Submit your work, meet writers and drop the ads. Become a member
Quando avrò alzato in me l'intimo fuoco
che originava già queste bufere
e sarò salda, libera, vitale,
allora sarò sola?

E forse staccherò dalle radici
la rimossa speranza dell'amore,
ricorderò che frutto d'ogni
limite umano è assenza di memoria,
tutta mi affonderò nel divenire...

Ma fino a che io tremo del principio
cui la tua mano mi iniziò da ieri,
ogni attributo vivo che mi preme
giace incomposto nelle tue misure.
Valentin Eni Nov 2024
We are strangers, strangers we remain,
From distant worlds, apart we came.
You call to me, I call to you,
But silence answers, cutting through.

You don’t know me, I don’t know you,
Our thoughts diverge like morning dew.
Alive we are, yet still we stare,
As if from graves, from shadows there.

I’m not your loss, nor you are mine,
Like clouds, we drift through endless time.
Wherever I go, wherever you’ll be,
We’re at the edges, lost at sea.

Yet yesterday felt near and bright—
You held my hand; your voice was light.
When love was endless, pure, and true,
And I was me, and you were you.

When whispers spoke of tender care,
And hearts embraced in love’s repair.
When vows were shared, no lies between,
And strangers we had never been.

I
(Alternative translation)
STRANGERS

We are strangers, strangers through,
From worlds apart, both old and new.
I call to you, you call to me,
Yet silence falls like waves at sea.

You do not know me, nor I know you,
Our thoughts like paths that never grew.
Alive we stand, yet lost we seem,
As if we lived within a dream.

I do not miss you, nor you miss me,
Two fleeting clouds the wind sets free.
Where you may go, where I may roam,
We’re at the edges, far from home.

But yesterday, it feels so near,
I held your hand, your voice sincere.
When love was boundless, bold, and true,
And I was me, and you were you.

When whispers shared what hearts could feel,
And hands embraced with love so real.
When we were one, no space between,
And strangers we had never been.

II
(Literal translation)
STRANGERS

We are strangers, strangers we remain,
From different worlds we come.
When you call me, when I call you,
We cannot hear, we cannot hear.

You do not know me, I do not know you,
I have one thought, and you another.
You are alive, and I am alive,
But we look at each other as if from graves.

I don’t miss you; you won’t miss me,
We are two clouds driven by the wind.
Wherever I am, wherever you are,
We are at the edges of the earth.

But, it seems, yesterday there was a day,
You remember it; I remember it, too,
When we could not stop loving each other,
Believing we would love forever.

When I whispered how dear you were,
And we held each other’s hands with love,
When you told me that you loved me,
And we were not strangers at all.

III
(Original poem, Romanian)
STRĂINI

Suntem străini, străini suntem,
Din diferite lumi venim.
Când tu mă chemi, când eu te chem
Nu ne-auzim, nu ne-auzim.

Tu nu mă ştii, eu nu te ştiu,
Un gând am eu şi tu alt gând.
Eşti vie tu şi eu sunt viu,
Dar ne privim ca din mormânt.

Eu nu-ţi lipsesc, tu nu-mi lipseşti,
Suntem doi nori mânaţi de vânt.
Oriunde-aş fi, oriunde eşti,
Suntem la margini de pământ.

Dar, parcă ieri, a fost o zi,
Ţii minte tu, ţin minte eu,
Când nu-ncetam a ne iubi,
Crezînd că ne-om iubi mereu.

Când îţi şopteam ce dragă-mi eşti
Şi ne strângeam cu drag de mâini,
Când îmi spuneai că mă iubeşti
Şi nu eram deloc străini.
The poem explores alienation, distance, and nostalgia for lost intimacy. It reflects on the transformation of a once-deep connection into estrangement, showing how love and familiarity can dissolve over time, leaving behind a haunting sense of separation.

The poem reflects on the fragility of human relationships and the pain of estrangement. It conveys how love, once profound and unbreakable, can fade into distance and disconnection. Yet, the poem also suggests that such painful memories hold a certain beauty, offering a glimpse into moments of genuine connection.

