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Ricordi quand'eri saggina,
coi penduli grani che il vento
scoteva, come una manina
di ***** il sonaglio d'argento?
Cadeva la brina; la pioggia
cadeva: passavano uccelli
gemendo: tu gracile e roggia
tinnivi coi cento ramelli.
Ed oggi non più come ieri
tu senti la pioggia e la brina,
ma sgrigioli come quand'eri
saggina.
Restavi negletta nei solchi
quand'ogni pannocchia fu colta:
te, colsero, quando i bifolchi
v'ararono ancora una volta.
Un vecchio ti prese, recise,
legò; ti privò della bella
semenza tua rossa; e ti mise
nell'angolo, ad essere ancella.
E in casa tu resti, in un canto,
negletta qui come laggiù;
ma niuno è di casa pur quanto
sei tu.
Se t'odia colui che la trama
distende negli alti solai,
l'arguta gallina pur t'ama,
cui porti la preda che fai.
E t'ama anche senza, ché ai costi
ti sbalza, ed i grani t'invola,
residui del tempo che fosti
saggina, nei campi già sola.
Ma più, gracilando t'aspetta
con ciò che in tua vasta rapina
le strascichi dalla già netta
cucina.
Tu lasci che t'odiino, lasci
che t'amino: muta, il tuo giorno,
nell'angolo, resti, coi fasci
di stecchi che attendono il forno.
Nell'angolo il giorno tu resti,
pensosa del canto del gallo;
se al ***** tu già non ti presti,
che viene, e ti vuole cavallo.
Riporti, con lui che ti frena,
le paglie ch'hai tolte, e ben più;
e gioia or n'ha esso; ma pena
poi tu.
Sei l'umile ancella; ma reggi
la casa: tu sgridi a buon'ora,
mentre impaziente passeggi,
gl'ignavi che dormono ancora.
E quanto tu muovi dal canto,
la rondine è ancora nel nido;
e quando comincia il suo canto,
già ode per casa il tuo strido.
E l'alba il suo cielo rischiara,
ma prima lo spruzza e imperlina,
così come tu la tua cara
casina.
Sei l'umile ancella, ma regni
su l'umile casa pulita.
Minacci, rimproveri; insegni
ch'è bella, se pura, la vita.
Insegni, con l'acre tua cura
rodendo la pietra e la creta,
che sempre, per essere pura,
si logora l'anima lieta.
Insegni, tu sacra ad un rogo
non tardo, non bello, che più
di ciò che tu mondi, ti logori
tu!
Diego Scarca Feb 2010
Alla voce della persona, ignorata,
non risponde che uno stesso sfondo
di suono paziente, vuoto.
Con gesti circospetti
non si fermano gli oggetti
lasciati in un punto.

C'è stato un giorno qualsiasi,
un avvenimento banale:
qualcuno che dormiva
nelle camere di fianco
mentre si parlava.
E continuan le abitudini.

Sul cortile riposano
la nera facciata
e gli archi dei terrazzi.
Da un angolo proviene
una vampata di terrore.
S'arresta il rumore dei fili
della luce sbattuti.
S'apre una corta reminiscenza.

Nello stesso spazio
occupato prima da un senso strano
ora è un cemento d'angoscia.
Sul parapetto del muro di fronte
cade qualcosa,
poi si muove un animale nel fondo.

Arriveranno altri perduti dettagli,
si sentirà l'assenza.
Quando dal vicolo si scorge
un'altra spoglia di ringhiera
e una parvenza di passi sulla ghiaia,
come un pazzo risvolto, si ripete,
nel grembo dell'essere t'assale,
senza speranza,
un incontrastato malessere
così forte che il tempo appare
nella posa arrogante degli oggetti.

Oltre la scarpata,
piani di terra asciutta, martoriata,
i campi dove si tuffi
l'acqua di motori accesi nella notte
e, dietro, il mare.
E' un disuguale accorgersi
delle distanze.

