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Danielle Furtado Aug 2014
Acorda e já não sabe quem é, mas que diferença faz quando não se quer ser alguém?
O cigarro queima enquanto pensa em respostas para a vida, meio dia. A fumaça preenche o vazio e alivia a ânsia que as dúvidas causam, enjoada pela própria ignorância, por mais que tente saber tudo, não sabe nada. Então percebe todas as pessoas indo aos seus destinos, como fantasmas, ninguém as nota, nem elas mesmas, é tudo automático e ninguém realmente sabe o que está fazendo. Qualquer obstáculo no caminho para o trabalho é razão para dizer que o dia foi terrível, pois digo que terrível é fazer o mesmo caminho todos os dias, voltar para casa e receber o olhar frio das pessoas que também tiveram um dia "terrível".
O cigarro está quase no fim e acende outro logo em seguida, morrer cedo não é problema para alguém assim, então pensa em por que as pessoas querem envelhecer se todos os dias delas são iguais, semanas redundantes que se transformam em anos redundantes, vidas irrelevantes. Todos estão correndo para pagar seus impostos, todos estão preocupados em comprar móveis novos para suprir uma casa cheia de solidão. Uma televisão enorme ligada para o nada, fingir que não estamos sozinhos. Todos com tanto medo de irem contra o fluxo, gente desinteressante que acha o interessante esquisito.
Gente que morre sem ler poesia.
D. Furtado
Gee Ch Apr 2015
¿Qué pensas?
Decime
Veo tu mirada divagar,
se que estas pensando en
eso

¿Por qué no me lo decis?
Quiero escucharlo de vos,
no tener que imaginarlo
mucho menos descifrarlo

Decime,
¿qué pensas?
Espero que sea en mi
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.
Già tutta l'aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù dà colli e dà tetti,
Al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
È come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vò; ma la tua festa
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
tangshunzi Jun 2014
<p><p> Questo matrimonio è follemente bello .Ma non è sorprendente.considerando che è un oro .rosa e rosso infuso bellezza culturale realizzato da una squadra di talento seriamente di venditori Texas .Pensa Posey floreali e progettazione di eventi .Caroline + Ben Fotografia e 36th Street Events .tutti insieme per creare una giornata che mette in evidenza il vero amore e uno dei duo più simpatico che abbia mai incontrato .Vedi tutto qui nella piena galleria .<p><p> E un film dolce da photohouse Films .impressionante .Si prega di aggiornare il tuo <p> browserColorsSeasonsSpringSettingsBallroomResortStylesCultural Beauty Dalla Sposa .Ci siamo incontrati a Tokyo nel 2005. Eravamo entrambi insegnamento della lingua inglese .Eravamo buoni amici in un primo momento .ma entrambi sapevamo che c'era qualcosa di più ad esso e nel 2006 siamo diventati una coppia .<p> nostro tema iniziato come "leggero" .ma penso che come è progredito quando abbiamo trovato la nostra citazione ( "Siamo andati a trovare noi stessi e abbiamo trovato l'altro" ).e che è diventato il tema .come era nei nostri inviti.il nostro segnoe il nostro video.<p> Abbiamo fatto i segni della barra ( " Sei Reddy per una notte Phull di divertimento?" ) .i segni tavolo escort e carte di escort che si basavano sulla skyline delle nostre rispettive città di provenienza (Londra .Chicago ) e la città cheincontrato a ( Tokyo) .<p> nostro planner Beth fece il segno principale tendone che è stato il fulcro per la <b>abiti da sposa corti</b>  camera .Conteneva la nostra citazione - "Siamo andati a trovare noi stessi e abbiamo trovato l'un l'altro . "<p> Abbiamo comprato qualche nuvoletta bianca e pannelli di gesso da Etsy  <a href="http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-corti-c-49"><b>abiti da sposa corti</b></a>  così le persone possono scrivere i loro consigli coniugale e scattare foto di se stessi .<p> Abbiamo anche chiesto un amico a mettere insieme un video di immagini di noi che crescono con i nostri amici e le famiglie e poi noi insieme con i reciproci amici e famiglie che abbiamo giocato prima del nostro ingresso alla sala di ricevimento .<p> Abbiamo trovato avere un wedding planner è stata la chiave .Soprattutto visto come fosse un matrimonio posizione.Inoltre .abbiamo usato il sito wedsimple.com per mantenere i nostri clienti informati attraverso il nostro sito .per fare le nostre RSVP e tenere sotto controllo che stava arrivando .Il mio momento preferito della giornata è stata capolino attraverso le porte appena prima del nostro ingresso nella hall della reception .a guardare tutti i nostri ospiti ridere ( e piangere ) al nostro video. <p> Mia più grande pezzo di consulenza per le spose e sposi pianificare il loro matrimonio oggi: non ti accontentare tutti .Non  <p><a href="http://www.belloabito.com/goods.php?id=575" target="blank"><img width="240" height="320" src="http://188.138.88.219/imagesld/td//t35/productthumb/1/1957335353535394817.jpg"></a></p>  cercare di .<p> Fotografo: Caroline + Ben Fotografia | dell'artista: photohouse Film | Wedding Planner : 36th Street  <a href="http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-c-1"><b>vestiti da sposa</b></a>  Eventi | Fiorista : Posey floreale e Design Event | Dress : Ritu Kumar | Scarpe : Nine West | Catering : Barton Creek Resort \u0026 Spa | Illuminazione:Illios Illuminazione | vestito dello sposo : Jaeger | Cerimonia di Set - up : Prashe | Hair \u0026 Make-up : Pearl Hair \u0026 Make-up Studio | lino.Chairs \u0026 Piatti : Marquee affitti | Luogo : Barton Creek Resort \u0026 SpaMarquee Event Group .36th Street Eventi e Posey floreale e progettazione di eventi fanno parte del nostro Little Black Book .Scopri come i membri sono scelti visitando la nostra pagina delle FAQ .Marquee Group Event vedi portfolio 36th Street Eventi vedi portfolio Posey floreale e Event Design VIEW</p>
Colorful Matrimonio indiano_abiti da sposa on line
Victor Marques Dec 2009
Nós e a universo

O futuro será o que a mente pensa,
Procuro resposta ao meu passado,
Do meu interior rebuscado,
Acção e boa esperança….


Fecham-se janelas, portas se abrem,
Com boas razões e motivos,
Estradas direitas e por vezes tortas,
Pensamentos sempre positivos.


O ser humano se fustiga e consome,
As estrelas, as montanhas e o mar,
Sentem o seu próprio nome,
Nós somos navegadores  sem navegar….

Victor Marques
Soterrados locais de nascimento,
Por entre as brumas do chorar ficaram
Perdidos neste Tempo que não tem espaço
Achados no centro do Lodo que encontraram.
Espécie de dor ridicularizado ao Poente
Loucura mórbida de um Amor quase doente
Pisados por uma crença animal
Enganados por uma vida que não é real.
E aqueles que com uma corda fazem o seu caminho
E na árvore penduram a sua alma devagarinho
Morte lenta para quem a tem
Muito Rápida para quem a vê.
E não sabemos nos que também morremos aos poucos
A cada dia perdemos um pedaço de carne do Ser
Por cada noite gasta um turbilhão de vidas por nascer.
E se somos a carne do pobre pensante
Achemo-nos dignos de crer na inexistência do senhor
Que pensa que nos tem mais que amor
Que nos da e tira o fôlego só por crer.
E na missa ajoelhados os pobres coitados
Rezando cada um para a a sua amargura
Filhos de um pai que não os segura
Descendentes dos filhos da Terra, mortais.
E aos céus elevam os braços por Ele
E matam e esfolam os seus irmãos em seu nome
E dizem que ele é Amor, e paz, e compaixão
E por pecarem e errarem pedem perdão.
E esta vida a que condenados somos
Sem pedirmos o nascer nem o morrer
Vamos todos em fila para a câmara ardente
Não vendo nunca o nosso expoente.
Procuramos o eterno sentir e o poder
Não sabendo realmente o que é viver
E a cada fôlego perdemos as forças
E a esperança num futuro sossega-nos a morte.
E para aqueles que iluminado esta o caminho
A morte é mais rápida que o dia
A luz mostra a direcção a tomar
E o sentido da rua é ficar sem Ar.
Definhar.
Ribaciami in uno stelo
di amore
e pensa alla giovinezza che mi
prende e mi ha lasciato sola
per lunghi anni.
EM Jun 2014
les deux filles se tenaient maintenant debout face a face. elles avaient l'air plus calmées mais ça en était pas le cas. une atmosphère inconfortable régnait dans la chambre et rien ne se fessait entendre appart les gouttelettes de pluie qui frôlaient furieusement les vitres des fenêtres. plusieurs minutes se passaient lourdement en silence.
"je suis folle amoureuse de lui!" hurla enfin Neira
Esra garda le silence, elle ne préférait pas répondre et n'avait rien a dire en tout cas. elle étais mal à l'aise avec le fait qu'une autre était amoureuse de lui. lui. cet homme impardonnable. elle reçoit presque chaque semaine une histoire le concernant; une histoire qui lui fessait douter de leur relation de plus en plus, une histoire qui fessait diminuer son respect pour lui de plus en plus. cet homme qu'elle a cru être différent c'est avérait similaire aux autres cons si'il n'était pas encore pire. "je n'ai jamais su les choisir" se dit-elle. elle regarda Neira qui avais les yeux larmoyants avec pitié. "pauvre petite" pensa-elle. elle ressentait une certaine culpabilité pour cette situations. si elle n'avait pas bourrer son nez dans les affaires des autre, elle ne serait pas la en ce moment, elle n'aurait pas su cette histoire et elle n'aurait pas briser le cœur de cette fille. oui elle aurait préféré ne pas savoir. un proverbe anglais disait que ce que nous ne savons pas ne nous fait pas mal; et elle y croie forment. elle était sur qu'il y'avait encore plein de choses et de drame sur lui qu'elle ne savait pas et elle en était satisfaite, parce qu’elle savait qu'elle ne pourrais jamais s’éloigner de lui quelque soit ce qu'elle découvre sur lui et que savoir de nouvelle histoire pareils sur lui ne lui donnerait rien appart une autre déchirure au cœur sans avoir la force de le quitter. les paroles de neira la sorti de ses pensées "mon cœur est grand, disait cette dernière. plus grande que tu ne puisse imaginer, je ne veux causer des problèmes a personne et j'ai compris que tu l'aime alors je vais vous laisser tranquille." elle attendit une réaction ou une parole de la part d'Esra mais celle ci la regardait avec un détacher sans dire un mot, comme si elle n'avait rien dit. elle supporta son regard pour quelque moment puis sortis brusquement sans rien dire non plus. Esra resta toute seule. elle se posa nonchalamment sur le canapé le plus proche. elle était contente que l'autre soit partie. elle se rappela d'un film qu'elle a vu qui racontait l'histoire d'un garçon qui au qu'on croirait au début être la victime d'une fille sans pitié qui lui a briser le cœur mais qui s'est avérait a la fin être le contraire une histoire compliqué qui a montré a Esra comment les apparence sont trompeuse. au début elle voulait juste parler a cette fille pour lui dire de s’éloigne de lui parce qu'elle l’ennuyer, elle croyait que c'était une gamine qui se collait a lui comme les autres mais après toute une autre histoire a exploser.. mais elle aime encore autant. elle allume une cigarette et prends son portable pour composer son numéro, mais elle n'as pas eu le courage de l'appeler, tant pis. elle se leva et pris la bouteille de whisky mise sur la table  puis monta au toit et s'assis au bord du bâtiment. elle n'avait pas peur, elle ne sentait rien elle pensait juste qu'elle s'est trouver beaucoup trop de fois dans une situation pareils avec une douleur pareils a cause de lui et elle ne savait pas quoi en faire. elle resta ainsi un long temps assise sur le bord du toit le paquet de cigarettes a sa droite, la bouteille et le portable a sa gauche tanto elle buvait, tantot elle fumait en regardant le coucher du soleil et les larmes coulait a flots de ses yeux sans qu'elle ne rends même compte. soudainement elle entendis un voix qu'elle distinguerait entre mille.
"Esra." disait la voix d'un calme insupportable. c'était lui. sa présence la rendait heureuse et attristé en même temps elle se tourna vers lui sans répondre alors il ajouta "qu'est ce que tu fais? viens." elle se leva et allait vers  lui. il souria. elle fondut dans ses bras. "pourquoi me fais tu ça? pourquoi? je ne le mérite pas et tu le sais." il ne répondis pas. la nuit se passa trés douce pour Esra entre ses bras, il lui a tout fait oublier par une simple enlaçade et elle a su ce qu'elle allait faire, elle allait faire la même chose que toujours, elle allait le pardonner et continuer a l'aimer en attendant qu'il fasse de meme. parce que l'amour ne vous laisse pas de choix.
I


J'ai toujours voulu voir du pays, et la vie

Que mène un voyageur m'a toujours fait envie.

Je me suis dit cent fois qu'un demi-siècle entier

Dans le même logis, dans le même quartier ;

Que dix ans de travail, dix ans de patience

A lire les docteurs et creuser leur science,

Ne valent pas six mois par voie et par chemin,

Six mois de vie errante, un bâton à la main.

- Eh bien ! me voici prêt, ma valise est remplie ;

Où vais-je ! - En Italie. - Ah, fi donc ! l'Italie !

Voyage de badauds, de beaux fils à gants blancs.

Qui vont là par ennui, par ton, comme à Coblentz,

En poste, au grand galop, traversant Rome entière,

Et regardent ton ciel, Naples, par la portière.

