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tangshunzi Aug 2014
Ci sono matrimoni ti adoro e poi ci sono i matrimoni ti adoro .drop-dead cose bellissime che sono così assolutamente bella .siete quasi a corto di parole.Questo è uno di quei matrimoni.Una serata italiana mozzafiato con una splendida attrice sposarla focoso produttore musicale sposo .il tutto circondato da familiari .amici e momento dopo momento di "Miss Havisham incontra Florence and the Machine " pretty ( SI ) .E 'il tipo di giornata che sarà quasi certamente passerà alla storia SMP e si può vedere tutto catturato beauitfully da Matthew Moore nel pieno galleria .

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Da Sposa.Come attrice e sceneggiatrice dal commercio in Hollywood era destinato fin dall'inizio che il nostro matrimonio sarebbe stato una produzione.Invece del matrimonio norma mio marito ed io stavamo cercando di creare il set di un film che sarebbe davvero trasportare i nostri ospiti in un altro mondo .

Oltre al fatto che siamo entrambi persone molto artistici in generale .Zach ed io sono piuttosto contrario.ehm.voglio dire gratuito .Zach è più di un ragazzo jeans e t -shirt .E sono più di una Jimmy Choo e vintage sequined vestito da cocktail tipo di ragazza .Così.quando è arrivato il momento di sposarsi .volevamo trovare un modo per fondere i nostri due gusti : lui .casual e me.fantasia .Lui .rilassata e me .drammatico .

Entrambi abbiamo subito concordato un matrimonio di destinazione perché sapevamo che volevamo che il matrimonio sia intimo.E abbiamo voluto l'evento per essere più di una vacanza collettiva di una sorta di omaggio al nostro coupledom .E non posso dirti quello che una decisione perfetta che fu.Abbiamo optato per l'Italia .un piccolo paese vicino a Lucca chiamato Borgo a Mozzano dove avevo trascorso del tempo in un college di canto lirico .( . Te l'avevo detto che ero toity hoity ) Borgo a Mozzano è in Garfagna - i monti selvaggi e selvagge della Toscana .

Sono ossessionato con la grandiosità sbiadita si possono trovare in Italia - e la villa che abbiamo scelto per il matrimonio (Villa Catureglio ) incarna proprio questo - edera a crescere senza di pietra antichi .ulivi dappertutto .quella luce splendida che sembraesistere solo in Italia .Per noi .non c'è niente di più bello di patina e abbiamo voluto fare che l'attenzione estetica del matrimonio .

A tal fine .i colori del matrimonio sono



tirati direttamente dalla decolorazione della pietra dal salmone al grigio al blu al verde .C'è un intero caleidoscopio di colori solo nella pietra .Volevamo la decorazione di nozze per avere un tatto organico ad essa come se fosse parte della villa .
Il tema per il matrimonio è stata Miss Havisham incontra Florence and the Machine .La descrizione mi piace dare è il matrimonio dovrebbe apparire come se fosse istituito un centinaio di anni fa e poi solo dimenticato .Nel corso del secolo gli elementi ha assunto l'edera e muschio ha cominciato a crescere nel l'arredamento .l'età sbiadito la tovaglia .E ora il matrimonio è quasi una sensazione spettrale ad esso .Per me non c'è niente di più romantico della storia Havisham di un matrimonio congelato nel tempo .E mi piace l'accostamento di bellezza e decadenza .

Abbiamo ovviamente avuto un po ' di una sfida tirare fuori questa visione dall'altra parte del mondo .Inoltre .abbiamo voluto utilizzare uno stile più eclettico decorazione di solito si può affittare da fornitori di nozze ( in particolare in Italia .dove l'estetica matrimonio sembra essere per lo piu vestiti da sposa ' permette di trasformare la villa in un club di Miami ! ' ) .Così abbiamo dovuto ottenere creativo che è dove abbiamo avuto così tanto divertimento .Io e mia mamma .insieme con i nostri wedding planner .pettinate attraverso diverse Thrifts negozi a Firenze di raccolta ( ad un prezzo abbastanza ragionevole) antiquariato favolosi che abbiamo usato per decorare il tutto .Abbiamo trovato splendidi vecchi specchi che abbiamo appeso nella limonaia .Siamo andati in un vecchio magazzino di tessuto a Prato e aveva le tende fatte per la cappella e altrove.Abbiamo anche trovato il tessuto lì per fare la nostra bella pizzo tovaglia di tela !La sua incredibile come se siete disposti a caccia .si possono trovare cose incredibili ad una certa sconto .Pettinatura attraverso depositi di risparmio italiane potrebbe non essere il paradiso per tutti .ma per me e mia mamma è stata veramente !

Zach .ovviamente .a condizione che la musica .che era un misto di corrente di musica indie con musica dal 1920 per la cena per riflettere il nostro desiderio che il matrimonio si sentono sia d'epoca e indie .Abbiamo finito per avere 55 dei nostri amici più cari e familiari .e non avrebbe potuto essere più perfetto .Abbiamo tutti trascorso alcuni giorni insieme prima del matrimonio .

Il matrimonio è iniziato nella cappella privata in loco : una splendida .piccola cappella di pietra abbiamo trasformato in una scatola gioiello etereo .Abbiamo comprato un po ' di velluto stupendo e tessuto di seta floreale da un magazzino a Prato .che abbiamo trasformato in tende romantiche per vestire le finestre .La cappella era piena di Kartell Louis Ghost in armonia con l'atmosfera un po ' spettrale del matrimonio .

Le damigelle d'onore camminato lungo la navata nella splendida marina .1930 ispirato abiti da David Meister come il nostro indie amico musicista rock ( mio cugino ) ci serenata con le versioni acustiche delle nostre canzoni preferite ( "C'è l'Amore " di Firenzee la macchina ." primo giorno della nostra vita " di Bright Eyes .ecc ) e 'stato così incredibilmente speciale per avere mio cugino cantare per noi .

** indossato un abito di Reem Acra ( Olivia ) che scorre in avorio con maniche argento cappuccio bordato .Mia mamma e mia sorella e ** preso a Kleinfeld in un trunk show .Il look era molto presto Grey Gardens glamour del 1930 .Pensate Poco Edie quando era giovane e bella e piena di promesse .O signorina Havisham in gioventù .

