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Sole di mezzogiorno, nel luglio felice, sulla piazza deserta:
piazza lontana di città lontana, tu ed il tuo uomo,
e quello era il mondo.
Bianca nella tua veste, bianca vibratile fiamma tu pure,
nell'abbaglio d'incendio dell'aria.
Bianco il tuo riso perduto nel riso di lui, fresco di polla il
tuo riso d'amore tra il vasto fulgere ed ardere.
Non sarebbe discesa la notte, non sarebbe venuto il domani,
tua la luce, tuo l'uomo, tuo il tempo.
Fermasti il tempo in pieno sull'ora solare per cui in terra
tu fosti divina:
il resto è ombra e polvere d'ombra.
O cipresso, che solo e nero stacchi
dal vitreo cielo, sopra lo sterpeto
irto di cardi e stridulo di biacchi:

in te sovente, al tempo delle more,
odono i bimbi un pispillìo secreto,
come d'un nido che ti sogni in cuore.

L'ultima cova. Tu canti sommesso
mentre s'allunga l'ombra taciturna
nel tristo campo: quasi, ermo cipresso,
ella ricerchi tra què bronchi un'urna.

Più brevi i giorni,
e l'ombra ogni dì meno
s'indugia e cerca, irrequieta, al sole;
e il sole è freddo e pallido il sereno.

L'ombra, ogni sera prima, entra nell'ombra:
nell'ombra ove le stelle errano sole.
E il rovo arrossa e con le spine ingombra

tutti i sentieri, e cadono già roggie
le foglie intorno (indifferente oscilla
l'ermo cipresso), e già le prime pioggie
fischiano, ed il libeccio ulula e squilla.

E il tuo nido? Il tuo nido?... Ulula forte
il vento e t'urta e ti percuote a lungo:
tu sorgi, e resti; simile alla Morte.

E il tuo cuore? Il tuo cuore?... Orrida trebbia
l'acqua i miei vetri, e là ti vedo lungo,
di nebbia nera tra la grigia nebbia.

E il tuo sogno? La terra ecco scompare:
la neve, muta a guisa del pensiero,
cade. Tra il bianco e tacito franare
tu stai, gigante immobilmente nero.
Flower Scent Nov 2010
The Poet is the language,the mystery of Monalisa's smile,

the brush of Caravaggio and the finest painting of Vangogh.

The Poet is the sonnet of Mozart anf the symphony of Bach,

a tragedy of Shakespeare and the saddest verse of Pablo Neruda.

The Poet is the blue Danube in waltz and the Swan Lake in Ballet.

The Poet is the renaissance of passion and the remnant of life,

the dilemma of morality,the shadow of deed,and the ombra of sin.

The Poet is the fantasy of each Sunrise and the illusion of every Sunset,

the wave in tide of wishes,carried in a bottle to  dune drunk shore.

The Poet is the believer, dream lover in a hot passionate crazy affair,

the magician who creates fables and fairytales from a deadly reality.

The Poet is the worker who works and works to survive,to cope in this

demanding,sophisticated,stigmatic  concrete hypocratic world.

The Poet is the thief of time,with eyes flutterin on late nights,

Still loyal to the pen,His thoughts  in verse,bleedin fragranted words.

The Poet is an Omnipotent servant,with a will to ask and crave to learn.

A Philosopher,whose always an amateur in the pursuit of wisdom.

The Poet is an eternal slave of His Muse,the beverage of inspiration,

the spouse married to literature,adulterer of lyric,deceiver of prose.

He Knows no lapsus in all that is scandalous,royalty or sacred.

He is the artist, musician, actor,the clairvoyant  of destined paths.

He is the cheap clay's mold,carved in the sculpture of the next century.

The Poet is the unfinished book,the chapter in yesterday,

He is the Nobody of today and the bookmark  of tomorrow.


                      T  H  E        POET     IS       YOU    ! ! !
Edoardo Alaimo Apr 2023
Una nuvola arriva e copre,
Un ombra davanti al sole
Dalle tenebre
Diffonde la luce

Ha le forme di un tocco angelico
Forse un dio, premuroso,
O un suo messaggero,
Che abbaglia gli indifferenti

Ti avrò pensata una, due volte,
O forse cento o forse mille
Ogni volta era pura magia
Con le tue braccia a me avvolte

Ti avrò pensata urlando,
Piangendo e mentre ero felice.
Allo specchio mi son detto,
Rifarei tutto quel che andiam sognando
Thoughts on a plane,
while I was going to a research center
the clouds had just the right shape.

NEVER close your love in a box,
When you feel like it
Just give it all, expand, explode.

