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Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
amore, lungo la pianura nordica,
in un campo di morte: fredda, funebre,
la pioggia sulla ruggine dei pali
e i grovigli di ferro dei recinti:
e non albero o uccelli nell'aria grigia
o su dal nostro pensiero, ma inerzia
e dolore che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.
Da quell'inferno aperto da una scritta
bianca: " Il lavoro vi renderà liberi "
uscì continuo il fumo
di migliaia di donne spinte fuori
all'alba dai canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all'acqua con la bocca
di scheletro sotto le doccie a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di fiumi, d'animali,
o sei tu pure cenere d'Auschwitz,
medaglia di silenzio?
Restano lunghe trecce chiuse in urne
di vetro ancora strette da amuleti
e ombre infinite di piccole scarpe
e di sciarpe d'ebrei: sono reliquie
d'un tempo di saggezza, di sapienza
dell'uomo che si fa misura d'armi,
sono i miti, le nostre metamorfosi.

Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte.
Un vischio, fin dall'infanzia sospeso grappolo
di fede e di pruina sul tuo lavandino
e sullo specchio ovale ch'ora adombrano
i tuoi ricci bergére fra santini e ritratti
di ragazzi infilati un po' alla svelta
nella cornice, una caraffa vuota,
bicchierini di cenere e di bucce,
le luci di Mayfair, poi a un crocicchio
le anime, le bottiglie che non seppero aprirsi,
non più guerra né pace, il tardo frullo
di un piccione incapace di seguirti
sui gradini automatici che ti slittano in giù….
I turbini sollevano la polvere
sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
deserti, ove i cavalli incappucciati
annusano la terra, fermi innanzi
ai vetri luccicanti degli alberghi.
Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
in questo giorno
or piovorno ora acceso, in cui par scatti
a sconvolgerne l'ore
uguali, strette in trama, un ritornello
di castagnette.
È il segno d'un'altra orbita: tu seguilo.
Discendi all'orizzonte che sovrasta
una tromba di piombo, alta sui gorghi,
più d'essi vagabonda: salso nembo
vorticante, soffiato dal ribelle
elemento alle nubi; fa che il passo
su la ghiaia ti scricchioli e t'inciampi
il viluppo dell'alghe: quell'istante
è forse, molto atteso, che ti scampi
dal finire il tuo viaggio, anello d'una
catena, immoto andare, oh troppo noto
delirio, Arsenio, d'immobilità...
Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
dei violini, spento quando rotola
il tuono con un fremer di lamiera
percossa; la tempesta è dolce quando
sgorga bianca la stella di Canicola
nel cielo azzurro e lunge par la sera
ch'è prossima: se il fulmine la incide
dirama come un albero prezioso
entro la luce che s'arrosa: e il timpano
degli tzigani è il rombo silenzioso
Discendi in mezzo al buio che precipita
e muta il mezzogiorno in una notte
di globi accesi, dondolanti a riva, -
e fuori, dove un'ombra sola tiene
mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
l'acetilene -
finché goccia trepido
il cielo, fuma il suolo che t'abbevera,
tutto d'accanto ti sciaborda, sbattono
le tende molli, un fruscio immenso rade
la terra, giù s'afflosciano stridendo
le lanterne di carta sulle strade.
Così sperso tra i vimini e le stuoie
grondanti, giunco tu che le radici
con sé trascina, viscide, non mai
svelte, tremi di vita e ti protendi
a un vuoto risonante di lamenti
soffocati, la tesa ti ringhiotte
dell'onda antica che ti volge; e ancora
tutto che ti riprende, strada portico
mura specchi ti figge in una sola
ghiacciata moltitudine di morti,
e se un gesto ti sfiora, una parola
ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
vita strozzata per te sorta, e il vento
la porta con la cenere degli astri.
Brevi erano le tue lettere, precise, tutte muscolo e nervo,
di mano più usa al compasso, alla squadra, al gesto del duro comando.
Dicevan le semplici cose con semplici **** parole;
ma due ne portavano in fine, due, sempre le stesse: "Sei mia".
E quando ella giungeva, leggendo, al termine noto,
s'abbandonava all'indietro, vuotata del sangue, morente d'amore.
Ombre violacee intorno alla socchiusa bocca, all'affilato naso
precipitoso palpito delle vene gonfiate alle tempie alla gola
cecità delle palpebre, tensione delle mascelle nel desiderio
faccia di donna agonizzante in estasi, tu non la vedesti,
nessuno la vide. Era sola.