Una volta sposati.ci siamo spostati nel cortile della villa per cocktail e antipasti .Qui abbiamo avuto una splendida sorpresa in programma per i nostri ospiti .In lontananza .hanno iniziato a sentire una band che suona celebrativo della musica tradizionale italiana .La musica gradualmente si avvicinava sempre di più fino a quando attraverso l'ingresso alberato oliva villa apparve una marching band di 30 elementi ( concerto bandistico ) !Tradizionalmente .in matrimoni italiani .la banda del paese suona dopo la cerimonia e quindi abbiamo avuto la band Lucca locale non solo per noi !Sono un gruppo favoloso composto da tutti.da 8 anni a 80 anni di età che suonano musica tradizionale popolare italiana con una perfetta imperfezione .

Il look del momento dell'aperitivo era stupendo !Le bevande erano servite nella Limonaia (dove sono memorizzati i limoni durante l'inverno ) .La limonaia è onestamente da morire - è così Giardini di Miss Havisham / grigio con bellissime porte francesi che si aprono in questo spazio magico coperto di edera e altri vitigni appesi .Inoltre abbiamo decorato le pareti con un miscuglio di bellissime .specchi antichi d'oro che abbiamo comprato a diversi negozi di spedizione intorno a Firenze tutte in diverse dimensioni e forme .tra cui un gigantesco specchio antico ( 6 ​​metri di altezza ).che poggiava sul pavimento .Abbiamo chiesto il fiorista per portare ancora più edera da aggiungere alle pareti e tessere intorno gli specchi per farli sentire come se fossero lì da secoli .Sono sicuro che io sono l' unica sposa che ha chiesto il fiorista per rendere il luogo un aspetto più decrepito .ma onestamente .hanno fatto il più magnifico lavoro .Fiori Toscana ( il migliore !) Hanno fatto i fiori .

decorare l'interno della limonaia sono stati sedie antiche e divano acquistati al mercato dell'antiquariato di Lucca .Abbiamo finito per trasformare la limonaia in una grande e formale salotto che era stata troppo presa dagli elementi .La vestiti da sposa giustapposizione di mobili antichi con la limonaia rustico e il suo pavimento sporco di terra è esattamente il tipo di contraddizione abbiamo giocato con tutto il matrimonio tutto .

Dopo le bevande è venuto a cena.I nostri ospiti hanno camminato attraverso la villa - su un altro bel cortile alberato con alberi di ulivo decorati con centinaia di candele appese .Tra gli alberi .c'era un lungo tavolo coperto da una tela di pizzo splendida avevamo fatto in una tovaglia di tessuto che abbiamo comprato da un magazzino all'ingrosso a Prato .Il tavolo era decorato con candelabri e vasi antichi .pieni di arrangiamenti romantici e selvaggi fiori traboccanti sul tavolo .come l'edera salì i candelabri .Kartell sedie fantasma linea la tabella interrotto solo dalla sedia antico occasionale alle due estremità - e un divanetto d'epoca al centro del tavolo per la sposa e lo sposo .Veramente il tavolo era un capolavoro .E come gli ospiti mangiavano .abbiamo avuto 1920 riproduzione di musica che ha appena aggiunto all'atmosfera .

Invece di una società di catering .siamo stati fortunati a trovare ( grazie ai nostri wedding planner ).un famoso chef per cucinare il pasto per noi .E ' fondamentalmente la Paula Deen d'Italia e che ha fatto un lavoro impeccabile .L'abbiamo presentato con un po 'una sfida .perché volevamo un pasto completamente vegetariano .Ma lei tirò fuori splendidamente !

Dopo cena la torta è stata istituita nel grande salone della villa circondata da splendidi muschio e posto su una base antico con una splendida patina - abbiamo acquistato da un vicino cantiere di salvataggio .La torta è stato ispirato da Wedgewood con intricati avorio dettagli su ogni livello completo di cammei fatti a mano dal nostro artista torta maestro .Melanie .e sormontato da una corona di ispirazione vintage .E ' stata veramente mozzafiato.(E assaggiato incredibile come bene ! )

Dopo aver mangiato .abbiamo camminato lungo una passerella a lume di candela .giù la proprietà alla loggia ( una veranda coperta di sorta ) - in pietra antica .Abbiamo trasformato questa sala in sala sigari / grappa .Abbiamo voluto contrastare la pietra semplice e maschile con la decorazione femminile e morbido .Abbiamo drappeggiato le finestre aperte con ricco tessuto in velluto .E abbiamo acquistato un assortimento di mobili antichi da negozi di spedizione per vestire lo spazio come lampadari splendidi pendevano dal soffitto .

Poi sulla danza .Abbiamo convertito abiti da sposa on line il vecchio fienile in pietra in una pista da ballo / club - completo di photobooth !Qui abbiamo avuto la più divertente giustapponendo il moderno con l'antico .Una barra incandescente con avvolgono una delle colonne centrali della stalla .come il barista ci ha servito bevande.Lampadari di cristallo appesi alle pareti .Abbiamo decorato la stalla con decorazioni semplici e moderne - divani moderni bianche pulite - tutto arredamento bianco contro la pietra - come abbiamo ballato nella notte .Uno dei lighting designer premiere in Toscana illuminato lo spazio in blu e viola per aiutare a completare la trasformazione.

nostro matrimonio è stato davvero la notte più magica che mai.I nostri fotografi .Matteo e Katie hanno fatto un lavoro impeccabile come catturare la bellezza e l'atmosfera della manifestazione .Fotografia

: Matthew Moore Fotografia | Fiorista : Toscana Flowers | Abito da sposa: Reem Acra | Cake: Melanie Seccaini | Coordinamento evento: matrimoni Internazionale | Hair + Trucco : Katie Moore di Matthew Moore Fotografia | Luogo : Villa CatureglioMatthew Moore Fotografia .L'Arte Della Torta di Melanie Secciani .Toscana Fiori e matrimoni internazionali sono membri del nostro Little Black Book .Scopri come i membri sono scelti visitando la nostra pagina delle FAQ .Matthew Moore Fotografia VIEW PORTFOLIO L'Arte Della Torta di Melanie ... vedi portfolio Toscana Fiori vedi portfolio Matrimoni internazionale VIEW
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http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-c-1
Romantico italiana sposa di destinazione da Matthew Moore Fotografia_abiti da sposa corti
Ì faccio 'o schiattamuorto 'e prufessione,
modestamente songo conosciuto
pè tutt'e ccase 'e dinto a stu rione,
peccheè quann'io manèo 'nu tavuto,
songo 'nu specialista 'e qualità.