A volte si sostiene per ore
un manto di oscurità feroce
intorno ad una statua.
Poi non resta che il dissapore
per aver inteso domandare pietà
da un'inutile voce.
Diego Scarca, Architetture del vuoto, Torino, Edizioni Angolo Manzoni, 2007
Ricordi quand'eri saggina,
coi penduli grani che il vento
scoteva, come una manina
di ***** il sonaglio d'argento?
Cadeva la brina; la pioggia
cadeva: passavano uccelli
gemendo: tu gracile e roggia
tinnivi coi cento ramelli.
Ed oggi non più come ieri
tu senti la pioggia e la brina,
ma sgrigioli come quand'eri
saggina.
Restavi negletta nei solchi
quand'ogni pannocchia fu colta:
te, colsero, quando i bifolchi
v'ararono ancora una volta.
Un vecchio ti prese, recise,
legò; ti privò della bella
semenza tua rossa; e ti mise
nell'angolo, ad essere ancella.
E in casa tu resti, in un canto,
negletta qui come laggiù;
ma niuno è di casa pur quanto
sei tu.
Se t'odia colui che la trama
distende negli alti solai,
l'arguta gallina pur t'ama,
cui porti la preda che fai.
E t'ama anche senza, ché ai costi
ti sbalza, ed i grani t'invola,
residui del tempo che fosti
saggina, nei campi già sola.
Ma più, gracilando t'aspetta
con ciò che in tua vasta rapina
le strascichi dalla già netta
cucina.
Tu lasci che t'odiino, lasci
che t'amino: muta, il tuo giorno,
nell'angolo, resti, coi fasci
di stecchi che attendono il forno.
Nell'angolo il giorno tu resti,
pensosa del canto del gallo;
se al ***** tu già non ti presti,
che viene, e ti vuole cavallo.
Riporti, con lui che ti frena,
le paglie ch'hai tolte, e ben più;
e gioia or n'ha esso; ma pena
poi tu.
Sei l'umile ancella; ma reggi
la casa: tu sgridi a buon'ora,
mentre impaziente passeggi,
gl'ignavi che dormono ancora.
E quanto tu muovi dal canto,
la rondine è ancora nel nido;
e quando comincia il suo canto,
già ode per casa il tuo strido.
E l'alba il suo cielo rischiara,
ma prima lo spruzza e imperlina,
così come tu la tua cara
casina.
Sei l'umile ancella, ma regni
su l'umile casa pulita.
Minacci, rimproveri; insegni
ch'è bella, se pura, la vita.
Insegni, con l'acre tua cura
rodendo la pietra e la creta,
che sempre, per essere pura,
si logora l'anima lieta.
Insegni, tu sacra ad un rogo
non tardo, non bello, che più
di ciò che tu mondi, ti logori
tu!
Ricordi quand'eri saggina,
coi penduli grani che il vento
scoteva, come una manina
di ***** il sonaglio d'argento?
Cadeva la brina; la pioggia
cadeva: passavano uccelli
gemendo: tu gracile e roggia
tinnivi coi cento ramelli.
Ed oggi non più come ieri
tu senti la pioggia e la brina,
ma sgrigioli come quand'eri
saggina.
Restavi negletta nei solchi
quand'ogni pannocchia fu colta:
te, colsero, quando i bifolchi
v'ararono ancora una volta.
Un vecchio ti prese, recise,
legò; ti privò della bella
semenza tua rossa; e ti mise
nell'angolo, ad essere ancella.
E in casa tu resti, in un canto,
negletta qui come laggiù;
ma niuno è di casa pur quanto
sei tu.
Se t'odia colui che la trama
distende negli alti solai,
l'arguta gallina pur t'ama,
cui porti la preda che fai.
E t'ama anche senza, ché ai costi
ti sbalza, ed i grani t'invola,
residui del tempo che fosti
saggina, nei campi già sola.
Ma più, gracilando t'aspetta
con ciò che in tua vasta rapina
le strascichi dalla già netta
cucina.
Tu lasci che t'odiino, lasci
che t'amino: muta, il tuo giorno,
nell'angolo, resti, coi fasci
di stecchi che attendono il forno.
Nell'angolo il giorno tu resti,
pensosa del canto del gallo;
se al ***** tu già non ti presti,
che viene, e ti vuole cavallo.
Riporti, con lui che ti frena,
le paglie ch'hai tolte, e ben più;
e gioia or n'ha esso; ma pena
poi tu.
Sei l'umile ancella; ma reggi
la casa: tu sgridi a buon'ora,
mentre impaziente passeggi,
gl'ignavi che dormono ancora.
E quanto tu muovi dal canto,
la rondine è ancora nel nido;
e quando comincia il suo canto,
già ode per casa il tuo strido.
E l'alba il suo cielo rischiara,
ma prima lo spruzza e imperlina,
così come tu la tua cara
casina.
Sei l'umile ancella, ma regni
su l'umile casa pulita.
Minacci, rimproveri; insegni
ch'è bella, se pura, la vita.
Insegni, con l'acre tua cura
rodendo la pietra e la creta,
che sempre, per essere pura,
si logora l'anima lieta.
Insegni, tu sacra ad un rogo
non tardo, non bello, che più
di ciò che tu mondi, ti logori
tu!
Marco Bo Sep 2018
under this grey suburban sky
the hardest or the most beautiful thing of the day
it is always around the corner
but you must look forward to notice

