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Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor né fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
Dè tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna dè mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi dè potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive .
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
Di cui lor sorte rea padre ti fece,
Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra sé. Non io
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avrò quanto si possa aperto:
Ben ch'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civiltà, che sola in meglio
Guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci diè. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fè palese: e, fuggitivo, appelli
Vil chi lui segue, e solo
Magnanimo colui
Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell'alma generoso ed alto,
Non chiama sé né stima
Ricco d'or né gagliardo,
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma sé di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire
Fraterne, ancor più gravi
D'ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che dè mortali
Madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L'umana compagnia,
Tutti fra sé confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul più vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch'ha in error la sede.
Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e su la mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Cò tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente età, che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell'altra è la strage,
Non avvien ciò d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.
Ben mille ed ottocento
Anni varcàr poi che spariro, oppressi
Dall'ignea forza, i popolati seggi,
E il villanello intento
Ai vigneti, che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla e incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
Fatal, che nulla mai fatta più mite
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
Dell'ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando più volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall'inesausto grembo
Su l'arenoso dorso, a cui riluce
Di Capri la marina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l'acqua
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
Vede lontan l'usato
Suo nido, e il picciol campo,
Che gli fu dalla fame unico schermo,
Preda al flutto rovente,
Che crepitando giunge, e inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
Dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all'aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri,
Per li templi deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per vòti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell'uomo ignara e dell'etadi
Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,
Sta natura ognor verde, anzi procede
Per sì lungo cammino
Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l'uom d'eternità s'arroga il vanto.
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor né fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
Dè tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna dè mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi dè potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive .
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
Di cui lor sorte rea padre ti fece,
Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra sé. Non io
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avrò quanto si possa aperto:
Ben ch'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civiltà, che sola in meglio
Guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci diè. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fè palese: e, fuggitivo, appelli
Vil chi lui segue, e solo
Magnanimo colui
Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell'alma generoso ed alto,
Non chiama sé né stima
Ricco d'or né gagliardo,
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma sé di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire
Fraterne, ancor più gravi
D'ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che dè mortali
Madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L'umana compagnia,
Tutti fra sé confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul più vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch'ha in error la sede.
Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e su la mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Cò tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente età, che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell'altra è la strage,
Non avvien ciò d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.
Ben mille ed ottocento
Anni varcàr poi che spariro, oppressi
Dall'ignea forza, i popolati seggi,
E il villanello intento
Ai vigneti, che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla e incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
Fatal, che nulla mai fatta più mite
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
Dell'ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando più volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall'inesausto grembo
Su l'arenoso dorso, a cui riluce
Di Capri la marina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l'acqua
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
Vede lontan l'usato
Suo nido, e il picciol campo,
Che gli fu dalla fame unico schermo,
Preda al flutto rovente,
Che crepitando giunge, e inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
Dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all'aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri,
Per li templi deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per vòti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell'uomo ignara e dell'etadi
Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,
Sta natura ognor verde, anzi procede
Per sì lungo cammino
Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l'uom d'eternità s'arroga il vanto.
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
Pennsylvania, 1948-1949

The garden of Nature opens.
The grass at the threshold is green.
And an almond tree begins to bloom.

Sunt mihi Dei Acherontis propitii!
Valeat numen triplex Jehovae!
Ignis, aeris, aquae, terrae spiritus,
Salvete!—says the entering guest.

Ariel lives in the palace of an apple tree,
But will not appear, vibrating like a wasp’s wing,
And Mephistopheles, disguised as an abbot
Of the Dominicans or the Franciscans,
Will not descend from a mulberry bush
Onto a pentagram drawn in the black loam of the path.


But a rhododendron walks among the rocks
Shod in leathery leaves and ringing a pink bell.
A hummingbird, a child’s top in the air,
Hovers in one spot, the beating heart of motion.
Impaled on the nail of a black thorn, a grasshopper
Leaks brown fluid from its twitching snout.
And what can he do, the phantom-in-chief,
As he’s been called, more than a magician,
The Socrates of snails, as he’s been called,
Musician of pears, arbiter of orioles, man?
In sculptures and canvases our individuality
Manages to survive. In Nature it perishes.
Let him accompany the coffin of the woodsman
Pushed from a cliff by a mountain demon,
The he-goat with its jutting curl of horn.
Let him visit the graveyard of the whalers
Who drove spears into the flesh of leviathan
And looked for the secret in guts and blubber.
The thrashing subsided, quieted to waves.
Let him unroll the textbooks of alchemists
Who almost found the cipher, thus the scepter.
Then passed away without hands, eyes, or elixir.


Here there is sun. And whoever, as a child,
Believed he could break the repeatable pattern
Of things, if only he understood the pattern,
Is cast down, rots in the skin of others,
Looks with wonder at the colors of the butterfly,
Inexpressible wonder, formless, hostile to art.


To keep the oars from squeaking in their locks,
He binds them with a handkerchief. The dark
Had rushed east from the Rocky Mountains
And settled in the forests of the continent:
Sky full of embers reflected in a cloud,
Flight of herons, trees above a marsh,
The dry stalks in water, livid, black. My boat
Divides the aerial utopias of the mosquitoes
Which rebuild their glowing castles instantly.
A water lily sinks, fizzing, under the boat’s bow.


Now it is night only. The water is ash-gray.
Play, music, but inaudibly! I wait an hour
In the silence, senses tuned to a ******’s lodge.
Then suddenly, a crease in the water, a beast’s
black moon, rounded, ploughing up quickly
from the pond-dark, from the bubbling methanes.
I am not immaterial and never will be.
My scent in the air, my animal smell,
Spreads, rainbow-like, scares the ******:
A sudden splat.
I remained where I was
In the high, soft coffer of the night’s velvet,
Mastering what had come to my senses:
How the four-toed paws worked, how the hair
Shook off water in the muddy tunnel.
It does not know time, hasn’t heard of death,
Is submitted to me because I know I’ll die.


I remember everything. That wedding in Basel,
A touch to the strings of a viola and fruit
In silver bowls. As was the custom in Savoy,
An overturned cup for three pairs of lips,
And the wine spilled. The flames of the candles
Wavery and frail in a breeze from the Rhine.
Her fingers, bones shining through the skin,
Felt out the hooks and clasps of the silk
And the dress opened like a nutshell,
Fell from the turned graininess of the belly.
A chain for the neck rustled without epoch,
In pits where the arms of various creeds
Mingle with bird cries and the red hair of caesars.


Perhaps this is only my own love speaking
Beyond the seventh river. Grit of subjectivity,
Obsession, bar the way to it.
Until a window shutter, dogs in the cold garden,
The whistle of a train, an owl in the firs
Are spared the distortions of memory.
And the grass says: how it was I don’t know.


Splash of a ****** in the American night.
The memory grows larger than my life.
A tin plate, dropped on the irregular red bricks
Of a floor, rattles tinnily forever.
Belinda of the big foot, Julia, Thaïs,
The tufts of their *** shadowed by ribbon.


Peace to the princesses under the tamarisks.
Desert winds beat against their painted eyelids.
Before the body was wrapped in bandelettes,
Before wheat fell asleep in the tomb,
Before stone fell silent, and there was only pity.


Yesterday a snake crossed the road at dusk.
Crushed by a tire, it writhed on the asphalt.
We are both the snake and the wheel.
There are two dimensions. Here is the unattainable
Truth of being, here, at the edge of lasting
and not lasting. Where the parallel lines intersect,
Time lifted above time by time.


Before the butterfly and its color, he, numb,
Formless, feels his fear, he, unattainable.
For what is a butterfly without Julia and Thaïs?
And what is Julia without a butterfly’s down
In her eyes, her hair, the smooth grain of her belly?
The kingdom, you say. We do not belong to it,
And still, in the same instant, we belong.
For how long will a nonsensical Poland
Where poets write of their emotions as if
They had a contract of limited liability
Suffice? I want not poetry, but a new diction,
Because only it might allow us to express
A new tenderness and save us from a law
That is not our law, from necessity
Which is not ours, even if we take its name.


From broken armor, from eyes stricken
By the command of time and taken back
Into the jurisdiction of mold and fermentation,
We draw our hope. Yes, to gather in an image
The furriness of the ******, the smell of rushes,
And the wrinkles of a hand holding a pitcher
From which wine trickles. Why cry out
That a sense of history destroys our substance
If it, precisely, is offered to our powers,
A muse of our gray-haired father, Herodotus,
As our arm and our instrument, though
It is not easy to use it, to strengthen it
So that, like a plumb with a pure gold center,
It will serve again to rescue human beings.