Ì tengo mode, garbo e gentilezza.
'O muorto nmano a me pò stà sicuro,
ca nun ave 'nu sgarbo, 'na schifezza.
Io 'o tratto comme fosse 'nu criaturo
che dice 'o pate, mme voglio jì a cuccà.

E 'o co'cco luongo, stiso 'int"o spurtone,
oure si è viecchio pare n'angiulillo.
'O muorto nun ha età, è 'nu guaglione
ca s'è addurmuto placido e tranquillo
'nu suonno doce pè ll'eternità.

E 'o suonno eterno tene stu vantaggio,
ca si t'adduorme nun te scite maie.
Capisco, pè murì 'nce vò 'o curaggio;
ma quanno chella vene tu che ffaie?
Nn'a manne n'ata vota all'al di là?

Chella nun fa 'o viaggio inutilmente.
Chella nun se ne va maie avvacante.
Sì povero, sì ricco, sì putente,
'nfaccia a sti ccose chella fa a gnurante,
comme a 'nu sbirro che t'adda arrestà.

E si t'arresta nun ce stanno sante,
nun ce stanno raggione 'a fà presente;
te ll'aggio ditto, chella fa 'a gnurante...
'A chesta recchia, dice, io nun ce sento;
e si nun sente, tu ch'allucche a ffà?

'A morta, 'e vvote, 'e comme ll'amnistia
che libbera pè sempe 'a tutt'e guaie
a quaccheduno ca, parola mia,
'ncoppa a sta terra nun ha avuto maie
'nu poco 'e pace... 'na tranquillità.

E quante n'aggio visto 'e cose brutte:
'nu muorto ancora vivo dinto 'o lietto,
'na mugliera ca già teneva 'o llutto
appriparato dinto a nù cassetto,
aspettanno 'o mumento 'e s'o 'ngignà.

C'è quacche ricco ca rimane scritto:
" Io voglio un funerale 'e primma classe! ".
E 'ncapo a isso penza 'e fà 'o deritto:
" Così non mi confondo con la ***** ".
Ma 'o ssape, o no, ca 'e llire 'lasse ccà?!

'A morta è una, 'e mezze songhe tante
ca tene sempe pronta sta signora.
Però, 'a cchiù trista è " la morte ambulante "
che può truvà p'a strada a qualunq'ora
(comme se dice?... ) pè fatalità.

Ormai per me il trapasso è 'na pazziella;
è 'nu passaggio dal sonoro al muto.
E quanno s'è stutata 'a lampella
significa ca ll'opera è fernuta
e 'o primm'attore s'è ghiuto a cuccà.
Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor né fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
Dè tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna dè mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi dè potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive .
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
Di cui lor sorte rea padre ti fece,
Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra sé. Non io
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avrò quanto si possa aperto:
Ben ch'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civiltà, che sola in meglio
Guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci diè. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fè palese: e, fuggitivo, appelli
Vil chi lui segue, e solo
Magnanimo colui
Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell'alma generoso ed alto,
Non chiama sé né stima
Ricco d'or né gagliardo,
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma sé di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire
Fraterne, ancor più gravi
D'ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che dè mortali
Madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L'umana compagnia,
Tutti fra sé confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul più vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch'ha in error la sede.
Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e su la mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Cò tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente età, che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell'altra è la strage,
Non avvien ciò d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.
Ben mille ed ottocento
Anni varcàr poi che spariro, oppressi
Dall'ignea forza, i popolati seggi,
E il villanello intento
Ai vigneti, che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla e incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
Fatal, che nulla mai fatta più mite
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
Dell'ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando più volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall'inesausto grembo
Su l'arenoso dorso, a cui riluce
Di Capri la marina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l'acqua
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
Vede lontan l'usato
Suo nido, e il picciol campo,
Che gli fu dalla fame unico schermo,
Preda al flutto rovente,
Che crepitando giunge, e inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
Dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all'aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri,
Per li templi deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per vòti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell'uomo ignara e dell'etadi
Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,
Sta natura ognor verde, anzi procede
Per sì lungo cammino
Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l'uom d'eternità s'arroga il vanto.
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
D I A Mar 2015
Stress sneaked up on me
Like a ninja out of the blues
Like a saxophone player
Weaving an intricate melody
To my internal noir monologue
Like a tax collector striking at night
Or a deadly case of the Creditors flu
Like a group of cut-throat dames
Like fog in the rain
Like a secretary named Velema.
Stress sneaked up on me
When the detective came a-knocking.

He wanted his cigarette back.

I told him I didn't have it
Then the ****** walked in
Quick-finger Teddy
Butcher Saint Merry
Leg-breaker Lenny
Mobster Ricco
Snake Bently
And Marcini of the incredibly gifted hands
Too.
Lead makes a different sound when fired
Glass shatters into tinkling tear drops
Like the heavens weeping.
Plaster breaks.

