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Marco Bo Dec 2018
if I think about tomorrow I see an obstacle
if I see the obstacle I will try to overcome it
if I will overcome I will breathe a sigh of relief
if I will breathe a sigh of relief, I'll be alive
if I will be alive, the heart will beat
if the heart will beat
I will think about tomorrow
if I will think about tomorrow I will see an obstacle....

to live is to breathe a sigh of relief
.......................

se penso a domani

se penso a domani vedo un ostacolo
se vedo l'ostacolo proverò a superarlo
se lo superero tirerò un sospiro di sollievo
se tirerò un sospiro sarò vivo
se sarò vivo il cuore batterà
se il cuore batterà
pensero a domani
se penserò a domani vedro un ostacolo....

vivere è tirare un sospiro di sollievo
...................
si pienso en mañana

si pienso en mañana veo un obstáculo
si veo el obstáculo intentaré superarlo
si lo superaré respiraré un suspiro de alivio
si respirarè un suspiro de alivio, serè vivo
si yo seré vivo, el corazón latirá
si el corazón latirá
pensaré en mañana
si pensaré en mañana veré un obstáculo.....

vivir es respirar un suspiro de alivio
.............................

si je pense à demain, je vois un obstacle
si je vois l'obstacle je vais essayer de le surmonter
s'ils le surmontent, je vais pousser un soupir de soulagement
si je soupire
  Je serai en vie
si je suis en vie, le coeur battra
si le coeur va battre
Je penserai à demain
si je pense à demain, je verrai un obstacle......

vivre, c'est pousser un soupir de soulagement
Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l'aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! Allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
E in su l'aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre dè servi. E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.
Né mi diceva il cor che l'età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
Per invidia non già, che non mi tiene
Maggior di sé, ma perché tale estima
Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol dè malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch'** appresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l'allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell'arida vita unico fiore.
Viene il vento recando il suon dell'ora
Dalla torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
Dolce per sé; ma con dolor sottentra
Il pensier del presente, un van desio
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
Quella loggia colà, volta agli estremi
Raggi del dì; queste dipinte mura,
Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
Su romita campagna, agli ozi miei
Porser mille diletti allor che al fianco
M'era, parlando, il mio possente errore
Sempre, ov'io fossi. In queste sale antiche,
Al chiaror delle nevi, intorno a queste
Ampie finestre sibilando il vento,
Rimbombaro i sollazzi e le festose
Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno
Mistero delle cose a noi si mostra
Pien di dolcezza; indelibata, intera
Il garzoncel, come inesperto amante,
La sua vita ingannevole vagheggia,
E celeste beltà fingendo ammira.
O speranze, speranze; ameni inganni
Della mia prima età! Sempre, parlando,
Ritorno a voi; che per andar di tempo,
Per variar d'affetti e di pensieri,
Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
Son la gloria e l'onor; diletti e beni
Mero desio; non ha la vita un frutto,
Inutile miseria. E sebben vòti
Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
Il mio stato mortal, poco mi toglie
La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
A voi ripenso, o mie speranze antiche,
Ed a quel caro immaginar mio primo;
Indi riguardo il viver mio sì vile
E sì dolente, e che la morte è quello
Che di cotanta speme oggi m'avanza;
Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto
Consolarmi non so del mio destino.
E quando pur questa invocata morte
Sarammi allato, e sarà giunto il fine
Della sventura mia; quando la terra
Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
Fuggirà l'avvenir; di voi per certo
Risovverrammi; e quell'imago ancora
Sospirar mi farà, farammi acerbo
L'esser vissuto indarno, e la dolcezza
Del dì fatal tempererà d'affanno.
E già nel primo giovanil tumulto
Di contenti, d'angosce e di desio,
Morte chiamai più volte, e lungamente
Mi sedetti colà su la fontana
Pensoso di cessar dentro quell'acque
La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
Malor, condotto della vita in forse,
Piansi la bella giovanezza, e il fiore
Dè miei poveri dì, che sì per tempo
Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso
Sul conscio letto, dolorosamente
Alla fioca lucerna poetando,
Lamentai cò silenzi e con la notte
Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
In sul languir cantai funereo canto.
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia! ) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l'accolga e chiami?
Fugaci giorni! A somigliar d'un lampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
O Nerina! E di te forse non odo
Questi luoghi parlar? Caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa Terra natal: quella finestra,
Ond'eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
È deserta. Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,
E l'abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Quel confidente immaginar, quel lume
Di gioventù, quando spegneali il fato,
E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
L'antico amor. Se a feste anco talvolta,
Se a radunanze io movo, infra me stesso
Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
Tu non ti acconci più, tu più non movi.
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando alle fanciulle,
Dico: Nerina mia, per te non torna
Primavera giammai, non torna amore.
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,
Dico: Nerina or più non gode; i campi,
L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
Sospiro mio: passasti: e fia compagna
D'ogni mio vago immaginar, di tutti
I miei teneri sensi, i tristi e cari
Moti del cor, la rimembranza acerba.
Marco Bo Oct 2018
life is a small sigh
I know something about mine