Ora, ogni notte, la donna che più non vorrebbe esser viva
nel vuoto della sua casa che ha odore di cenere spenta
scioglie un pacco di lettere legato con un nastro nero.
E legge; e, giunta al termine ben noto che a ognuna è sigillo,
ancor s'abbandona all'indietro, vuotata del sangue, morente d'amore.
Così, dalla tomba, con dura predace potenza di sillabe scritte
tu l'imprigioni, o scomparso, tu la possiedi così.
Dante Rocío Jun 2020
Nella faccia del Senso e di Tutte Le Cose, come davanti al Nascimiento o alla Morte, si risolvono le domande
ed anche noi con tutti i nuostri miraggi: siamo prima di tutto gli stessi bebé, impotenti,
incapabili di vincere tutto
solamente con la raggione,
deboli come porcellana che neghiamo.
I bebé che fanno lo stesso:
sognano,
piangiano,
provano di capire,
suffrono,
osano,
amano
e passano così veloce
ed invisibilemente
come cenere.
Saremo tutti giudicati
e valorati
nello stesso modo
nell’equilibrio
For everyone’s been born to the same respect and grandiosity of porcelain.
A hierarchy put in becoming slander
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t'** visto dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T'** visto: eri tu,
con la scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all'altro fratello:
"Andiamo ai campi". E quell'eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
Le loro tombe affondano nella cenere,
e gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Miss Luna May 2019
Diventerò
così fredda
da poterti bruciare.

Nulla importa più,
nulla vive senza te,
neanche le fiamme.

Nulla rimane,
tranne la cenere,
senza il tuo amore.
Marco Bo Sep 2018
under this grey suburban sky
thunders rolling as rocks and drums
then silence in concrete transit spaces
although wild beats inside our veins
hunting scenes and escapes in vain

taste of honey and salt on your teeth
prey predators and carnival masks
smiles dreams feasts fire tears
running water
silence and lightning
remote storms
gentle breeze

essences and perfumes
tobacco leather cinnamon and ashes
smells of life
and skin

it's time to go home
home where we will recall
every flavor
every hug
every drop of dew
every smile and every single tear
their true meaning
and we will ask ourselves
why?
why have we ever parted from our heart?
................

sotto questo grigio cielo suburbano
tuoni che rotolano come pietre e tamburi
poi silenzio in spazi di transito di asfalto e cemento
anche se il selvatico batte nelle nostre vene
scene di caccia e fughe invano

sapore di miele e sale sui denti
prede predatori e maschere di carnevale
sorrisi sogni feste lacrime
acqua corrente
silenzio e fulmini
tempeste remote
e brezza leggera

essenze e profumi
tabacco cuoio cannella e cenere
odori di vita
e di pelle

è ora di tornare a casa
casa dove ricorderemo
ogni sapore
ogni abbraccio
ogni goccia di rugiada
ogni sorriso e ogni singola lacrima
il loro vero significato
e ci chiederemo
perché?
perché mai ci siamo separati dal nostro cuore?
Brevi erano le tue lettere, precise, tutte muscolo e nervo,
di mano più usa al compasso, alla squadra, al gesto del duro comando.
Dicevan le semplici cose con semplici **** parole;
ma due ne portavano in fine, due, sempre le stesse: "Sei mia".
E quando ella giungeva, leggendo, al termine noto,
s'abbandonava all'indietro, vuotata del sangue, morente d'amore.
Ombre violacee intorno alla socchiusa bocca, all'affilato naso
precipitoso palpito delle vene gonfiate alle tempie alla gola
cecità delle palpebre, tensione delle mascelle nel desiderio
faccia di donna agonizzante in estasi, tu non la vedesti,
nessuno la vide. Era sola.