Stress sneaked up on  me
Like a kiss goodbye...
It's all
Smoke through the city...
Hard-boiled or Scrambled. A touch of Noir.
Nulla di ciò che accade e non ha volto
e nulla che precipiti puro, immune da traccia,
percettibile solo alla pietà
come te mi significa la morte.
Il vento ricco oscilla corrugato
sui vetri, finge estatiche presenze
e un oriente bianco s'esala
nei quadrivi di febbre lastricati.
Dalla pioggia alle candide schiarite
si levano allo sguardo variopinto
blocchi d'aria in festevoli distanze.
Apparire e sparire è una chimera.
È questa l'ora tua, è l'ora di quei re
sismici il cui trono è il movimento,
insensibili se non al freddo di morte
che lasciano nel sangue all'improvviso.
Loro sede fulminea è qualche specchio
assorto nella sera, ivi s'incontrano,
ivi si riconoscono in un battito.
Sei certa ed ingannevole, è vano ch'io ti cerchi,
ti persegua di là dai fortilizi,
dalle guglie riflesse negli asfalti,
nei luoghi ove l'amore non può giungere
né la dimenticanza di se stessi.
Teneva diciott'anne Sarchiapone,
era stato cavallo ammartenato,
ma... ogne bella scarpa nu scarpone
addeventa c' 'o tiempo e cu ll'età.
Giuvinotto pareva n'inglesino,
uno 'e chilli cavalle arritrattate
ca portano a cavallo p' 'o ciardino
na signorina della nobiltà.

Pronto p'asc'i sbatteva 'e ccianfe 'nterra,
frieva, asceva 'o fummo 'a dint' 'o naso,
faville 'a sotto 'e piere, 'o ffuoco! 'A guerra!
S'arrevutava tutt' 'a Sanità.

Ma... ogni bella scarpa nu scarpone
c' 'o tiempo addeventammo tutte quante;
venette pure 'o turno 'e Sarchiapone.
Chesta è la vita! Nun ce sta che ffà.

Trista vicchiaja. Che brutto destino!
Tutt' 'a jurnata sotto a na carretta
a carrià lignammo, prete, vino.
"Cammina, Sarchiapò! Cammina, aah!".

'O carrettiere, 'nfamo e disgraziato,
cu 'a peroccola 'nmano, e 'a part' 'o gruosso,
cu tutt' 'e fforze 'e ddà sotto 'o custato
'nfaccia 'a sagliuta p' 'o fà cammenà.

A stalla ll'aspettava Ludovico,
nu ciucciariello viecchio comm' a isso:
pe Sarchiapone chisto era n'amico,
cumpagne sotto 'a stessa 'nfamità.

Vicino tutt' 'e ddute: ciuccio e cavallo
se facevano 'o lagno d' 'a jurnata.
Diceva 'o ciuccio: "I' nce aggio fatto 'o callo,
mio caro Sarchiapone. Che bbuò fà?

lo te capisco, tu te si abbeluto.
Sò tutte na maniata 'e carrettiere,
e, specialmente, 'o nuosto,è 'o cchiù cornuto
ca maie nce puteva capità.

Sienteme bbuono e vide che te dico:
la bestia umana è un animale ingrato.
Mm' he a credere... parola 'e Ludovico,
ca mm' è venuto 'o schifo d' 'o ccampà.

Nuie simmo meglio 'e lloro, t' 'o ddico io:
tenimmo core 'mpietto e sentimento.
Chello ca fanno lloro? Ah, no, pe ddio!
Nisciuno 'e nuie s' 'o ssonna maie d' 'o ffà.

E quanta vote 'e dicere aggio 'ntiso:
"'A tale ha parturito int' 'a nuttata
na criatura viva e po' ll'ha accisa.
Chesto na mamma ciuccia nun 'o ffà!".

"Tu che mme dice Ludovico bello?!
Overo 'o munno è accussi malamente?".
"E che nne vuo sapè, caro fratello,
nun t'aggio ditto tutta 'a verità.

Tu si cavallo, nobile animale,
e cierti ccose nun 'e concepisce.
I' so plebbeo e saccio tutt' 'o mmale
ca te cumbina chesta umanità".

A sti parole 'o ricco Sarchiapone
dicette: "Ludovì, io nun ce credo!
I' mo nce vò, tenevo nu padrone
ch'era na dama, n'angelo 'e buntà.

Mm'accarezzava comm'a nu guaglione,
mme deva 'a preta 'e zucchero a quadrette;
spisse se cunzigliava c' 'o garzone
(s'io stevo poco bbuono) ch' eva fà".

"Embè! - dicette 'o ciuccio - Mme faie pena.
Ma comme, tu nun l'he capito ancora?
Si, ll'ommo fa vedè ca te vò bbene
è pe nu scopo... na fatalità.

Chi pe na mano, chi pe n'ata mano,
ognuno tira ll'acqua al suo mulino.
So chiste tutte 'e sentimente umane:
'a mmiria, ll'egoismo, 'a falsità.

'A prova è chesta, caro Sarchiapone:
appena si trasuto int' 'a vicchiaia,
pe poche sorde, comme a nu scarpone,
t'hanno vennuto e si caduto ccà.

Pe sotto a chillu stesso carruzzino
'o patruncino tuio n'atu cavallo
se ll' è accattato proprio stammatina
pe ghi currenno 'e pprete d' 'a città".

'O nobbile animale nun durmette
tutt' 'a nuttata, triste e ll'uocchie 'nfuse,
e quanno avette ascì sott' 'a carretta
lle mancavano 'e fforze pe tirà.

"Gesù, che delusione ch'aggio avuto!"-
penzava Sarchiapone cu amarezza.
"Sai che ti dico? Ll'aggia fa fernuta,
mmiezo a sta gente che nce campo a ffà?"