- Mais ce que je veux, moi, voir avant de mourir,

Où je veux à souhait rêver, chanter, courir.

C'est l'Espagne, ô mon cœur ! c'est l'hôtesse des Maures,

Avec ses orangers et ses frais sycomores,

Ses fleuves, ses rochers à pic, et ses sentiers

Où s'entendent, la nuit, les chants des muletiers ;

L'Espagne d'autrefois, seul débris qui surnage

Du colosse englouti qui fut le moyen âge ;

L'Espagne et ses couvents, et ses vieilles cités

Toutes ceintes de murs que l'âge a respectés ;

Madrid. Léon, Burgos, Grenade et cette ville

Si belle, qu'il n'en est qu'une au monde. Séville !

La ville des amants, la ville des jaloux,

Fière du beau printemps de son ciel andalou,

Qui, sous ses longs arceaux de blanches colonnades,

S'endort comme une vierge, au bruit des sérénades.

Jusqu'à tant que pour moi le jour se soit levé

Où je pourrai te voir et baiser ton pavé,

Séville ! c'est au sein de cette autre patrie

Que je veux, mes amis, mettre, ma rêverie ;

C'est là que j'enverrai mon âme et chercherai

De doux récits d'amour que je vous redirai.


II


A Séville autrefois (pour la date il n'importe),

Près du Guadalquivir, la chronique rapporte

Qu'une dame vivait, qui passait saintement

Ses jours dans la prière et le recueillement :

Ses charmes avaient su captiver la tendresse

De l'alcade, et c'était, comme on dit, sa maîtresse ;

Ce qui n'empêchait pas que son nom fût cité

Comme un exemple à tous d'austère piété.

Car elle méditait souvent les évangiles,

Jeûnait exactement quatre-temps et vigiles.

Communiait à Pâque, et croyait fermement

Que c'est péché mortel d'avoir plus d'un amant

A la fois. Ainsi donc, en personne discrète.

Elle vivait au fond d'une obscure retraite,

Toute seule et n'ayant de gens dans sa maison

Qu'une duègne au-delà de l'arrière-saison,

Qu'on disait avoir eu, quand elle était jolie.

Ses erreurs de jeunesse, et ses jours de folie.

Voyant venir les ans, et les amans partir,

En femme raisonnable elle avait cru sentir

Qu'en son âme, un beau jour, était soudain venue

Une vocation jusqu'alors inconnue ;

Au monde, qui fuyait, elle avait dit adieu,

Et pour ses vieux péchés s'était vouée à Dieu.


Une fois, au milieu d'une de ces soirées

Que prodigue le ciel à ces douces contrées,

Le bras nonchalamment jeté sur son chevet,

Paquita (c'est le nom de la dame) rêvait :

Son œil s'était voilé, silencieux et triste ;

Et tout près d'elle, au pied du lit, sa camariste

Disait dévotement, un rosaire à la main,

Ses prières du soir dans le rite romain.

Voici que dans la rue, au pied de la fenêtre,

Un bruit se fit entendre ; elle crut reconnaître

Un pas d'homme, prêta l'oreille ; en ce moment

Une voix s'éleva qui chantait doucement :


« Merveille de l'Andalousie.

Étoile qu'un ange a choisie

Entre celles du firmament,

Ne me fuis pas ainsi ; demeure,

Si tu ne veux pas que je meure

De désespoir, en te nommant !


J'ai visité les Asturies,

Aguilar aux plaines fleuries,

Tordesillas aux vieux manoirs :

J'ai parcouru les deux Castilles.

Et j'ai bien vu sous les mantilles

De grands yeux et des sourcils noirs :


Mais, ô lumière de ma vie,

Dans Barcelone ou Ségovie,

Dans Girone au ciel embaumé,

Dans la Navarre ou la Galice,

Je n'ai rien vu qui ne pâlisse

Devant les yeux qui m'ont charmé ! »


Quand la nuit est bien noire, et que toute la terre,

Comme de son manteau, se voile de mystère,

Vous est-il arrivé parfois, tout en rêvant,

D'ouïr des sons lointains apportés par le vent ?

Comme alors la musique est plus douce ! Il vous semble

Que le ciel a des voix qui se parlent ensemble,

Et que ce sont les saints qui commencent en chœur

Des chants qu'une autre voix achève dans le cœur.

- A ces sons imprévus, tout émue et saisie,

La dame osa lever un coin de jalousie

Avec précaution, et juste pour pouvoir

Découvrir qui c'était, mais sans se laisser voir.

En ce moment la lune éclatante et sereine

Parut au front des cieux comme une souveraine ;

A ses pâles rayons un regard avait lui,

Elle le reconnut, et dit : « C'est encor lui ! »

C'était don Gabriel, que par toute la ville

On disait le plus beau cavalier de Séville ;

Bien fait, de belle taille et de bonne façon ;

Intrépide écuyer et ferme sur l'arçon,

Guidant son andalou avec grâce et souplesse,

Et de plus gentilhomme et de haute noblesse ;

Ce que sachant très bien, et comme, en s'en allant,

Son bonhomme de père avait eu le talent

De lui laisser comptant ce qu'il faut de richesses

Pour payer la vertu de plus de cent duchesses,

Il allait tête haute, en homme intelligent

Du prix de la noblesse unie avec l'argent.

Mais quand le temps d'aimer, car enfin, quoi qu'on dit,

Il faut tous en passer par cette maladie,

Qui plus tôt, qui plus **** ; quand ce temps fut venu,

Et qu'un trouble arriva jusqu'alors inconnu,

Soudain il devint sombre : au fond de sa pensée

Une image de femme un jour était passée ;

Il la cherchait partout. Seul, il venait s'asseoir

Sous les arbres touffus d'Alaméda, le soir.

A cette heure d'amour où la terre embrasée

Voit son sein rafraîchir sous des pleurs de rosée.

Un jour qu'il était là, triste, allant sans savoir

Où se portaient ses pas, et regardant sans voir,

Une femme passa : vision imprévue.

Qu'il reconnut soudain sans l'avoir jamais vue !

C'était la Paquita : c'était elle ! elle avait

Ces yeux qu'il lui voyait, la nuit, quand il rêvait.

Le souris, la démarche et la taille inclinée

De l'apparition qu'il avait devinée.

Il est de ces moments qui décident des jours

D'un homme ! Depuis lors il la suivait toujours,

Partout, et c'était lui dont la voix douce et tendre

Avait trouvé les chants qu'elle venait d'entendre.


III


Comment don Gabriel se fit aimer, comment

Il entra dans ce cœur tout plein d'un autre amant,

Je n'en parlerai pas, lecteur, ne sachant guère,

Depuis qu'on fait l'amour, de chose plus vulgaire ;

Donc, je vous en fais grâce, et dirai seulement,

Pour vous faire arriver plus vite au dénouement.

Que la dame à son tour. - car il n'est pas possible

Que femme à tant d'amour garde une âme insensible,

- Après avoir en vain rappelé sa vertu.

Avoir prié longtemps, et longtemps combattu.

N'y pouvant plus tenir, sans doute, et dominée

Par ce pouvoir secret qu'on nomme destinée,

Ne se contraignit plus, et cessa d'écouter

Un reste de remords qui voulait l'arrêter :

Si bien qu'un beau matin, au détour d'une allée,

Gabriel vit venir une duègne voilée,

D'un air mystérieux l'aborder en chemin,

Regarder autour d'elle, et lui prendre la main

En disant : « Une sage et discrète personne,

Que l'on ne peut nommer ici, mais qu'on soupçonne

Vous être bien connue et vous toucher de près,

Mon noble cavalier, me charge tout exprès

De vous faire savoir que toute la soirée

Elle reste au logis, et serait honorée

De pouvoir vous apprendre, elle-même, combien

A votre seigneurie elle voudrait de bien. »


Banquiers, agents de change, épiciers et notaires,

Percepteurs, contrôleurs, sous-chefs de ministères

Boutiquiers, électeurs, vous tous, grands et petits.

Dans les soins d'ici-bas lourdement abrutis,

N'est-il pas vrai pourtant que, dans cette matière,

Où s'agite en tous sens votre existence entière.

Vous n'avez pu flétrir votre âme, et la fermer

Si bien, qu'il n'y demeure un souvenir d'aimer ?

Oh ! qui ne s'est, au moins une fois dans sa vie,

D'une extase d'amour senti l'âme ravie !

Quel cœur, si desséché qu'il soit, et si glacé,

Vers un monde nouveau ne s'est point élancé ?

Quel homme n'a pas vu s'élever dans les nues

Des chœurs mystérieux de vierges demi-nues ;

Et lorsqu'il a senti tressaillir une main,

Et qu'une voix aimée a dit tout bas : « Demain »,

Oh ! qui n'a pas connu cette fièvre brûlante,

Ces imprécations à l'aiguille trop lente,

Et cette impatience à ne pouvoir tenir

En place, et comme un jour a de mal à finir !

- Hélas ! pourquoi faut-il que le ciel nous envie

Ces instants de bonheur, si rares dans la vie,

Et qu'une heure d'amour, trop prompte à s'effacer,

Soit si longue à venir, et si courte à passer !


Après un jour, après un siècle entier d'attente,

Gabriel, l'œil en feu, la gorge haletante,

Arrive ; on l'attendait. Il la vit, - et pensa

Mourir dans le baiser dont elle l'embrassa.


IV


La nature parfois a d'étranges mystères !


V


Derrière le satin des rideaux solitaires

Que s'est-il donc passé d'inouï ? Je ne sais :

On entend des soupirs péniblement poussés.

Et soudain Paquita s'écriant : « Honte et rage !

Sainte mère de Dieu ! c'est ainsi qu'on m'outrage !

Quoi ! ces yeux, cette bouche et cette gorge-là,

N'ont de ce beau seigneur obtenu que cela !

Il vient dire qu'il m'aime ! et quand je m'abandonne

Aux serments qu'il me fait, grand Dieu ! que je me donne,

Que je risque pour lui mon âme, et je la mets

En passe d'être un jour damnée à tout jamais,

'Voilà ma récompense ! Ah ! pour que tu réveilles

Ce corps tout épuisé de luxure et de veilles,

Ma pauvre Paquita, tu n'es pas belle assez !

Car, ne m'abusez pas, maintenant je le sais.

Sorti d'un autre lit, vous venez dans le nôtre

Porter des bras meurtris sous les baisers d'une autre :

Elle doit s'estimer heureuse, Dieu merci.

De vous avoir pu mettre en l'état que voici.

Celle-là ! car sans doute elle est belle, et je pense

Qu'elle est femme à valoir qu'on se mette en dépense !

Je voudrais la connaître, et lui demanderais

De m'enseigner un peu ses merveilleux secrets.

Au moins, vous n'avez pas si peu d'intelligence

De croire que ceci restera sans vengeance.

Mon illustre seigneur ! Ah ! l'aimable roué !

Vous apprendrez à qui vous vous êtes joué !

Çà, vite en bas du lit, qu'on s'habille, et qu'on sorte !

Certes, j'espère bien vous traiter de la sorte

Que vous me connaissiez, et de quel châtiment

La Paquita punit l'outrage d'un amant ! »


Elle parlait ainsi lorsque, tout effarée,

La suivante accourut : « A la porte d'entrée,

L'alcade et trois amis, qu'il amenait souper,

Dit-elle, sont en bas qui viennent de frapper !

- Bien ! dit la Paquita ; c'est le ciel qui l'envoie !

- Ah ! señora ! pour vous, gardez que l'on me voie !

- Au contraire, dit l'autre. Allez ouvrir ! merci.

Mon Dieu ; je t'appelais, Vengeance ; te voici ! »

Et sitôt que la duègne en bas fut descendue,

La dame de crier : « A moi ! je suis perdue !

Au viol ! je me meurs ! au secours ! au secours !

Au meurtre ! à l'assassin ! Ah ! mon seigneur, accours ! »

Tout en disant cela, furieuse, éperdue,

Au cou de Gabriel elle s'était pendue.

Le serrait avec rage, et semblait repousser

Ses deux bras qu'elle avait contraints à l'embrasser ;

Et lui, troublé, la tête encor tout étourdie,

Se prêtait à ce jeu d'horrible comédie,

Sans deviner, hélas ! que, pour son châtiment,

C'était faire un prétexte et servir d'instrument !


L'alcade cependant, à ces cris de détresse,

Accourt en toute hâte auprès de sa maîtresse :

« Seigneur ! c'est le bon Dieu qui vous amène ici ;

Vengez-vous, vengez-moi ! Cet homme que voici,

Pour me déshonorer, ce soir, dans ma demeure...

- Femme, n'achevez pas, dit l'alcade ; qu'il meure !

- Qu'il meure ; reprit-elle. - Oui ; mais je ne veux pas

Lui taire de ma main un si noble trépas ;

Çà, messieurs, qu'on l'emmène, et que chacun pâlisse

En sachant à la fois le crime et le supplice ! »

Gabriel, cependant, s'étant un peu remis.

Tenta de résister ; mais pour quatre ennemis,

Hélas ! il était seul, et sa valeur trompée

Demanda vainement secours à son épée ;

Elle s'était brisée en sa main : il fallut

Se rendre, et se soumettre à tout ce qu'on voulut.


Devant la haute cour on instruisit l'affaire ;

Le procès alla vite, et quoi que pussent faire

Ses amis, ses parents et leur vaste crédit.

Qu'au promoteur fiscal don Gabriel eût dit :

« C'est un horrible piège où l'on veut me surprendre.

Un crime ! je suis noble, et je dois vous apprendre,

Seigneur, qu'on n'a jamais trouvé dans ma maison

De rouille sur l'épée ou de tache au blason !