“Strangers” is a poignant meditation on love, loss, and the transformation of intimacy into alienation. Its images and rhythmic structure guide the reader through a journey of longing and reflection, making it deeply personal and universally relatable. The poem leaves an emotional impact, inviting readers to consider their experiences of connection and distance.
Ricordi quand'eri saggina,
coi penduli grani che il vento
scoteva, come una manina
di ***** il sonaglio d'argento?
Cadeva la brina; la pioggia
cadeva: passavano uccelli
gemendo: tu gracile e roggia
tinnivi coi cento ramelli.
Ed oggi non più come ieri
tu senti la pioggia e la brina,
ma sgrigioli come quand'eri
saggina.
Restavi negletta nei solchi
quand'ogni pannocchia fu colta:
te, colsero, quando i bifolchi
v'ararono ancora una volta.
Un vecchio ti prese, recise,
legò; ti privò della bella
semenza tua rossa; e ti mise
nell'angolo, ad essere ancella.
E in casa tu resti, in un canto,
negletta qui come laggiù;
ma niuno è di casa pur quanto
sei tu.
Se t'odia colui che la trama
distende negli alti solai,
l'arguta gallina pur t'ama,
cui porti la preda che fai.
E t'ama anche senza, ché ai costi
ti sbalza, ed i grani t'invola,
residui del tempo che fosti
saggina, nei campi già sola.
Ma più, gracilando t'aspetta
con ciò che in tua vasta rapina
le strascichi dalla già netta
cucina.
Tu lasci che t'odiino, lasci
che t'amino: muta, il tuo giorno,
nell'angolo, resti, coi fasci
di stecchi che attendono il forno.
Nell'angolo il giorno tu resti,
pensosa del canto del gallo;
se al ***** tu già non ti presti,
che viene, e ti vuole cavallo.
Riporti, con lui che ti frena,
le paglie ch'hai tolte, e ben più;
e gioia or n'ha esso; ma pena
poi tu.
Sei l'umile ancella; ma reggi
la casa: tu sgridi a buon'ora,
mentre impaziente passeggi,
gl'ignavi che dormono ancora.
E quanto tu muovi dal canto,
la rondine è ancora nel nido;
e quando comincia il suo canto,
già ode per casa il tuo strido.
E l'alba il suo cielo rischiara,
ma prima lo spruzza e imperlina,
così come tu la tua cara
casina.
Sei l'umile ancella, ma regni
su l'umile casa pulita.
Minacci, rimproveri; insegni
ch'è bella, se pura, la vita.
Insegni, con l'acre tua cura
rodendo la pietra e la creta,
che sempre, per essere pura,
si logora l'anima lieta.
Insegni, tu sacra ad un rogo
non tardo, non bello, che più
di ciò che tu mondi, ti logori
tu!
Ribaciami amore è
solo ieri
che mi hai sfiorato la lingua
con il verbo del tuo violino,
acino d'uva il tuo fallo
che posi sul granbo migliore.

Rimani e ascolta
l'ultimo respiro di vita
che si libera dai miei capelli.
Plecat-ai la răsărit, a nopții mele lună,
Până ieri, îmi vorbeai de ce ne-a fost ursit,
În sufletul meu, ai lăsat neagră furtună,
Unde ești, iubita mea, de ce m-ai părăsit?

S-așterne cerneala, al scrisorii mele sânge,
Așteptare, vise nespuse, ale iubirii sclipiri,
Frumoaso, dorul de tine sufletu-mi frânge,
Cărări de gând îmi leagă ale noastre amintiri.

Unde-s pielea ta cea fină și buzele-ți dulci?
Mai știi tu, oare, în poiană, lângă vechiul măr,
Când voiai, capul în brațele-mi să-ți culci?
Cunună albă de mărgărite să-ți aștern în păr.