E camminanno a ttaglio e nu burrone,
nchiurette ll'uocchie e se menaie abbascio.
Vulette 'nzerrà 'o libbro Sarchiapone,
e se ne jette a 'o munno 'a verità.
Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor né fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
Dè tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna dè mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi dè potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive .
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
Di cui lor sorte rea padre ti fece,
Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra sé. Non io
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avrò quanto si possa aperto:
Ben ch'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civiltà, che sola in meglio
Guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci diè. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fè palese: e, fuggitivo, appelli
Vil chi lui segue, e solo
Magnanimo colui
Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell'alma generoso ed alto,
Non chiama sé né stima
Ricco d'or né gagliardo,
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma sé di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire
Fraterne, ancor più gravi
D'ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che dè mortali
Madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L'umana compagnia,
Tutti fra sé confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul più vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch'ha in error la sede.
Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e su la mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Cò tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente età, che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell'altra è la strage,
Non avvien ciò d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.
Ben mille ed ottocento
Anni varcàr poi che spariro, oppressi
Dall'ignea forza, i popolati seggi,
E il villanello intento
Ai vigneti, che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla e incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
Fatal, che nulla mai fatta più mite
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
Dell'ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando più volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall'inesausto grembo
Su l'arenoso dorso, a cui riluce
Di Capri la marina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l'acqua
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
Vede lontan l'usato
Suo nido, e il picciol campo,
Che gli fu dalla fame unico schermo,
Preda al flutto rovente,
Che crepitando giunge, e inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
Dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all'aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri,
Per li templi deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per vòti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell'uomo ignara e dell'etadi
Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,
Sta natura ognor verde, anzi procede
Per sì lungo cammino
Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l'uom d'eternità s'arroga il vanto.
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
Vorrei un figlio da te che sia una spada
lucente, come un grido di alta grazia,
che sia pietra, che sia novello Adamo,
lievito del mio sangue e che risolva
più quietamente questa nostra sete.
Ah, se t'amo, lo grido ad ogni vento
gemmando fiori da ogni stanco ramo
e fiorita son tutta e d'ogni velo
vo scerpando il mio lutto
perché genesi sei della mia carne.
Ma il mio cuore, trafitto dall'amore
ha desiderio di mondarsi vivo.
E perciò dammi un figlio delicato,
un bellissimo, vergine viticcio
da allacciare al mio tronco, e tu, possente
olmo, tu padre ricco d'ogni forza pura
mieterai liete ombre alle mie luci.
I' tengo 'e llire, nun me manca niente,
me pozzo accattà chello ca me piace:
na statua d'oro, nu vapore argiento...
palazze, ville... case in quantità.
- Chi è cchiù felice 'e te?! - mme dice 'a ggente.
- Si ricco, si guaglione... che te manca? -
E chest' è overo, nun me manca niente.
Sulo na cosa mme vurria accattà...

Nu core... tutto core 'e tennerezza
ca me vulesse na muntagna 'e bbene...
ca me sbattesse 'mmano p' 'a priezza,
cuntento pe mme dà 'a felicità.

Dipende a me; nun voglio aspettà ancora.
Tuzzuliaje a porta 'e na figliola:
- Che t'aggia dà pe m'accattà stu core?
Qualunque prezzo, dì, che t'aggia dà? -

Me rispunnette cu bella maniera:
- 'O core nun se venne... se riala...
crediteme, ca io ve sò sincera...
cu 'e llire 'o core nun se pò accattà!
Ì faccio 'o schiattamuorto 'e prufessione,
modestamente songo conosciuto
pè tutt'e ccase 'e dinto a stu rione,
peccheè quann'io manèo 'nu tavuto,
songo 'nu specialista 'e qualità.

Ì tengo mode, garbo e gentilezza.
'O muorto nmano a me pò stà sicuro,
ca nun ave 'nu sgarbo, 'na schifezza.
Io 'o tratto comme fosse 'nu criaturo
che dice 'o pate, mme voglio jì a cuccà.

E 'o co'cco luongo, stiso 'int"o spurtone,
oure si è viecchio pare n'angiulillo.
'O muorto nun ha età, è 'nu guaglione
ca s'è addurmuto placido e tranquillo
'nu suonno doce pè ll'eternità.

E 'o suonno eterno tene stu vantaggio,
ca si t'adduorme nun te scite maie.
Capisco, pè murì 'nce vò 'o curaggio;
ma quanno chella vene tu che ffaie?
Nn'a manne n'ata vota all'al di là?

Chella nun fa 'o viaggio inutilmente.
Chella nun se ne va maie avvacante.
Sì povero, sì ricco, sì putente,
'nfaccia a sti ccose chella fa a gnurante,
comme a 'nu sbirro che t'adda arrestà.

E si t'arresta nun ce stanno sante,
nun ce stanno raggione 'a fà presente;
te ll'aggio ditto, chella fa 'a gnurante...
'A chesta recchia, dice, io nun ce sento;
e si nun sente, tu ch'allucche a ffà?

'A morta, 'e vvote, 'e comme ll'amnistia
che libbera pè sempe 'a tutt'e guaie
a quaccheduno ca, parola mia,
'ncoppa a sta terra nun ha avuto maie
'nu poco 'e pace... 'na tranquillità.

E quante n'aggio visto 'e cose brutte:
'nu muorto ancora vivo dinto 'o lietto,
'na mugliera ca già teneva 'o llutto
appriparato dinto a nù cassetto,
aspettanno 'o mumento 'e s'o 'ngignà.

C'è quacche ricco ca rimane scritto:
" Io voglio un funerale 'e primma classe! ".
E 'ncapo a isso penza 'e fà 'o deritto:
" Così non mi confondo con la ***** ".
Ma 'o ssape, o no, ca 'e llire 'lasse ccà?!

'A morta è una, 'e mezze songhe tante
ca tene sempe pronta sta signora.
Però, 'a cchiù trista è " la morte ambulante "
che può truvà p'a strada a qualunq'ora
(comme se dice?... ) pè fatalità.

Ormai per me il trapasso è 'na pazziella;
è 'nu passaggio dal sonoro al muto.
E quanno s'è stutata 'a lampella
significa ca ll'opera è fernuta
e 'o primm'attore s'è ghiuto a cuccà.
Ì faccio 'o schiattamuorto 'e prufessione,
modestamente songo conosciuto
pè tutt'e ccase 'e dinto a stu rione,
peccheè quann'io manèo 'nu tavuto,
songo 'nu specialista 'e qualità.

Ì tengo mode, garbo e gentilezza.
'O muorto nmano a me pò stà sicuro,
ca nun ave 'nu sgarbo, 'na schifezza.
Io 'o tratto comme fosse 'nu criaturo
che dice 'o pate, mme voglio jì a cuccà.

E 'o co'cco luongo, stiso 'int"o spurtone,
oure si è viecchio pare n'angiulillo.
'O muorto nun ha età, è 'nu guaglione
ca s'è addurmuto placido e tranquillo
'nu suonno doce pè ll'eternità.

E 'o suonno eterno tene stu vantaggio,
ca si t'adduorme nun te scite maie.
Capisco, pè murì 'nce vò 'o curaggio;
ma quanno chella vene tu che ffaie?
Nn'a manne n'ata vota all'al di là?