Seigneur, c'est cette femme elle-même, j'en jure

Par ce Christ qui m'entend et punit le parjure.

Qui m'avait introduit dans son appartement ;

Et comment voulez-vous qu'à pareille heure ?... - Il ment !

Disait la Paquita ; d'ailleurs la chose est claire.

J'ai mes témoins : il faut une peine exemplaire.

Car je vous l'ai promis, et qu'un juste trépas

Me venge d'un affront que vous n'ignorez pas ! »


VI


Or, s'il faut maintenant, lecteur, qu'on vous apprenne -

La fin de tout ceci, par la cour souveraine

Il fut jugé coupable à l'unanimité ;

Et comme il était noble, il fut décapité.
Le dicevano: - Bambina!
Che tu non lasci mai stesa,
dalla sera alla mattina,
ma porta dove l'hai presa,
la tovaglia bianca, appena
ch'è terminata la cena!
Bada, che vengono i morti!
I tristi, i pallidi morti!
Entrano, ansimano muti.
Ognuno è tanto mai stanco!
E si fermano seduti
la notte intorno a quel bianco.
Stanno lì sino al domani,
col capo tra le due mani,
senza che nulla si senta,
sotto la lampada spenta. -
È già grande la bambina:
la casa regge, e lavora:
fa il bucato e la cucina,
fa tutto al modo d'allora.
Pensa a tutto, ma non pensa
a sparecchiare la mensa.
Lascia che vengano i morti,
i buoni, i poveri morti.
Oh! la notte nera nera,
di vento, d'acqua, di neve,
lascia ch'entrino da sera,
col loro anelito lieve;
che alla mensa torno torno
riposino fino a giorno,
cercando fatti lontani
col capo tra le due mani.
Dalla sera alla mattina,
cercando cose lontane,
stanno fissi, a fronte china,
su qualche bricia di pane,
e volendo ricordare,
bevono lagrime amare.
Oh! non ricordano i morti,
i cari, i cari suoi morti!
- Pane, sì... pane si chiama,
che noi spezzammo concordi:
ricordate?... È tela, a dama:
ce n'era tanta: ricordi?...
Queste?... Queste sono due,
come le vostre e le tue,
due nostre lagrime amare
cadute nel ricordare! -.
Adam était fort amoureux.
Maigre comme un clou, les yeux creux ;
Son Ève était donc bien heureuse
D'être sa belle Ève amoureuse,
Mais... fiez-vous donc à demain !
Un soir, en promenant sa main
Sur le moins beau torse du monde,
Ah !... sa surprise fut profonde !
Il manquait une côte... là.
Tiens ! Tiens ! que veut dire cela ?
Se dit Ève, en baissant la tête.
Mais comme Ève n'était pas bête,
Tout d'abord Ève ne fit rien
Que s'en assurer bel et bien.
« Vous, Madame, avec cette mine ?
Qu'avez-vous donc qui vous chagrine ? »
Lui dit Adam, le jour suivant.
« Moi, rien... dit Ève... c'est... le vent. »
Or, le vent donnait sous la plume,
Contrairement à sa coutume.
Un autre eût été dépité,
Mais comme il avait la gaieté
Inaltérable de son âge,
Il s'en fut à son jardinage
Tout comme si de rien n'était.

Cependant, Ève s'em...bêtait
Comme s'ennuie une Princesse.
« Il faut, nom de Dieu ! que ça cesse »,
Se dit Ève, d'un ton tranchant.
« Je veux le voir, oui, sur-le-champ »,
Je dirai : « Sire, il manque à l'homme
Une côte, c'est sûr ; en somme,
En général, ça ne fait rien,
Mais ce général, c'est le mien.
Il faut donc la lui donner vite.
Moi, j'ai mon compte, ça m'évite
De vous importuner ; mais lui,
N'a pas le sien, c'est un ennui.
Ce détail me gâte la fête.
Puisque je suis toute parfaite,
J'ai bien droit au mari parfait.
Il ne peut que dire : en effet »,
Ici la Femme devint... rose,

« Et s'il dit, prenant mal la chose :
« Ton Adam n'est donc plus tout nu !
Que lui-même il n'est pas venu ?
A-t-il sa langue dans sa poche ?
Sur la mèche où le cœur s'accroche,
La casquette à n'en plus finir ?
Est-il en train de devenir...
Soutenu ?... » Que répliquerai-je ?
La Femme ici devint... de neige.

Sitôt qu'Adam fut de retour
Ève passa ses bras autour
Du cou, le plus fort de son monde,
Et, renversant sa tête blonde,
Reçut deux grands baisers joyeux ;
Puis fermant à demi les yeux,
Pâmée au rire de sa bouche,
Elle l'attira vers sa couche,
Où, commençant à s'incliner,
L'on se mit à se lutiner.
Soudain : « Ah ! qu'as-tu là ? » fit Ève.
Adam parut sortir d'un rêve.
« Là... mais, rien... », dit-il. « Justement,
Tu n'as rien, comme c'est charmant !
Tu vois, il te manque une côte.
Après tout, ce n'est pas ta faute,
Tu ne dois pas te tourmenter ;
Mais sur l'heure, il faut tout quitter,
Aller voir le Prince, et lui dire
Ce qu'humblement ton cœur désire ;
Que tu veux ta côte, voilà.
Or, pour lui, qu'est-ce que cela ?
Moins que rien, une bagatelle. »
Et prenant sa voix d'Immortelle :
« Allons ! Monsieur... tout de ce pas. »
Ève changea de ritournelle,
Et lorsqu'Adam était... sur elle,
Elle répétait d'un ton las :
« Pourquoi, dis, que tu m'aimes pas ? »
« Mais puisque ça ne se voit pas »,
Dit Adam. « Ça se sent », dit Ève,
Avec sa voix sifflante et brève.

Adam partit à contrecœur,
Car dans le fond il avait peur
De dire, en cette conjoncture,
À l'Auteur de la créature :
Vous avez fait un pas de clerc
En ratant ma côte, c'est clair.
Sa démarche impliquait un blâme.
Mais il voulait plaire à sa femme.

Ève attendit une heure vingt
Bonnes minutes ; il revint
Souriant, la mine attendrie,
Et, baisant sa bouche fleurie,
L'étreignant de son bras musclé :
« Je ne l'ai pas, pourtant je l'ai.
Je la tiens bien puisque je t'aime,
Sans l'avoir, je l'ai tout de même. »

Ève, sentant que ça manquait
Toujours, pensa qu'il se moquait ;
Mais il lui raconta l'histoire
Qu'il venait d'apprendre, il faut croire,
De l'origine de son corps,
Qu'Ève était sa côte, et qu'alors...
La chose...

« Ah ! c'est donc ça..., dit-elle,
Que le jour, oui, je me rappelle,
Où nous nous sommes rencontrés
Dans les parterres diaprés,
Tu m'as, en tendant tes mains franches,
Dit : « Voici la fleur de mes branches,
Et voilà le fruit de ma chair ! »
« En effet, ma chère ! »

« Ah !... mon cher !
J'avais pris moi cette parole
Au figuré... Mais j'étais folle ! »

« Je t'avais prise au figuré
Moi-même », dit Adam, paré
De sa dignité fraîche éclose
Et qui lui prêtait quelque chose
Comme un ton de maître d'hôtel,
Déjà suffisamment mortel ;
« L'ayant dit un peu comme on tousse.
Vois, quand la vérité nous pousse,
Il faut la dire, malgré soi. »

« Je ne peux pas moi comme toi »,
Fut tout ce que répondit Ève.

La nuit s'en va, le jour se lève,
Adam saisit son arrosoir,
Et : « Ma belle enfant, à ce soir ! »
Sa belle enfant ! pauvre petite !
Elle, jadis sa... favorite,
Était son enfant, à présent.
Quoi ? Ce n'était pas suffisant
Qu'Adam n'eût toujours pas sa côte,
À présent c'était de sa faute !
Elle en avait les bras cassés !
Et ce n'était encore assez.
Il fallait cette côte absente
Qu'elle en parût reconnaissante !

Doux Jésus !
Tout fut bien changé.

Ève prit son air affligé,
Et lorsqu'Adam parmi les branches
Voyait bouder ses... formes blanches
Et que, ne pouvant s'en passer,
Il accourait, pour l'embrasser,
Tout rempli d'une envie affreuse :
« Ah ! que je suis donc malheureuse ! »
Disait Ève, qui s'affalait.

Enfin, un jour qu'Adam parlait
D'une voix trop brusque et trop haute :
« Pourquoi, dis, que t'as pas ta côte ? »

« Voyons ! vous vous... fichez de moi !
Tu le sais bien,... comment, c'est toi,
Toi, ma côte, qui se réclame ! »
« Ça n'empêche pas, dit la Femme,
À ta place, j'insisterais. »

« Si je faisais de nouveaux frais,
Dit Adam, j'aurais trop de honte.
Nous avons chacun notre compte,
Toi comme moi, tu le sais bien,
Et le Prince ne nous doit rien ;
Car nul en terme de boutique
Ne tient mieux son arithmétique. »
Ce raisonnement était fort,
Ève pourtant n'avait pas tort.

Sur ces entrefaites, la femme
S'en vint errer, le vague à l'âme,
Autour de l'arbre défendu.
Le serpent s'y trouvait pendu
Par la queue, il leva la tête.
« Ève, comme vous voilà faite ! »
Dit-il, en la voyant venir.

La pauvre Ève n'y put tenir ;
Elle lui raconta sa peine,
Et même fit voir... une veine.
Le bon Vieux en parut navré.
« Tiens ! Tiens ! dit-il ; c'est pourtant vrai.
Eh ! bien ! moi : j'ai votre remède ;
Et je veux vous venir en aide,
Car je sais où tout ça conduit.
Écoute-moi, prends de ce fruit. »
« Oh ! non ! » dit Ève « Et la défense ? »
« Ton prince est meilleur qu'il ne pense
Et ne peut vous faire mourir.
Prends cette pomme et va l'offrir
À ton mari, pour qu'il en mange,
Et, dit, entr'autres choses, l'Ange,
Parfaits alors, comme des Dieux,
En lui, plus de vide odieux !
Vois quelle épine je vous ôte.
Ce pauvre Adam aura sa côte. »
C'était tout ce qu'Ève voulait.
Le fruit était là qui parlait,
Ève étendît donc sa main blanche
Et le fit passer de la branche
Sous sa nuque, dans son chignon.

Ève trouva son compagnon
Qui dormait étendu sur l'herbe,
Dans une pose peu superbe,
Le front obscurci par l'ennui.

Ève s'assit auprès de lui,
Ève s'empara de la pomme,
Se tourna du côté de l'Homme
Et la plaçant bien sous son nez,
**** de ses regards étonnés :
« Tiens ! regarde ! la belle pêche ! »
- « Pomme », dit-il d'une voix sèche.
« Pêche ! Pêche ! » - « Pomme. » - « Comment ?
Ce fruit d'or, d'un rose charmant,
N'est pas une pomme bien ronde ?
Voyons !... demande à tout le monde ? »
- « Qui, tout le monde ? » Ève sourit :
« J'ai dit tout le monde ? » et reprit,
Lui prenant doucement la tête :
« Eh ! oui, c'est une pomme, bête,
Qui ne comprends pas qu'on voulait
T'attraper... Ah ! fi ! que c'est laid !
Pour me punir, mon petit homme,
Je vais t'en donner, de ma pomme. »
Et l'éclair de son ongle luit,
Qui se perd dans la peau du fruit.

On était au temps des cerises,
Et justement l'effort des brises,
Qui soufflait dans les cerisiers,
En fit tomber une à leurs pieds !

« Malheureuse ! que vas-tu faire ? »
Crie Adam, rouge de colère,
Qui soudain a tout deviné,
Veut se saisir du fruit damné,
Mais l'homme avait trouvé son maître.
« Je serai seule à la commettre »,
Dit Ève en éloignant ses bras,
Si hautaine... qu'il n'osa pas.

Puis très tranquillement, sans fièvres,
Ève met le fruit sur ses lèvres,
Ève le mange avec ses dents.

L'homme baissa ses yeux ardents
Et de ses mains voila sa face.

« Moi, que voulez-vous que j'y fasse ?
Dit Ève ; c'est mon bon plaisir ;
Je n'écoute que mon désir
Et je le contente sur l'heure.
Mieux que vous... qu'a-t-il donc ? il pleure !
En voulez-vous ?
Non, et pourquoi ?
Vous voyez, j'en mange bien, moi.
D'ailleurs, songez qu'après ma faute
Nous ne vivrons plus côte à côte,
On va nous séparer... c'est sûr,
On me l'a dit, par un grand mur.
En voulez-vous ? »
Lui, tout en larmes,
S'enfonçait, songeant à ses charmes,
Dans le royaume de Sa voix.
Enfin, pour la dernière fois
Prenant sa tête qu'Ève couche,
« En veux-tu, dis ? Ouvre ta bouche ! »

Et c'est ainsi qu'Adam mangea
À peu près tout, Ève déjà
N'en ayant pris qu'une bouchée ;
Mais Ève eût été bien fâchée
Du contraire, pour l'avenir.
Il a besoin de devenir
Dieu, bien plus que moi, pensait-Elle.

Quand l'homme nous l'eut baillé belle,
Tu sais ce qui lors arriva ;
Le pauvre Adam se retrouva
Plus bête qu'avant, par sa faute.
Car s'il eût su plaindre sa côte,
Son Ève alors n'eût point péché ;
De plus, s'il se fût attaché
À son Prince, du fond de l'âme,
S'il n'eût point écouté sa femme,
Ton cœur a déjà deviné
Que le Seigneur eût pardonné,
Le motif d'Ève, au fond valable,
N'ayant pas eu pour détestable
Suite la faute du mari.