With such reflections I pushed a rowboat,
In the middle of the continent, through tangled stalks,
In my mind an image of the waves of two oceans
And the slow rocking of a guard-ship’s lantern.
Aware that at this moment I—and not only I—
Keep, as in a seed, the unnamed future.
And then a rhythmic appeal composed itself,
Alien to the moth with its whirring of silk:


O City, O Society, O Capital,
We have seen your steaming entrails.
You will no longer be what you have been.
Your songs no longer gratify our hearts.


Steel, cement, lime, law, ordinance,
We have worshipped you too long,
You were for us a goal and a defense,
Ours was your glory and your shame.


And where was the covenant broken?
Was it in the fires of war, the incandescent sky?
Or at twilight, as the towers fly past, when one looked
From the train across a desert of tracks

To a window out past the maneuvering locomotives
Where a girl examines her narrow, moody face
In a mirror and ties a ribbon to her hair
Pierced by the sparks of curling papers?


Those walls of yours are shadows of walls,
And your light disappeared forever.
Not the world's monument anymore, an oeuvre of your own
Stands beneath the sun in an altered space.


From stucco and mirrors, glass and paintings,
Tearing aside curtains of silver and cotton,
Comes man, naked and mortal,
Ready for truth, for speech, for wings.


Lament, Republic! Fall to your knees!
The loudspeaker’s spell is discontinued.
Listen! You can hear the clocks ticking.
Your death approaches by his hand.


An oar over my shoulder, I walked from the woods.
A porcupine scolded from the fork of a tree,
A horned owl, not changed by the century,
Not changed by place or time, looked down.
Bubo maximus, from the work of Linnaeus.


America for me has the pelt of a raccoon,
Its eyes are a raccoon’s black binoculars.
A chipmunk flickers in a litter of dry bark
Where ivy and vines tangle in the red soil
At the roots of an arcade of tulip trees.
America’s wings are the color of a cardinal,
Its beak is half-open and a mockingbird trills
From a leafy bush in the sweat-bath of the air.
Its line is the wavy body of a water moccasin
Crossing a river with a grass-like motion,
A rattlesnake, a rubble of dots and speckles,
Coiling under the bloom of a yucca plant.


America is for me the illustrated version
Of childhood tales about the heart of tanglewood,
Told in the evening to the spinning wheel’s hum.
And a violin, shivvying up a square dance,
Plays the fiddles of Lithuania or Flanders.
My dancing partner’s name is Birute Swenson.
She married a Swede, but was born in Kaunas.
Then from the night window a moth flies in
As big as the joined palms of the hands,
With a hue like the transparency of emeralds.


Why not establish a home in the neon heat
Of Nature? Is it not enough, the labor of autumn,
Of winter and spring and withering summer?
You will hear not one word spoken of the court
of Sigismund Augustus on the banks of the Delaware River.
The Dismissal of the Greek Envoys is not needed.
Herodotus will repose on his shelf, uncut.
And the rose only, a ****** symbol,
Symbol of love and superterrestrial beauty,
Will open a chasm deeper than your knowledge.
About it we find a song in a dream:


Inside the rose
Are houses of gold,
black isobars, streams of cold.
Dawn touches her finger to the edge of the Alps
And evening streams down to the bays of the sea.


If anyone dies inside the rose,
They carry him down the purple-red road
In a procession of clocks all wrapped in folds.
They light up the petals of grottoes with torches.
They bury him there where color begins,
At the source of the sighing,
Inside the rose.


Let names of months mean only what they mean.
Let the Aurora’s cannons be heard in none
Of them, or the tread of young rebels marching.
We might, at best, keep some kind of souvenir,
Preserved like a fan in a garret. Why not
Sit down at a rough country table and compose
An ode in the old manner, as in the old times
Chasing a beetle with the nib of our pen?
Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor né fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
Dè tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna dè mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi dè potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive .
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
Di cui lor sorte rea padre ti fece,
Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra sé. Non io
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avrò quanto si possa aperto:
Ben ch'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civiltà, che sola in meglio
Guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci diè. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fè palese: e, fuggitivo, appelli
Vil chi lui segue, e solo
Magnanimo colui
Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell'alma generoso ed alto,
Non chiama sé né stima
Ricco d'or né gagliardo,
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma sé di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire
Fraterne, ancor più gravi
D'ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che dè mortali
Madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L'umana compagnia,
Tutti fra sé confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul più vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch'ha in error la sede.
Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e su la mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Cò tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente età, che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell'altra è la strage,
Non avvien ciò d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.
Ben mille ed ottocento
Anni varcàr poi che spariro, oppressi
Dall'ignea forza, i popolati seggi,
E il villanello intento
Ai vigneti, che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla e incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
Fatal, che nulla mai fatta più mite
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
Dell'ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando più volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall'inesausto grembo
Su l'arenoso dorso, a cui riluce
Di Capri la marina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l'acqua
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
Vede lontan l'usato
Suo nido, e il picciol campo,
Che gli fu dalla fame unico schermo,
Preda al flutto rovente,
Che crepitando giunge, e inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
Dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all'aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri,
Per li templi deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per vòti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell'uomo ignara e dell'etadi
Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,
Sta natura ognor verde, anzi procede
Per sì lungo cammino
Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l'uom d'eternità s'arroga il vanto.
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
stillhuman  Apr 2022
Natura Morta
stillhuman Apr 2022
It's poisonous claws
scratching up from the inside
of my chest, they open
a path of lurid squalor
festering the internal wounds
with rotting meat
that spreads from within
to the skin that crawls
and dies, cell by cell
into the empty stale air
surrounding our conversation

The words float
from one breath to another
without ever really landing
to a precise spot
of connection
They just mimic meanings
and thoughtfulness
when they are void of any feelings

There is no spark of life
no life itself
denied to us
by the putrid scent
we ignore the existence of
No knowledge of pain
or reality
just a dull sense
of immortality
as we still
like the dust suspended
motion our lips without sense
nor sense of self
Corroding second by second
by second 'til we
become dust ourselves
"Natura Morta" is the artistic genre of painting still life
It resembles us so much at times
Irena Adler Nov 2018
Virginia Woolf una volte scrisse che " la bellezza ha due tagli, uno di gioia, l'altro di angoscia, che ci dividono il cuore".
La prima cosa che mi passa per la testa di fronte a tali parole è che l'uomo e la donna patiscono continuamente anche quando sono felici. Quel tipo di angoscia che non ti abbandona mai, la sofferenza di fronte alle scelte fatte o non fatte, il desiderio di evasione in un mondo utopico, la volontà di essere completamente liberi e stoici. I pregiudizi sono nostri amici-nemici. Tutto dipende da come gli accogliamo nelle varie circostanze della vita.
Se ci fosse Virginia Woolf qua con me sicuramente  si arrabbierebbe; " Come puoi essere così disordinata? Non mi stavi  per caso citando? E poi sembrava che stessi cercando  di spiegare qualcosa?! Salti da un argomento all'altro per caso. Se devi essere patetica, aggiungici un sarcasmo poetico".
Scusa ma non riesco ad organizzare ancora bene i miei pensieri. Fluttuano come la polvere nell'aria dopo che hai tentato inutilmente  di pulire un armadio vecchio. Scusa Virginia, mi conoscerai meglio con il passare del tempo.  " Ecco, brava! Che sia sempre con te lo spirito di Judith Shakespeare!"




Martedì 6.  

L'artista che corre per la strada e cerca la sua musa, la trova nello specchio che tende subito a scomparire.
Lui non si è accorto del Sole, vive di notte, disegna di notte, sogna di giorno, sogna di notte. Vive.
Non vede, lui osserva, ama l'impossibile, ama il futile eterno, sogna e vede ciò che non sarà mai compreso dagli altri. Lui trema e le sue mani tengono il pennello con un eccitazione che non si può comprendere ma solo provare. L'emozione di fronte ad un opera che deve appena essere creata, immortalata, eterna come la non-realtà.
L'immagine sussiste e lui sbatte le ali del sogno, disubbidisce alla società, gode ed ama l'incomprensibile, lo respira e vive di ciò.

Lo spessore della profondità è inabbattibile. L'acqua non ti fa annegare; è il pensiero. Non pensiamo, nuotiamo, è l'istinto a prevalere eppure abbiamo scelto di morire. Per questo motivo esiste l'altro, per annegarci o salvarci. Mantieni la dignità e vivi. E dunque sanguina.


Venerdì 9.