Chella nun fa 'o viaggio inutilmente.
Chella nun se ne va maie avvacante.
Sì povero, sì ricco, sì putente,
'nfaccia a sti ccose chella fa a gnurante,
comme a 'nu sbirro che t'adda arrestà.

E si t'arresta nun ce stanno sante,
nun ce stanno raggione 'a fà presente;
te ll'aggio ditto, chella fa 'a gnurante...
'A chesta recchia, dice, io nun ce sento;
e si nun sente, tu ch'allucche a ffà?

'A morta, 'e vvote, 'e comme ll'amnistia
che libbera pè sempe 'a tutt'e guaie
a quaccheduno ca, parola mia,
'ncoppa a sta terra nun ha avuto maie
'nu poco 'e pace... 'na tranquillità.

E quante n'aggio visto 'e cose brutte:
'nu muorto ancora vivo dinto 'o lietto,
'na mugliera ca già teneva 'o llutto
appriparato dinto a nù cassetto,
aspettanno 'o mumento 'e s'o 'ngignà.

C'è quacche ricco ca rimane scritto:
" Io voglio un funerale 'e primma classe! ".
E 'ncapo a isso penza 'e fà 'o deritto:
" Così non mi confondo con la ***** ".
Ma 'o ssape, o no, ca 'e llire 'lasse ccà?!

'A morta è una, 'e mezze songhe tante
ca tene sempe pronta sta signora.
Però, 'a cchiù trista è " la morte ambulante "
che può truvà p'a strada a qualunq'ora
(comme se dice?... ) pè fatalità.

Ormai per me il trapasso è 'na pazziella;
è 'nu passaggio dal sonoro al muto.
E quanno s'è stutata 'a lampella
significa ca ll'opera è fernuta
e 'o primm'attore s'è ghiuto a cuccà.
Teneva diciott'anne Sarchiapone,
era stato cavallo ammartenato,
ma... ogne bella scarpa nu scarpone
addeventa c' 'o tiempo e cu ll'età.
Giuvinotto pareva n'inglesino,
uno 'e chilli cavalle arritrattate
ca portano a cavallo p' 'o ciardino
na signorina della nobiltà.

Pronto p'asc'i sbatteva 'e ccianfe 'nterra,
frieva, asceva 'o fummo 'a dint' 'o naso,
faville 'a sotto 'e piere, 'o ffuoco! 'A guerra!
S'arrevutava tutt' 'a Sanità.

Ma... ogni bella scarpa nu scarpone
c' 'o tiempo addeventammo tutte quante;
venette pure 'o turno 'e Sarchiapone.
Chesta è la vita! Nun ce sta che ffà.

Trista vicchiaja. Che brutto destino!
Tutt' 'a jurnata sotto a na carretta
a carrià lignammo, prete, vino.
"Cammina, Sarchiapò! Cammina, aah!".

'O carrettiere, 'nfamo e disgraziato,
cu 'a peroccola 'nmano, e 'a part' 'o gruosso,
cu tutt' 'e fforze 'e ddà sotto 'o custato
'nfaccia 'a sagliuta p' 'o fà cammenà.

A stalla ll'aspettava Ludovico,
nu ciucciariello viecchio comm' a isso:
pe Sarchiapone chisto era n'amico,
cumpagne sotto 'a stessa 'nfamità.

Vicino tutt' 'e ddute: ciuccio e cavallo
se facevano 'o lagno d' 'a jurnata.
Diceva 'o ciuccio: "I' nce aggio fatto 'o callo,
mio caro Sarchiapone. Che bbuò fà?

lo te capisco, tu te si abbeluto.
Sò tutte na maniata 'e carrettiere,
e, specialmente, 'o nuosto,è 'o cchiù cornuto
ca maie nce puteva capità.

Sienteme bbuono e vide che te dico:
la bestia umana è un animale ingrato.
Mm' he a credere... parola 'e Ludovico,
ca mm' è venuto 'o schifo d' 'o ccampà.

Nuie simmo meglio 'e lloro, t' 'o ddico io:
tenimmo core 'mpietto e sentimento.
Chello ca fanno lloro? Ah, no, pe ddio!
Nisciuno 'e nuie s' 'o ssonna maie d' 'o ffà.

E quanta vote 'e dicere aggio 'ntiso:
"'A tale ha parturito int' 'a nuttata
na criatura viva e po' ll'ha accisa.
Chesto na mamma ciuccia nun 'o ffà!".

"Tu che mme dice Ludovico bello?!
Overo 'o munno è accussi malamente?".
"E che nne vuo sapè, caro fratello,
nun t'aggio ditto tutta 'a verità.

Tu si cavallo, nobile animale,
e cierti ccose nun 'e concepisce.
I' so plebbeo e saccio tutt' 'o mmale
ca te cumbina chesta umanità".

A sti parole 'o ricco Sarchiapone
dicette: "Ludovì, io nun ce credo!
I' mo nce vò, tenevo nu padrone
ch'era na dama, n'angelo 'e buntà.

Mm'accarezzava comm'a nu guaglione,
mme deva 'a preta 'e zucchero a quadrette;
spisse se cunzigliava c' 'o garzone
(s'io stevo poco bbuono) ch' eva fà".

"Embè! - dicette 'o ciuccio - Mme faie pena.
Ma comme, tu nun l'he capito ancora?
Si, ll'ommo fa vedè ca te vò bbene
è pe nu scopo... na fatalità.

Chi pe na mano, chi pe n'ata mano,
ognuno tira ll'acqua al suo mulino.
So chiste tutte 'e sentimente umane:
'a mmiria, ll'egoismo, 'a falsità.

'A prova è chesta, caro Sarchiapone:
appena si trasuto int' 'a vicchiaia,
pe poche sorde, comme a nu scarpone,
t'hanno vennuto e si caduto ccà.

Pe sotto a chillu stesso carruzzino
'o patruncino tuio n'atu cavallo
se ll' è accattato proprio stammatina
pe ghi currenno 'e pprete d' 'a città".

'O nobbile animale nun durmette
tutt' 'a nuttata, triste e ll'uocchie 'nfuse,
e quanno avette ascì sott' 'a carretta
lle mancavano 'e fforze pe tirà.