Lequel plus **** fut bien chéri
Et bien dorloté par « sa chère »,
Mais quand, mécontent de la chère,
Il disait : « Je suis trop bon, moi !
- Sans doute, disait Ève, toi,
T'es-un-bon-bonhomme, sur terre,
Mais... tu n'as pas de caractère ! »
Le dicevano: - Bambina!
Che tu non lasci mai stesa,
dalla sera alla mattina,
ma porta dove l'hai presa,
la tovaglia bianca, appena
ch'è terminata la cena!
Bada, che vengono i morti!
I tristi, i pallidi morti!
Entrano, ansimano muti.
Ognuno è tanto mai stanco!
E si fermano seduti
la notte intorno a quel bianco.
Stanno lì sino al domani,
col capo tra le due mani,
senza che nulla si senta,
sotto la lampada spenta. -
È già grande la bambina:
la casa regge, e lavora:
fa il bucato e la cucina,
fa tutto al modo d'allora.
Pensa a tutto, ma non pensa
a sparecchiare la mensa.
Lascia che vengano i morti,
i buoni, i poveri morti.
Oh! la notte nera nera,
di vento, d'acqua, di neve,
lascia ch'entrino da sera,
col loro anelito lieve;
che alla mensa torno torno
riposino fino a giorno,
cercando fatti lontani
col capo tra le due mani.
Dalla sera alla mattina,
cercando cose lontane,
stanno fissi, a fronte china,
su qualche bricia di pane,
e volendo ricordare,
bevono lagrime amare.
Oh! non ricordano i morti,
i cari, i cari suoi morti!
- Pane, sì... pane si chiama,
che noi spezzammo concordi:
ricordate?... È tela, a dama:
ce n'era tanta: ricordi?...
Queste?... Queste sono due,
come le vostre e le tue,
due nostre lagrime amare
cadute nel ricordare! -.
Victor Marques Jan 2017
Quando cansado da noite e do singelo dia,
Do uivar do lobo e cantar da cotovia.
Ousar amar,  contemplar a luz que nos guia.
Quando alguém te perguntar  donde vens,
Deixa de ser tu , de ser ninguém ,
Mas responde com um sorriso de tua MÃE.

Quando a vida te parecer  que já não existe,
Quando o alegre anda sempre triste.
E tu fazes perguntas sem nunca ter resposta,
O amor que temos por tudo se  desvanece.
Mas alguém te pergunta donde vens,
Caminhas num horizonte que nos exorta.
Responde com o amor de tua  Mae  ...  


E neste mundo em que seres te perguntam  com curiosidade,
Diz que alguém pensa e escreve com alma e pluralidade,
Que  vive no mundo sem tempo , nem idade,
Mas a sua escrita fica para a posterioridade.
E Se alguém te perguntar donde és e o que tens ,
Responde com o calor e amor  de tua Mae .

Victor Marques
mãe, mundo, escrita , poesia
À Madame *.

Il est donc vrai, vous vous plaignez aussi,
Vous dont l'oeil noir, *** comme un jour de fête,
Du monde entier pourrait chasser l'ennui.
Combien donc pesait le souci
Qui vous a fait baisser la tête ?
C'est, j'imagine, un aussi lourd fardeau
Que le roitelet de la fable ;
Ce grand chagrin qui vous accable
Me fait souvenir du roseau.
Je suis bien **** d'être le chêne,
Mais, dites-moi, vous qu'en un autre temps
(Quand nos aïeux vivaient en bons enfants)
J'aurais nommée Iris, ou Philis, ou Climène,
Vous qui, dans ce siècle bourgeois,
Osez encor me permettre parfois
De vous appeler ma marraine,
Est-ce bien vous qui m'écrivez ainsi,
Et songiez-vous qu'il faut qu'on vous réponde ?
Savez-vous que, dans votre ennui,
Sans y penser, madame et chère blonde,
Vous me grondez comme un ami ?
Paresse et manque de courage,
Dites-vous ; s'il en est ainsi,
Je vais me remettre à l'ouvrage.
Hélas ! l'oiseau revient au nid,
Et quelquefois même à la cage.
Sur mes lauriers on me croit endormi ;
C'est trop d'honneur pour un instant d'oubli,
Et dans mon lit les lauriers n'ont que faire ;
Ce ne serait pas mon affaire.
Je sommeillais seulement à demi,
À côté d'un brin de verveine
Dont le parfum vivait à peine,
Et qu'en rêvant j'avais cueilli.
Je l'avouerai, ce coupable silence,
Ce long repos, si maltraité de vous,
Paresse, amour, folie ou nonchalance,
Tout ce temps perdu me fut doux.
Je dirai plus, il me fut profitable ;
Et, si jamais mon inconstant esprit
Sait revêtir de quelque fable
Ce que la vérité m'apprit,
Je vous paraîtrai moins coupable.
Le silence est un conseiller
Qui dévoile plus d'un mystère ;
Et qui veut un jour bien parler
Doit d'abord apprendre à se taire.
Et, quand on se tairait toujours,
Du moment qu'on vit et qu'on aime,
Qu'importe le reste ? et vous-même,
Quand avez-vous compté les jours ?
Et puisqu'il faut que tout s'évanouisse,
N'est-ce donc pas une folle avarice,
De conserver comme un trésor
Ce qu'un coup de vent nous enlève ?
Le meilleur de ma vie a passé comme un rêve
Si léger, qu'il m'est cher encor.
Mais revenons à vous, ma charmante marraine.
Vous croyez donc vous ennuyer ?
Et l'hiver qui s'en vient, rallumant le foyer,
A fait rêver la châtelaine.
Un roman, dites-vous, pourrait vous égayer ;
Triste chose à vous envoyer !
Que ne demandez-vous un conte à La Fontaine ?
C'est avec celui-là qu'il est bon de veiller ;
Ouvrez-le sur votre oreiller,
Vous verrez se lever l'aurore.
Molière l'a prédit, et j'en suis convaincu,
Bien des choses auront vécu
Quand nos enfants liront encore
Ce que le bonhomme a conté,
Fleur de sagesse et de gaieté.
Mais quoi ! la mode vient, et tue un vieil usage.
On n'en veut plus, du sobre et franc langage
Dont il enseignait la douceur,
Le seul français, et qui vienne du cœur ;
Car, n'en déplaise à l'Italie,
La Fontaine, sachez-le bien,
En prenant tout n'imita rien ;
Il est sorti du sol de la patrie,
Le vert laurier qui couvre son tombeau ;
Comme l'antique, il est nouveau.
Ma protectrice bien-aimée,
Quand votre lettre parfumée
Est arrivée à votre. enfant gâté,
Je venais de causer en toute liberté
Avec le grand ami Shakespeare.
Du sujet cependant Boccace était l'auteur ;
Car il féconde tout, ce charmant inventeur ;
Même après l'autre, il fallait le relire.
J'étais donc seul, ses Nouvelles en main,
Et de la nuit la lueur azurée,
Se jouant avec le matin,
Etincelait sur la tranche dorée
Du petit livre florentin ;
Et je songeais, quoi qu'on dise ou qu'on fasse,
Combien c'est vrai que les Muses sont sœurs ;
Qu'il eut raison, ce pinceau plein de grâce,
Qui nous les montre au sommet du Parnasse,
Comme une guirlande de fleurs !
La Fontaine a ri dans Boccace,
Où Shakespeare fondait en pleurs.
Sera-ce trop que d'enhardir ma muse
Jusqu'à tenter de traduire à mon tour
Dans ce livre amoureux une histoire d'amour ?
Mais tout est bon qui vous amuse.
Je n'oserais, si ce n'était pour vous,
Car c'est beaucoup que d'essayer ce style
Tant oublié, qui fut jadis si doux,
Et qu'aujourd'hui l'on croit facile.

Il fut donc, dans notre cité,
Selon ce qu'on nous a conté
(Boccace parle ainsi ; la cité, c'est Florence),
Un gros marchand, riche, homme d'importance,
Qui de sa femme eut un enfant ;
Après quoi, presque sur-le-champ,
Ayant mis ordre à ses affaires,
Il passa de ce monde ailleurs.
La mère survivait ; on nomma des tuteurs,
Gens loyaux, prudents et sévères ;
Capables de se faire honneur
En gardant les biens d'un mineur.
Le jouvenceau, courant le voisinage,
Sentit d'abord douceur de cœur
Pour une fille de son âge,
Qui pour père avait un tailleur ;
Et peu à peu l'enfant devenant homme,
Le temps changea l'habitude en amour,
De telle sorte que Jérôme
Sans voir Silvia ne pouvait vivre un jour.
À son voisin la fille accoutumée
Aima bientôt comme elle était aimée.
De ce danger la mère s'avisa,
Gronda son fils, longtemps moralisa,
Sans rien gagner par force ou par adresse.
Elle croyait que la richesse
En ce monde doit tout changer,
Et d'un buisson peut faire un oranger.
Ayant donc pris les tuteurs à partie,
La mère dit : « Cet enfant que voici,
Lequel n'a pas quatorze ans, Dieu merci !
Va désoler le reste de ma vie.
Il s'est si bien amouraché
De la fille d'un mercenaire,
Qu'un de ces jours, s'il n'en est empêché,
Je vais me réveiller grand'mère.
Soir ni matin, il ne la quitte pas.
C'est, je crois, Silvia qu'on l'appelle ;
Et, s'il doit voir quelque autre dans ses bras,
Il se consumera pour elle.
Il faudrait donc, avec votre agrément,
L'éloigner par quelque voyage ;
Il est jeune, la fille est sage,
Elle l'oubliera sûrement ;
Et nous le marierons à quelque honnête femme. »
Les tuteurs dirent que la dame
Avait parlé fort sagement.
« Te voilà grand, dirent-ils à Jérôme,
Il est bon de voir du pays.
Va-t'en passer quelques jours à Paris,
Voir ce que c'est qu'un gentilhomme,
Le bel usage, et comme on vit là-bas ;
Dans peu de temps tu reviendras. »
À ce conseil, le garçon, comme on pense,
Répondit qu'il n'en ferait rien,
Et qu'il pouvait voir aussi bien
Comment l'on vivait à Florence.
Là-dessus, la mère en fureur
Répond d'abord par une grosse injure ;
Puis elle prend l'enfant par la douceur ;
On le raisonne, on le conjure,
À ses tuteurs il lui faut obéir ;
On lui promet de ne le retenir
Qu'un an au plus. Tant et tant on le prie,
Qu'il cède enfin. Il quitte sa patrie ;
Il part, tout plein de ses amours,
Comptant les nuits, comptant les jours,
Laissant derrière lui la moitié de sa vie.
L'exil dura deux ans ; ce long terme passé,
Jérôme revint à Florence,
Du mal d'amour plus que jamais blessé,
Croyant sans doute être récompensé.
Mais. c'est un grand tort que l'absence.
Pendant qu'au **** courait le jouvenceau,
La fille s'était mariée.
En revoyant les rives de l'Arno,
Il n'y trouva que le tombeau
De son espérance oubliée.
D'abord il n'en murmura point,
Sachant que le monde, en ce point,
Agit rarement d'autre sorte.
De l'infidèle il connaissait la porte,
Et tous les jours il passait sur le seuil,
Espérant un signe, un coup d'oeil,
Un rien, comme on fait quand on aime.
Mais tous ses pas furent perdus
Silvia ne le connaissait plus,
Dont il sentit une douleur extrême.
Cependant, avant d'en mourir,
Il voulut de son souvenir
Essayer de parler lui-même.
Le mari n'était pas jaloux,
Ni la femme bien surveillée.
Un soir que les nouveaux époux
Chez un voisin étaient à la veillée,
Dans la maison, au tomber de la nuit,
Jérôme entra, se cacha près du lit,
Derrière une pièce de toile ;
Car l'époux était tisserand,
Et fabriquait cette espèce de voile
Qu'on met sur un balcon toscan.
Bientôt après les mariés rentrèrent,
Et presque aussitôt se couchèrent.
Dès qu'il entend dormir l'époux,
Dans l'ombre vers Silvia Jérôme s'achemine,
Et lui posant la main sur la poitrine,
Il lui dit doucement : « Mon âme, dormez-vous ?
La pauvre enfant, croyant voir un fantôme,
Voulut crier ; le jeune homme ajouta
« Ne criez pas, je suis votre Jérôme.
- Pour l'amour de Dieu, dit Silvia,
Allez-vous-en, je vous en prie.
Il est passé, ce temps de notre vie
Où notre enfance eut loisir de s'aimer,
Vous voyez, je suis mariée.
Dans les devoirs auxquels je suis liée,
Il ne me sied plus de penser
À vous revoir ni vous entendre.
Si mon mari venait à vous surprendre,
Songez que le moindre des maux
Serait pour moi d'en perdre le repos ;
Songez qu'il m'aime et que je suis sa femme. »
À ce discours, le malheureux amant
Fut navré jusqu'au fond de l'âme.
Ce fut en vain qu'il peignit son tourment,
Et sa constance et sa misère ;
Par promesse ni par prière,
Tout son chagrin ne put rien obtenir.
Alors, sentant la mort venir,
Il demanda que, pour grâce dernière,
Elle le laissât se coucher
Pendant un instant auprès d'elle,
Sans bouger et sans la toucher,
Seulement pour se réchauffer,
Ayant au cœur une glace mortelle,
Lui promettant de ne pas dire un mot,
Et qu'il partirait aussitôt,
Pour ne la revoir de sa vie.
La jeune femme, ayant quelque compassion,
Moyennant la condition,
Voulut contenter son envie.
Jérôme profita d'un moment de pitié ;
Il se coucha près de Silvie.
Considérant alors quelle longue amitié
Pour cette femme il avait eue,
Et quelle était sa cruauté,
Et l'espérance à tout jamais perdue,
Il résolut de cesser de souffrir,
Et rassemblant dans un dernier soupir
Toutes les forces de sa vie,
Il serra la main de sa mie,
Et rendit l'âme à son côté.
Silvia, non sans quelque surprise,
Admirant sa tranquillité,
Resta d'abord quelque temps indécise.
« Jérôme, il faut sortir d'ici,
Dit-elle enfin, l'heure s'avance. »
Et, comme il gardait le silence,
Elle pensa qu'il s'était endormi.
Se soulevant donc à demi,
Et doucement l'appelant à voix basse,
Elle étendit la main vers lui,
Et le trouva froid comme glace.
Elle s'en étonna d'abord ;
Bientôt, l'ayant touché plus fort,
Et voyant sa peine inutile,
Son ami restant immobile,
Elle comprit qu'il était mort.
Que faire ? il n'était pas facile
De le savoir en un moment pareil.
Elle avisa de demander conseil
À son mari, le tira de son somme,
Et lui conta l'histoire de Jérôme,
Comme un malheur advenu depuis peu,
Sans dire à qui ni dans quel lieu.
« En pareil cas, répondit le bonhomme,
Je crois que le meilleur serait
De porter le mort en secret
À son logis, l'y laisser sans rancune,
Car la femme n'a point failli,
Et le mal est à la fortune.
- C'est donc à nous de faire ainsi, »
Dit la femme ; et, prenant la main de son mari
Elle lui fit toucher près d'elle
Le corps sur son lit étendu.
Bien que troublé par ce coup imprévu,
L'époux se lève, allume sa chandelle ;
Et, sans entrer en plus de mots,
Sachant que sa femme est fidèle,
Il charge le corps sur son dos,
À sa maison secrètement l'emporte,
Le dépose devant la porte,
Et s'en revient sans avoir été vu.
Lorsqu'on trouva, le jour étant venu,
Le jeune homme couché par terre,
Ce fut une grande rumeur ;
Et le pire, dans ce malheur,
Fut le désespoir de la mère.
Le médecin aussitôt consulté,
Et le corps partout visité,
Comme on n'y vit point de blessure,
Chacun parlait à sa façon
De cette sinistre aventure.
La populaire opinion
Fut que l'amour de sa maîtresse
Avait jeté Jérôme en cette adversité,
Et qu'il était mort de tristesse,
Comme c'était la vérité.
Le corps fut donc à l'église porté,
Et là s'en vint la malheureuse mère,
Au milieu des amis en deuil,
Exhaler sa douleur amère.
Tandis qu'on menait le cercueil,
Le tisserand qui, dans le fond de l'âme,
Ne laissait pas d'être inquiet :
« Il est bon, dit-il à sa femme,
Que tu prennes ton mantelet,
Et t'en ailles à cette église
Où l'on enterre ce garçon
Qui mourut hier à la maison.
J'ai quelque peur qu'on ne médise
Sur cet inattendu trépas,
Et ce serait un mauvais pas,
Tout innocents que nous en sommes.
Je me tiendrai parmi les hommes,
Et prierai Dieu, tout en les écoutant.
De ton côté, prends soin d'en faire autant
À l'endroit qu'occupent les femmes.
Tu retiendras ce que ces bonnes âmes
Diront de nous, et nous ferons
Selon ce que nous entendrons. »
La pitié trop **** à Silvie
Etait venue, et ce discours lui plut.
Celui dont un baiser eût conservé la vie,
Le voulant voir encore, elle s'en fut.
Il est étrange, il est presque incroyable
Combien c'est chose inexplicable
Que la puissance de l'amour.
Ce cœur, si chaste et si sévère,
Qui semblait fermé sans retour
Quand la fortune était prospère,
Tout à coup s'ouvrit au malheur.
À peine dans l'église entrée,
De compassion et d'horreur
Silvia se sentit pénétrée ;
L'ancien amour s'éveilla tout entier.
Le front baissé, de son manteau voilée,
Traversant la triste assemblée,
Jusqu'à la bière il lui fallut aller ;
Et là, sous le drap mortuaire
Sitôt qu'elle vit son ami,
Défaillante et poussant un cri,
Comme une sœur embrasse un frère,
Sur le cercueil elle tomba ;
Et, comme la douleur avait tué Jérôme,
De sa douleur ainsi mourut Silvia.
Cette fois ce fut au jeune homme
A céder la moitié du lit :
L'un près de l'autre on les ensevelit.
Ainsi ces deux amants, séparés sur la terre,
Furent unis, et la mort fit
Ce que l'amour n'avait pu faire.
Juliet R May 2014
Sinto a necessidade de ter calor humano,
Por puro conforto,
De sentir o meu corpo absorto.
Necessidade tão intensa e imensa
Longe do que se pensa,
Longe de qualquer dano.