Ora, ogni notte, la donna che più non vorrebbe esser viva
nel vuoto della sua casa che ha odore di cenere spenta
scioglie un pacco di lettere legato con un nastro nero.
E legge; e, giunta al termine ben noto che a ognuna è sigillo,
ancor s'abbandona all'indietro, vuotata del sangue, morente d'amore.
Così, dalla tomba, con dura predace potenza di sillabe scritte
tu l'imprigioni, o scomparso, tu la possiedi così.
Thanh Mar 2019
------ Translation ------

A distant flash broke the silence
And the breeze, having touched the quiet crowns,
Became fire:

Ash.

Along the lake shore
I gaze at the reflection of the sky:
Water, mirror of the universe!

And from the top of the world the still mountain watches

The eternal cycle accomplish:
Day and night alternating.

------ Original ------

Un bagliore lontano squarciò il silenzio
E la brezza, sfiorate le quiete fronde,
Divenne fiamma:

Cenere.

Lungo le rive del lago,
Scruto il riflesso del cielo:
Acqua, specchio dell'universo!

E dalla sommità del mondo il monte osserva inerte

L'eterno ciclo ultimarsi:
Giorno e notte alternarsi.
The whole poem is a reference to the Eight Trigrams:
- Zhèn: Thunder
- Xùn: Wind
- Lí: Fire
- Kūn: Earth
- Duì: Lake
- Qián: Heaven
- Kǎn: Water
- Gèn: Mountain

The order of the verses corresponds to the Later Heaven disposition of the Trigrams which represents the order of the "manifested world" that is the alternating cicle of life/death, day/night, seasons, 5 elements and so on.