"Gesù, che delusione ch'aggio avuto!"-
penzava Sarchiapone cu amarezza.
"Sai che ti dico? Ll'aggia fa fernuta,
mmiezo a sta gente che nce campo a ffà?"

E camminanno a ttaglio e nu burrone,
nchiurette ll'uocchie e se menaie abbascio.
Vulette 'nzerrà 'o libbro Sarchiapone,
e se ne jette a 'o munno 'a verità.
Teneva diciott'anne Sarchiapone,
era stato cavallo ammartenato,
ma... ogne bella scarpa nu scarpone
addeventa c' 'o tiempo e cu ll'età.
Giuvinotto pareva n'inglesino,
uno 'e chilli cavalle arritrattate
ca portano a cavallo p' 'o ciardino
na signorina della nobiltà.

Pronto p'asc'i sbatteva 'e ccianfe 'nterra,
frieva, asceva 'o fummo 'a dint' 'o naso,
faville 'a sotto 'e piere, 'o ffuoco! 'A guerra!
S'arrevutava tutt' 'a Sanità.

Ma... ogni bella scarpa nu scarpone
c' 'o tiempo addeventammo tutte quante;
venette pure 'o turno 'e Sarchiapone.
Chesta è la vita! Nun ce sta che ffà.

Trista vicchiaja. Che brutto destino!
Tutt' 'a jurnata sotto a na carretta
a carrià lignammo, prete, vino.
"Cammina, Sarchiapò! Cammina, aah!".

'O carrettiere, 'nfamo e disgraziato,
cu 'a peroccola 'nmano, e 'a part' 'o gruosso,
cu tutt' 'e fforze 'e ddà sotto 'o custato
'nfaccia 'a sagliuta p' 'o fà cammenà.

A stalla ll'aspettava Ludovico,
nu ciucciariello viecchio comm' a isso:
pe Sarchiapone chisto era n'amico,
cumpagne sotto 'a stessa 'nfamità.

Vicino tutt' 'e ddute: ciuccio e cavallo
se facevano 'o lagno d' 'a jurnata.
Diceva 'o ciuccio: "I' nce aggio fatto 'o callo,
mio caro Sarchiapone. Che bbuò fà?

lo te capisco, tu te si abbeluto.
Sò tutte na maniata 'e carrettiere,
e, specialmente, 'o nuosto,è 'o cchiù cornuto
ca maie nce puteva capità.

Sienteme bbuono e vide che te dico:
la bestia umana è un animale ingrato.
Mm' he a credere... parola 'e Ludovico,
ca mm' è venuto 'o schifo d' 'o ccampà.

Nuie simmo meglio 'e lloro, t' 'o ddico io:
tenimmo core 'mpietto e sentimento.
Chello ca fanno lloro? Ah, no, pe ddio!
Nisciuno 'e nuie s' 'o ssonna maie d' 'o ffà.

E quanta vote 'e dicere aggio 'ntiso:
"'A tale ha parturito int' 'a nuttata
na criatura viva e po' ll'ha accisa.
Chesto na mamma ciuccia nun 'o ffà!".

"Tu che mme dice Ludovico bello?!
Overo 'o munno è accussi malamente?".
"E che nne vuo sapè, caro fratello,
nun t'aggio ditto tutta 'a verità.

Tu si cavallo, nobile animale,
e cierti ccose nun 'e concepisce.
I' so plebbeo e saccio tutt' 'o mmale
ca te cumbina chesta umanità".

A sti parole 'o ricco Sarchiapone
dicette: "Ludovì, io nun ce credo!
I' mo nce vò, tenevo nu padrone
ch'era na dama, n'angelo 'e buntà.

Mm'accarezzava comm'a nu guaglione,
mme deva 'a preta 'e zucchero a quadrette;
spisse se cunzigliava c' 'o garzone
(s'io stevo poco bbuono) ch' eva fà".

"Embè! - dicette 'o ciuccio - Mme faie pena.
Ma comme, tu nun l'he capito ancora?
Si, ll'ommo fa vedè ca te vò bbene
è pe nu scopo... na fatalità.

Chi pe na mano, chi pe n'ata mano,
ognuno tira ll'acqua al suo mulino.
So chiste tutte 'e sentimente umane:
'a mmiria, ll'egoismo, 'a falsità.

'A prova è chesta, caro Sarchiapone:
appena si trasuto int' 'a vicchiaia,
pe poche sorde, comme a nu scarpone,
t'hanno vennuto e si caduto ccà.

Pe sotto a chillu stesso carruzzino
'o patruncino tuio n'atu cavallo
se ll' è accattato proprio stammatina
pe ghi currenno 'e pprete d' 'a città".

'O nobbile animale nun durmette
tutt' 'a nuttata, triste e ll'uocchie 'nfuse,
e quanno avette ascì sott' 'a carretta
lle mancavano 'e fforze pe tirà.

"Gesù, che delusione ch'aggio avuto!"-
penzava Sarchiapone cu amarezza.
"Sai che ti dico? Ll'aggia fa fernuta,
mmiezo a sta gente che nce campo a ffà?"