O vento ouve-me, benevolente,
O que vai na alma.
Das palavras que correm na mente,
Traz a minha outra metade na sua palma
Para a alegria tomar conta da calma.

Reparo no meu cabelo a voar,
Nos meus dedos a moldar
As linhas do horizonte.
E tento retratar, magicar e afeiçoar
A imagem que tenho de ti na fonte.

Aproximo-me em passo na calada
E os meus olhos aborvem cada camada
Que no meu ver emerge.
Tudo diverge
Pois apareceste tu.

O meu coração acelera
Calmo noutra era.
Num ápice lento
Num rápido murmúrio
Olho-te com um muito atento.

Procuro fugir do teu olhar,
Com o sangue a ferver,
Com a cara a escaldar
Cansada desta fuga por resolver:
É aqui que vou ficar.
hi da s Oct 2017
toda cheia de vontade de ser um outro formato cheio de glória e que insiste em viver apesar do ar quente e sufocante dos quartos. menina levanta. pega com a mão. te suja. respinga aquela tinta e prepara tua boca pra gritar. não espera sentada nessa cadeira velha de ferro com essa espuma que conforta teu peso. aprende a respirar: inspira e expira. é fácil, olha. alguns fazem parecer bem simples, só que não é e tais enganada. o jogo tem muito mais chão do que imaginas. querias, é claro, dominar o mundo desde que chegasses. não é bem assim. precisas escrever muitas páginas ainda. foram só algumas mil semanas. procuras um motivo não é mesmo? mas sempre escolhes o mais fácil: não, eu não preciso disso. a vida te venceu sem fazer muitos movimentos. te parece injusto esse processo? parabéns. descobrisse como é que funciona o sentido de acordar todos os dias. olhar os rostos, o peso dos narizes, as curvas das orelhas e a largura das cinturas. essa criatura percebe quando alguém chorou antes de dar bom dia. levantou e continua levantando diariamente sem horário pra levantar. a porta independente de aberta ou não, vai falar aquilo que queres saber. falo pra ti ainda tudo isso? não vale a pena tentar organizar a ***** cinzenta. ela desprovem de gavetas. segurar a cabeça pareceu uma boa ideia. foi só por alguns segundos. perdes a paciência pra certas coisas muito rápido. ficas nessa insistência de não sei o quê. primeiro olha pra dentro e não dificulta tudo. não entendes o alfabeto com números. escreves até sem pensar e te atentas em preencher os espaços em branco. tua obsessão exagerada por tudo que amas e veneras chega ao absurdo. és aficionada por ti mesma e sabes disso. que lindo se apaixonar pelo espelho. que lindo se apaixonar pelo espelho. todos os dias. essas manchas todas dentro de ti parecem não acabar nunca. não dá pra ser abstrata. ser diferente. ela insiste em querer falar bonito. tudo que ela queria era arrancar esse fluído embolorado que persistem em crescer dentro. não admite que precisa encerrar o assunto. quanto tempo já passou desde que tu descobriu tudo isso? para de ficar fingindo que não vês a enorme pedra encobrindo as passagens. ficas tão inquieta que acho que nunca dormisse de verdade. acordas cansada. mais ainda do que quando colocas a cabeça encostada no travesseiro. pensas que tais viva e vivendo, mas não tais sorrindo com a frequência que deverias. certas palavras são escritas com mais fúria do que outras. cansada de falar ela só olha pro chão e põe a cabeça pra imaginar, e vai tão longe que nem mesmo aqueles quinze metros de pernas não conseguiriam alcançar. é tão bom escrever sem pressão, né? já sei que vais querer parar a qualquer momento por que lidar com o medo te faz recuar. tens medo do que mesmo? tens vergonha? teu corpo tem curvas que só a luz, a pele, o osso e o tecido conhecem. curvas essas que não se parecem com teu sustento. percebe-se que são coisas muito difíceis de traduzir. será que em outra língua tua conseguirias? tenho dó. francamente: o que vai ser de ti daqui cinco anos? te assustasse agora? enche um copo de água gelada e prende a respiração. dá dois, três, quatro goles. querias era gritar junto com aquelas três ou quatro músicas que andas suportando ouvir. pequenas respirações que parecem vir a partir da metade. afinal já fazem dez anos. querias ser jovem pra sempre? pois saiba que não podes. sentes o pesa da alma? a carga da perda e a falta de controle cada vez maior. vai acumulando tudo isso pra tu ver até onde vai dar. só choras quando o assunto é tu mesma. a história dos outros é bateria pra tua solidão incompreensível. quando é que vais parar de escrever? será que vais ler isso amanha e querer jogar fora? chegar de pensar em como os átomos só seriam visíveis com olho mágico. chega. não pensa assim. não tem saída não. o controle não é um simples objeto. não compara a um relógio, por exemplo. achas que três páginas vão ser suficiente? precisas de mais o que pra entender que nada funciona do jeito que a gente quer. aquela menina pode parecer burra mas pode estar vivendo feliz. para de especular. olha só, ela virou poesia. termina de escrever o que queres pro teu coração pulsar mais calmo. vai devagar. tens outras coisas pra se importar. parece meio bobo eu sei. nunca dá pra confiar no que se escreve. a linguagem é uma coisa difícil. complicado. tanto a, e, i, o, u. que besteira tudo isso. te deu vontade de riscar tudo que foi escrito até aqui. boba. não é perda de tempo se expressar. querias ficar calma não é mesmo? te presenteio com tua mão esquerda que gasta essa tinta. formas as letras e tens as palavras. agora uma frase. um ponto. mais outro ponto, e agora outra vírgula. fiz certo? fecha a porta, diz a tua mãe. teu dia finalmente tá acabando. e o espaço pra escrever também. surgiu aquela dúvida que te martela todos os dias: quanto tempo eu tenho até que morra? coças o olho esquerdo. um cílio torto que te incomoda. tocando a ponta saliente da unha do mindinho. a do pé, não a da mão. sinal de ansiedade. tais quase desistindo, né? tudo bem, falta pouco. vais poder se sentir vitoriosa e aliviada. pensasse naquela boca. esquece. nunca mostra isso pra ninguém. promete. a ansiedade aumentou um pouco. os olhos piscam cada vez menos. concentra. vai valer a pena esse tempo perdido? ao menos tais guardando todas as lembranças boas de tempos sombrios. que linda a caneta em ação. ainda não acabei de expurgar. você também não.
sobre tudo que senti em três páginas datilografadas.
hi da s Oct 2017
a costela dele quebrada. mal podia ficar reto.
dela só se sabe que ficou impressionada quando ele se curou.
um momento rápido passou e ela percebeu que se sentava torta. e lembrou dele.
privilégio que os ossos dela estavam no lugar.
coluna, costela, fêmur. ainda jovens.
senti culpa e a vontade de escrever tudo isso. não se pode perder momentos de paz, onde normalmente se encontra o conformismo da decadência.
triste isso: só se sentir melhor quando se compara a algo pior.
frases curtas pois pensa que fala demais e às vezes acha que pensa demais, quase vomitando coisas que não deveria.
sim. sou eu. escrevo. que insegurança chata. vontade de falar pra todo mundo. era bem sobre isso que eu tava falando.
sobre um menino que machucou a costela me entristeceu
Juliet R May 2014
Percorri a tua alma,
Na noite, na calma.

Esperei por ti, nada,
Fico aqui, abalada.

Prezo para que chegues,
Que chegues e me aconchegues.

Rebeldia à tua maneira,
Junto da luz da fogueira.

Sente o toque da areia,
Pensa nela como uma odisseia.

Lembra-te da felicidade,
Em ver o mar, na pura cumplicidade.

O pôr-do-sol se instala,
Ninguém tenta soltar a fala.

Prendo-me a ti,
Tal como antevi.

Solto a mente,
livre do inconsciente.

Toque de lábios,
O caminho, esse é de sábios.
Mariah Tulli Jun 2014
Posso eu enlouquecer?
Ou devo ficar aqui nesse mar morto
esperando maremotos que me desloque
para algum lugar qualquer distante dessa realidade.
Devo eu continuar parada, incrustada?
Sendo levada por essa sociedade que já não quer nada,
que anda muito mal organizada.
E se eu me exaltar? Sim, vão me julgar
pois a maioria não irá acreditar
numa alienada e solitária vida que só pensa em amar.
Cabe a mim então, fantasiar, sonhar
e crer no dia em que essa minha insanidade
se transformará em realidade,
fazendo com que os loucos,
agora, não sejam mais poucos, e sim todos.
À Catulle Mendès


La petite marquise Osine est toute belle,

Elle pourrait aller grossir la ribambelle

Des folles de Watteau sous leur chapeau de fleurs

Et de soleil, mais comme on dit, elle aime ailleurs

Parisienne en tout, spirituelle et bonne

Et mauvaise à ne rien redouter de personne,

Avec cet air mi-faux qui fait que l'on vous croit,

C'est un ange fait pour le monde qu'elle voit,

Un ange blond, et même on dit qu'il a des ailes.


