, tu espíritu.
Lo que has protegido,
Lo que has venerado,
Lo que has soportado.
Es palpar el paraíso, entender la creación,
lo que Dios vislumbro cuando nos creó.
Por eso, se avisa sobre el que besa y sus ojos no cierras,
Y si tú lo percibiste estabas ausente en esa entrega.

No, un beso no es algo ****** y pedestre.
No es relegarlo por doquier sin discreción alguna.
No es rasparte una borrachera en la lengua de cualquiera.
No. Un beso es un compromiso,
Algunos besan para traicionar como Judas lo hizo con Jesucristo.
Otros besos sellan el amor que una madre tiene por sus hijos.
Otros besos enlazan por siempre a desconocidos destinados desde el principio.

Un beso es un lazo bendito,
Es una estrofa, una prosa, es rimar en la poesía de una boca.

Y aunque sedienta este mi boca,
por el roce de unos labios,
Yo sigo esperando el beso……………………………… de mi eterno amado.
Pues, desde hace mucho tiempo, mis labios entendieron
……………………………………………………..que al él están destinados.


LeydisProse
6/29/2017
https://www.facebook.com/LeydisProse/
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A kiss is not just a kiss
Kiss is not only a friction of two orifices or two faces.  

A kiss is a portal to a world of gnomes.
It’s to travel with saliva through celestial waters.
It is to jam the door to Existentialism as you close your eyes.
That is the only reason why we close our eyes as we kiss,
it’s because kissing is a sweet surrender.  
It’s defying the insolence of uncertainties.
It’s challenging time between sighs of delight.
It’s to speak to the heart through fluids of passion.
It is to expose the warmth of your essence to those
who have the privilege to pilgrimage through your rivers.

Spaces inhabited by the purest essence of your being, of your spirit,  
that which you have protected,
that which you have revered,
that which you have endured.
It is feel paradise,
It’s to finally understand Creation,
what God intended and envisioned for us.  
It’s the reason why we advise against people
who kiss without closing their eyes,
and if you’re aware, that means you were absent during that surrender.

No, a kiss is not something ****** or ordinary.  
You don't have to give it away it without discretion.  
Do not sober up your binge drinking in the tongue of a stranger.

No, a kiss is a commitment!
Some kiss to betray, the way Judas did to Jesus.
Other kisses are a seal of love,
like the one a mother gives to her children.  
Other kisses forever bind strangers who have been destined to be together.

A kiss is blessed connection,
is a verse, a prose, is to rhyme in the poetry of someone’s oral cavity.

Although my mouth is thirsty and yearning for touch and a kiss,
I am waiting for a particular kiss... the kiss of my eternal beloved.  

Some time ago, my lips understood.. .
that they were destined to be kissed by him.

LeydisProse
Son más fuertes
que un ying yang en persona

Son más peculiares
que los cuarenta de un ladrón superstar

Cuál es el derecho
para contener su respiro?

Darle vida a sus cuerpos
entendiendo este suceso

Mágica antisincronía
poder aceptar su gracia
físico privilegio
poder observarlas

[debe ser su brisa]
Improvviso il mille novecento
cinquanta due passa sull'Italia:
solo il popolo ne ha un sentimento
vero: mai tolto al tempo, non l'abbaglia
la modernità, benché sempre il più
moderno sia esso, il popolo, spanto
in borghi, in rioni, con gioventù
sempre nuove - nuove al vecchio canto -
a ripetere ingenuo quello che fu.

Scotta il primo sole dolce dell'anno
sopra i portici delle cittadine
di provincia, sui paesi che sanno
ancora di nevi, sulle appenniniche
greggi: nelle vetrine dei capoluoghi
i nuovi colori delle tele, i nuovi
vestiti come in limpidi roghi
dicono quanto oggi si rinnovi
il mondo, che diverse gioie sfoghi...

Ah, noi che viviamo in una sola
generazione ogni generazione
vissuta qui, in queste terre ora
umiliate, non abbiamo nozione
vera di chi è partecipe alla storia
solo per orale, magica esperienza;
e vive puro, non oltre la memoria
della generazione in cui presenza
della vita è la sua vita perentoria.

Nella vita che è vita perché assunta
nella nostra ragione e costruita
per il nostro passaggio - e ora giunta
a essere altra, oltre il nostro accanito
difenderla - aspetta - cantando supino,
accampato nei nostri quartieri
a lui sconosciuti, e pronto fino
dalle più fresche e inanimate ère -
il popolo: muta in lui l'uomo il destino.

E se ci rivolgiamo a quel passato
ch'è nostro privilegio, altre fiumane
di popolo ecco cantare: recuperato
è il nostro moto fin dalle cristiane
origini, ma resta indietro, immobile,
quel canto. Si ripete uguale.
Nelle sere non più torce ma globi
di luce, e la periferia non pare
altra, non altri i ragazzi nuovi...

Tra gli orti cupi, al pigro solicello
Adalbertos komis kurtis!, i ragazzini
d'Ivrea gridano, e pei valloncelli
di Toscana, con strilli di rondinini:
Hor atorno fratt Helya! La santa
violenza sui rozzi cuori il clero
calca, rozzo, e li asserva a un'infanzia
feroce nel feudo provinciale l'Impero
da Iddio imposto: e il popolo canta.