2023-04-24
Edoardo
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno cò suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir questa
Solitudine immensa? Ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu sè queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ** fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
August  Mar 2013
Ombra
August Mar 2013
We grow distant as the days begin to fade
I can already feel you forgetting my name

Everything is covered in a thin layer of ash
My lungs
My dreams
Nothing is as it used to seem
Now lay me down to sleep
Just you and I
Choked, by the smoke
Of my mind's demise
© Amara Pendergraft 2013
Giuseppe Ungaretti  Jun 2017
Noia
Anche questa notte passerà

Questa solitudine in giro
titubante ombra dei fili tranviari
sull'umido asfalto

Guardo le ***** dei brumisti
nel mezzo sonno
tentennare.
Oh, un terribile timore;
La lietezza esplode
Contro quei vetri al buio
Ma tale lietezza, che ti fa cantare in voce
È un ritorno dalla morte: e chi può mai ridere -
Dietro, sotto il riquadro del cielo annerito
Riapparizione ctonia!
Non scherzo: ché tu hai esperienza
Di un luogo che non ** mai esplorato,
UN VUOTO NEL COSMO
È vero che la mia terra è piccola
Ma ** sempre affabulato sui luoghi inesplorati
Con una certa lietezza, quasicché non fosse vero
Ma tu ci sei, qui, in voce
La luna è risorta;
le acque scorrono;
il mondo non sa di essere nuovo e la sua nuova giornata
finisce contro gli alti cornicioni e il nero del cielo
Chi c'è, in quel VUOTO DEL COSMO,
che tu porti nei tuoi desideri e conosci?
C'è il padre, sì, lui!
Tu credi che io lo conosca? Oh, come ti sbagli;
come ingenuamente dai per certo ciò che non lo è affatto;
fondi tutto il discorso, ripreso qui, cantando,
su questa presunzione che per te è umile
e non sai invece quanto sia superba
essa porta in sé i segni della volontà mortale della maggioranza -
L'occhio ilare di me mai disceso agli Inferi,
ombra infernale vagolante
nasconde
E tu ci caschi
Tu conosci di ciò che è realtà solo quell'Uomo Adulto
Ossia ciò che si deve conoscere;
lei, la Donna Adulta, stia all'Inferno
o nell'Ombra che precede la vita
e di là operi pure i suoi malefizi, i suoi incantesimi;
odiala, odiala, odiala;
e se tu canti e nessuno ti sente, sorridi
semplicemente perché, per ora, intanto, sei vittoriosa -
in voce come una giovane figlia avida
che però ha sperimentato dolcezza;
Parigi calca dietro alle tue spalle un cielo basso
Con la trama dei rami neri; ormai classici;
questa è la storia -
Tu sorridi al Padre -
Quella persona di cui non ** alcuna informazione,
che ** frequentato in un sogno che evidentemente non ricordo -
strano, è da quel mostro di autorità
che proviene anche la dolcezza
se non altro come rassegnazione e breve vittoria;
accidenti, come l'** ignorato; così ignorato da non saperne niente -
cosa fare?

Tu doni, spargi doni, hai bisogno di donare,
ma il tuo dono te l'ha dato Lui, come tutto;
ed è Nulla il dono di Nessuno;
io fingo di ricevere;
ti ringrazio, sinceramente grato;
Ma il debole sorriso sfuggente
non è di timidezza
è lo sgomento, più terribile, ben più terribile
di avere un corpo separato, nei regni dell'essere - se è una colpa
se non è che un incidente:
ma al posto dell'Altro
per me c'è un vuoto nel cosmo
un vuoto nel cosmo
e da là tu canti.
Nel mio giardino, là nel canto oscuro
dove ora il pettirosso tintinnìa,
col gelsomino rampicante al muro,
c'è la gaggìa;
e or che ottobre dentro la vermiglia
foresta il marzo rende morto al suolo,
e sembra marzo, come rassomiglia
bacca a bocciuolo,
alba a tramonto; nelle tenui trine
l'una si stringe, al roseo vespro, quando
l'altro i suoi fiori, candide stelline,
apre, alitando;
ed al sospiro dell'avemaria,
quando nel bosco dalle cime ****
il dì s'esala, il cuore in una pia
ombra si chiude;
e l'anima in quell'ombra di ricordi
apre corolle che imbocciar non vide;
e l'ombra di fior d'angelo e di fior di
spina sorride.
Ci vediamo in proiezione, ed ecco
la città, in una sua povera ora nuda,
terrificante come ogni nudità.
Terra incendiata il cui incendio
spento stasera o da millenni,
è una cerchia infinita di ruderi rosa,
carboni e ossa biancheggianti, impalcature
dilavate dall'acqua e poi bruciate
da nuovo sole. La radiosa Appia
che formicola di migliaia di insetti
- gli uomini d'oggi - i neorealistici
ossessi delle Cronache in volgare.
Poi compare Testaccio, in quella luce
di miele proiettata sulla terra
dall'oltretomba. Forse è scoppiata,
la Bomba, fuori dalla mia coscienza.
Anzi, è così certamente. E la fine
del Mondo è già accaduta: una cosa
muta, calata nel controluce del crepuscolo.
Ombra, chi opera in questa èra.
Ah, sacro Novecento, regione dell'anima
in cui l'Apocalisse è un vecchio evento!
Il Pontormo con un operatore
meticoloso, ha disposto cantoni
di case giallastre, a tagliare
questa luce friabile e molle,
che dal cielo giallo si fa marrone
impolverato d'oro sul mondo cittadino...
e come piante senza radice, case e uomini,
creano solo muti monumenti di luce
e d'ombra, in movimento: perché
la loro morte è nel loro moto.
Vanno, come senza alcuna colonna sonora,
automobili e camion, sotto gli archi,
sull 'asfalto, contro il gasometro,
nell'ora, d'oro, di Hiroshima,
dopo vent'anni, sempre più dentro
in quella loro morte gesticolante: e io
ritardatario sulla morte, in anticipo
sulla vita vera, bevo l'incubo
della luce come un vino smagliante.
Nazione senza speranze! L'Apocalisse
esploso fuori dalle coscienze
nella malinconia dell'Italia dei Manieristi,
ha ucciso tutti: guardateli - ombre
grondanti d'oro nell'oro dell'agonia.
Sole di mezzogiorno, nel luglio felice, sulla piazza deserta:
piazza lontana di città lontana, tu ed il tuo uomo,
e quello era il mondo.
Bianca nella tua veste, bianca vibratile fiamma tu pure,
nell'abbaglio d'incendio dell'aria.
Bianco il tuo riso perduto nel riso di lui, fresco di polla il
tuo riso d'amore tra il vasto fulgere ed ardere.
Non sarebbe discesa la notte, non sarebbe venuto il domani,
tua la luce, tuo l'uomo, tuo il tempo.
Fermasti il tempo in pieno sull'ora solare per cui in terra
tu fosti divina:
il resto è ombra e polvere d'ombra.
O cipresso, che solo e nero stacchi
dal vitreo cielo, sopra lo sterpeto
irto di cardi e stridulo di biacchi:

in te sovente, al tempo delle more,
odono i bimbi un pispillìo secreto,
come d'un nido che ti sogni in cuore.

L'ultima cova. Tu canti sommesso
mentre s'allunga l'ombra taciturna
nel tristo campo: quasi, ermo cipresso,
ella ricerchi tra què bronchi un'urna.

Più brevi i giorni,
e l'ombra ogni dì meno
s'indugia e cerca, irrequieta, al sole;
e il sole è freddo e pallido il sereno.

L'ombra, ogni sera prima, entra nell'ombra:
nell'ombra ove le stelle errano sole.
E il rovo arrossa e con le spine ingombra

tutti i sentieri, e cadono già roggie
le foglie intorno (indifferente oscilla
l'ermo cipresso), e già le prime pioggie
fischiano, ed il libeccio ulula e squilla.

E il tuo nido? Il tuo nido?... Ulula forte
il vento e t'urta e ti percuote a lungo:
tu sorgi, e resti; simile alla Morte.

E il tuo cuore? Il tuo cuore?... Orrida trebbia
l'acqua i miei vetri, e là ti vedo lungo,
di nebbia nera tra la grigia nebbia.

E il tuo sogno? La terra ecco scompare:
la neve, muta a guisa del pensiero,
cade. Tra il bianco e tacito franare
tu stai, gigante immobilmente nero.
Perché i celesti danni
Ristori il sole, e perché l'aure inferme
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta
Delle nubi la grave ombra s'avvalla;
Credano il petto inerme
Gli augelli al vento, e la diurna luce
Novo d'amor desio, nova speranza
Nè penetrati boschi e fra le sciolte
Pruine induca alle commosse belve;
Forse alle stanche e nel dolor sepolte
Umane menti riede
La bella età, cui la sciagura e l'atra
Face del ver consunse
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
Di febo i raggi al misero non sono
In sempiterno? Ed anco,
Primavera odorata, inspiri e tenti
Questo gelido cor, questo ch'amara
Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?
Vivi tu, vivi, o santa
Natura? Vivi e il dissueto orecchio
Della materna voce il suono accoglie?
Già di candide ninfe i rivi albergo,
Placido albergo e specchio
Furo i liquidi fonti. Arcane danze
D'immortal piede i ruinosi gioghi
Scossero e l'ardue selve (oggi romito
Nido dè venti): e il pastorel ch'all'ombre
Meridiane incerte ed al fiorito
Margo adducea dè fiumi
Le sitibonde agnelle, arguto carme
Sonar d'agresti Pani
Udì lungo le ripe; e tremar l'onda
Vide, e stupì, che non palese al guardo
La faretrata Diva
Scendea nè caldi flutti, e dall'immonda
Polve tergea della sanguigna caccia
Il niveo lato e le verginee braccia.
Vissero i fiori e l'erbe,
Vissero i boschi un dì. Conscie le molli
Aure, le nubi e la titania lampa
Fur dell'umana gente, allor che ignuda
Te per le piagge e i colli,
Ciprigna luce, alla deserta notte
Con gli occhi intenti il viator seguendo,
Te compagna alla via, te dè mortali
Pensosa immaginò. Che se gl'impuri
Cittadini consorzi e le fatali
Ire fuggendo e l'onte,
Gl'ispidi tronchi al petto altri nell'ime
Selve remoto accolse,
Viva fiamma agitar l'esangui vene,
Spirar le foglie, e palpitar segreta
Nel doloroso amplesso.

— The End —