Vingt soupirants, brûlés du feu des meilleurs zèles

Avaient en vain quêté leur main à ses seize ans,

Quand le pauvre marquis, quittant ses paysans

Comme il avait quitté son escadron, vint faire

Escale au Jockey ; vous connaissez son affaire

Avec la grosse Emma de qui - l'eussions-nous cru ?

Le bon garçon était absolument féru,

Son désespoir après le départ de la grue,

Le duel avec Gontran, c'est vieux comme la rue ;

Bref il vit la petite un jour dans un salon,

S'en éprit tout d'un coup comme un fou ; même l'on

Dit qu'il en oublia si bien son infidèle

Qu'on le voyait le jour d'ensuite avec Adèle.

Temps et mœurs ! La petite (on sait tout aux Oiseaux)

Connaissait le roman du cher, et jusques aux

Moindres chapitres : elle en conçut de l'estime.

Aussi quand le marquis offrit sa légitime

Et sa main contre sa menotte, elle dit : Oui,

Avec un franc parler d'allégresse inouï.

Les parents, voyant sans horreur ce mariage

(Le marquis était riche et pouvait passer sage)

Signèrent au contrat avec laisser-aller.

Elle qui voyait là quelqu'un à consoler

Ouït la messe dans une ferveur profonde.


Elle le consola deux ans. Deux ans du monde !


Mais tout passe !

Si bien qu'un jour qu'elle attendait

Un autre et que cet autre atrocement tardait,

De dépit la voilà soudain qui s'agenouille

Devant l'image d'une Vierge à la quenouille

Qui se trouvait là, dans cette chambre en garni,

Demandant à Marie, en un trouble infini,

Pardon de son péché si grand, - si cher encore

Bien qu'elle croie au fond du cœur qu'elle l'abhorre.


Comme elle relevait son front d'entre ses mains

Elle vit Jésus-Christ avec les traits humains

Et les habits qu'il a dans les tableaux d'église.

Sévère, il regardait tristement la marquise.

La vision flottait blanche dans un jour bleu

Dont les ondes voilant l'apparence du lieu,

Semblaient envelopper d'une atmosphère élue

Osine qui tremblait d'extase irrésolue

Et qui balbutiait des exclamations.

Des accords assoupis de harpes de Sions

Célestes descendaient et montaient par la chambre

Et des parfums d'encens, de cinnamome et d'ambre

Fluaient, et le parquet retentissait des pas

Mystérieux de pieds que l'on ne voyait pas,

Tandis qu'autour c'était, en cadences soyeuses,

Un grand frémissement d'ailes mystérieuses

La marquise restait à genoux, attendant,

Toute admiration peureuse, cependant.


Et le Sauveur parla :

« Ma fille, le temps passe,

Et ce n'est pas toujours le moment de la grâce.

Profitez de cette heure, ou c'en est fait de vous. »


La vision cessa.

Oui certes, il est doux

Le roman d'un premier amant. L'âme s'essaie,

C'est un jeune coureur à la première haie.

C'est si mignard qu'on croit à peine que c'est mal.

Quelque chose d'étonnamment matutinal.

On sort du mariage habitueux. C'est comme

Qui dirait la lueur aurorale de l'homme

Et les baisers parmi cette fraîche clarté

Sonnent comme des cris d'alouette en été,

Ô le premier amant ! Souvenez-vous, mesdames !

Vagissant et timide élancement des âmes

Vers le fruit défendu qu'un soupir révéla...

Mais le second amant d'une femme, voilà !

On a tout su. La faute est bien délibérée

Et c'est bien un nouvel état que l'on se crée,

Un autre mariage à soi-même avoué.

Plus de retour possible au foyer bafoué.

Le mari, débonnaire ou non, fait bonne garde

Et dissimule mal. Déjà rit et bavarde

Le monde hostile et qui sévirait au besoin.

Ah, que l'aise de l'autre intrigue se fait **** !

Mais aussi cette fois comme on vit ; comme on aime,

Tout le cœur est éclos en une fleur suprême.

Ah, c'est bon ! Et l'on jette à ce feu tout remords,

On ne vit que pour lui, tous autres soins sont morts.

On est à lui, on n'est qu'à lui, c'est pour la vie,

Ce sera pour après la vie, et l'on défie

Les lois humaines et divines, car on est

Folle de corps et d'âme, et l'on ne reconnaît

Plus rien, et l'on ne sait plus rien, sinon qu'on l'aime !


Or cet amant était justement le deuxième

De la marquise, ce qui fait qu'un jour après,

- Ô sans malice et presque avec quelques regrets -

Elle le revoyait pour le revoir encore.

Quant au miracle, comme une odeur s'évapore,

Elle n'y pensa plus bientôt que vaguement.


Un matin, elle était dans son jardin charmant,

Un matin de printemps, un jardin de plaisance.

Les fleurs vraiment semblaient saluer sa présence,

Et frémissaient au vent léger, et s'inclinaient

Et les feuillages, verts tendrement, lui donnaient

L'aubade d'un timide et délicat ramage

Et les petits oiseaux, volant à son passage,

Pépiaient à plaisir dans l'air tout embaumé

Des feuilles, des bourgeons et des gommes de mai.

Elle pensait à lui ; sa vue errait, distraite,

À travers l'ombre jeune et la pompe discrète

D'un grand rosier bercé d'un mouvement câlin,

Quand elle vit Jésus en vêtements de lin

Qui marchait, écartant les branches de l'arbuste

Et la couvait d'un long regard triste. Et le Juste

Pleurait. Et tout en un instant s'évanouit.


Elle se recueillait.

Soudain un petit bruit

Se fit. On lui portait en secret une lettre,

Une lettre de lui, qui lui marquait peut-être

Un rendez-vous.


Elle ne put la déchirer.


. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .


Marquis, pauvre marquis, qu'avez-vous à pleurer

Au chevet de ce lit de blanche mousseline ?

Elle est malade, bien malade.

« Sœur Aline,

A-t-elle un peu dormi ? »

- « Mal, monsieur le marquis. »

Et le marquis pleurait.

« Elle est ainsi depuis

Deux heures, somnolente et calme. Mais que dire

De la nuit ? Ah, monsieur le marquis, quel délire !

Elle vous appelait, vous demandait pardon

Sans cesse, encor, toujours, et tirait le cordon

De sa sonnette. »

Et le marquis frappait sa tête

De ses deux poings et, fou dans sa douleur muette

Marchait à grands pas sourds sur les tapis épais

(Dès qu'elle fut malade, elle n'eut pas de paix

Qu'elle n'eût avoué ses fautes au pauvre homme

Qui pardonna.) La sœur reprit pâle : « Elle eut comme

Un rêve, un rêve affreux. Elle voyait Jésus,

Terrible sur la nue et qui marchait dessus,

Un glaive dans la main droite, et de la main gauche

Qui ramait lentement comme une faux qui fauche,

Écartant sa prière, et passait furieux. »


. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .


Un prêtre, saluant les assistants des yeux,

Entre.

Elle dort.

Ô ses paupières violettes !

Ô ses petites mains qui tremblent maigrelettes !

Ô tout son corps perdu dans les draps étouffants !


Regardez, elle meurt de la mort des enfants.

Et le prêtre anxieux, se penche à son oreille.

Elle s'agite un peu, la voilà qui s'éveille,

Elle voudrait parler, la voilà qui s'endort

Plus pâle.

Et le marquis : « Est-ce déjà la mort ? »

Et le docteur lui prend les deux mains, et sort vite.


On l'enterrait hier matin. Pauvre petite !
Sono qua rinchiuso
Di pensieri affranto

Senza coscienza alcuna
Di potere il vanto

Volgo i miei sguardi vuoti
Occhi senza sguardo

Voglio sentire ora
Voci, sussurri, suoni

Chiedo a me stesso vivo
Dove guardare ancora

Chiudo i miei occhi alfine
Respiro in affanno

Mi calmo, sento, ascolto
Dentro di me un canto

Ti ** trovata infine
Musa del mio creare

Cuore che pensa lieve
Un pensiero, un incanto.
La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il prima e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l'ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a poco, non procede
né recede, si sposta di binario
e la sua direzione
non è nell'orario.
La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non è intrinseca
perché è fuori.
La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.
La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C'è chi sopravvive.
La storia è anche benevola: distrugge
quanto più può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.
La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
Qualche volta s'incontra l'ectoplasma
d'uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui.
L'empereur vit, un soir, le soleil s'en aller ;
Il courba son front triste, et resta sans parler.
Puis, comme il entendit ses horloges de cuivre,
Qu'il venait d'accorder, d'un pied boiteux se suivre,
Il pensa qu'autrefois, sans avoir réussi,
D'accorder les humains il avait pris souci.
- Seigneur, Seigneur ! dit-il, qui m'en donna l'envie ?
J'ai traversé la mer onze fois dans ma vie ;
Dix fois les Pays-Bas ; l'Angleterre trois fois ;
Ai-je assez fait la guerre à ce pauvre François !
J'ai vu deux fois l'Afrique et neuf fois l'Allemagne,
Et voici que je meurs sujet du roi d'Espagne !
Eh ! que faire à régner ? je n'ai plus d'ennemi ;
Chacun s'est dans la tombe, à son tour, endormi.
Comme un chien affamé, l'oubli tous les dévore ;
Déjà le soir d'un siècle à l'autre sert d'aurore.
Ai-je donc, plus habile à plus longtemps souffrir,
Seul parmi tant de rois, oublié de mourir ?
Ou, dans leurs doigts roidis quand la coupe fut pleine,
Quand le glaive de Dieu, pour niveler la plaine,
Décima les grands monts, étais-je donc si bas,
Que l'archange, en passant, alors ne me vit pas ?
M'en vais-je donc vieillir à compter mes campagnes,
Comme un pasteur ses bœufs descendant des montagnes,
Pour qu'on lise en mon cœur les leçons du passé,
Comme en un livre pâle et bientôt effacé ?
Trop avant dans la nuit s'allonge ma journée.
Dieu sait à quels enfants l'Europe s'est donnée !
Sur quels bras va poser tout ce vieil univers,
Qu'avec ses cent Etats, avec ses quatre mers,
Je portais dans mon sein et dans ma tête chauve !
Philippe !... que saint Just de ses crimes le sauve !
Car du jour qu'héritier de son père, il sentit
Que pour sa grande épée il était trop petit,
N'a-t-il pas échangé le ciel contre la terre,
Contre un bourreau masqué son confesseur austère ?
La France !... oh ! quel destin, en ses jeux si profond,
Mit la duègne orgueilleuse aux mains d'un roi bouffon,
Qui s'en va, rajustant son pourpoint à sa taille,
Aux oisifs carrousels se peindre une bataille !
Ah ! quand mourut François, quel sage s'est douté
Que du seul Charles-Quint il mourait regretté ?
Avec son dernier cri sonna ma dernière heure.
Où trouver maintenant personne qui me pleure ?
Mon fils me laisse ici m'achever ; car enfin
Qui lui dira si c'est de vieillesse ou de faim ?
Il me donne la mort pour prix de sa naissance !
Mes bienfaits l'ont guéri de sa reconnaissance.
Il s'en vient me pousser lorsque j'ai trébuché. -
C'est bien. - Je vais tomber. - Le soleil s'est couché !
Ô terre ! reçois-moi ; car je te rends ma cendre !
Je vins nu de ton sein, nu j'y vais redescendre.

C'est ainsi que parla cet homme au cœur de fer ;
Puis, se voyant dans l'ombre, il eut peur de l'enfer !
- Ô mon Dieu ! si, cherchant un pardon qui m'efface,
Je trouvais la colère écrite sur ta face,
Comme ce soir, mon œil, cherchant le jour qui fuit,
Dans le ciel dépeuplé ne trouve que la nuit !
Quoi ! pas un rêve, un signe, un mot dit à l'oreille,
Dont l'écho formidable alors ne se réveille !
Non ! - Rien à vous, Seigneur, ne peut être caché.
Kyrie eleison ! car j'ai beaucoup péché ! »

Alors, avec des pleurs il disait sa prière,
Les genoux tout tremblants et le front sur la pierre.
Tout à coup il s'arrête, il se lève, et ses yeux
Se clouaient à la terre et sa pensée aux cieux.

Voici que, sur l'autel couvert de draps funèbres,
Les lugubres flambeaux ont rompu les ténèbres
Et les prêtres debout, comme de noirs cyprès,
S'assemblent, étonnés des sinistres apprêts.
Et les vieux serviteurs disaient : - Qui donc va naître
Ou mourir ? - et pourtant priaient sans le connaître ;
Car les sombres clochers s'agitaient à grand bruit,
Et semblaient deux géants qui pleurent dans la nuit.
Tous frappaient leur poitrine et respiraient à peine.
Sous les larmes d'argent le sépulcre d'ébène
S'ouvrait, lit nuptial par la mort apprêté,
Où la vie en ses bras reçoit l'éternité.
Alors un spectre vint, se traînant aux murailles,
Livide, épouvanter les mornes funérailles.
Maigre et les yeux éteints, et son pied, sur le seuil
De granit, chancelait dans les plis d'un linceul.
- Qui d'entre vous, dit-il, me respecte et m'honore ?
(Et sa voix sur l'écho de la voûte sonore
Frappait comme le pas d'un hardi cavalier.)
Qu'il s'en vienne avec moi dormir sous un pilier !
Je m'y couche, et j'attends que m'y suive qui m'aime.
Pour ceux qui m'ont haï, je les suivrai mot-même ;
Ils y sont. - Prions donc pour mes crimes passés ;
Pleurons et récitons l'hymne des trépassés !
Il marcha vers sa tombe, et pâlit : - Qui m'arrête,
Dit-il ? Ne faut-il pas un cadavre à la fête ?

