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Diego Scarca Dec 2010
Adesso, nella calma,
si vedon muovere i pali
della luce, i fogli di carta
sui recinti di legno dei cantieri.

Un’altra volta
c’era stato il commento
degli arabi, dei negri.
In un vecchio vano della casa,
le povere braccia,
le gambe lunghe e magre legate,
incominciano i racconti.

E si urtano gli oggetti
finiti sul fondo della strada,
mentre, per errore,
un fruscìo dei rami avverte
chi vi cammina
o da una griglia esala ancora
l’odore tiepido dell’umidità.

Si dissolve il colore
dalle pianure disegnate
nel sonno dell’umanità. Le creste delle piante
viste d’improvviso
da un punto oscuro
ravvicinate, mute,
perché si possieda in alto
qualche luce della quiete?
Diego Scarca, Architetture del vuoto, Torino, Edizioni Angolo Manzoni, 2007
Io! Maestro dell'essere,
mente a scacchi,
pronta a muovere la prossima pedina
con apatia e ordine. Ordine.

Non implorerò, mai, di avere
un nuovo paio di occhi
che non vedano in bianco e nero,
magari solo meno ingenui, idioti.

Ormai non mi vedo più nello specchio:
spalle, alzate.
Schiena, inarcata.
Capo chino. Pietoso. Indegno!

** già tutto quello che mi serve:
mani di pietra e velluto,
una fronte, rugosa, che parla,
risate tra il folle, e il nobile. Nobile.

///

Me! Master of being,
chess mind,
ready to move the next pawn
with apathy and order. Order.

I will, never, beg to have
a new pair of eyes
that do not see in black and white,
maybe just less naive, idiotic.

I no longer see myself in the mirror:
shoulders, raised.
Back, arched.
Head bowed. Pitiful. Unworthy!

I already have everything I need:
hands of stone and velvet,
a forehead, wrinkled, that speaks,
laughter between the madman, and the noble. Noble.
When you know yourself, you can start love your evilness

— The End —