I know it is sweet in the evening
I know it is a sip of fresh water in early Spring
I know that I have patience to wait for him beyond Winter
and that opening that door
you will see into my eyes this little sigh of mine
and placing the keys in their place, smiling, you will tell me
life is a small sigh
I know something about yours
-----------------------------------
è un piccolo sospiro la vita
io del mio qualcosa so

so che è dolce quando è sera
so che è un sorso di acqua fresca a inizio Primavera
so che ** pazienza di aspettarlo oltre l'Inverno
e che aprendo quella porta
tu lo vedrai nei miei occhi questo mio piccolo sospiro
e poggiando le chiavi di casa al loro posto sorridendo mi dirai
è un piccolo sospiro la vita
io del tuo qualcosa so
................

es un pequeño suspiro la vida
yo de lo mio algo sè

sé que es dulce por la noche
sé que es un sorbo de agua fresca a inicio Primavera.
sé que tengo paciencia para esperarlo por todo el Invierno.
y sè que al abrir esa puerta
tu lo verás en mis ojos ese pequeño suspiro
y dejando las llaves de casa en su lugar, sonriendo, me dirás
es un pequeño suspiro de vida
yo del tuyo algo sè
bk Feb 2015
I:
qualsiasi cosa veloce ed estrema mi attrae inevitabilmente. spesso&volentieri; penso agli incendi, agli scontri frontali, alle montagne russe, alle droghe sintetiche.
II:
io&te; in un pozzo di luce, tra piante esotiche e farfalle tropicali più grandi dei palmi delle nostre mani messe assieme. viviamo in questa casa di vetro da sei anni&abbiamo; dimenticato i nostri nomi.
III:
i fantasmi hanno smesso di esistere dal momento in cui hai smesso di esistere in ciò che sogno la notte. il mio cuore è disinfestato&i; suoi inquilini hanno tirato un sospiro di sollievo, spalancando le finestre.
IV*:
avevo sette anni quando ** trovato quei denti in giardino. li nascosi molto meglio&nessuno; ne ebbe più traccia.
E il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finché non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo dè provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? Che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.
Amici ci aspetta una barca e dondola
nella luce ove il cielo s'inarca
e tocca il mare, volano creature pazze ad amare
il viso d'Iddio caldo di speranza
in alto in basso cercando
affetto in ogni occulta distanza
e piangono: noi siamo in terra
ma ci potremo un giorno librare
esilmente piegare sul seno divino
come rose dai muri nelle strade odorose
sul ***** che le chiede senza voce.

Amici dalla barca si vede il mondo
e in lui una verità che precede
intrepida, un sospiro profondo
dalle foci alle sorgenti;
la Madonna dagli occhi trasparenti
scende adagio incontro ai morenti,
raccoglie il cumulo della vita, i dolori
le voglie segrete da anni sulla faccia inumidita.
Le ragazze alla finestra annerita
con lo sguardo verso i monti
non sanno finire d'aspettare l'avvenire.