Et le cercueil cria sous ses membres glacés,
Puis le chœur entonna l'hymne des trépassés.
Lua Apr 2019
Nas palavras da mulher que viveu em 1910
Os "anos 80" eram 1880
E suas reclamações da nova Rússia eram tão atuais quanto as nossas
Em meio a semi ditadura e intolerância política e religiosa
Eu, que quase achei que estávamos progredindo e crescendo
Esqueci que esse é o maior defeito dos seres humanos, o esquecimento
Esquecer que isso tudo já aconteceu
E vai acontecer de novo e de novo
Mesmo eu, assim, maldizendo.
Talvez uma ou outra coisa melhore
Como disse um conhecido certa vez
Mesmo que o mundo se afogue
No consumismo, e exploda de vez
Em puro esquecimento
Afinal, você não pensa?
Sim, sobre isso mesmo
Sobre o sentido de tudo isso
Em meio a minha juventude nunca entendi a complexidade desse pensamento
Hoje, perdida entre sentimentos, compreendo
Não é sobre o sentido da vida
Mas sim de tudo do mundo
Afinal o ser humano gosta de se ver como uma dádiva, uma criação
Mas não pára para pensar na simples ocasião
De ser fruto de um erro de equação
Vedova, lavorò senza riposo
per la bambina sua, per quel suo bene
unico, da lo sguardo luminoso;

per essa sopportò tutte le pene,
per darle il pan si logorò la vita,
per darle il sangue si vuotò le vene. -

La bimba crebbe, come una fiorita
di rose a maggio, come una sultana,
da la materna idolatria blandita;

e così piacque a un uom quella sovrana
beltà, che al suo desio la volle avvinta,
e sposa e amante la portò lontana!...

... Batte or la pioggia dal rovaio spinta
ai vetri de la stanza solitaria
ove la madre sta, tacita, vinta:

schiude essa i labbri, quasi in cerca d'aria;
ma pensa: "La diletta ora è felice... ".
E, bianca al par di statua funeraria,

quella sparita forma benedice.
Arold Jun 2020
Os meus pensamentos são rápidos e ferozes
Mas a minha voz ainda enfraquece
Pernas tremem com o vento
O meus lábios cerram-se envergonhados

Dizer ou não dizer
Mostrar ou esconder
O facilitismo que provém da irracionalidade
Dá me enjoos matinais

Deixa andar diz ela
Mas a mim só me apetece fugir
Gostava de saber esconder mais
Para mostrar-te menos
Sei que aí irias perceber-me melhor

Mostrar uma faceta falsa
Para aquilo que é verdadeiro se diminuir
Queria que ficasses mais tempo
Para que eu te possa ignorar um pouco mais de manhã
Li osservo, questi uomini, educati
ad altra vita che la mia: frutti
d'una storia tanto diversa, e ritrovati,
quasi fratelli, qui, nell'ultima forma
storica di Roma. Li osservo: in tutti
c'è come l'aria d'un buttero che dorma
armato di coltello: nei loro succhi
vitali, è disteso un tenebrore intenso,
la papale itterizia del Belli,
non porpora, ma spento peperino,
bilioso cotto. La biancheria, sotto,
fine e sporca; nell'occhio, l'ironia
che trapela il suo umido, rosso,
indecente bruciore. La sera li espone
quasi in romitori, in riserve
fatte di vicoli, muretti, androni
e finestrelle perse nel silenzio.
È certo la prima delle loro passioni
il desiderio di ricchezza: sordido
come le loro membra non lavate,
nascosto, e insieme scoperto,
privo di ogni pudore: come senza pudore
è il rapace che svolazza pregustando
chiotto il boccone, o il lupo, o il ragno;
essi bramano i soldi come zingari,
mercenari, puttane: si lagnano
se non ce n'hanno, usano lusinghe
abbiette per ottenerli, si gloriano
plautinamente se ne hanno le saccocce
piene.
Se lavorano - lavoro di mafiosi macellari,
ferini lucidatori, invertiti commessi,
tranvieri incarogniti, tisici ambulanti,
manovali buoni come cani - avviene
che abbiano ugualmente un'aria di ladri:
troppa avita furberia in quelle vene...

Sono usciti dal ventre delle loro madri
a ritrovarsi in marciapiedi o in prati
preistorici, e iscritti in un'anagrafe
che da ogni storia li vuole ignorati...
Il loro desiderio di ricchezza
è, così, banditesco, aristocratico.
Simile al mio. Ognuno pensa a sé,
a vincere l'angosciosa scommessa,
a dirsi: "È fatta, " con un ghigno di re...
La nostra speranza è ugualmente ossessa:
estetizzante, in me, in essi anarchica.
Al raffinato e al sottoproletariato spetta
la stessa ordinazione gerarchica
dei sentimenti: entrambi fuori dalla storia,
in un mondo che non ha altri varchi
che verso il sesso e il cuore,
altra profondità che nei sensi.
In cui la gioia è gioia, il dolore dolore.
Udii tra il sonno le ciaramelle,
** udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.
Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata nè suoi tuguri
tutta la buona povera gente.
Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d'ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.
Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.
Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;
suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.
O ciaramelle degli anni primi,
d'avanti il giorno, d'avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;
che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s'accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.
Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;
sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!
Fable XV, Livre I.


Pauvre Turc ! qu'il est bon ! le charmant caractère !
S'écriait un enfant en promenant sa main
Sur un dogue enchaîné qui, dit-on, par dédain,
Impunément le laissait faire.
Vilain Fox ! comme il est méchant !
Dit un moment après le même personnage,  
Agaçant un barbet qui, malgré maint outrage,
Mordait à peine en se fâchant.
Papa, c'est celui-ci qu'il faut mettre à la chaîne ;
L'autre, dans la maison, doit errer librement.
Le père avait la tête saine,
Et pensa tout différemment.
- Mon enfant, moins de promptitude,
À porter condamnation !
Tu juges sur une action ;
Il faut juger sur l'habitude.
Différons donc, si tu m'en crois,
De rien changer à l'ancien ordre ;
Car si Fox a mordu, c'est la première fois ;
C'est la première aussi que Turc cesse de mordre.
Mariana Seabra Sep 2022
Não são os outros! Nunca foram os outros.

Não é o lugar! Nunca foi o lugar.

Sou eu!



Já quis partir em retiros para o Tibete. Ou em viagens espirituais para a Tailândia. Já quis correr o mundo à procura de algo que só podia encontrar em mim. Parece-me interessante, aliás, ainda o quero fazer pela pura necessidade que tenho de experienciar. No entanto, é inútil. É mirar ao fracasso, e é condenação interior a uma busca incessante que não traz paz, só traz correria desenfreada, sem meta final onde possa descansar, uma armadilha que me obriga a jogar por algo que nem vale a pena ganhar.
Prefiro a tranquilidade que me consigo proporcionar. Em vez de correr, prefiro caminhar. Prefiro aceitar a incompletude, para não ter de me andar a perseguir por lugares onde nem sequer passei. Prefiro pensar no que tenho. Prefiro aceitar o que tenho. Prefiro limar o que tenho. Prefiro amar o que tenho. Não me falta peça nenhuma! Só me falta descobrir uma maneira de lhes dar sentido... de me ordenar.

É inútil acharmos que temos de sair do sítio para viver e, consequentemente, evoluir ou mudar, ou correr de lugar para lugar, à procura da essência mais profunda que nos constrói. Quando as raízes são profundas, não há razão para temer o vento! O nosso cérebro não sabe distinguir entre a experiência vivida e a experiência imaginada, para ele é tudo igual. Somos biliões de informações! a que este magnífico pedaço de ***** cinzenta atribui significado. Experiências reais ou imaginárias, que se convertem em memórias, memórias que ganham uma nova vida de cada vez que as recordamos, histórias que repetimos a nós e aos outros, até sermos só pedaços daquilo que lhes contamos.

Prefiro esquecer!
Escrevo as histórias que nunca contei, para depois as tentar esquecer...

Só me oriento pelas minhas próprias pegadas e, quando escrevo é apenas através de experiência pessoal. Não recorro à generalização de vivências tão únicas, mas, como admito ser-humana, sei que por muitos outros são partilhadas, e sem o meu consentimento, generalizadas. Nasci para escrever poesia, mas não sei se nasci para ser poeta. A escrita é um dissecar do próprio íntimo. Escrever é sangrar para o papel. E se o que eu escrevo fizer sentido para um outro alguém, então ótimo, é como se partilhássemos o mesmo abraço enquanto o meu poema durar. E se o que eu escrevo não fizer sentido para ninguém, não importa. Escrevo para mim. Qualquer outra pessoa que me tente ler, irá observar-me através de um vidro duplamente espelhado. O que pensa observar de mim é, nada mais nada menos, do que o seu reflexo a acenar de volta para si. Porque a poesia é assim! dizem-me que não pertence a quem a escreve
mas sim
a quem a lê.
Sou do contra, não vivo à vossa mercê! A poesia é minha! O amor é meu! A dor é minha! E se a estou a partilhar, não é por motivos altruístas, não quero ser vista nem entendida. E se a estou a partilhar, é só porque estava sufocada, porque o poema já me estava a arder nas veias, muito antes do próprio poema começar. E se o estou a partilhar, é porque não tive escolha, era escrever ou morrer! e depois de estar cá fora, depois do fogo apagar, depois das cinzas pousarem e da ferida parar de jorrar... só depois, muito depois, é que uso o meu discernimento, volto atrás no tempo e decido se o vou partilhar, ou se é só meu, e de quem me veio inspirar.

Sou líder de mim mesma!

Sento-me na mesa-redonda do Eu e converso com todos os meus familiares, amigos, parceiros, desconhecidos, inimigos, anjos e demónios, todos com a minha cara, todos com a minha maneira de pensar, todos a olhar de volta para mim à espera que comece a falar...Quem diria, que de uma mesa tão cheia e diversificada, poderia comprimi-la, agrupa-la numa só pessoa, com uma única fachada virada para o exterior! Adoro a complexidade que de mim emana! Adoro ser várias, e ao mesmo tempo ser coesa. Ser o sol que mantém todas de mim em órbita, a força universal que me mantém presa,
Fiel a quem sou,
Com alma pura e coração digno de entrar na corte real da nobreza.
Entro em longos debates com todas as versões de mim, sobre qual de nós seguir. Creio que, desde tenra idade, tornei-me boa ouvinte para dentro. O dito mundo real não me bastava, muito menos me alegrava ou inspirava, então, recuei. Retraí-me para o vasto mundo interior da minha mente e, inventei mundos novos. Foi assim que descobri a melhor companhia que podia ter. Nunca me sentia sozinha, desde que me tivesse presente. Depois de aprender a escutar o que vem de dentro, aprendi a escutar o que vem de fora. No final do debate, decido seguir a mim mesma. Nenhuma de mim ficará para trás! Nem as que já morreram e tive de enterrar! mesmo que não saiba para onde seguir. Talvez em frente. Diria que, por esta altura, seguir em frente é uma especialização minha.  

Como qualquer líder, às vezes também me falho.

Como qualquer líder, debruço-me obsessivamente sobre as falhas até descobrir como as preencher. Puno-me por elas e, finalmente, permito-me aprender.  

Como qualquer líder, sou consumidora assídua de pequenas e grandes lições.

Como qualquer líder, cometo erros. E, como qualquer líder, tento não repetir os mesmos.  

Só não sou como qualquer líder. Não nasci para guiar outros, porque também eu estou perdida. Não quero que me sigam! Aliás, se for possível, sigam o caminho oposto ao meu. E não me peçam para vos seguir! Só me sei seguir a mim, e mal.  

Nasci para desbravar o mato à machadada, na exata medida em que for avançando nele. Não me ofereçam florestas já desbravadas! Fiquem lá com elas. Não me ofereçam sonhos que não me pertencem! Prefiro deitar-me mais cedo para ter os meus. Não me vendam a vossa verdade! É um negócio sujo, onde eu ficaria sempre a perder. A verdade do outro, que fique o outro com ela. Prefiro explorar a minha.  

Deixem-me ir!

Quero ver por mim. Ouvir por mim. Tocar por mim. Cheirar por mim. Saborear por mim. Cair por mim. Levantar pela minha própria mão. Vivam as vossas experiências e deixem-me viver as minhas!  

Deixem-me tirar as minhas próprias conclusões! Tomá-las como certas, só para mais tarde descobrir que estão erradas. E está tudo bem, crescer é mesmo isso.  

Deixem-me ser mutável! Não me queiram vendada, de ideias fixas ou radicalizadas. Sou adepta do equilíbrio, apesar de nem sempre o conseguir manter. No meu mundo tudo tem permissão para existir, simultaneamente. Todos têm permissão para ser. Há um espaço invisível sem paredes para o delimitar, um lugar inspirado no Lavoisier, onde nada se perde, nada se cria, tudo se pode transformar.

Deixem-me ser! Só peço que me deixem ser! E serei feliz, mesmo na minha profunda infelicidade.  

Nasci para ser uma selvagem autodomada. Uma líder seletivamente dedicada. Uma humana fortemente frágil, com uma beleza feia, como me dizia uma bela cigana, e obcecada com a sua própria caminhada.  