L'uomo e la donna. La donna e l'uomo. L'uomo ha sulla testa una lampadine e la donna uno sbattitore da cucina. La natura del cane è quella di abbaiare. La natura della specie umana è quella di riprodursi. Eppure abbiamo la necessità di creare ed inventare, non riusciamo a farne a meno. Sentiamo un bisogno insostenibile di portare fuori ciò che sta dentro. Siamo continuamente alla ricerca dell'essere presenti, passati e futuri. La gioia e l'angoscia d' esistere ci turba le anime. Ci chiediamo sempre qual'è lo scopo del fare e di muoverci. Dove sta il dono o la maledizione di essere stati scaraventati sulla palla ovale che gira intorno a se stessa ed intorno ad una palla ancora più grande che ci mantiene in vita. E' questo il senso? Dipendere dalla luce del sole oppure  soltanto dall'acqua e dal pane?
Dove sta l'essere in questa stanza? E' forse disteso su questo letto a scrivere? Forse.
Oppure si trova proprio nel pensiero che crea quel' atto?
L'esistenza umana è ridotta ad anni di vita, non secoli. Ciò che ci è stato dato l'abbiamo preso ed appreso, ci siamo impossessati ed ora fa parte di noi. Ci è stata data la vita dalla Natura ed essa ci ha pure delimitati.
" Ecco, voi siete parte di me, vivete e morite". Se è così noi dipendiamo gli uni dagli altri, non ha senso vivere soli sulla terra, abbandonati da nessuno. Non possiede alcuna logica.

Mercoledì 33.

Il mare non è sempre stato blu; una volta era violaceo e tutti gli animali potevano entrare nell'acqua senza dove trattenere il fiato. Si respirava nell'acqua, si stava bene. Soltanto quando arrivò l'uomo e ci mise il piede in acqua, essa si contrasse e divenne blu, scura e profonda. Il mare scelse di non dare accesso all'uomo e a quel diverso tipo di intelletto che si preparava a conquistare tutto ciò che mai gli potrà appartenere interamente. Per colpa sua le specie che abitavano la terra ferma dovettero separarsi da quelle marine.
Più l'uomo diventava avido ed egoista più il mare diventava profondo e salato. Non voleva finire nella bocca di quel animale strano che camminava su due stecchi con cinque rami piccoli, ben allineati ma sporchi. L'uomo costrinse il mare a piangere e non capì, non poteva capirlo poichè ora era lui il padrone.
Mateuš Conrad Jan 2020
this is truly a welcome break from:
freeing all the drafts -
which i imagined to be equivalent, or rather:
the 2nd parallel of the original adjecent -

i imagined it would feel like:
releasing doves with laurel branches firmly
lodged in their beaks -
just as the waters of the flood would recede...

but it truly felt like:
the inversion of the diarrhoea-constipation
"paradox"... because it felt like both,
but never giving me a clue as to
what was more prominent -

the sharp edge of a knife -
or the horizon when the sky becomes
the sea far away....

i'm not ashamed to throw this onto the fore...
it happened to me once...
but on purpose...
i wanted to compensate marquis de sade's
antic in a brothel when he implored
the ******* to turn the crucifix into
a ***** into his decapitated precursor
of a mary antoinette... puppet...

profanity in images and all the other seances
of the senses...
i wouldn't go as far as to make the crucifix
profane... or do anything profane
with it...

only the words...
hic (est) mea corpus - hic (est) mea cruor...
this is my body - this is my blood...
and i am aware the mead is the gods' ****
when they're in a good mood - all... jolly...
and that beer is the gods' **** when
laughter hits a dry run...
and that ms. amber or whiskey is but:
the blood of the gods...

i had to corrupt it...
to prove to myself: that i am not a god...
it was quiet simple...
once upon a time i was drinking
a glass of wine...
and as you do... on a whim...
i decided to **** into it...
perhaps all that drinking prior would
give me something to elevate the palette
of exploration that was to come...

hmm... at least that sorts out
hic: mea cruor... *** urinae...
but back then i did that on purpose...
and if only this was a desert scenario...
and i would have to drink my own *****
to survive...
well... i just thought: here's to starving
from a lack of better imagery...

i will come unto some Horace in a minute...
i don't know how i managed to find
this citation - it's only very losely related...
and yes i will showcase another draft from
May of last year...

but today i was unsure...
did i leave yesterday's pepsi max bottle
with only the stale pepsi left...
or did i forget to do the lazy sly wee whizz
jumping out of bed in the middle of
the night...
but i already poured this "cocktail"
over two shots of whiskey...
and i'm hardly desperate but...
my original intention of alligning myself
to the profanity of the crucifix...
i had to somehow make profanity
of the wine...

since i am... thinking how to compensate
being satisfied with wine...
how the ancient world was always
satisfied with wine...
the story of the 3 ambers of the north...
the beer, the mead and the whiskey...
all in a varying degree...
but i will not bow before the blood of a god
that's so... diluted...
whiskey yes... that can be blood indeed...
otherwise it's down in the trench
with gods' **** - mead if they are in a good
mood... beer if they are in a talkative mood...

thank god i wasn't thinking:
better salvage those two shots of whiskey
and drink this cocktail of the "ultimate" surprise...
and apparently eating a woman's
placenta is good for you...
as was... apparently once... breastmilk...
funny... give me the milk of a cow or a goat
and i'll show you: one dislocated thumb...
one dislocated distal + intermediate phalange
from the index finger of the right hand's
proximal phalange... no broken bones...

knock-knock... who's there? touchwood superstition.

it's not as bad as it sounds...
stale, yes...
but i am also known for sometimes
performing the antithesis of drinking tequilla...
*****... i'll sprinkle some cigarette ash
onto my hand... lick it... take a shot of *****
then throw one or two black peppercorns into
my mouth for the crunch...
each drinker and his own myths... right?
i call that the black cracovite...
cracow being so close to aushwitz...
and once it snowed and they thought it was
snowing... sure... ash from the furnaces
of aushwitz... here's my ode to... the dead...
in a drink...

hell better a cracovite than a cracowite, white?
i mean: right? seriously: low hanging fruit,
the elephant's testicles...

i will never understand this whole veneration
of wine: in vino veritas...
these days wine is better drank by women
and castrated monarchs of the clergy...
i had to check... so i ****** in my holy grail...
and guess what didn't come out
the other end? gods' **** (beer and wine)
or gods' blood (whiskey and wine)...
just this stale, almost bland...
water with a pinch of grape that has been
left to sit in a puddle on some
industrial estate in dagenham enjoying
the ripe downpouring of chemicals
that leave it with a rainbow of diluted
petroleum...

akin to: try shoving that sort of doughnut
into this kind of pile of ****...
not that i would...
but i have also been prone to test
99.9% spirits... or 96% absinthe...
with a locust mummified in the bottle's neck...
from Amsterdam...

i had to rethink: why become engaged...
when chances are...
to the displeasure of someone who read:
but never bought my work...
the self-editorial process...
the self-publishing process could be...
guillotined on a whimsical constipation
of a "dear reader"...
as it might happen...

again... Horace and the perfect example
of poetry with conversational overtones...
poetry as prosaic...
my god... paper was expensive back in old
Horace's days... surely you would need
something spectacular to write:
like a psilocybin trip account word for word:
wrong!
a certain don juan said to a certain
carlos castaneda: don't bring back words from
such experiences...
but of course: they did...
upon once upon a time loving the beatniks...
i started to abhor them...
getting drunk and smoking "something"
is one thing... exposing the altars of solipsism
of such experiences: words intact...
is a profanity...
each dream is individually curated
to the dreamer... the introduction of words
to relate back... for some next be disciple...
the "drugs" / portals of escapism are already
contaminated...

why wouldn't i: even if these are only
objective recounts of an experience?
perhaps because... they are subjectivelly null...
there are only the comparable heights of Gideon...
such experiences are best: kept to each individual's
right to enjoy... a freedom of thought...
and of silence...
each keeps a secret...
but what secret is left?
when the objective parameters have already
been stated?
i see no point... better down and finding
it at the end of a bottle...
or... ******* into a glass of wine
and drinking it...

they have been contaminated by words that
have been retrieved from such experiences
that (a) no one should talk about...
(b) surprise! the objective reality already
being stated as altered...
am i going to a ******* cinema with my body...
or am i going to a surprise
gallery with my thought?
doesn't matter... word contamination...
bigmouth struck his final last time!
at least the remains is what gives me
the labyrinth... the blood the **** you name
it the three sisters amber... for all i care...
it's readily available: make do...
with what's already been given.