Un grande concerto di scalpelli
sul Campidoglio, sul nuovo Appennino,
sui Comuni sbiancati dalle Alpi,
suona, giganteggiando il travertino
nel nuovo spazio in cui s'affranca
l'Uomo: e il manovale Dov'andastà
jersera... ripete con l'anima spanta
nel suo gotico mondo. Il mondo schiavitù
resta nel popolo. E il popolo canta.

Apprende il borghese nascente lo Ça ira,
e trepidi nel vento napoleonico,
all'Inno dell'Albero della Libertà,
tremano i nuovi colori delle nazioni.
Ma, cane affamato, difende il bracciante
i suoi padroni, ne canta la ferocia,
Guagliune 'e mala vita! In branchi
feroci. La libertà non ha voce
per il popolo cane. E il popolo canta.

Ragazzo del popolo che canti,
qui a Rebibbia sulla misera riva
dell'Aniene la nuova canzonetta, vanti
è vero, cantando, l'antica, la festiva
leggerezza dei semplici. Ma quale
dura certezza tu sollevi insieme
d'imminente riscossa, in mezzo a ignari
tuguri e grattacieli, allegro seme
in cuore al triste mondo popolare.

Nella tua incoscienza è la coscienza
che in te la storia vuole, questa storia
il cui Uomo non ha più che la violenza
delle memorie, non la libera memoria...
E ormai, forse, altra scelta non ha
che dare alla sua ansia di giustizia
la forza della tua felicità,
e alla luce di un tempo che inizia
la luce di chi è ciò che non sa.
Casi mediando por filo
El siglo decimosexto,
Pues sólo faltaba un año
Para diez lustros completos,
Un pregón del Santo Oficio
Puso en gran alarma a México
Asombrando a la nobleza
Y a la plebe dando miedo.
Iban a ser conducidos
Con gran pompa al Quemadero
Más de cien penitenciados,
De grandes crímenes reos.

Herejes y judaizantes,
Desde largo tiempo presos,
Y firmes en las doctrinas
De Moisés y de Lutero,
De sus terribles sentencias
Fijado el lúgubre término
Pronto como relajados
Iban a ser un ejemplo,
Una sagrada enseñanza,
Prueba, verdad y escarmiento
De que los hijos del diablo
Deben morir en el fuego.

Alzáronse inmensas piras
Sobre aquel lugar siniestro,
Donde hallamos una plaza
de mercado en nuestros tiempos,
Al lado sur del Palacio
Donde reside el Gobierno.
Cansáronse muchos hombres,
Gastóse mucho dinero
En los mil preparativos
Del auto de fe más *****
Que la Inquisición registra
En su historia en nuestro suelo.

Y corrió de boca en boca,
Jurando todos ser cierto,
Que ordenaba el Santo Oficio
Que desde el conde al pechero
Revistieran las fachadas
De sus propios aposentos
Con todo lo que mostrase
Aflicción, terror y duelo.

Que en balcones y ventanas
De las casas del trayecto,
Que recorrer deberían
Hasta el suplicio los reos,
Se pusieran crucifijos
Con verdes ceras ardiendo;
Lazos y cortinas negras,
Ramas de ciprés con heno
Y por únicos adornos
Los atributos más tétricos
De estatuas y de retablos
En tumbas y cementerios.

Que al pasar la comitiva,
Con numeroso cortejo
De inquisidores y jueces
Y de verdugos y pueblo,
Ninguno hablara en voz alta
Para no ofender al cielo,
Y que de todas las bocas
Salieran fervientes rezos,
Para así atenuar un tanto
La suerte de los confesos.
Que era obligación de todos
Rezar contritos el Credo
Y repetirlo las veces
Que les permitiera el tiempo
Que tardaran en cambiarse
En cenizas los incrédulos.

Por último el Santo Oficio,
A nobles como a plebeyos,
Ordenaba que llevasen
En torno del Quemadero
A sus esposas e hijos
Para tomar escarmiento
De cómo padece y muere
Y causa terror un réprobo.

Y les previno asimismo
Que aquel que por sentimiento,
Por compasión o ternura
En instantes tan supremos
Solicitara clemencia
O indulto para los reos,
A las terribles hogueras
Fuera arrojado con éstos.

Y se mandó que ninguna
De las gentes de este Reino
Pudiera asistir al auto
Ni conocer a los reos
Sin haber en su parroquia
Cumplidos los sacramentos
Que lavan de toda culpa
Y curan de todo yerro.

Con tan graves prescripciones
Los habitantes de México
Esperaban el instante
En que un castigo tremendo
Iba a cumplirse, llevando
Cien hombres al Quemadero.
No hay plazo que no se cumpla,
Dice un sabido proverbio,
Y al fin llegó la alborada
Que ansioso esperaba el pueblo.
Dentro de las tristes celdas
A los infelices reos
Sus verdugos de rodillas
Estas cosas les dijeron:

«Nosotros, que vuestras vidas
Por mandato cortaremos,
Vuestro perdón demandamos
En nombre del Juez Supremo
A quien también le pedimos
Que os liberte del infierno».