Se usucă cerneala, al scrisorii mele sânge,
Pe paginile pline cu lacrimi vechi de dor
Vântul acasă te cheamă, fereastra te plânge
Unde ești, iubita mea, eternul meu amor?
Solo un mano d'Angelo
intatta di sé, del suo amore per sé,
potrebbe
offrirmi la concavità del suo palmo
perché vi riversi il mio pianto.
La mano dell'uomo vivente
è troppo impigliata nei fili dell'oggi e dell'ieri,
è troppo ricolma di vita e di plasma di vita!
Non potrà mai la mano dell'uomo mondarsi
per il tranquillo pianto del proprio fratello!
E dunque, soltanto una mano di Angelo bianco
dalle lontane radici nutrite d'eterno e d'immenso
potrebbe filtrare serena le confessioni dell'uomo
senza vibrarne sul fondo in un cenno di viva ripulsa.
Perché ancora alla mente
traccia sopporto corporale d'ieri,
premere con la mano ritemprata
questo sasso mi è dolce
come a provare il fascino di Dio.
Rivedrò i lutti, ovali
miracolosi delle donne spente
nel mio dritto abbandono.
E il volto di Maria
risuonerà nelle sue note piene.
La terra era pur dolce
al mio lento sviluppo
e più cara che all'uomo se la fine
mi sollevava dalla riprensione.
Per cadenzare armonico il mio passo
sopra la sabbia, vale ch'io risorga.
Ricordi quand'eri saggina,
coi penduli grani che il vento
scoteva, come una manina
di ***** il sonaglio d'argento?
Cadeva la brina; la pioggia
cadeva: passavano uccelli
gemendo: tu gracile e roggia
tinnivi coi cento ramelli.
Ed oggi non più come ieri
tu senti la pioggia e la brina,
ma sgrigioli come quand'eri
saggina.
Restavi negletta nei solchi
quand'ogni pannocchia fu colta:
te, colsero, quando i bifolchi
v'ararono ancora una volta.
Un vecchio ti prese, recise,
legò; ti privò della bella
semenza tua rossa; e ti mise
nell'angolo, ad essere ancella.
E in casa tu resti, in un canto,
negletta qui come laggiù;
ma niuno è di casa pur quanto
sei tu.
Se t'odia colui che la trama
distende negli alti solai,
l'arguta gallina pur t'ama,
cui porti la preda che fai.
E t'ama anche senza, ché ai costi
ti sbalza, ed i grani t'invola,
residui del tempo che fosti
saggina, nei campi già sola.
Ma più, gracilando t'aspetta
con ciò che in tua vasta rapina
le strascichi dalla già netta
cucina.
Tu lasci che t'odiino, lasci
che t'amino: muta, il tuo giorno,
nell'angolo, resti, coi fasci
di stecchi che attendono il forno.
Nell'angolo il giorno tu resti,
pensosa del canto del gallo;
se al ***** tu già non ti presti,
che viene, e ti vuole cavallo.
Riporti, con lui che ti frena,
le paglie ch'hai tolte, e ben più;
e gioia or n'ha esso; ma pena
poi tu.
Sei l'umile ancella; ma reggi
la casa: tu sgridi a buon'ora,
mentre impaziente passeggi,
gl'ignavi che dormono ancora.
E quanto tu muovi dal canto,
la rondine è ancora nel nido;
e quando comincia il suo canto,
già ode per casa il tuo strido.
E l'alba il suo cielo rischiara,
ma prima lo spruzza e imperlina,
così come tu la tua cara
casina.
Sei l'umile ancella, ma regni
su l'umile casa pulita.
Minacci, rimproveri; insegni
ch'è bella, se pura, la vita.
Insegni, con l'acre tua cura
rodendo la pietra e la creta,
che sempre, per essere pura,
si logora l'anima lieta.
Insegni, tu sacra ad un rogo
non tardo, non bello, che più
di ciò che tu mondi, ti logori
tu!
Ricordi quand'eri saggina,
coi penduli grani che il vento
scoteva, come una manina
di ***** il sonaglio d'argento?
Cadeva la brina; la pioggia
cadeva: passavano uccelli
gemendo: tu gracile e roggia
tinnivi coi cento ramelli.
Ed oggi non più come ieri
tu senti la pioggia e la brina,
ma sgrigioli come quand'eri