me? i drink for that very special date...
monday 9 march 2020...
when all the orthodox jews get drunk...
that's one of those celebrations i wouldn't mind
being a part of... purim, festival of Lots,
funny... that period of history...
the Persian aspect of the hebrews...
never made it to the big screen...
seeing modern day Iran as day-old Persia
in muslim garbs...
we're still only seeing the: African adventure...
perhaps once the dust has settled...
we will get the Persian installement...
and then... oh... **** it...
we're all in it for the long run...
then when christianity is no longer useful...
the Roman bit of history...
and how the hebrews conspired with the greeks...
2000 years later we'll probably see
some prince of egypt cartoon movie
of the pristine romance and a mention of germany...
not yet... ****'s still to ripe to entertain
the universal child and children...
no screen adaptation from "their" time in Persia...
songs... we have songs!
Verdi's Nabucco - the chorus...
perhaps only in song from Persia and always
with movies and hieroglyphs when from Egypt...

but the festivity... of course! i'll celebrate...
cf. though... Puccini's coro a bocca chiusa -
the humming chorus...
before the band enigma... i am pretty sure my mother
would crank up the volume to at least
one of these songs... should they come on the radio...
i'm still to hear christopher young's:
something to think about - to be on air...
and to also be treated as a piece of classical music...
if wojciech kilar's dracula soundtrack can be treated
as classical music... what's wrong with a little
bit of hellraiser?!

perhaps, "again" is this desecration of the sacred not,
simply hanging in the background,
all, the, ******, time?
who is to celebrate wine giving it a god's blood
status in sips? one is expected to somehow become
drunk on the passion!
no one is here for crumbs of sips!
first they came for the loaf of bread...
and said you should fast and eat only a crumb...
then they came for the bottle of wine...
and said you should abstain and drink only a sip...
then they came for *** and by then
vatican was a monaco with better tax protections...

it's an investement: having to **** into a glass
of wine you're about to drink...
worse... you accidently "forgot" about
******* into some left-over pepsi max
and you're making yourself a cocktail
with one of the graeae ambers - 2x -
and you wonder: is this the proper state
of carbonated water, stale?
but i'm hardly going to bash the crucifix...
i'm here for the words...

the... transfiguration of the wine into blood...
and i say of my gods:
and here is their **** - beer and mead...
and here's their blood: the three graeae ms. ambers...
see no: clearer? no... happier?

i will get onto ancient roman poetics
with its conversational overtones in a minute!
first we have to settle the sacraments!
the metaphors and the sacraments!
i have no ivar the boneless claim of god...
season 6? to be honest...
i'd rather watch an english soap opera...
at least the intricacy of the plot remains...
even though it has been recycled
so many times...

i can't **** out the gods' ***** even if it was
stale beer... or ideal mead...
as i can't leisure a Seneca's bath filled
with the blood of the immortals...
problem solved... "problem":
as if it ever was...

why, Horace? a very short rhetorical retort:
if Dante had his Virgil...
why can i have my Horace, as guide?
again... what Roman poet could venture for
ambitions among the myths -
or extend his "consciousness"
to devastate the land and become
the mad Xerxes wanting the waves
of a sea whipped into submission?
why, Horace? if Dante could have his Virgil...

poetry... at least among the roman poets
there's no boxed in a box "without" a "box"...
the conversational overtones are ripe...
the almost complete lack of
character dimensions... beside their dimensions
from anecdotes...

to difuse wine, to desecrate the hic mea cruor...
**** in it!
then drink it...
or have one of my antithesis of a tequilla surprise
with me...
smoke a cigarette... drop some ash on the lick-part
of the space between the thumb
and the index metacarpal... lick it...
follow it with a shot of *****...
then throw some black peppercorns
into the hades of your gob
and we've arrived at the black cracovite...

and also the day when the orthodox jews
recant their story of their time
in Persia... the festivity of Lots...
when they become blind drunk and pretend to
have the sort of alcohol intolerence as
the Japanese... 1 shot! just 1 shot:
and hey! they throw their kippahs in
the air and we can all dance the ukranian 'opak!

looks good to me!
but only looks good...
when there's this plump drunk playing the accordion:
i.e. me,
and there's the sort of adrew rieu directing
an upcoming crescendo of a poliushko polie...
and we can all leave the auditorium
feeling, less than russophobic...
and then i can be told...
you young to be old yet still
profane pan-siberian peasant root!
indo-european leftover!
well... at least then i have been allowed
the scrap i'm supposed to see
before i showcase my *****, frost riddled fangs!
of the lesser wolf that i am:
as a rabid dog!

since the crescendo will come...
what better fathom of it...
esp. just beside a cemetery... twirling to the music...
ear-plugs out seancing my time in a grand
orchestral hall... plucked from the ears...
the crescendo is coming...
but... plucked... the orchestra of buffalo-sized
snowflakes... and... the worst kind of ballet...
a male soloist... doing his crazy
ukranian folk... maestro! the music never ever
dies! even in the silence of the universe!
however micro- or macro- this theatre will take
form... the music remains playing: uninterrupted!

but the snow was there,
the "ballerina" was also there...
the night was there,
the music was there -
albeit no grand orchestral hall -
couldn't ask for a better canvas
than a cemetery -
and all the heart's content!
comparative "literature"
to love like a muslim...
or to love like a sparrow...
or to love with a grudge like a crow...
mind you; site note...
i have been many a pigeons attempt
fornication unabashed...
i've never seen two crows attempt it...
perhaps they do "it" in the night
and never in the open?

crows... pedantic priests of the kingdom...
and where the widower king
and the widow queen among the swans?
where i and you will have probably left them...
admiring a family of ducks...

as asked by the serpent of the swan...
you and me of the same birth in a Fabergé egg...
me with serpentine spine...
while you: with a crooked neck?
silly... it really is...
of a being.... that was once
a t-rex roar... now a pickled brain
in pickle jar... boasting about being...
pure spine and tingles and...
the better part of what... becomes the mammalian
hibernation...
hibernating "hibernating" upon the
impetus of digestion...
a serpent would ask a swan about
a crooked neck?

because what would a **** sapeins look toward,
as he is always prone to to look elsewhere?
if not to borrow the fixed, rigid ontology
of other animals?
i better from the birds, solely...
the swans and the crows...
perhaps the fox...
rarely something that has lent itself
to being curated by man's leash and grip...
collective the known herd...
otherwise the refined bonsai tigers...
perhaps the fish without a knowledge
of a tide or a wave...

i call a dog the noble friend,
the swan the sombre monogamist...
the crow the priest...
the furry spider one's own reflection
dealing with aracnophobia...
the snake the old "say-what?"
or that pickled spine with a brain
the worth of brine juices...
the extinguished remnant
of a dinosaur's toothache... or some
transcendental exploration
of the carpals of the wrist
extending into the length of a spine...

i'm not going to cry over this one...
skål!
i feel disinhibited from writing a memorandum!
slàinte!
gasoline to the peddle and... off... we, go!

i am bound to get this translaton right...
at some point of hinging-on... i.e. beginning with...
and most probably at the opposite end
of having to finish...
hence "open bracket"... prefix-
and -suffix allowance given the archeological
excavation began with:

-seu pila velox molliter austerum studio
fallente laborem, seu te discus agit, pete cedentem
aera disco: *** labor extuderit fastidia, siccus,
inanis sperne cibum vilem; nisi Hymettia mella
Falerno ne biberis diluta. foris est promus,
et atrum defendens piscis hiemat mare: *** sale
panis latrantem stomachum bene leniet. unde putas
aut qui partum? non in caro nidore voluptas summa,
sed in te ipso est. tu pulmentaria quaere
sudando: pinguem vitiis albumque neque ostrea
nec scarus aut poterit peregrina iuvare lagois.
vix tamen eripiam, posito pavone velis quin
hoc potius quam gallina tergere palatum,
corruptus vanis rerum, quia veneat auro
rara avis et picta pandat spectcula cauda:
tamquam ad rem attineat quidquam.
num vesceris ista, quam laudas, pluma?
cocto num adest honor idem?
carne tamen quamvis distat nil, hac magis illam
inparibus formis deceptum te petere esto:
unde datum sentis, lupus hic Tiberinus
an alto captus hiet? pontisne inter iactatus
an amnis ostia sub Tusci?
laudas, insane, trilibrem mullum,
in singula quem minuas pulmenta necesse est.
ducit te species, video: quo pertinet ergo proceros
odisse lupos? quia scilicet illis maiorem natura modum
dedit, his breve pondus: ieiunus raro stomachus volgaria
-temnit.

it's translated, isn't it? no
stefan gołębiewski or no 1980 warsaw...
is to know...