Y esta fórmula cumplida
Visten con hopa a los presos,
Y los disponen y alistan
para caminar al fuego.

Entre todos, allí estaba
Ocupando el primer puesto
Un judaizante muy rico
y de carácter de hierro.

Contaban propios y extraños,
En público y en secreto
Que vino a la Nueva España
A dedicarse al comercio.

Construyó un amplio palacio
Un tanto churrigueresco,
En el barrio más distante
De la capital del reino.

Y arregló en el piso bajo
Una casa de comercio
Con dos puertas, de las cuales
Una tuvo el privilegio

De que si entraba por ella
Un comprador forastero,
Sacaba, sin explicárselo,
Más baratos los efectos.

Así vivió sin zozobras
El mercader mucho tiempo,
Y le debió a una desgracia
Turbar tan dulce sosiego.

Tuvo entre su muchedumbre
A una mujer a quien dieron
Orden de que investigase
De aquel hombre los secretos;
Y ella, astuta y maliciosa,
Y fanática en extremo
Llegaba noche por noche
Junto a la alcoba del dueño,
Y no le vio santiguarse
Ni le escuchó ningún rezo.

Pero sí notó que siempre
Se escucharan raros ecos
De golpes, como si diera
Azotes en algún cuerpo;
Miró por la cerradura
Y vio con asombre inmenso
Que aquel hombre fustigaba
Con un rebenque de cuero
A un Niño Jesús, desnudo
Y tendido sobre el suelo.

Le dio parte a la justicia
Y no pasó mucho tiempo
Sin que al hereje encontrara
El inquisidor Aldeño,
Dando golpes a la imagen
Del Príncipe de los Cielos.

Registrada aquella casa,
Encontraron que el hebreo
En una de las dos puertas
De su casa de comercio
Enterró dos crucifijos
Y formaba su contento
Vender al que los pisaba
Más baratos los efectos.

Por crímenes tan terribles,
Por tan grandes sacrilegios,
Sentenciólo el Santo Oficio
A ser arrojado al fuego,
Con coraza en la cabeza
Y sambenito en el cuerpo,
Conducido con una mula,
Montado en sentido inverso,
Con el rostro hacia la cola,
Custodiado por dos negros.

Y que después de quemado,
Para enseñanza del pueblo,
Se esparcieran las cenizas
En alto a los cuatro vientos,
Confiscándose sus bienes,
Su habitación maldiciendo,
Regando con sal y lumbre
Los muros y los cimientos
Y condenando a sus hijos
A calabozo perpetuo.
Cuentan viejos pergaminos
Que el excomulgado reo,
Cuando al suplicio marchaba
Daba pavor por blasfemo.

Y que la mula elegida
Para conducir su cuerpo
Se encabritó tantas veces
Que dio con él en el suelo;
Y temiéndose que vivo
No llegara al Quemadero,
Ordenaron que subiera
Para sujetarlo un *****,
Que lo estrechó entre sus brazos
En gran parte del trayecto.

El pueblo que contemplaba
Tan espantosos sucesos,
Sin explicarse el motivo,
Dijo para sus adentros:
«Este hereje lleva el diablo
Tan bien metido en el cuerpo,
Que ni la mula aguanta
Para no ofender al cielo».

Por ventanas y balcones,
En vez de salmos y rezos,
Le arrojaban anatemas,
Maldiciones y denuestos;
Y como era mes de julio
En que siempre llueve en México,
Y estaba el cielo nublado
Y nada agradable el cierzo,
Las gentes se sospechaban
Que por no ver al blasfemo,
Entre cenicientas nubes
Permaneció el sol envuelto.

Así al horrible suplicio
Llegaron a pasos lentos
Más de cien excomulgados,
Todos firmes y confesos.

Tocó el turno al israelita
Que fue entre todos aquellos
El primer quemado vivo
Por sus grandes sacrilegios.

Y dicen que al verse atado
Al tosco mástil de hierro
Y cuando ya lo envolvían
Las rojas lenguas del fuego,
Les gritaba a los verdugos
Con tosco y rabioso acento
«Echen más leña, infelices,
Que me cuesta mi dinero».
Han transcurrido dos siglos
Y aún está de pie y entero
El palacio en que habitara
El infortunado reo.

Llamóse Tomás Tremiño;
No murió joven ni viejo
Y fue de carácter firme
Y de condición discreto.

No se ha borrado su nombre
De la memoria del pueblo,
Porque siempre el infortunio
Del cristiano y del hebreo
Hace palpitar llorando
A los corazones buenos.