Nelle stanze la voce materna
senza origine, senza profondità s'alterna
col silenzio della terra, è bella
e tutto par nato da quella.
naomivdwoodsen Nov 2013
3
Non scrivo di te
sei solo un sospiro
questa volta sono io
il capo dei miei movimenti
Nel mio giardino, là nel canto oscuro
dove ora il pettirosso tintinnìa,
col gelsomino rampicante al muro,
c'è la gaggìa;
e or che ottobre dentro la vermiglia
foresta il marzo rende morto al suolo,
e sembra marzo, come rassomiglia
bacca a bocciuolo,
alba a tramonto; nelle tenui trine
l'una si stringe, al roseo vespro, quando
l'altro i suoi fiori, candide stelline,
apre, alitando;
ed al sospiro dell'avemaria,
quando nel bosco dalle cime ****
il dì s'esala, il cuore in una pia
ombra si chiude;
e l'anima in quell'ombra di ricordi
apre corolle che imbocciar non vide;
e l'ombra di fior d'angelo e di fior di
spina sorride.
Dov'era la luna? Ché il cielo
notava in un'alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù:
veniva una voce dai campi:
chiù...
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com'eco d'un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento;
squassavano le cavallette
finissimi sistri d'argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s'aprono più?... );
e c'era quel pianto di morte...
chiù...
Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l'aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! Allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
E in su l'aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre dè servi. E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.
Né mi diceva il cor che l'età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
Per invidia non già, che non mi tiene
Maggior di sé, ma perché tale estima
Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol dè malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch'** appresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l'allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell'arida vita unico fiore.
Viene il vento recando il suon dell'ora
Dalla torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
Dolce per sé; ma con dolor sottentra
Il pensier del presente, un van desio
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
Quella loggia colà, volta agli estremi
Raggi del dì; queste dipinte mura,
Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
Su romita campagna, agli ozi miei
Porser mille diletti allor che al fianco
M'era, parlando, il mio possente errore
Sempre, ov'io fossi. In queste sale antiche,
Al chiaror delle nevi, intorno a queste
Ampie finestre sibilando il vento,
Rimbombaro i sollazzi e le festose
Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno
Mistero delle cose a noi si mostra
Pien di dolcezza; indelibata, intera
Il garzoncel, come inesperto amante,
La sua vita ingannevole vagheggia,
E celeste beltà fingendo ammira.
O speranze, speranze; ameni inganni
Della mia prima età! Sempre, parlando,
Ritorno a voi; che per andar di tempo,
Per variar d'affetti e di pensieri,
Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
Son la gloria e l'onor; diletti e beni
Mero desio; non ha la vita un frutto,
Inutile miseria. E sebben vòti
Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
Il mio stato mortal, poco mi toglie
La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
A voi ripenso, o mie speranze antiche,
Ed a quel caro immaginar mio primo;
Indi riguardo il viver mio sì vile
E sì dolente, e che la morte è quello
Che di cotanta speme oggi m'avanza;
Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto
Consolarmi non so del mio destino.
E quando pur questa invocata morte
Sarammi allato, e sarà giunto il fine
Della sventura mia; quando la terra
Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
Fuggirà l'avvenir; di voi per certo
Risovverrammi; e quell'imago ancora
Sospirar mi farà, farammi acerbo
L'esser vissuto indarno, e la dolcezza
Del dì fatal tempererà d'affanno.
E già nel primo giovanil tumulto
Di contenti, d'angosce e di desio,
Morte chiamai più volte, e lungamente
Mi sedetti colà su la fontana
Pensoso di cessar dentro quell'acque
La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
Malor, condotto della vita in forse,
Piansi la bella giovanezza, e il fiore
Dè miei poveri dì, che sì per tempo
Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso
Sul conscio letto, dolorosamente
Alla fioca lucerna poetando,
Lamentai cò silenzi e con la notte
Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
In sul languir cantai funereo canto.
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia! ) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l'accolga e chiami?
Fugaci giorni! A somigliar d'un lampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
O Nerina! E di te forse non odo
Questi luoghi parlar? Caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa Terra natal: quella finestra,
Ond'eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
È deserta. Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,
E l'abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Quel confidente immaginar, quel lume
Di gioventù, quando spegneali il fato,
E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
L'antico amor. Se a feste anco talvolta,
Se a radunanze io movo, infra me stesso
Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
Tu non ti acconci più, tu più non movi.
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando alle fanciulle,
Dico: Nerina mia, per te non torna
Primavera giammai, non torna amore.
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,
Dico: Nerina or più non gode; i campi,
L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
Sospiro mio: passasti: e fia compagna
D'ogni mio vago immaginar, di tutti
I miei teneri sensi, i tristi e cari
Moti del cor, la rimembranza acerba.
Come un'arca d'aromi oltremarini,
il santuario, a mezzo la scogliera,
esala ancora l'inno e la preghiera
tra i lunghi intercolunnii dè pini;
e trema ancor dè palpiti divini
che l'hanno scosso nella dolce sera,
quando dalla grand'abside severa
uscìa l'incenso in fiocchi cilestrini.
S'incurva in una luminosa arcata
il ciel sovr'esso: alle colline estreme
il Carro è fermo e spia l'ombra che sale.
Sale con l'ombra il suon d'una cascata
che grave nel silenzio sacro geme
con un sospiro eternamente uguale.
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avviò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
Del tutto ignari della nostra esistenza
voi navigate nei cieli aperti dei nostri limiti,
e delle nostre squallide ferite
voi fate un balsamo per le labbra di Dio.
Non vi è da parte nostra conoscenza degli angeli,
né gli angeli conosceranno mai il nostro martirio,
ma c'è una linea di infelicità come di un uragano
che separa noi dalla vostra stirpe.
Voi entrate nell'uragano dell'universo
come coloro che si gettano nell'inferno
e trovano il tremolo sospiro
di chi sta per morire
e di chi sta per nascere.
t May 2019
on a moonlight tryst
       i gave you my all,
       branches bending and bowing
       to Gaea.
       and her lover of the north-wind.
  