- nec meus hic sermo est, sed quae praecepit Ofellus:
these are not my words, this said the simpleton
Ofellus - neither of which of us is a laurel-leaf
adorned Orpheus...

that via a living "game": stoking up an appetite
with this entertainment the appetite increaes...
as does one health...

sorry... pagans... bloodthirty people...
trouble with the translation...
apparently the mud slinging
***** and bricks are nothing new...

or when you "minus" the disk,
litter the distance, head with the wind into
competition!
after hardships of the body is good and
the meal is simple -
(apparently all of this is still "connected",
scratch of the ol' 'ed and we're fine...
we're ******* sailing!)
Falern will not hurt "us"...
seasoned by honey from Hymettis,
before the entré. Safaz left,
the sea rumbles, the zephyr of fish it protects,
storm, fishing made unsafe;
stomach grumbles, bread with salt:
excuisite; you do not have any better! why?
taste does not reside in the scent of dishes,
but in your self alone.
toil merely increases appetite's presence.
he who over-eats, will not know the taste
of an oyster, nor a turbot, nor chickpeas,
the northern bird.
perceptions take the scalp of the mountain
above the actual taste of the dishes
(one might scalp... but never eat the scalp)...
you will not take a chicken onto a tooth,
when you are given a peacock,
you will trust your delusion:
a rare bird, worth its own weight of gold,
a most rarified tail, how it sparkles
with subtle hues!
as if the tail were to lead -
and there was no head to be found!
do you allow yourself to judge the hue
of the feathers as precursor for the adjecctive:
that's it's "also" tasty? the meat, of course?
the old - judge a book by its cover...
is the oven baked... also as delicious / beautiful?
chicken meat... or peacock meat?
almost without difference.
therefore: light... albeit...
although only vanity lures the peacock
(to be compared to a poultry)...
let's go further... i want to know: after what
do you recognise this, that a pike
with its gaping mouth was left:
from the sea... or from the Tiber fished?
somewhere among bridges... or from some
conrete estuary? idiot-kin of the surname whim...
you admire a three-pound mullet!
do you take size... for the gauge of all measure?
when you... cut the bell?
then why... why... with disgrace
do you demand in appreciation:
elongating pikes!
evidently nature: this greater gave the proper
measure... and with it: the lesser weight -
an empty stomach will rarely -
being fed a simple thing - despise -
what is...

an empty stomach - rarely despises -
simple matters.

how true... i was allowing myself the time
it would take to drink,
and translate into the vulgate...
but... from no better source...
and i am still to add to this one of my...
"freeing of the drafts"...

as promised...
"draft"...

- a most confiscated man -
no italics included...

.the original draft:

binges, worth the count
of a liter of whiskey
per night,
for a year, if not more...
become so...
so unspectular...

          the world either
screams, or yawns,
generally:
it exhaust a desire
to toss a coin,
agitate the vocab.,

a grand canyon
huddling
in the "depths" of
a glass of water...

baron science
comes with his rubric
of bore,
      and:
i find myself,
most idle:
while the world
orientates
itself in keeping
itself busy,
bothersome,
always the prime concern,

the ant-colony coup,
the:
i always find friends
in the orientations
of an empty glass,
but prior to:

i drink
before no altar,
no mirror,
no confidante...

     pure flesh revels itself
in a blank's worth
of prior to dictum's
  allowance of, a page...

bothersome
the knot of the pretentious
anti- in scold of
the passing fancy:
expression...

            poker charm
of a love's affair...

_

i sometimes entertain myself
with ancients proverbs,
one slavic proverb reads:
better a sparrow in your hand
than a dove on your roof...

what, could, possibly be,
the interpretation?
care for the small joys in
your possession,
than, for the peace of your household,
which is, on the roof,
but not in your hands...

if i were paid? would i be more
honest?
probably not...
        what i see, is what needs
to be seen...
  em... simple pleasures talk...
once upon a time,
donning long hair, implied
you were a mosher...
a metal-head...
    now? three days +,
long hair, and you're not a
grunge fanatic?
  trans-, etc.?

   a man of simple pleasures,
i know what long hair,
jealousy, associated with
putting it in a french braid,
does to a camel jockey ego...
ruins and ruins as far as the eyes
can see...
    he replicates...
he grows his hair long...
at the same time boasting about
haivng a premature beard...
then you grow a beard yourself...
you start fiddling with it...
****, ***** on my face...
and then...
the "question" of a girlfriend
flies out of the window...
i'm happy with a beard,
thank you, very much,
i don't, exactly want to wish upon
myself, a female, company...

*** protest all you want...
the *** differences between men
and women, to my sort of understanding,
are, unrepairable...
     they were, never,
bound, to being, repaired...
savvy?
            i take my route,
a woman took her route...
  we're even...
                
      since what can only frighten a freed
woman, beside a monarch,
a free man?
                   a man with...
a gamble...
         i am a man with a gamble...
i don't like being told what
to be, or what to think...
like any man,
and like any man:
i don't like being forced
ownership over a being:
that can share my sense of freedom...
so...
    i find myself,
thrilled with relief,
at now having to answer to
a woman's subjugation...
like a woman, and, i have learned
from women: i like being
my objective's self...
rather than a "self" made subject...

i like that: thank you...
i can start feedings the pigs and the peasant
the diatribe life, and lie,
of: there being an existential cricis,
a need to reproduce...
and i, and i am, being demeaning
in this, way, for a justified reason...

once the peasants attack you:
you attack, the peasants...
you demean them in the same way
they demeaned you...

once upon a time i thought:
greater good came from the number
of innocents being salvaged
than for the few great of grand bearing
being salvaged...
even if bound to an ill will:
an ill command,
of a will, predisposed to pretend
actions of the blind...
but now i see...

   the many: if beside fulfilling
their petty deeds,
having to stand outside of those,
petty deeds,
  have ambitions equivalent
to their emotions...
            akin to something worth,
pity, akin to something
worth: as little as a rat's heartbeat...
petty, primitive bull-*******...
and all the amount of sorrow,
or pity,
or mercy...
              that, these, ******* allow...
are worth the same response
Pontius Pilate gave...
       there isn't enough of water,
in this world,
to wash my hands, clean,
of these people...
   even if innocent blood plagues
them,
    not enough waters have run their
due course,
to... release me from the indentation
of memory upon my mind...
and i am plagued by an elephant's
memory...
        we've reached the conclusion
of: some people...
  just do not see an insult,
             past the insult's eloquence!

i am a most conflicted man,
i binge watched vikings
for a while now,
and right now, i'm ready for
an extraction of what i have learned...

believe me: i am not someone
who has the sort of ego-presence
to fate myself in the role
of the protagonist...
     i'm too pedantic to have to
market my body and deeds,
for the fates tio see,
and history to ascribe fame unto me...

even homer was off too war
with troy,
   and blessed he became...

because? time morphs,
the longer something is kept,
the more, "unreal" is becomes,
a fairy-tale...
esp. now, with the onslaught
of journalism...
two things in this world
are insomniac,
money never sleeps,
and, now, apparently,
journalism doesn't sleep either:
well, given its ******
bed-fellow of political liars...
why should it?

             Rolo... a semi-minor character...
but i feel his angst at the already
fervent dichotomy,
(dichotomy, modern variety variant
of schizoid-affective...
or bilingual in turn)...

            music...
                    all these modły...
gesticulations of prayer,
phantom conjuring,
               lunatics with candles
at high-noon...
                  i am fated by music,
i am perverted by music,
i am swayed by music...
who is the god, patron,
of music?
who is the angel (demi-god),
patron of music?
         i do not seek the highest
influencer...
the minor one...

   when Archangel Sandalphon
met St. Cecilia...
but as such, i am, conflicted...
even though, this is the first time
i have heard of Sandalphon...

Rome, never reached my peoples,
the Vikings did...
   weren't the ugly vikings the founders
of Kiev?
  so they must have passed via
the Polen (field) land, no?

feelings are not important,
facts don't care about your feelings...
granted...
but i'm not hear for facts,
contra, feelings,
i'm here for the rivers...
what i feel, what my heart yearns for,
needs to attain an equilibrium
with my mind...
for that: i need to clarify my feelings,
to hush my heart, silence it,
in order to listen to my mind,
and the mind, needs to feed into
heaving the heart: to do,
what, the heart, desires,
autonomous to what the heart
"thinks", is right...
                    that's how it was forver
going to work...
consolidated...
and yes, i much envy the punctuation
of king Ecgberht,
a man of cunning: much admired...
abstract thinker...
        and a reality...
        pun-ctu-a-tion...
the delivery of one's speech...
   much admired, as much as...
                the crude brawl possession...
the chief protagonist of the story?
as important as is: the required from
Atlas... burden upon burden...
a man burdened with the illusion
of freedom...

so why am i conflicted,
but becoming less and less so?
    it was always the music...

songs...

           chavelier, mult estes guariz...
wardruna - helvegen...
           da pacem domine...
             agni parthene...

you know... there's much more beside
being a jazz enthusiast or
a classical music snob...
         there's folk... there's religious and pagan
chants...
if there's one thing to benefit from,
in terms of the Byzantine context...
the chants...
        let the barbarians do the thinking
from now on: you do the sing-along...
no people ever reinvented themselves
from an ancient glory...
   new blood had to come to the fore...

like today...
       i spoke with my father and my mother...
about the names of apples...
we must have talked for an hour,
we named so many lost "breeds" of apple...
nouns i will not write,
nouns i wish death to write down,
i want Samael to have,
beside the book of my deeds in hand,
i want him to have
my dictionary in hand,
my knowledge of the sacred script,
i want to listen as he recites me the words
i've used,
notably today's conversation
            about the many types of apples...
e.g.: shogun apples...
             kox...
                    szare renety...
          papierówki...
                    marabella prunes...
that's all i ask of Samil.
Credei ch'al tutto fossero
In me, sul fior degli anni,
Mancati i dolci affanni
Della mia prima età:
I dolci affanni, i teneri
Moti del cor profondo,
Qualunque cosa al mondo
Grato il sentir ci fa.