Posso viajar para o sítio mais lindo do universo! Posso deslocar os olhos pelas mais belas paisagens! Posso conhecer os seres mais fascinantes! Posso ler as palavras mais requintadas! Poderia até beber da fonte da juventude eterna!  

Mas se eu não estiver em mim, se não estiver comigo, não há nada. Não há nada! Não há coisa alguma que chegue até mim se eu não estiver dentro de casa para a receber, para lhe abrir a porta, cumprimenta-la com um sorriso, um olhar cativo de quem está lá para a acolher. Não há beleza que me toque, porque não há ninguém cá dentro para ser tocado. Às vezes, viro uma casa assombrada. Abandonada, com vida morta. Há o receptáculo! Esse fica, até que a Terra decida vir recuperá-lo e, com todo o direito, levá-lo de volta para si.  Há o corpo em piloto automático, só não há a alma que o irradia, ou que o faça completo.  

Sei quando estou comigo. Tal como sei quando me abandono. "Só não sei para onde vou de cada vez que me decido abandonar", isto foi outra coisa que aquela bela cigana que me disse, ou estarei a sonhar? A realidade e o imaginário tornam-se mais difíceis de separar.
Onde me escondo de mim mesma?
Sou mestre a desaparecer, sem aviso prévio de quando irei voltar...se irei voltar. Que péssimo hábito! Que mecanismo de defesa ridículo! Foi uma maldição que me deitaram e, agora, tenho de a conseguir quebrar.
Tenho de me quebrar!...
Abrir-me até ao meu interior, olhar para dentro do poço, mesmo que me dê vontade de vomitar, principalmente, quando me dá vontade de vomitar...por mais que me custe olhar. Não posso desviar o olhar! Tenho de remexer nas minhas entranhas, sentir nas minhas mãos o que está avariado, e descobrir como o remendar.
E quebro-me! vezes sem conta. E pego nas peças que estilhacei contra o chão, e corto-me com elas, e brinco com elas, e algures, a meio desta sádica brincadeira, há uma ou outra que decide encaixar, e dão-me sentido, uma nova forma, um eu mais polido, mais perto de nunca ser perfeito e completo.

Percebo quando me vou. Fica tudo mais *****. O vazio absorve-me. O mundo desaponta-me. A poesia desaparece. O barulho do silêncio torna-se ensurdecedor. O corpo mexe-se, mas não age. O olhar fica turvo e as lentes que uso não me permitem ver com clareza. A empatia vira apatia. A falta de emoções torna-me robotizada. Não há amor! É ensurdecedor! Não há amor...

A magia que me move decide esconder-se de mim. Não sei se para brincar comigo, não sei se para me provocar, não sei se para despertar a besta que dorme sossegada. Só sei que, de tempo a tempo, a minha alma decide jogar à apanhada e é a primeira a escapar. Alma rebelde e insurreta! Nunca te ensinei a ficar! Perdoa-me, por favor, também não me ensinaram a mim. Mas, ao menos, ensinei-te a voltar. Depois, como que por infantilidade, ou talvez por vontade de regressar a casa, começa a sussurrar-me...Ouço-a chamar baixinho por mim e, lá vou eu toda contente atrás dela, deixo o seu jogo continuar, só por curiosidade de desvendar até onde é que ela vai, onde é que ela pretende levar-me.

Quanto mais me aproximo de mim, mais cores se erguem à minha volta. A paz invade-me e reconquista o seu devido território no meu peito. A poesia ressurge e faz-me ressurgir.  O silêncio volta a ser música para esta alma sensível. O corpo age com intenção. O olhar fica cristalino e escolho ver o mundo através de lentes que o retratam mais bondoso, pelo menos para mim. As emoções retomam o seu percurso natural no meu sistema, com a intensidade de vulcões ativos. A empatia é reflexo do amor que sinto e que transborda. A magia mastiga-me e cospe-me para o mundo em forma de luz.  



De tempo a tempo, perco-me de mim.

De tempo a tempo, reencontro-me.  

E, deste tempo que se aproxima, só quero uma coisa: quero voltar a mim!

Quero abraçar-me! como se estivesse a despedir-me do amor da minha vida, às portas do aeroporto. Quero acarinhar-me e amar-me. Quero voltar a mim!

Quero ver o que vou encontrar quando a mim regressar.  

Perco-me de mim. Demasiadas vezes, perco-me de mim.  

Quando me reencontro, já não estou no ponto onde me perdi. Já sou uma mistura entre aquela que se perdeu e a que está prestes a renascer. Diria que passo muito tempo no limbo da existência e da não existência. 

Quando me reencontro, sou algo diferente. Quem sabe melhor, quem sabe pior...essas reflexões deixo para os que me oferecem opiniões não solicitadas. Sei que sou algo diferente, o resto é ruído.  

Nasci para criar. Nasci para me reinventar.  

Dito isto, acolho a destruição e o caos que vem de dentro como parte do meu processo de criação pessoal.  

Disto isto, quando me reencontrar, é só uma questão de tempo a tempo para me voltar a perder.
Le dicevano: - Bambina!
Che tu non lasci mai stesa,
dalla sera alla mattina,
ma porta dove l'hai presa,
la tovaglia bianca, appena
ch'è terminata la cena!
Bada, che vengono i morti!
I tristi, i pallidi morti!
Entrano, ansimano muti.
Ognuno è tanto mai stanco!
E si fermano seduti
la notte intorno a quel bianco.
Stanno lì sino al domani,
col capo tra le due mani,
senza che nulla si senta,
sotto la lampada spenta. -
È già grande la bambina:
la casa regge, e lavora:
fa il bucato e la cucina,
fa tutto al modo d'allora.
Pensa a tutto, ma non pensa
a sparecchiare la mensa.
Lascia che vengano i morti,
i buoni, i poveri morti.
Oh! la notte nera nera,
di vento, d'acqua, di neve,
lascia ch'entrino da sera,
col loro anelito lieve;
che alla mensa torno torno
riposino fino a giorno,
cercando fatti lontani
col capo tra le due mani.
Dalla sera alla mattina,
cercando cose lontane,
stanno fissi, a fronte china,
su qualche bricia di pane,
e volendo ricordare,
bevono lagrime amare.
Oh! non ricordano i morti,
i cari, i cari suoi morti!
- Pane, sì... pane si chiama,
che noi spezzammo concordi:
ricordate?... È tela, a dama:
ce n'era tanta: ricordi?...
Queste?... Queste sono due,
come le vostre e le tue,
due nostre lagrime amare
cadute nel ricordare! -.
a Jan 2021
kuxaku:
mi ta kom sif da moshisolo
ando felota, felota, felota
naterash wit pensating mi
fo wa Belte mogut.

depelesh mi wanya go;
im wa pelesh sefesowng
wit sownte mali
unte tim fo kopeng mi
fo sasa du amolof foriya.

depelesh kopeng mi
kang sasa feriting fo kowlmang
unte imalowda malimang

amash mi ando felota
unte mi gonya pensa
fo wa Belte wit feriting.
hi da s Nov 2017
fiz de difícil mas foi fácil me amolecer.
o tempo conseguiu deixar fraco toda resistência que as feridas demoraram pra fazer virar cascas.
e o que foi construído logo depois parecia certo, parecia um sonho que só se via em filmes, parecia que podia durar toda uma eternidade no seu devido potinho de conserva.
minha mãe sempre falou, na verdade todo mundo pensa mas tem medo de falar alto - nada dura pra sempre, uma hora as coisas só se acabam.
teimosia é um nome bom. vou usar pra escrever talvez.
ando tão cansada.
cansada só de pensar e não chegar em lugar nenhum.
eu acho que não quero mais escrever mas também acho que eu quero muito escrever.
não sei o que eu quero.
nada dura.
talvez era isso que queria mostrar pra mim antes de dormir.
estamos tristes
Udii tra il sonno le ciaramelle,
** udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.
Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata nè suoi tuguri
tutta la buona povera gente.
Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d'ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.
Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.
Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;
suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.
O ciaramelle degli anni primi,
d'avanti il giorno, d'avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;
che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s'accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.
Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;
sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!
Sono qua rinchiuso
Di pensieri affranto

Senza coscienza alcuna
Di potere il vanto

Volgo i miei sguardi vuoti
Occhi senza sguardo

Voglio sentire ora
Voci, sussurri, suoni

Chiedo a me stesso vivo
Dove guardare ancora

Chiudo i miei occhi alfine
Respiro in affanno

Mi calmo, sento, ascolto
Dentro di me un canto

Ti ** trovata infine
Musa del mio creare

Cuore che pensa lieve
Un pensiero, un incanto.
La chambre, as-tu gardé leurs spectres ridicules,

Ô pleine de jour sale et de bruits d'araignées,

La chambre, as-tu gardé leurs formes désignées

Par ces crasses au mur et par quelles virgules !


Ah fi ! Pourtant, chambre en garni qui te recules

En ce sec jeu d'optique aux mines renfrognées

Du souvenir de trop de choses destinées,

Comme ils ont donc regret aux nuits, aux nuits d'Hercules ?


Qu'on l'entende comme on voudra, ce n'est pas ça.

Vous ne comprenez rien aux choses, bonnes gens

Je vous dis que ce n'est pas ce que l'on pensa.


Seule, ô chambre qui fuis en cônes affligeants

Seule, tu sais ! mais sans doute combien de nuits

De noce auront dévirginé leurs nuits depuis !
Histórias
Não sei ainda como pretendo escrever, nem sei se há alguma forma de dizer nada.
A cabeça, pelo menos a minha, não pensa, não age como pretendia. Porquê?
-Talvez porque esta minha escrita seja apenas para mim. Dito isto, explico.
Como posso pensar, sentir, refletir ou agir em descrever se o resultado são risos e graça que se acha na minha análise sobre as coisas. Os meus sentidos podem estar fracos e eu ser enganado permanentemente sobre as minhas análises.
Nem sempre ouço discórdia ou oposição.
Não pretendo que mundo pare nem as mentes do homem. Apenas me aborrece ver as minhas ideias bizarras e desinteressantes servirem de trampolim há intelectualidade alheia.
Não é um mundo este em que as ideias rápidas e prematuras possam servir para consolidar direções. As raízes são fortes e as mente também já foram mais brilhantes. Muito do que parece engraçado e fácil hoje pode ser destrutivo.
O ciclo pandémico do conhecido vírus de 2019, mostrou fragilidades e uma enganosa mudança que faleceu à nascença.
A mente teve e sofreu um clique real. A fragilidade. Tudo está muito mais confuso agora há medida que seguimos esta direção. Mas muitas mentes se agruparam em função de uma estirpe próxima. Parece que o interesse é salvar uma determinada espécie. Hoje é mais fácil combater qualquer inimigo. O capitalismo manda muito mais.
Esconde-se o dinheiro, até onde? Esconde-se a solução, até quando?
O que não interessa é haver uma sociedade sólida de princípios.
Quer mesmo o ser humano descobrir o que deveria estar perdido, desafiar a divindade como nunca.
Nesta derradeira e desafiante cruzada eu não serei um mero expectador, não irei temer nada, e viverei isto como um conflito de presença de sentir a vida como ela deve ser sentida.
Nenhuma outra desgraça espero passar por defender o certo e seguir os princípios da doutrina, que uns profanam e negam por mera conveniência.
Autor: António Benigno
Código de autor: 2020081022300801
Li osservo, questi uomini, educati
ad altra vita che la mia: frutti
d'una storia tanto diversa, e ritrovati,
quasi fratelli, qui, nell'ultima forma
storica di Roma. Li osservo: in tutti
c'è come l'aria d'un buttero che dorma
armato di coltello: nei loro succhi
vitali, è disteso un tenebrore intenso,
la papale itterizia del Belli,
non porpora, ma spento peperino,
bilioso cotto. La biancheria, sotto,
fine e sporca; nell'occhio, l'ironia
che trapela il suo umido, rosso,
indecente bruciore. La sera li espone
quasi in romitori, in riserve
fatte di vicoli, muretti, androni
e finestrelle perse nel silenzio.
È certo la prima delle loro passioni
il desiderio di ricchezza: sordido
come le loro membra non lavate,
nascosto, e insieme scoperto,
privo di ogni pudore: come senza pudore
è il rapace che svolazza pregustando
chiotto il boccone, o il lupo, o il ragno;
essi bramano i soldi come zingari,
mercenari, puttane: si lagnano
se non ce n'hanno, usano lusinghe
abbiette per ottenerli, si gloriano
plautinamente se ne hanno le saccocce
piene.
Se lavorano - lavoro di mafiosi macellari,
ferini lucidatori, invertiti commessi,
tranvieri incarogniti, tisici ambulanti,
manovali buoni come cani - avviene
che abbiano ugualmente un'aria di ladri:
troppa avita furberia in quelle vene...

Sono usciti dal ventre delle loro madri
a ritrovarsi in marciapiedi o in prati
preistorici, e iscritti in un'anagrafe
che da ogni storia li vuole ignorati...
Il loro desiderio di ricchezza
è, così, banditesco, aristocratico.
Simile al mio. Ognuno pensa a sé,
a vincere l'angosciosa scommessa,
a dirsi: "È fatta, " con un ghigno di re...
La nostra speranza è ugualmente ossessa:
estetizzante, in me, in essi anarchica.
Al raffinato e al sottoproletariato spetta
la stessa ordinazione gerarchica
dei sentimenti: entrambi fuori dalla storia,
in un mondo che non ha altri varchi
che verso il sesso e il cuore,
altra profondità che nei sensi.
In cui la gioia è gioia, il dolore dolore.

— The End —