saggina.
Restavi negletta nei solchi
quand'ogni pannocchia fu colta:
te, colsero, quando i bifolchi
v'ararono ancora una volta.
Un vecchio ti prese, recise,
legò; ti privò della bella
semenza tua rossa; e ti mise
nell'angolo, ad essere ancella.
E in casa tu resti, in un canto,
negletta qui come laggiù;
ma niuno è di casa pur quanto
sei tu.
Se t'odia colui che la trama
distende negli alti solai,
l'arguta gallina pur t'ama,
cui porti la preda che fai.
E t'ama anche senza, ché ai costi
ti sbalza, ed i grani t'invola,
residui del tempo che fosti
saggina, nei campi già sola.
Ma più, gracilando t'aspetta
con ciò che in tua vasta rapina
le strascichi dalla già netta
cucina.
Tu lasci che t'odiino, lasci
che t'amino: muta, il tuo giorno,
nell'angolo, resti, coi fasci
di stecchi che attendono il forno.
Nell'angolo il giorno tu resti,
pensosa del canto del gallo;
se al ***** tu già non ti presti,
che viene, e ti vuole cavallo.
Riporti, con lui che ti frena,
le paglie ch'hai tolte, e ben più;
e gioia or n'ha esso; ma pena
poi tu.
Sei l'umile ancella; ma reggi
la casa: tu sgridi a buon'ora,
mentre impaziente passeggi,
gl'ignavi che dormono ancora.
E quanto tu muovi dal canto,
la rondine è ancora nel nido;
e quando comincia il suo canto,
già ode per casa il tuo strido.
E l'alba il suo cielo rischiara,
ma prima lo spruzza e imperlina,
così come tu la tua cara
casina.
Sei l'umile ancella, ma regni
su l'umile casa pulita.
Minacci, rimproveri; insegni
ch'è bella, se pura, la vita.
Insegni, con l'acre tua cura
rodendo la pietra e la creta,
che sempre, per essere pura,
si logora l'anima lieta.
Insegni, tu sacra ad un rogo
non tardo, non bello, che più
di ciò che tu mondi, ti logori
tu!
stranger Jun 2022
ochii migdalați
ochii triști,
mi s-a mai zis...
mă spăl pe dinți până dau de sânge.
știu că e de rău, știu să plec când începe.
am deschis geamul, am lăsat o lumânare roșie-aprinsă de dragul lui iunie
un strop, o linie trasată pentru dragoste
nu. nu dragoste, obsesie-am decis să scriu în secret, timpul se dă înapoi și el.
pact cu lumina o să fac curând, să mă țină în haloul ei sfânt, să mă țină atât de divin în capcana ei curcubeatică.
aud voci și miroase a tine, trag draperia să-ți picteze prezența roșie, cărămizie, tiranică
am să-ți fiu sânge!
*** *** eu mai bine, şiroind sfios din vene, înfloresc damnat pe gene și mă usuc juvaier.
dispar dacă ***, dacă nu, halucinez în mirosul ăsta ce își știe ispita din aer.
mâine se transformă în ieri, eu în topaz meschin, labradorit stingher.
mă sting și fur suflarea lumii n-o mai dau la nimeni,
mă sting și eu cu tine, în bolta asta feerică de sânge - nu mai vreau să mă simt mâine,
o pulbere fină a unui om desfigurat, una dintre multele dorințe ale unei minți hapsîne.
grăbește-te și scoate-mă afară din mine!
de ce scriu în română?
Solo un mano d'Angelo
intatta di sé, del suo amore per sé,
potrebbe
offrirmi la concavità del suo palmo
perché vi riversi il mio pianto.
La mano dell'uomo vivente
è troppo impigliata nei fili dell'oggi e dell'ieri,
è troppo ricolma di vita e di plasma di vita!
Non potrà mai la mano dell'uomo mondarsi
per il tranquillo pianto del proprio fratello!
E dunque, soltanto una mano di Angelo bianco
dalle lontane radici nutrite d'eterno e d'immenso
potrebbe filtrare serena le confessioni dell'uomo
senza vibrarne sul fondo in un cenno di viva ripulsa.
Ribaciami amore è
solo ieri
che mi hai sfiorato la lingua
con il verbo del tuo violino,
acino d'uva il tuo fallo
che posi sul granbo migliore.