Quante querele e lacrime
Sparsi nel novo stato,
Quando al mio cor gelato
Prima il dolor mancò!
Mancàr gli usati palpiti,
L'amor mi venne meno,
E irrigidito il seno
Di sospirar cessò!

Piansi spogliata, esanime
Fatta per me la vita
La terra inaridita,
Chiusa in eterno gel;
Deserto il dì; la tacita
Notte più sola e bruna;
Spenta per me la luna,
Spente le stelle in ciel.

Pur di quel pianto origine
Era l'antico affetto:
Nell'intimo del petto
Ancor viveva il cor.
Chiedea l'usate immagini
La stanca fantasia;
E la tristezza mia
Era dolore ancor.

Fra poco in me quell'ultimo
Dolore anco fu spento,
E di più far lamento
Valor non mi restò.
Giacqui: insensato, attonito,
Non dimandai conforto:
Quasi perduto e morto,
Il cor s'abbandonò.

Qual fui! Quanto dissimile
Da quel che tanto ardore,
Che sì beato errore
Nutrii nell'alma un dì!
La rondinella vigile,
Alle finestre intorno
Cantando al novo giorno,
Il cor non mi ferì:

Non all'autunno pallido
In solitaria villa,
La vespertina squilla,
Il fuggitivo Sol.
Invan brillare il vespero
Vidi per muto calle,
Invan sonò la valle
Del flebile usignol.

E voi, pupille tenere,
Sguardi furtivi, erranti,
Voi dè gentili amanti
Primo, immortale amor,
Ed alla mano offertami
Candida ignuda mano,
Foste voi pure invano
Al duro mio sopor.

D'ogni dolcezza vedovo,
Tristo; ma non turbato,
Ma placido il mio stato,
Il volto era seren.
Desiderato il termine
Avrei del viver mio;
Ma spento era il desio
Nello spossato sen.

Qual dell'età decrepita
L'avanzo ignudo e vile,
Io conducea l'aprile
Degli anni miei così:
Così quegl'ineffabili
Giorni, o mio cor, traevi,
Che sì fugaci e brevi
Il cielo a noi sortì.

Chi dalla grave, immemore
Quiete or mi ridesta?
Che virtù nova è questa,
Questa che sento in me?
Moti soavi, immagini,
Palpiti, error beato,
Per sempre a voi negato
Questo mio cor non è?

Siete pur voi quell'unica
Luce dè giorni miei?
Gli affetti ch'io perdei
Nella novella età?
Se al ciel, s'ai verdi margini,
Ovunque il guardo mira,
Tutto un dolor mi spira,
Tutto un piacer mi dà.

Meco ritorna a vivere
La piaggia, il bosco, il monte;
Parla al mio core il fonte,
Meco favella il mar.
Chi mi ridona il piangere
Dopo cotanto obblio?
E come al guardo mio
Cangiato il mondo appar?

Forse la speme, o povero
Mio cor, ti volse un riso?
Ahi della speme il viso
Io non vedrò mai più.
Proprii mi diede i palpiti,
Natura, e i dolci inganni.
Sopiro in me gli affanni
L'ingenita virtù;

Non l'annullàr: non vinsela
Il fato e la sventura;
Non con la vista impura
L'infausta verità.
Dalle mie vaghe immagini
So ben ch'ella discorda:
So che natura è sorda,
Che miserar non sa.

Che non del ben sollecita
Fu, ma dell'esser solo:
Purché ci serbi al duolo,
Or d'altro a lei non cal.
So che pietà fra gli uomini
Il misero non trova;
Che lui, fuggendo, a prova
Schernisce ogni mortal.

Che ignora il tristo secolo
Gl'ingegni e le virtudi;
Che manca ai degni studi
L'ignuda gloria ancor.
E voi, pupille tremule,
Voi, raggio sovrumano,
So che splendete invano,
Che in voi non brilla amor.

Nessuno ignoto ed intimo
Affetto in voi non brilla:
Non chiude una favilla
Quel bianco petto in sé.
Anzi d'altrui le tenere
Cure suol porre in gioco;
E d'un celeste foco
Disprezzo è la mercè.

Pur sento in me rivivere
Gl'inganni aperti e noti;
E, dè suoi proprii moti
Si maraviglia il sen.
Da te, mio cor, quest'ultimo
Spirto, e l'ardor natio,
Ogni conforto mio
Solo da te mi vien.

Mancano, il sento, all'anima
Alta, gentile e pura,
La sorte, la natura,
Il mondo e la beltà.
Ma se tu vivi, o misero,
Se non concedi al fato,
Non chiamerò spietato
Chi lo spirar mi dà.
Andrew T Hannah Apr 2014
Praeludium in via ...

Vidi heri mane quando ridebam coloribus egregiis,
Eradere auro , trans tabula caeli , tentorium ...
Excelsus super omnes montes mundi mole fratres
Nimborum desertum , ubi non sit humana exsuscitatur .
Et non vidi nobili altitudo futura ...
Bonitas terribilis Vidi , *** indomitus.
Et peregrinare in ea carne existimarem Semel tamen divina ,
Nunc datum est scire , et non confundamur ab eo opus .
Ambulavitque *** Deo, quod nunc facio , et passus est ... accentus
Proditio amor et passionibus , quamvis non recipiat ecclesia ,
Divinitatis naturam , ne occulta omnia confitentur ?
Audis tu solus in universo ab duces ineptum
Ipsos victu pascuntur finguntur mendacii .
Sed ambulavit in vobis, ex ea ipsa mundi redivivi ,
Proelia ante hos annos multos, in carne nostra, amissis vate sacro .
Nos sequi vestigia veterum monumentis, ut ostensum est ;
Quia ex nihilo nati sumus , et adhuc in filiis tuis, ac spatium vivendi ,
Latebunt , quo melius in manifesto , vultus ingenio tegmina.
Ego sum primus , et consilium ... Memini tamen alta urantur
Humanis uti licet , *** aliena michi negotium.
Lorem quid ad ignorantiam et extra ,
Quia vidisti me in tenebris, in ardentem rogum meum .
Si sustinuero , praeire , ubi angeli labuntur ...
Quis autem, si non satis est dedicata piget.
Irrisorie , quoniam ego scio quod salventur , et saepe etiam ,
Post tantum est **** , et sic esset forma in re firmatam ?
Imago Dei , huc ad nos omnes in sanguine ipsius ,
A primis ad ultima, ut alpha et omega, gladius acutus .