Y se encomia y se bendice
Y se aplaude con anhelo
La dicha de haber nacido
Con la razón y el derecho
Y sin hogueras que forjen
Los grillos del pensamiento.
Guden May 2021
Un gato tuerto que mira
Desde una pandereta,
Desdén en su rostro.
A un lado camina un perro
Policial,
Un hombre policial también.
Tuerto el gato
No distingue profundidad,
No hay diferencia entre el perro
Y el hombre que camina,
Insolente,
Indolente,
Por un barrio que no es suyo
Ningún barrio le pertenece
Si defiende
A los ricos.
Y esos ricos
No lo quieren cerca suyo,
Preocupado de su vida arreglada,
Acomodada y maldita,
Malditos siempre.
En la pandereta
Mira el gato
Con un ojo,
Bajo él, los rayados
Nos recuerdan que como este gato
Hay muchos
Muchas,
Para el resto
Tener dos ojos
Es un privilegio.
Para los perros
Policiales,
El privilegio es no tener corazón.
Aún estaba conmovido
El bajo pueblo de Anáhuac
Recordando el fin postrero
De los dos hermanos Ávila;

Aún al cruzar por las noches
La anchurosa y triste plaza,
Al mirar en pie las horcas
Las gentes se santiguaban;

Y aún en algunos conventos
Rezábanse las plegarias
A fin de que los difuntos
Lograsen salvar sus almas;

Cuando un pregón le decía
A la curiosa canalla
Que por atroces delitos,
Que por pudor se callaban,

Iba a ser ajusticiado
Por voluntad del monarca
Un ***** recién venido
Con un noble a Nueva España.

Como se anunció la fecha
La gente acudió a la plaza,
En tal número y desorden
Que un turbión asemejaba,

Porque en los terribles casos
En que la justicia mata
La humanidad se desvive
Por mostrar que no es humana.

Desde que lució la aurora
Acudió la gente en masa
Y muchos allí durmieron
Esperando la mañana.

Mirábanse a los verdugos
Que el cadalso custodiaban
Ya con los rostros cubiertos
Con una insultante máscara.

El sol estaba muy alto,
La gente con vivas ansias,
Los verdugos en acecho
Y los soldados en guardia;

Y ninguno suponía
Que el acto aquel se frustrara
Cuando de mirar al reo
Perdieron las esperanzas.

De pronto, a galope llega
Un dragón junto a las tablas
Del cadalso, y con alguno
De los centinelas habla.

Los verdugos, para oírlo
Descienden la escalinata,
Y corre un rumor que anuncia
Que la ejecución se aplaza.

El toque de los clarines
Pronto anuncia retirada,
Y en diversas direcciones
Plebe y soldados marchan.

Hay disgusto en los semblantes
De mozuelas y beatas,
Pues como a ninguno ahorcaron
Han perdido la mañana.

Y se resienten de verse
Por el Pregón engañadas,
Y viendo solo el cadalso,
Rezan, murmuran y charlan.

Los curiosos insistentes
Que averiguan la causa
Del retardo, al fin descubren
Lo que nadie se explicaba.

Cuentan que trayendo al *****
De San Lázaro a la plaza,
Cuando apenas por oriente
Se vislumbró la mañana,

Cercado por alguaciles
Y por mucha gente armada,
Bebiéndose de amargura
Sus propias, ardientes lágrimas,

Con voz fúnebre pidiendo
Que hicieran bien por su alma,
Un sacerdote entregado
A cumplir siempre estas mandas;

Mirando a todas las gentes
En balcones y ventanas
Darle el adiós postrimero
Entre llantos y plegarias.

El ***** que parecía
De susto no tener alma,
Cruzó por una calleja
Tan angosta como larga,

Donde entre humildes jacales
Surgía como un alcázar
Un caserón de tezontle
Con paredes almenadas,

Con toscas rejas de hierro
En forma de antiguas lanzas,
Con canales cual cañones
Que el alto muro artillaban,

Y bajo el vetusto escudo
De ininteligible heráldica
Un ancho portón forrado
De gruesas y obscuras láminas;

Teniendo como atributo
Que las gentes veneraban,
Una cadena de acero burda,
Negra, tosca y larga.

Con sus ojos que vertían
Raudales de vivas llamas,
Mira el ***** de soslayo
Aquella ostentosa casa,

Y sin que evitarlo puedan
Los cien que lo custodiaban
Tan ligero como un rayo
Del centro se les escapa,

Gana de un salto la acera,
Se arrodilla en la portada
Y cogiendo la cadena
En las dos manos, con ansia

Grita con voz que parece
Un rugido: «¡Pido gracia!
¡Pido gracia a la nobleza
De nuestro amado monarca!»

Y corchetes y alguaciles
Y arcabuceros y guardias
Se quedaron asombrados
Y sin responder palabra.

Porque sabido de todos era
Que en aquella casa vivía
Un señor de abolengo
Entre los grandes de España,

Que por fuero de linaje
En sus títulos estaba
Tener cadena en su puerta
Y pendón en la fachada.

El reo que esa cadena,
Por su fortuna tocara
Al marchar para el cadalso,
De la muerte se libraba.

Y el *****, que esto sabía,
Tuvo la fortuna extraña
De alcanzar tal privilegio
Que otro ninguno lograra.

Mirando lo sucedido,
Nobles, corchetes y guardias,
Con gran susto de la escena
No siguieron a la plaza,

Pues tornaron al presidio
La víctima afortunada;
Al Virrey le dieron parte
Y todo quedóse en calma.

Hoy sólo existen los muros
De la mansión legendaria,
Sin huellas de las almenas
Ni escudo de la portada.