I chose the title as well as the last two verses to give an hint: the "first spark" is the moment when from the primordial state of things, displayed by "Early Heaven" disposition of the Eight Trigrams where all the opposites are balanced and "static", the movement takes place giving birth to all things.
I turbini sollevano la polvere
sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
deserti, ove i cavalli incappucciati
annusano la terra, fermi innanzi
ai vetri luccicanti degli alberghi.
Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
in questo giorno
or piovorno ora acceso, in cui par scatti
a sconvolgerne l'ore
uguali, strette in trama, un ritornello
di castagnette.
È il segno d'un'altra orbita: tu seguilo.
Discendi all'orizzonte che sovrasta
una tromba di piombo, alta sui gorghi,
più d'essi vagabonda: salso nembo
vorticante, soffiato dal ribelle
elemento alle nubi; fa che il passo
su la ghiaia ti scricchioli e t'inciampi
il viluppo dell'alghe: quell'istante
è forse, molto atteso, che ti scampi
dal finire il tuo viaggio, anello d'una
catena, immoto andare, oh troppo noto
delirio, Arsenio, d'immobilità...
Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
dei violini, spento quando rotola
il tuono con un fremer di lamiera
percossa; la tempesta è dolce quando
sgorga bianca la stella di Canicola
nel cielo azzurro e lunge par la sera
ch'è prossima: se il fulmine la incide
dirama come un albero prezioso
entro la luce che s'arrosa: e il timpano
degli tzigani è il rombo silenzioso
Discendi in mezzo al buio che precipita
e muta il mezzogiorno in una notte
di globi accesi, dondolanti a riva, -
e fuori, dove un'ombra sola tiene
mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
l'acetilene -
finché goccia trepido
il cielo, fuma il suolo che t'abbevera,
tutto d'accanto ti sciaborda, sbattono
le tende molli, un fruscio immenso rade
la terra, giù s'afflosciano stridendo
le lanterne di carta sulle strade.
Così sperso tra i vimini e le stuoie
grondanti, giunco tu che le radici
con sé trascina, viscide, non mai
svelte, tremi di vita e ti protendi
a un vuoto risonante di lamenti
soffocati, la tesa ti ringhiotte
dell'onda antica che ti volge; e ancora
tutto che ti riprende, strada portico
mura specchi ti figge in una sola
ghiacciata moltitudine di morti,
e se un gesto ti sfiora, una parola
ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
vita strozzata per te sorta, e il vento
la porta con la cenere degli astri.
I turbini sollevano la polvere
sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
deserti, ove i cavalli incappucciati
annusano la terra, fermi innanzi
ai vetri luccicanti degli alberghi.
Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
in questo giorno
or piovorno ora acceso, in cui par scatti
a sconvolgerne l'ore
uguali, strette in trama, un ritornello
di castagnette.
È il segno d'un'altra orbita: tu seguilo.
Discendi all'orizzonte che sovrasta
una tromba di piombo, alta sui gorghi,
più d'essi vagabonda: salso nembo
vorticante, soffiato dal ribelle
elemento alle nubi; fa che il passo
su la ghiaia ti scricchioli e t'inciampi
il viluppo dell'alghe: quell'istante
è forse, molto atteso, che ti scampi
dal finire il tuo viaggio, anello d'una
catena, immoto andare, oh troppo noto
delirio, Arsenio, d'immobilità...
Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
dei violini, spento quando rotola
il tuono con un fremer di lamiera
percossa; la tempesta è dolce quando
sgorga bianca la stella di Canicola
nel cielo azzurro e lunge par la sera
ch'è prossima: se il fulmine la incide
dirama come un albero prezioso
entro la luce che s'arrosa: e il timpano
degli tzigani è il rombo silenzioso
Discendi in mezzo al buio che precipita
e muta il mezzogiorno in una notte
di globi accesi, dondolanti a riva, -
e fuori, dove un'ombra sola tiene
mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
l'acetilene -
finché goccia trepido
il cielo, fuma il suolo che t'abbevera,
tutto d'accanto ti sciaborda, sbattono
le tende molli, un fruscio immenso rade
la terra, giù s'afflosciano stridendo
le lanterne di carta sulle strade.
Così sperso tra i vimini e le stuoie
grondanti, giunco tu che le radici
con sé trascina, viscide, non mai
svelte, tremi di vita e ti protendi
a un vuoto risonante di lamenti
soffocati, la tesa ti ringhiotte
dell'onda antica che ti volge; e ancora
tutto che ti riprende, strada portico
mura specchi ti figge in una sola
ghiacciata moltitudine di morti,
e se un gesto ti sfiora, una parola
ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
vita strozzata per te sorta, e il vento
la porta con la cenere degli astri.
Un vischio, fin dall'infanzia sospeso grappolo
di fede e di pruina sul tuo lavandino
e sullo specchio ovale ch'ora adombrano
i tuoi ricci bergére fra santini e ritratti
di ragazzi infilati un po' alla svelta
nella cornice, una caraffa vuota,
bicchierini di cenere e di bucce,
le luci di Mayfair, poi a un crocicchio
le anime, le bottiglie che non seppero aprirsi,
non più guerra né pace, il tardo frullo
di un piccione incapace di seguirti
sui gradini automatici che ti slittano in giù….
Brevi erano le tue lettere, precise, tutte muscolo e nervo,
di mano più usa al compasso, alla squadra, al gesto del duro comando.
Dicevan le semplici cose con semplici **** parole;
ma due ne portavano in fine, due, sempre le stesse: "Sei mia".
E quando ella giungeva, leggendo, al termine noto,
s'abbandonava all'indietro, vuotata del sangue, morente d'amore.
Ombre violacee intorno alla socchiusa bocca, all'affilato naso
precipitoso palpito delle vene gonfiate alle tempie alla gola
cecità delle palpebre, tensione delle mascelle nel desiderio
faccia di donna agonizzante in estasi, tu non la vedesti,
nessuno la vide. Era sola.

Ora, ogni notte, la donna che più non vorrebbe esser viva
nel vuoto della sua casa che ha odore di cenere spenta
scioglie un pacco di lettere legato con un nastro nero.
E legge; e, giunta al termine ben noto che a ognuna è sigillo,
ancor s'abbandona all'indietro, vuotata del sangue, morente d'amore.
Così, dalla tomba, con dura predace potenza di sillabe scritte
tu l'imprigioni, o scomparso, tu la possiedi così.
Un vischio, fin dall'infanzia sospeso grappolo
di fede e di pruina sul tuo lavandino
e sullo specchio ovale ch'ora adombrano
i tuoi ricci bergére fra santini e ritratti
di ragazzi infilati un po' alla svelta
nella cornice, una caraffa vuota,
bicchierini di cenere e di bucce,
le luci di Mayfair, poi a un crocicchio
le anime, le bottiglie che non seppero aprirsi,
non più guerra né pace, il tardo frullo
di un piccione incapace di seguirti
sui gradini automatici che ti slittano in giù….

— The End —