oh, autumn,
make me bare,
make me starve
          warm me, delight me.
love me thrice in the tenebrous
corners of the fairyland and bee hive.
                  
    the ichor rains down on us
  and gifts us wine for our roots
and un sospiro for our souls.

let’s dance all night,
         with a zephyr through our leaves,
         the inferno overlooked.

i will love you in winter,
with your polar spines and
bared back blues.

i will love you in spring,
in the whispers of Renaissance.
where youth awakens
in the sweet song of Helios’ new born.

and i will love you all the rest,
     as God wrote you just for me,
     a sonnet of youth and pulchritude
     a sonnet for the millennium,
     i will treasure for
     infinity.
Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l'aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! Allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
E in su l'aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre dè servi. E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.
Né mi diceva il cor che l'età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
Per invidia non già, che non mi tiene
Maggior di sé, ma perché tale estima
Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol dè malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch'** appresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l'allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell'arida vita unico fiore.
Viene il vento recando il suon dell'ora
Dalla torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
Dolce per sé; ma con dolor sottentra
Il pensier del presente, un van desio
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
Quella loggia colà, volta agli estremi
Raggi del dì; queste dipinte mura,
Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
Su romita campagna, agli ozi miei
Porser mille diletti allor che al fianco
M'era, parlando, il mio possente errore
Sempre, ov'io fossi. In queste sale antiche,
Al chiaror delle nevi, intorno a queste
Ampie finestre sibilando il vento,
Rimbombaro i sollazzi e le festose
Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno
Mistero delle cose a noi si mostra
Pien di dolcezza; indelibata, intera
Il garzoncel, come inesperto amante,
La sua vita ingannevole vagheggia,
E celeste beltà fingendo ammira.
O speranze, speranze; ameni inganni
Della mia prima età! Sempre, parlando,
Ritorno a voi; che per andar di tempo,
Per variar d'affetti e di pensieri,
Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
Son la gloria e l'onor; diletti e beni
Mero desio; non ha la vita un frutto,
Inutile miseria. E sebben vòti
Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
Il mio stato mortal, poco mi toglie
La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
A voi ripenso, o mie speranze antiche,
Ed a quel caro immaginar mio primo;
Indi riguardo il viver mio sì vile
E sì dolente, e che la morte è quello
Che di cotanta speme oggi m'avanza;
Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto
Consolarmi non so del mio destino.
E quando pur questa invocata morte
Sarammi allato, e sarà giunto il fine
Della sventura mia; quando la terra
Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
Fuggirà l'avvenir; di voi per certo
Risovverrammi; e quell'imago ancora
Sospirar mi farà, farammi acerbo
L'esser vissuto indarno, e la dolcezza
Del dì fatal tempererà d'affanno.
E già nel primo giovanil tumulto
Di contenti, d'angosce e di desio,
Morte chiamai più volte, e lungamente
Mi sedetti colà su la fontana
Pensoso di cessar dentro quell'acque
La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
Malor, condotto della vita in forse,
Piansi la bella giovanezza, e il fiore
Dè miei poveri dì, che sì per tempo
Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso
Sul conscio letto, dolorosamente
Alla fioca lucerna poetando,
Lamentai cò silenzi e con la notte
Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
In sul languir cantai funereo canto.
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia! ) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l'accolga e chiami?
Fugaci giorni! A somigliar d'un lampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
O Nerina! E di te forse non odo
Questi luoghi parlar? Caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa Terra natal: quella finestra,
Ond'eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
È deserta. Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,
E l'abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Quel confidente immaginar, quel lume
Di gioventù, quando spegneali il fato,
E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
L'antico amor. Se a feste anco talvolta,
Se a radunanze io movo, infra me stesso
Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
Tu non ti acconci più, tu più non movi.
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando alle fanciulle,
Dico: Nerina mia, per te non torna
Primavera giammai, non torna amore.
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,
Dico: Nerina or più non gode; i campi,
L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
Sospiro mio: passasti: e fia compagna
D'ogni mio vago immaginar, di tutti
I miei teneri sensi, i tristi e cari
Moti del cor, la rimembranza acerba.
Nel mio giardino, là nel canto oscuro
dove ora il pettirosso tintinnìa,
col gelsomino rampicante al muro,
c'è la gaggìa;
e or che ottobre dentro la vermiglia
foresta il marzo rende morto al suolo,
e sembra marzo, come rassomiglia
bacca a bocciuolo,
alba a tramonto; nelle tenui trine
l'una si stringe, al roseo vespro, quando
l'altro i suoi fiori, candide stelline,
apre, alitando;
ed al sospiro dell'avemaria,
quando nel bosco dalle cime ****
il dì s'esala, il cuore in una pia
ombra si chiude;
e l'anima in quell'ombra di ricordi
apre corolle che imbocciar non vide;
e l'ombra di fior d'angelo e di fior di
spina sorride.
E il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
Jackshit May 2019
L’aspro e suadente sospiro cauto sussurra:
Dolce una litania intona,
Mentre la coscienza si annulla
E lo spirito ritrova la sua corona.