Y dicen los que lo saben,
Doctos en antiguas causas,
Que la angosta callejuela
De «La Cadena» hoy se llama.
Non è Amore. Ma in che misura è mia
colpa il non fare dei miei affetti
Amore? Molta colpa, sia
pure, se potrei d'una pazza purezza,
d'una cieca pietà vivere giorno
per giorno... Dare scandalo di mitezza.
Ma la violenza in cui mi frastorno,
dei sensi, dell'intelletto, da anni,
era la sola strada. Intorno
a me alle origini c'era, degli inganni
istituiti, delle dovute illusioni,
solo la Lingua: che i primi affanni
di un bambino, le preumane passioni,
già impure, non esprimeva. E poi
quando adolescente nella nazione
conobbi altro che non fosse la gioia
del vivere infantile - in una patria
provinciale, ma per me assoluta, eroica -
fu l'anarchia. Nella nuova e già grama
borghesia d'una provincia senza purezza,
il primo apparire dell'Europa
fu per me apprendistato all'uso più
puro dell'espressione, che la scarsezza
della fede d'una classe morente
risarcisse con la follia ed i tòpoi
dell'eleganza: fosse l'indecente
chiarezza d'una lingua che evidenzia
la volontà a non essere, incosciente,
e la cosciente volontà a sussistere
nel privilegio e nella libertà
che per Grazia appartengono allo stile.
Se habían encontrado en la barra de un bar, cada uno frente a una jarra de cerveza, y habían empezado a conversar al
principio, como es lo normal, sobre el tiempo y la crisis, luego, de temas varios, y no siempre racionalemente encadenados.

Al parecer, el flaco era escritor, el otro, un señor cualquiera. No bien supo que el flaco era literato, el señor cualquiera,
empezó a elogiar la condición de artista, eso que llamaba el sencillo privilegio de poder escribir.

-«No crea que es algo tan estupendo -dijo el Flaco-, también a momentos de profundo desamparo en lo que se llaga a la
conclusión de que todo lo que se ha escrito es una basura; probablemente no lo sea, pero uno así lo cree. Sin ir más
lejos, no hace mucho, junté todos mis inéditos, o sea un trabajo de varios años, llamé a mi mejor y le dije:
"Mira, esto no sirve, pero comprenderás que para mí es demasiado doloroso destruirlo, así que hazme un favor; quémalos;
júrame que lo vas a quemar" y me lo juró».

El señor cualquiera quedó muy impresionado ante aquel gesto autocrítico, pero no se atrevió a hacer
ningún comentario. Tras un buen rato de silencio, se rascó la nuca y empinó la jarra de cerveza. "Oiga, don
-dijo sin pestañear-, hace rato que hemos hablado y ni siquiera nos hemos presentado, mi nombre es Ernesto Chávez, viajante de
comercio" y le tendió la mano.

-«Mucho gusto -dijo el otro, oprimiéndola con sus dedos huesudos-, Franz Kafka para servirle».
IV.

Victoire ! il était temps, prince, que tu parusses !
Les filles d'opéra manquaient de princes russes ;
Les révolutions apportent de l'ennui
Aux Jeannetons d'hier, Pamélas d'aujourd'hui ;
Dans don Juan qui s'effraie un Harpagon éclate,
Un maigre filet d'or sort de sa bourse plate ;
L'argent devenait rare aux tripots ; les journaux
Faisaient le vide autour des confessionnaux ;
Le sacré-coeur, mourant de sa mort naturelle,
Maigrissait ; les protêts, tourbillonnant en grêle,
Drus et noirs, aveuglaient le portier de Magnan ;
On riait aux sermons de l'abbé Ravignan ;
Plus de pur-sang piaffant aux portes des donzelles ;
L'hydre de l'anarchie apparaissait aux belles
Sous la forme effroyable et triste d'un cheval
De fiacre les traînant pour trente sous au bal.
La désolation était sur Babylone.
Mais tu surgis, bras fort ; tu te dresses, colonne
Tout renaît, tout revit, tout est sauvé. Pour lors
Les figurantes vont récolter des milords,
Tous sont contents, soudards, francs viveurs, gent dévote,
Tous chantent, monseigneur l'archevêque, et Javotte.

Allons ! congratulons, triomphons, partageons !
Les vieux partis, coiffés en ailes de pigeons,
Vont s'inscrire, adorant Mandrin, chez son concierge.
Falstaff allume un punch, Tartuffe brûle un cierge.
Vers l'Elysée en joie, où sonne le tambour,
Tous se hâtent, Parieu, Montalembert, Sibour,
Rouher, cette catin, Troplong, cette servante,
Grecs, juifs, quiconque a mis sa conscience en vente,
Quiconque vole et ment *** privilegio,
L'homme du bénitier, l'homme de l'agio,
Quiconque est méprisable et désire être infâme,
Quiconque, se jugeant dans le fond de son âme,
Se sent assez forçat pour être sénateur.
Myrmidon de César admire la hauteur.
Lui, fait la roue et trône au centre de la fête.
- Eh bien, messieurs, la chose est-elle un peu bien faite ?
Qu'en pense Papavoine et qu'en dit Loyola ?
Maintenant nous ferons voter ces drôles-là.
Partout en lettres d'or nous écrirons le chiffre. -
*** ! tapez sur la caisse et soufflez dans le fifre ;
Braillez vos salvum fac, messeigneurs ; en avant
Des églises, abri profond du Dieu vivant,
On dressera des mâts avec des oriflammes.
Victoire ! venez voir les cadavres, mesdames.