E camminanno a ttaglio e nu burrone,
nchiurette ll'uocchie e se menaie abbascio.
Vulette 'nzerrà 'o libbro Sarchiapone,
e se ne jette a 'o munno 'a verità.
Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor né fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
Dè tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna dè mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi dè potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive .
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
Di cui lor sorte rea padre ti fece,
Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra sé. Non io
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avrò quanto si possa aperto:
Ben ch'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civiltà, che sola in meglio
Guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci diè. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fè palese: e, fuggitivo, appelli
Vil chi lui segue, e solo
Magnanimo colui
Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell'alma generoso ed alto,
Non chiama sé né stima
Ricco d'or né gagliardo,
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma sé di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire
Fraterne, ancor più gravi
D'ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che dè mortali
Madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L'umana compagnia,
Tutti fra sé confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul più vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch'ha in error la sede.
Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e su la mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Cò tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente età, che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell'altra è la strage,
Non avvien ciò d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.
Ben mille ed ottocento
Anni varcàr poi che spariro, oppressi
Dall'ignea forza, i popolati seggi,
E il villanello intento
Ai vigneti, che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla e incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
Fatal, che nulla mai fatta più mite
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
Dell'ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando più volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall'inesausto grembo
Su l'arenoso dorso, a cui riluce
Di Capri la marina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l'acqua
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
Vede lontan l'usato
Suo nido, e il picciol campo,
Che gli fu dalla fame unico schermo,
Preda al flutto rovente,
Che crepitando giunge, e inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
Dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all'aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri,
Per li templi deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per vòti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell'uomo ignara e dell'etadi
Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,
Sta natura ognor verde, anzi procede
Per sì lungo cammino
Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l'uom d'eternità s'arroga il vanto.
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
Vorrei un figlio da te che sia una spada
lucente, come un grido di alta grazia,
che sia pietra, che sia novello Adamo,
lievito del mio sangue e che risolva
più quietamente questa nostra sete.
Ah, se t'amo, lo grido ad ogni vento
gemmando fiori da ogni stanco ramo
e fiorita son tutta e d'ogni velo
vo scerpando il mio lutto
perché genesi sei della mia carne.
Ma il mio cuore, trafitto dall'amore
ha desiderio di mondarsi vivo.
E perciò dammi un figlio delicato,
un bellissimo, vergine viticcio
da allacciare al mio tronco, e tu, possente
olmo, tu padre ricco d'ogni forza pura
mieterai liete ombre alle mie luci.
Nulla di ciò che accade e non ha volto
e nulla che precipiti puro, immune da traccia,
percettibile solo alla pietà
come te mi significa la morte.
Il vento ricco oscilla corrugato
sui vetri, finge estatiche presenze
e un oriente bianco s'esala
nei quadrivi di febbre lastricati.
Dalla pioggia alle candide schiarite
si levano allo sguardo variopinto
blocchi d'aria in festevoli distanze.
Apparire e sparire è una chimera.
È questa l'ora tua, è l'ora di quei re
sismici il cui trono è il movimento,
insensibili se non al freddo di morte
che lasciano nel sangue all'improvviso.
Loro sede fulminea è qualche specchio
assorto nella sera, ivi s'incontrano,
ivi si riconoscono in un battito.
Sei certa ed ingannevole, è vano ch'io ti cerchi,
ti persegua di là dai fortilizi,
dalle guglie riflesse negli asfalti,
nei luoghi ove l'amore non può giungere
né la dimenticanza di se stessi.
I' tengo 'e llire, nun me manca niente,
me pozzo accattà chello ca me piace:
na statua d'oro, nu vapore argiento...
palazze, ville... case in quantità.
- Chi è cchiù felice 'e te?! - mme dice 'a ggente.
- Si ricco, si guaglione... che te manca? -
E chest' è overo, nun me manca niente.
Sulo na cosa mme vurria accattà...

Nu core... tutto core 'e tennerezza
ca me vulesse na muntagna 'e bbene...
ca me sbattesse 'mmano p' 'a priezza,
cuntento pe mme dà 'a felicità.

Dipende a me; nun voglio aspettà ancora.
Tuzzuliaje a porta 'e na figliola:
- Che t'aggia dà pe m'accattà stu core?
Qualunque prezzo, dì, che t'aggia dà? -

Me rispunnette cu bella maniera:
- 'O core nun se venne... se riala...
crediteme, ca io ve sò sincera...
cu 'e llire 'o core nun se pò accattà!
Nulla di ciò che accade e non ha volto
e nulla che precipiti puro, immune da traccia,
percettibile solo alla pietà
come te mi significa la morte.
Il vento ricco oscilla corrugato
sui vetri, finge estatiche presenze
e un oriente bianco s'esala
nei quadrivi di febbre lastricati.
Dalla pioggia alle candide schiarite
si levano allo sguardo variopinto
blocchi d'aria in festevoli distanze.
Apparire e sparire è una chimera.
È questa l'ora tua, è l'ora di quei re
sismici il cui trono è il movimento,
insensibili se non al freddo di morte
che lasciano nel sangue all'improvviso.
Loro sede fulminea è qualche specchio
assorto nella sera, ivi s'incontrano,
ivi si riconoscono in un battito.
Sei certa ed ingannevole, è vano ch'io ti cerchi,
ti persegua di là dai fortilizi,
dalle guglie riflesse negli asfalti,
nei luoghi ove l'amore non può giungere
né la dimenticanza di se stessi.
Vorrei un figlio da te che sia una spada
lucente, come un grido di alta grazia,
che sia pietra, che sia novello Adamo,
lievito del mio sangue e che risolva
più quietamente questa nostra sete.
Ah, se t'amo, lo grido ad ogni vento
gemmando fiori da ogni stanco ramo
e fiorita son tutta e d'ogni velo
vo scerpando il mio lutto
perché genesi sei della mia carne.
Ma il mio cuore, trafitto dall'amore
ha desiderio di mondarsi vivo.
E perciò dammi un figlio delicato,
un bellissimo, vergine viticcio
da allacciare al mio tronco, e tu, possente
olmo, tu padre ricco d'ogni forza pura
mieterai liete ombre alle mie luci.
I' tengo 'e llire, nun me manca niente,
me pozzo accattà chello ca me piace:
na statua d'oro, nu vapore argiento...
palazze, ville... case in quantità.
- Chi è cchiù felice 'e te?! - mme dice 'a ggente.
- Si ricco, si guaglione... che te manca? -
E chest' è overo, nun me manca niente.
Sulo na cosa mme vurria accattà...

Nu core... tutto core 'e tennerezza
ca me vulesse na muntagna 'e bbene...
ca me sbattesse 'mmano p' 'a priezza,
cuntento pe mme dà 'a felicità.

Dipende a me; nun voglio aspettà ancora.
Tuzzuliaje a porta 'e na figliola:
- Che t'aggia dà pe m'accattà stu core?
Qualunque prezzo, dì, che t'aggia dà? -

Me rispunnette cu bella maniera:
- 'O core nun se venne... se riala...
crediteme, ca io ve sò sincera...
cu 'e llire 'o core nun se pò accattà!

— The End —