Cresce il ricordo di un desiderio
Sepolto da convenzioni,
Porto ultimo di un mistero,
Che ammassa e rovina costrizioni.

Crea piacere nel dolore,
E dolore nel piacere.
Icore ramato, si diffonde l’odore.
Così si rafforza un potere,

Potere d’amore,
D’amore odioso e perverso.
Utilità d’onore,
D’onore perso.
Nel mio giardino, là nel canto oscuro
dove ora il pettirosso tintinnìa,
col gelsomino rampicante al muro,
c'è la gaggìa;
e or che ottobre dentro la vermiglia
foresta il marzo rende morto al suolo,
e sembra marzo, come rassomiglia
bacca a bocciuolo,
alba a tramonto; nelle tenui trine
l'una si stringe, al roseo vespro, quando
l'altro i suoi fiori, candide stelline,
apre, alitando;
ed al sospiro dell'avemaria,
quando nel bosco dalle cime ****
il dì s'esala, il cuore in una pia
ombra si chiude;
e l'anima in quell'ombra di ricordi
apre corolle che imbocciar non vide;
e l'ombra di fior d'angelo e di fior di
spina sorride.
D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finché non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo dè provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? Che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.
D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finché non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo dè provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? Che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.
Dov'era la luna? Ché il cielo
notava in un'alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù:
veniva una voce dai campi:
chiù...
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com'eco d'un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento;
squassavano le cavallette
finissimi sistri d'argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s'aprono più?... );
e c'era quel pianto di morte...
chiù...
Amici ci aspetta una barca e dondola
nella luce ove il cielo s'inarca
e tocca il mare, volano creature pazze ad amare
il viso d'Iddio caldo di speranza
in alto in basso cercando
affetto in ogni occulta distanza
e piangono: noi siamo in terra
ma ci potremo un giorno librare
esilmente piegare sul seno divino
come rose dai muri nelle strade odorose
sul ***** che le chiede senza voce.