Du 16 au 22 novembre 1852, à Jersey
Un rimador obscuro
que no proyecta sombra,
un poeta maduro
a quien ya nadie nombra,
hizo este libro, amada,
para vaciar en él
como turbia oleada
de lágrimas y hiel.

Humilde florilegio,
pobre ramo de rimas,
su solo privilegio
es que acaso lo animas
tú, con tu santo soplo
de amor y de ternura,
desde el astro en que estás.

¡Un dolor infinito
labró en él con su escoplo
tu divina escultura,
como un recio granito,
para siempre jamás!
Improvviso il mille novecento
cinquanta due passa sull'Italia:
solo il popolo ne ha un sentimento
vero: mai tolto al tempo, non l'abbaglia
la modernità, benché sempre il più
moderno sia esso, il popolo, spanto
in borghi, in rioni, con gioventù
sempre nuove - nuove al vecchio canto -
a ripetere ingenuo quello che fu.

Scotta il primo sole dolce dell'anno
sopra i portici delle cittadine
di provincia, sui paesi che sanno
ancora di nevi, sulle appenniniche
greggi: nelle vetrine dei capoluoghi
i nuovi colori delle tele, i nuovi
vestiti come in limpidi roghi
dicono quanto oggi si rinnovi
il mondo, che diverse gioie sfoghi...

Ah, noi che viviamo in una sola
generazione ogni generazione
vissuta qui, in queste terre ora
umiliate, non abbiamo nozione
vera di chi è partecipe alla storia
solo per orale, magica esperienza;
e vive puro, non oltre la memoria
della generazione in cui presenza
della vita è la sua vita perentoria.

Nella vita che è vita perché assunta
nella nostra ragione e costruita
per il nostro passaggio - e ora giunta
a essere altra, oltre il nostro accanito
difenderla - aspetta - cantando supino,
accampato nei nostri quartieri
a lui sconosciuti, e pronto fino
dalle più fresche e inanimate ère -
il popolo: muta in lui l'uomo il destino.

E se ci rivolgiamo a quel passato
ch'è nostro privilegio, altre fiumane
di popolo ecco cantare: recuperato
è il nostro moto fin dalle cristiane
origini, ma resta indietro, immobile,
quel canto. Si ripete uguale.
Nelle sere non più torce ma globi
di luce, e la periferia non pare
altra, non altri i ragazzi nuovi...

Tra gli orti cupi, al pigro solicello
Adalbertos komis kurtis!, i ragazzini
d'Ivrea gridano, e pei valloncelli
di Toscana, con strilli di rondinini:
Hor atorno fratt Helya! La santa
violenza sui rozzi cuori il clero
calca, rozzo, e li asserva a un'infanzia
feroce nel feudo provinciale l'Impero
da Iddio imposto: e il popolo canta.

Un grande concerto di scalpelli
sul Campidoglio, sul nuovo Appennino,
sui Comuni sbiancati dalle Alpi,
suona, giganteggiando il travertino
nel nuovo spazio in cui s'affranca
l'Uomo: e il manovale Dov'andastà
jersera... ripete con l'anima spanta
nel suo gotico mondo. Il mondo schiavitù
resta nel popolo. E il popolo canta.

Apprende il borghese nascente lo Ça ira,
e trepidi nel vento napoleonico,
all'Inno dell'Albero della Libertà,
tremano i nuovi colori delle nazioni.
Ma, cane affamato, difende il bracciante
i suoi padroni, ne canta la ferocia,
Guagliune 'e mala vita! In branchi
feroci. La libertà non ha voce
per il popolo cane. E il popolo canta.

Ragazzo del popolo che canti,
qui a Rebibbia sulla misera riva
dell'Aniene la nuova canzonetta, vanti
è vero, cantando, l'antica, la festiva
leggerezza dei semplici. Ma quale
dura certezza tu sollevi insieme
d'imminente riscossa, in mezzo a ignari
tuguri e grattacieli, allegro seme
in cuore al triste mondo popolare.

Nella tua incoscienza è la coscienza
che in te la storia vuole, questa storia
il cui Uomo non ha più che la violenza
delle memorie, non la libera memoria...
E ormai, forse, altra scelta non ha
che dare alla sua ansia di giustizia
la forza della tua felicità,
e alla luce di un tempo che inizia
la luce di chi è ciò che non sa.
Improvviso il mille novecento
cinquanta due passa sull'Italia:
solo il popolo ne ha un sentimento
vero: mai tolto al tempo, non l'abbaglia
la modernità, benché sempre il più
moderno sia esso, il popolo, spanto
in borghi, in rioni, con gioventù
sempre nuove - nuove al vecchio canto -
a ripetere ingenuo quello che fu.