Rimani e ascolta
l'ultimo respiro di vita
che si libera dai miei capelli.
Perché ancora alla mente
traccia sopporto corporale d'ieri,
premere con la mano ritemprata
questo sasso mi è dolce
come a provare il fascino di Dio.
Rivedrò i lutti, ovali
miracolosi delle donne spente
nel mio dritto abbandono.
E il volto di Maria
risuonerà nelle sue note piene.
La terra era pur dolce
al mio lento sviluppo
e più cara che all'uomo se la fine
mi sollevava dalla riprensione.
Per cadenzare armonico il mio passo
sopra la sabbia, vale ch'io risorga.
Ribaciami amore è
solo ieri
che mi hai sfiorato la lingua
con il verbo del tuo violino,
acino d'uva il tuo fallo
che posi sul granbo migliore.

Rimani e ascolta
l'ultimo respiro di vita
che si libera dai miei capelli.
Solo un mano d'Angelo
intatta di sé, del suo amore per sé,
potrebbe
offrirmi la concavità del suo palmo
perché vi riversi il mio pianto.
La mano dell'uomo vivente
è troppo impigliata nei fili dell'oggi e dell'ieri,
è troppo ricolma di vita e di plasma di vita!
Non potrà mai la mano dell'uomo mondarsi
per il tranquillo pianto del proprio fratello!
E dunque, soltanto una mano di Angelo bianco
dalle lontane radici nutrite d'eterno e d'immenso
potrebbe filtrare serena le confessioni dell'uomo
senza vibrarne sul fondo in un cenno di viva ripulsa.
Perché ancora alla mente
traccia sopporto corporale d'ieri,
premere con la mano ritemprata
questo sasso mi è dolce
come a provare il fascino di Dio.
Rivedrò i lutti, ovali
miracolosi delle donne spente
nel mio dritto abbandono.
E il volto di Maria
risuonerà nelle sue note piene.
La terra era pur dolce
al mio lento sviluppo
e più cara che all'uomo se la fine
mi sollevava dalla riprensione.
Per cadenzare armonico il mio passo
sopra la sabbia, vale ch'io risorga.
Quando avrò alzato in me l'intimo fuoco
che originava già queste bufere
e sarò salda, libera, vitale,
allora sarò sola?

E forse staccherò dalle radici
la rimossa speranza dell'amore,
ricorderò che frutto d'ogni
limite umano è assenza di memoria,
tutta mi affonderò nel divenire...

Ma fino a che io tremo del principio
cui la tua mano mi iniziò da ieri,
ogni attributo vivo che mi preme
giace incomposto nelle tue misure.
Quando avrò alzato in me l'intimo fuoco
che originava già queste bufere
e sarò salda, libera, vitale,
allora sarò sola?

E forse staccherò dalle radici
la rimossa speranza dell'amore,
ricorderò che frutto d'ogni
limite umano è assenza di memoria,
tutta mi affonderò nel divenire...

Ma fino a che io tremo del principio
cui la tua mano mi iniziò da ieri,
ogni attributo vivo che mi preme
giace incomposto nelle tue misure.
Esco.
Cielo azzurro e nuvole dolci come la panna.
So dove sto andando ma vorrei danzare un nuovo ritmo.
Confuso e soffuso come la nebbia.
Che possa guarire il mio cuore spezzato.
Per favore, fallo bene

E la mia mente affaticata dalla ripetizione di un paese dove tutto è uguale e sterile.
Oggi uguale a ieri, a domani e dopodomani ancora.
La felicità può fare paura quando non l'hai mai provata

E voleremo verso il sole quando si farà notte

— The End —