Prologus : ( Os meum labitur )

Puer fui servus ad aras tam sacras ,
Hymnis immaculatorum : et absque iniquitate .
Quod *** ipse portabat diadema thons nudus ...
Expositum Spiritus meus, qui intellexi gravitatem.
Quis credit sanctum profanae habitu virtutum
Et illi qui in eo sunt ut carnifices ovis ad occisionem ,
Innocentes cogit induere larvis ad porcellana et operuerunt capita sua ,
Et filii eorum diriperent pueritia , vinctus catenis rudis .
Sicut teenager : ambulans in naturis hominum omnium adprobante ,
Et egressus est a me omnes, qui violatores extiterunt in coinquinatione verebatur .
Angelo fidem reperto cecidi inveni sanctitati
Nomen meum in ea , et curet abluitur dubium inveni .
Venit ad nuptias, et omnes dedi uxorem proditione ,
In solutione huius coniunctionis nostrae et sine intervallo in solitudinem imposuit ?
Traiectus mortalis caro mea reliquit me solum in sanguinem ,
Cor ejus scissum est , absque omni cultu ex ordine funem .
Angelus autem meus et leniat iras mansit dolori
Mea lux, in vigiliis, in nigrum, quod est victa ,
Admonens quia carnis mortalitate ... maxime
Angelus vult me et tremor et durum accepimus.
Et ego factus sum quam ... traumas vitae ac lacrimis
Et dimisit , in specie quae sunt post , veluti a me plagas .
Nox deinde calor intensior saunas percipimus ...
Sicut est mihi in choro , relictum est , nisi ab illo esse extensum ,
Et invicem tradent , et mortalem , ut impunita essent, sed numquam mihi ...
Non tradent ; effundam spiritum meum , et non totum .
FYLACTERIUM creare ex omni me , et oculus innocens ...
Quod amari posco sum ​​ut carbo margarita alba et nigra ;

Section I : Sacrificium Doll

Part I : ( litus sanguinem )

Ne revoces me pupa enim priscis recesserunt cavernam
Sunt inanima appetant , non realis forma in utero ;
A puero bibere rubeam ore exploratores in vastissimam taberna ...
Dum nati psallens FARRATUS agros effusi .
Vadimus ad domum Dei , in plagis , in magna pecunia debetis ...
Hoc non est ad oras Nunc cruore manant strigitu rubra de memoria , polluetur .
Nulla est enim me primus ad ignitionem gloriae ...
Quando autem mens aeterna , in omnibus placentes, causabatur laetitiam .
In stellis ibi verba quae ego volo inauditum revocare,
Quia descendi ita pridem apud venire primum ?
Sollicitus purus fabrica MYSTICUS chaos genitus antiquorum
Mitti expectant limine signa magica.
Interdictum revertatur in carminibus meis , Licinius, ut audacia ,
Quia oblitus est mei fere est: nunc originem , ut tragici.
*** filii bibere, et se abscondunt nati seorsum
*** aquæ in sanguinem, et super triticum, et arefecit fœnum, et humida !
Signum quod venturum est mutare et laboro mentem.
Facies in luna ALLUCINOR in metu torquetur , horror ...
Dumque in fauces manu stare super pectus
Inter ordines diu frumentum umbra nigro ambula
Genus servo meo animas infantium .
Aestas flavescunt, Phoebe caelesti audent .
Mea sola mcestas lupus sonitum audiri potest ,
Et *** feris leo in pontumque moueri relinquere ...
A natura mihi dolet cupio concupivit paradisus reducat .
Vidi terram terror , ut sanguis in sinu
Ater sanguis in terra , quae facit viventia ululare ...
Sicut **** habet stultitia non dicam prava vel !

Part II : ( Crucifixo et Inferorum Animas Excitat)

Nam inertis est gemere pupa altari parato, in sacrificium,
In lapidem calcarium, et in cavernam, ubi sunt wettest fingit arcus !
Un - res sunt, sed etiam *** vivit in vulneribus animae , ut in glaciem ,
In horrore frigoris fictilem , ita *** pedibus non vocavit.
Serpentipedi mucrone subrecto , remittit praecise a pupa in collo ,
Et non potest dici , quia non habet pupa voce clamare.
Puer, et egressus est a tabernam , aspectus eorum quasi a naufragii vile ...
Ut curem hominem a superioribus agentibus , corpus totum mundum.
Infra in concavis locorum asperitate visa petram
Magna voces resonare in tenebras , et vocavit nomen tacuit.
Eripuit animam trahit nauta Multo gregis
Ubi aereum reddet unicuique antiquum signum desideratum .
Et venit ad bibendum aquas illas vitae malis mederi ...
Porcellana , et liberatus a vinculis mortis obscuris sentiat frigore ;
Animas in captivitate , unde nemo mortalium loqui
Sed statim liberavit remotis perforabit clavi ...
Omnis **** , qui dicitur Golgotha ​​, olim in cruce positus .
Omnis autem mulier quoque, ad quod omnes tales sunt tormento
Et facta est , dum consummaretur sacrificium insita primum sic infirma est,
Et intantum ut nisl tot annis perpessi .
Signati post fata diu Quod murus ignis in Terra ,
Stigmatibus ferre posset ita etiam multa futura!
Quod signum erat in manu mea, ut labatur pes meus, et dimittam ...
Tamen adhuc vetera perseverare illusionibus , et non possum excitare multos .
Ego, qui iam tantum conligati Lorem ferrum quid reale,
Factaque est infinita in dolo : Ego sum ​​, et desiderio erat pax.
Nam et ego quod negas , nisi aspera ac rudia mei liberatione ;
Angelus liberavit me , et nunc inter saevus sigillum frangere conantur .

Part III : ( The Return of lux)

Qui a mortuis Surrexit , frigidior , ubi de somno , ultrices in somnis , per
Et obliti sunt intelligentiae invocatum est super sancta miserunt innoxia verba ...
Et inde apud hominem , ut maneat MYSTICUS sequuntur revertamur ,
Ea aetate in inferno commemoratione praeteritorum.
Qui suscitavit eis manum meam , et pugionem eius lumen gloriae,
Relicta meae effercio fluere sanguis subito currere libero.
Ex profundo flamma surgit millennial amisso puella puer ,
Quæ est angeli redivivam sinit luce clarius ostendit .
Et omnis qui non occaecat oculos ad intima ;
Infideles , in momento temporis ponere in obprobrium .
*** stellae ab Diua sacrorum opera voluntatis
Dum coccineum limen transeat , lucem adfert .
Momento enim omnes in caelo et in terris sunt ,
Sicut dies longus tandem inclinatus ante noctem veniat .
In tenebris , claritas multo maiorem et perfectiorem descendit ,
Eorum, qui dum in nomine meo orbata est devium.
Sicut incensum in conspectu angelorum ira animos eorum , occlusum ...
Ferrum IRRETUS texturae talis effugere nequeunt carcerem
Nam quicquid occaecat vidit lucem et scindit
Nisi quia in templis revellens mortalibus irae.
Et , postquam ipsæ fuerint fornicatæ infidelium , ut uoles, petulans ,
Et factum est in excogitando dogma , quod de ratione immemor ?
Horrendum non fides sit , tamen ita fecisse ,
Ante finem exspectent praemia petunt .
*** enim , ut est in paradisum suscipit dereliquerunt ...
Imago autem libertatis quam servitutis et negotio.
Nimia tempus extractam converterat a gladio:
****, ut spectet ad salutem in lucem , caeca lumina sua .

Antiphon alpha :
Quia hoc est ut , barbaris quoque innocentiae gentilitium mendacium vendere ...
Numquid et vos vultis emere , aut aliquam nunc forsitan putas,
Ad sciendum neque rationi consentaneum neque aetate sapientes ...
Quod si non moverent malles *** saltare!
Pleni sunt somnia noctes ; Dies mei tantum ...
Ego ad bis et quem maxime diligebam , in purpura quoque , et aprico occasus .
Ego autem haec imago non ad tangere memoriam tot ,
Qui replet in sanguinem furoris me , et frigidam desiderio finis .
Et considerandum est quod *** in ultima desperatione rerum , in cuius manu mea, equo et pilos in ore gladii ,
Nam ni ita esset, nunquam tamen inde trans familia .
Sed abusus est , ut fuit, et quidem instar caedentes sepem
An ut reliquos omnes transcendunt omnia , amice!
Ego superfui , transfiguravi ascendi in fine est ,
Multo magis quam erat, non plus quam diruere animus .
Sed tamen , quia speravi in solitudinem , ut a somno exsuscitem ancillam meam in flamma ...
Ardet , o superi, ut arbitror , usque uror dissiliunt!
De caelo et magis obscurant vestris, et tridentes, et contritio ,
Audio furorem tympana caelo antiqui gigantes hiemes.
Dii irascantur et ecce valide erutas ,
Uvasque calcantes Angeli hominis Illi autem vinariis ageretur ...
Recordatus sum in omnibus navigantibus battleship galaxies ,
In die ortus nubes inter exaestuans, quod ' vaporem ...
Depopulari Sodomam et Gomorrham, ad contumelias !
Ibi eram: et *** impiis non perire denique gemitu.
Ut illuderet mihi : et populus , quia ego bonus sum male velle ,
A Deo est, quam diu tot mala ferre cogetur .
Ego autem non sum solus , quia multa in eo et detorqueri
Deus remittit, nam adhuc sed non est intellectus ;

Section II : Hostiam de Spider

Part I : ( Rident Primus )