Scotta il primo sole dolce dell'anno
sopra i portici delle cittadine
di provincia, sui paesi che sanno
ancora di nevi, sulle appenniniche
greggi: nelle vetrine dei capoluoghi
i nuovi colori delle tele, i nuovi
vestiti come in limpidi roghi
dicono quanto oggi si rinnovi
il mondo, che diverse gioie sfoghi...

Ah, noi che viviamo in una sola
generazione ogni generazione
vissuta qui, in queste terre ora
umiliate, non abbiamo nozione
vera di chi è partecipe alla storia
solo per orale, magica esperienza;
e vive puro, non oltre la memoria
della generazione in cui presenza
della vita è la sua vita perentoria.

Nella vita che è vita perché assunta
nella nostra ragione e costruita
per il nostro passaggio - e ora giunta
a essere altra, oltre il nostro accanito
difenderla - aspetta - cantando supino,
accampato nei nostri quartieri
a lui sconosciuti, e pronto fino
dalle più fresche e inanimate ère -
il popolo: muta in lui l'uomo il destino.

E se ci rivolgiamo a quel passato
ch'è nostro privilegio, altre fiumane
di popolo ecco cantare: recuperato
è il nostro moto fin dalle cristiane
origini, ma resta indietro, immobile,
quel canto. Si ripete uguale.
Nelle sere non più torce ma globi
di luce, e la periferia non pare
altra, non altri i ragazzi nuovi...

Tra gli orti cupi, al pigro solicello
Adalbertos komis kurtis!, i ragazzini
d'Ivrea gridano, e pei valloncelli
di Toscana, con strilli di rondinini:
Hor atorno fratt Helya! La santa
violenza sui rozzi cuori il clero
calca, rozzo, e li asserva a un'infanzia
feroce nel feudo provinciale l'Impero
da Iddio imposto: e il popolo canta.

Un grande concerto di scalpelli
sul Campidoglio, sul nuovo Appennino,
sui Comuni sbiancati dalle Alpi,
suona, giganteggiando il travertino
nel nuovo spazio in cui s'affranca
l'Uomo: e il manovale Dov'andastà
jersera... ripete con l'anima spanta
nel suo gotico mondo. Il mondo schiavitù
resta nel popolo. E il popolo canta.

Apprende il borghese nascente lo Ça ira,
e trepidi nel vento napoleonico,
all'Inno dell'Albero della Libertà,
tremano i nuovi colori delle nazioni.
Ma, cane affamato, difende il bracciante
i suoi padroni, ne canta la ferocia,
Guagliune 'e mala vita! In branchi
feroci. La libertà non ha voce
per il popolo cane. E il popolo canta.

Ragazzo del popolo che canti,
qui a Rebibbia sulla misera riva
dell'Aniene la nuova canzonetta, vanti
è vero, cantando, l'antica, la festiva
leggerezza dei semplici. Ma quale
dura certezza tu sollevi insieme
d'imminente riscossa, in mezzo a ignari
tuguri e grattacieli, allegro seme
in cuore al triste mondo popolare.

Nella tua incoscienza è la coscienza
che in te la storia vuole, questa storia
il cui Uomo non ha più che la violenza
delle memorie, non la libera memoria...
E ormai, forse, altra scelta non ha
che dare alla sua ansia di giustizia
la forza della tua felicità,
e alla luce di un tempo che inizia
la luce di chi è ciò che non sa.
Todo en ella encantaba, todo en ella atraía
su mirada, su gesto, su sonrisa, su andar...
El ingenio de Francia de su boca fluía.
Era llena de gracia, como el Avemaría.
¡Quien la vio, no la pudo ya jamás olvidar!
Ingenua como el agua, diáfana como el día,
rubia y nevada como Margarita sin par,
el influjo de su alma celeste amanecía...
Era llena de gracia, como el Avemaría.
¡Quien la vio, no la pudo ya jamás olvidar!
Cierta dulce y amable dignidad la investía
de no sé qué prestigio lejano y singular.
Más que muchas princesas, princesa parecía:
era llena de gracia como el Avemaría.
¡Quien la vio, no la pudo ya jamás olvidar!
Yo gocé del privilegio de encontrarla en mi vía
dolorosa; por ella tuvo fin mi anhelar
y cadencias arcanas halló mi poesía.
Era llena de gracia como el Avemaría.
¡Quien la vio, no la pudo ya jamás olvidar!
¡Cuánto, cuánto la quise! ¡Por diez años fue mía;
pero flores tan bellas nunca pueden durar!
¡Era llena de gracia, como el Avemaría,
y a la Fuente de gracia, de donde procedía,
se volvió... como gota que se vuelve a la mar!
martin v Jan 2021
estoy completamente perdido en el añoramiento que te tengo
te veo y encuentro cosas hermosas que envidio
te escucho y mis oídos bailan una danza de felicidad y comodidad aguda,
pues no hay mejor sonido que el de la seguridad plena

siento la atracción efímera y la lujuria inconstante solo con recordarte
la manera patética y fantástica en la que tus ojos y tu sonrisa iluminan todo por lo que son observados

la grandeza entera del universo está condensada en ti y es injusto para los planetas y las estrellas

eres el motor de la vida,
las abejas recogen el pollen soñando con la posibilidad de que seas tu la que consuma su miel
y los árboles compiten por ver quién dura más tiempo vivo,
solo por que aún existe la posibilidad de que respires el oxígeno que ellos producen

realmente devastador es,
poder tener el privilegio inmenso de compartir un romance foráneo contigo, y no poder tenerte cuando el sol se vuelve en luna

hay momentos en los que no deseo nada más
y de todas formas mi cobardía no me permite escapar de la seguridad aburrida y gris de mi estado actual

mi sueño es que algún día coincidamos en nuestros deseos
que llegue el: o grandioso momento anhelado y esperado en el que la mescolanza amarga y la inseguridad lamentable se conviertan en
decisión ambiciosa y confianza violenta
para que por fin podamos adorar al otro como merecemos ser adorados
Leydis Nov 2017
No sé nada!