Amici dalla barca si vede il mondo
e in lui una verità che precede
intrepida, un sospiro profondo
dalle foci alle sorgenti;
la Madonna dagli occhi trasparenti
scende adagio incontro ai morenti,
raccoglie il cumulo della vita, i dolori
le voglie segrete da anni sulla faccia inumidita.
Le ragazze alla finestra annerita
con lo sguardo verso i monti
non sanno finire d'aspettare l'avvenire.

Nelle stanze la voce materna
senza origine, senza profondità s'alterna
col silenzio della terra, è bella
e tutto par nato da quella.
Del tutto ignari della nostra esistenza
voi navigate nei cieli aperti dei nostri limiti,
e delle nostre squallide ferite
voi fate un balsamo per le labbra di Dio.
Non vi è da parte nostra conoscenza degli angeli,
né gli angeli conosceranno mai il nostro martirio,
ma c'è una linea di infelicità come di un uragano
che separa noi dalla vostra stirpe.
Voi entrate nell'uragano dell'universo
come coloro che si gettano nell'inferno
e trovano il tremolo sospiro
di chi sta per morire
e di chi sta per nascere.
Del tutto ignari della nostra esistenza
voi navigate nei cieli aperti dei nostri limiti,
e delle nostre squallide ferite
voi fate un balsamo per le labbra di Dio.
Non vi è da parte nostra conoscenza degli angeli,
né gli angeli conosceranno mai il nostro martirio,
ma c'è una linea di infelicità come di un uragano
che separa noi dalla vostra stirpe.
Voi entrate nell'uragano dell'universo
come coloro che si gettano nell'inferno
e trovano il tremolo sospiro
di chi sta per morire
e di chi sta per nascere.
Amici ci aspetta una barca e dondola
nella luce ove il cielo s'inarca
e tocca il mare, volano creature pazze ad amare
il viso d'Iddio caldo di speranza
in alto in basso cercando
affetto in ogni occulta distanza
e piangono: noi siamo in terra
ma ci potremo un giorno librare
esilmente piegare sul seno divino
come rose dai muri nelle strade odorose
sul ***** che le chiede senza voce.

Amici dalla barca si vede il mondo
e in lui una verità che precede
intrepida, un sospiro profondo
dalle foci alle sorgenti;
la Madonna dagli occhi trasparenti
scende adagio incontro ai morenti,
raccoglie il cumulo della vita, i dolori
le voglie segrete da anni sulla faccia inumidita.
Le ragazze alla finestra annerita
con lo sguardo verso i monti
non sanno finire d'aspettare l'avvenire.

Nelle stanze la voce materna
senza origine, senza profondità s'alterna
col silenzio della terra, è bella
e tutto par nato da quella.
Come un'arca d'aromi oltremarini,
il santuario, a mezzo la scogliera,
esala ancora l'inno e la preghiera
tra i lunghi intercolunnii dè pini;
e trema ancor dè palpiti divini
che l'hanno scosso nella dolce sera,
quando dalla grand'abside severa
uscìa l'incenso in fiocchi cilestrini.
S'incurva in una luminosa arcata
il ciel sovr'esso: alle colline estreme
il Carro è fermo e spia l'ombra che sale.
Sale con l'ombra il suon d'una cascata
che grave nel silenzio sacro geme
con un sospiro eternamente uguale.
Dov'era la luna? Ché il cielo
notava in un'alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù:
veniva una voce dai campi:
chiù...
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com'eco d'un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento;
squassavano le cavallette
finissimi sistri d'argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s'aprono più?... );
e c'era quel pianto di morte...
chiù...
E il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
Come un'arca d'aromi oltremarini,
il santuario, a mezzo la scogliera,
esala ancora l'inno e la preghiera
tra i lunghi intercolunnii dè pini;
e trema ancor dè palpiti divini
che l'hanno scosso nella dolce sera,
quando dalla grand'abside severa
uscìa l'incenso in fiocchi cilestrini.
S'incurva in una luminosa arcata
il ciel sovr'esso: alle colline estreme
il Carro è fermo e spia l'ombra che sale.
Sale con l'ombra il suon d'una cascata
che grave nel silenzio sacro geme
con un sospiro eternamente uguale.

— The End —