Caelum non egerunt pœnitentiam super ulcus nigrum est furore , et in indignatione, et in iustitia :
Et factus sum caro , quamvis intellectus non mortale .
In antro loca , quæ transivi , et dæmonia multa discurrunt ,
Et locis minus adhuc amor in search of a provocare .
In quo autem in craticiis tectoria atria mea, et thronus fuit stabilis ...
Et super collem , ubi dolorum laborum animae perit labor in mundanis ,
Transcendi vincula et consilio fidelium expectabo laudatur.
Ignis et sulphur et, semper est dextera arderent super altare ?
Ridentem cogo faciem meam : non enim veni , ut velle,
Ut in hora *** iam iuvenem, *** proposito aureum ...
Quæ pro impenso super solidum, pretium quis ,
Qui autem non cognovit , quomodo cupiam sibi solvere ...
Furor solitudinis nascitur ira nascitur ex malitia,
Qui autem contemnunt me , quia sine causa Provocantes me .
Quid est **** , impunitatem , ne quis putaret se excusat ;
Quam sapere , *** culturis tuum: mergi , in balneis , in ardentem .
Loquor de inferno, qui est infidelis nescis ?
Neque enim suis oculis effossis clavorum ...
Loquor cruciatus qui daemonia fecerunt superat .
Primus erit mihi dolor meus *** omnis fera voluntas ut ratio ...
Ut qui me conspui caro quod ambulans ,
Nescis modo larva facies mea , abscondens se.
Attendit ad illa nihil nisi insipientis solis erratur in sonis cantus
Tantum numerus ratus e fratre soror .
Sed in caelestibus quae sine causa nata est incestus est alchemical ?
Habitat in me peccatum occultum compages sǽculo.
Sit mihi vim inter gentes auditus est ABSURDUS musica ...
Spiritus meus qui regit omne simile est genitus.

Part II ( vindicta aurum )

In hortos, in quibus cupiditas sanguis rosaria semina ,
I , in manu eorum , qui esurit Quorum sitit aquam surgit !
In quaerere dilectionis affectum bestiis pavi eget
Quid faciam ut pudeat , habet me non elit .
O **** , quo impune ausu palamque vociferari ,
Quod amor sit ex me credis , et me opus manuum tuarum ,
Ut timidus , et cucurrit ad me latere turba depravari ,
In simulata excellentiam tuam , et ipse te vile animal .
Coniunctio oris linguae quasi telam laqueari
Si fieri potest araneae ; et fugiet a turpis ut octo pedes nidum ...
Et *** jam non calidus humanitatis indignum ,
Cogitans te meliorem quam reliqui descendes !
Ut vitae pretium millies , tibimetipsi .
Creaturam factus sum nocte expectant te aranea heu !
Nolite putare quia ego audirem . utrumque stridens cruris ...
Odium ductor tuus , et equi ejus , et ascensorem ejus .
Et in vestra web Video vos, Quirites immune ungues acuti ,
Ad toxicus venenum , quod oculis non potes, nisi te , octo ...
Ex quo bases Caesios sine timore, et sic primum
Ut dolores tuos comedat vos accendentes ignem caelum ;
Detur paenitentiae venia , quae dicis omnia cogit , ne superare dolores ,
Qui tibi semper, quæ videtur , non est potentia ad non noceat .
Et ascendit ulterius sapere plus pavoris tui ...
Numquam puerile ludibrium ulla facta .
Omnis domus tua dissolutae horologiorum ad socium non est ?
In desertis chaos est gaudium, ut si quod habuerunt.
Surgit in novum ordinem , nemo potest negare chaos genitus locus ,
Dum descendes perdunt, muneribus laesae.

PARS III ( Ultimo Rident)

Et sic videtur quod Angelus se et ante deam
Angelus autem nominis vocare aliquis tenuerit formarum.
Et qui in illis est , maiora sunt, ego saepe ad extraneas ,
Fingunt enim se perfectum , ignorant eorum saevitum ,
Num amor crustacea tam veteri quam in praedam , et mendicum ,
Quod minus quam tuum est , quam sumpsi eaque cibum ...
Est autem tarn coquina sicut clibanus tua vadit et ora
Ipse, ipse est extra te praemium virtutis tuae chores ,
Sicut enim res suo cuidam negotium , qui meretricem ... Lorem ipsum leve,
Putas praemium amaret , et mendicum , falli te .
Quid autem vocatis me alienum **** ... amor est malum , et hoc pudet,
Et similiter anima atque animus , quibus tandem corpus infirmare.
Vides tantum larva ... sub aspectu nisurum
Larva ut me in tenebris tenebris latet .
Circa collum tuum habebis , ut falsae aestimationis pendet a mortuis, et corona ,
Quia sterilis tibi relinquo mundum , Intenta ancillæ.
Consurgitur in excitate de reliquis abire tibi , qui sunt cognati mei
De manibus eorum procul offendant pedes vestri ?
Qui manet in coemeterio quasi mortui
Non tollere incorruptione Nimis tibi dubium .
Hue tacito lachrymis virgines flere ...
Ad mea, et robur , in quo praeda, gregibus rursum super vias hominum ,
Ad eos qui non ineptis metus mutetur ,
Aureus transmutare non magis quam plumbea nocte dies ;
Quod verum est de fine , qui scit ... Alchemist
Magistra rerum artes a me in profundum.
Ágite , quod sum aggressus creatura placet mutare ...
Ut res sunt nostrae demiurgorum lasciva oscula enim calidius ?

Omega Antiphon :
Non est autem in Utopia , non videtur quod ...
Donec ut nosmet ipsos cognoscimus prima quaerimus imaginem .
*** et in sacrificio sui ipsius , a volunt reddi obsequium ...
Qui ad reformandam et divina se , *** Leo renata agnus mitis !
Sicut in Christo, ex parte in qua invocatum est cicatrix, et vulneratus est ...
Sed simplex conversio ad dissimilis vultus nolui .
Memini dolore meo, ut acer et vehemens ...
Donee tantum possum emissus dolor servare sensu caret.
Quomodo potest aedificare paradisum non est, nisi in se mutant ;
Mutare ante mutatum esse non est in medio ; quae est in via .
Qua ad paradisum , et oportet eam, et non deficiunt,
Ne ad caelum, nisi quam nos aedificare illud infernum iniustitiis nos .
Utopia , non ruunt ad genus humanum, nisi a te, tu es qui habitavit ?
Nisi quod est extra omne malum quod in se corrumpunt ,
Manifestum enim est , nisi malum, quod mundatam ab omnibus malis moribus.
Tunc malitia faciatis abstulit senex super pluteo tom .
An non intellegat , quid est salvator ...
*** diceret quod non omne quod simplices filii ingredi
Regnum caelorum , et inde ad delectationem pertinere ...
Et quomodo potes perfrui , si tibi placet , cauillando crudelis ?
*** aurora tempore domini nituntur hominum planeta ...
Numquam imaginandi praecipiet ut discat primum voluntatis.
Non armorum vi , nec inutile mandatum ...
Sed *** modestia , et misericordia ; ergo qui ad cor suum in satietatem,
Gáudii innumerabiles et celebrationibus quae causa ?
Sed animus intendatur dolores peccatum lacus.
Ubi plausus rotundum vt quilibet sensus ?
Modernitatem iocabitur ullum definitum ornare.

Section III : sacrificium sui

Part I : ( hortos perditio )

A ziggurat sublatus est , arenosa in calidum lateres , quos coquetis in igne ...
Septem fabulae in caelum, sicut turris Babel ,
Quod in solitudinem, et in
This is how this poem is meant to be read. In it's original form.
Latin is nothing but the purest form of expression when it comes to language.
Dr Peter Lim  Sep 2015
SEASHELLS
Dr Peter Lim Sep 2015
SEASHELLS

Seashells
Humble shells of the sea
Each seems to be still alive and staring at me
In its matchless symmetry-
Like the wondrous beauty of a painting
A tender poem written with poignancy
Not of life’s sorrows but joys
For celebration –each is like a happy Mozartian symphony
Such perfection in a tiny manifestation
Natura in minimis maxima-
The envy of  Michelangelo or Da Vinci
Seashells—nature’s glorious gifts by far.

Seashells
Always remind me of happy childhood days
Lucky finds—spotted often in half -buried golden sand
Proudly displayed in a jar---I won every classmate’s praise.

Seashells
Tell of the sea’s unknown stories
Events that had stretched through millions of centuries
When you spot one on the shore, readily
Pick it up as a treasure----contemplate upon its profound mystery.
-
A few titles
A few songs
A few artists
Combine
for compound fractures
of my consciousness

For, lo, the ulcer just by nourishing
     Grows to more life with deep inveteracy,
     And day by day the fury swells aflame,
     And the woe waxes heavier day by day—
     Unless thou dost destroy even by new blows
     The former wounds of love, and curest them
     While yet they're fresh, by wandering freely round
     After the freely-wandering Venus, or
     Canst lead elsewhere the tumults of thy mind.

Yes, a swollen skin
fragmented bone
I walk
and flee her capture.
MMXII

— The End —