Yo, al igual que Sócrates, no sé de nada.
Para ser franca, no sé hacer muchas cosas, y con modestia en la mirada,
admito mi desventaja.

No sé como mendar lo que esta roto.
No sé el porqué le cede la manana paso al ocaso.
Incluso, tampoco sé,
porqué la luna la condecoran “como la amante de ‪los olvidados”,‬
tampoco sé, que idea se le ocurrio a Dios para crear el universo.

No sé como sanar una planta casi muerta,
no sé, porque la mariposa sale de su capullo, donde está tan protegida.

Lo único que sé con exactitud es que, amarte, es la única sabiduría que poseo.

Sé, que cuando en ti pienso, sabe mi cuerpo elevarse hacías las más altas nubes,
desde allí aprendo como se ama todo dentro del universo.
Sé, que en tus brazos existe salud eterna.
Sé, que en tu mirada, conozco todos los niveles del cielo.
Sé, que en tus besos, me redefino y me encuentro.
Hablo con la luna y veo, con que devoción espera ella a su dueño.
La he visto llorar, y animarse,
cuando llegan el tiempo para un eclipse.

En verdad no sé de nada....
solo sé, que amarte,
es mi más grande privilegio!

LeydisProse
11/13/2017
https://m.facebook.com/LeydisProse/
Non è Amore. Ma in che misura è mia
colpa il non fare dei miei affetti
Amore? Molta colpa, sia
pure, se potrei d'una pazza purezza,
d'una cieca pietà vivere giorno
per giorno... Dare scandalo di mitezza.
Ma la violenza in cui mi frastorno,
dei sensi, dell'intelletto, da anni,
era la sola strada. Intorno
a me alle origini c'era, degli inganni
istituiti, delle dovute illusioni,
solo la Lingua: che i primi affanni
di un bambino, le preumane passioni,
già impure, non esprimeva. E poi
quando adolescente nella nazione
conobbi altro che non fosse la gioia
del vivere infantile - in una patria
provinciale, ma per me assoluta, eroica -
fu l'anarchia. Nella nuova e già grama
borghesia d'una provincia senza purezza,
il primo apparire dell'Europa
fu per me apprendistato all'uso più
puro dell'espressione, che la scarsezza
della fede d'una classe morente
risarcisse con la follia ed i tòpoi
dell'eleganza: fosse l'indecente
chiarezza d'una lingua che evidenzia
la volontà a non essere, incosciente,
e la cosciente volontà a sussistere
nel privilegio e nella libertà
che per Grazia appartengono allo stile.
Se potessi diventare un insetto lo farei.
Per osservarti, discretamente, nelle tue movenze.
Da come dormi, da come ti svegli
Sei così bella che perfino guardarti mentre ti lavi i denti lo considero un privilegio.
Chissà come afferri lo spazzolino, chissà che sguardo hai quando sei assorta nei tuoi pensieri.
Oh amore mio, sono così innamorato di te, che non pretendo di averti, mi basta ammirarti nei tuoi movimenti, di cui sono così incantato.
Oh piccolo fiore, io sono il tuo insetto, non posso resistere al tuo profumo e ai tuoi colori, e dalla tua esistenza dipende la mia vita.
Non è Amore. Ma in che misura è mia
colpa il non fare dei miei affetti
Amore? Molta colpa, sia
pure, se potrei d'una pazza purezza,
d'una cieca pietà vivere giorno
per giorno... Dare scandalo di mitezza.
Ma la violenza in cui mi frastorno,
dei sensi, dell'intelletto, da anni,
era la sola strada. Intorno
a me alle origini c'era, degli inganni
istituiti, delle dovute illusioni,
solo la Lingua: che i primi affanni
di un bambino, le preumane passioni,
già impure, non esprimeva. E poi
quando adolescente nella nazione
conobbi altro che non fosse la gioia
del vivere infantile - in una patria
provinciale, ma per me assoluta, eroica -
fu l'anarchia. Nella nuova e già grama
borghesia d'una provincia senza purezza,
il primo apparire dell'Europa
fu per me apprendistato all'uso più
puro dell'espressione, che la scarsezza
della fede d'una classe morente
risarcisse con la follia ed i tòpoi
dell'eleganza: fosse l'indecente
chiarezza d'una lingua che evidenzia
la volontà a non essere, incosciente,
e la cosciente volontà a sussistere
nel privilegio e nella libertà
che per Grazia appartengono allo stile.

— The End —