yes sure even backwards around and low and smell the ground
but if you do not look forward that one thing
ugly or beautiful you will not see
and then you make a mistake and pay the consequences
you do not notice anything until it's too late

that's why we trust each other
since beside hunting,
we remind each other that we are prey too

we two, master and dog
cannot tell which of the two has learned or taught the most
fact is that we have grown
overall we feel safer
as we put one foot or paw in front of the other
and forward we go

after all
life is just a bite or a wagging tail away
...................


sotto questo grigio cielo suburbano
la cosa più difficile o più bella della giornata
è sempre dietro l'angolo
ma devi guardare avanti per poterla notare

sì, certo, anche all'indietro, intorno e in basso
e sentire l'odore del terreno
ma se non si guarda avanti,
quella cosa, brutto o bella che sia, non vedrai
e potresti commettere un errore e pagarne le conseguenze
se non noti nulla finché non è troppo tardi
ecco perché ci fidiamo l'un l'altro

poiché oltre a cacciare
ci ricordiamo l’un l’altro che siamo anche noi prede
noi due, padrone e cane
non posso dire quale dei due ha imparato o insegnato di più

il fatto è che siamo cresciuti
nel complesso ci sentiamo più sicuri quando mettiamo un piede o una zampa di fronte all'altra

e avanti andiamo
dopotutto
la vita è solo a un morso, o a una coda contenta, di distanza
La fatica è sedersi senza farsi notare.
Tutto il resto poi viene da sé. Tre sorsate
e ritorna la voglia di pensarci da solo.
Si spalanca uno sfondo di lontani ronzii,
ogni cosa si sperde, e diventa un miracolo
esser nato e guardare il bicchiere. Il lavoro
(l'uomo solo non può non pensare al lavoro)
ridiventa l'antico destino che è bello soffrire
per poterci pensare. Poi gli occhi si fissano
a mezz'aria, dolenti, come fossero ciechi.

Se quest'uomo si rialza e va a casa a dormire,
pare un cieco che ha perso la strada. Chiunque
può sbucare da un angolo e pestarlo di colpi.
Può sbucare una donna e distendersi in strada,
bella e giovane, sotto un altr'uomo, gemendo
come un tempo una donna gemeva con lui.
Ma quest'uomo non vede. Va a casa a dormire
e la vita non è che un ronzio di silenzio.

A spogliarlo, quest'uomo, si trovano membra sfinite
e del pelo brutale, qua e là. Chi direbbe
che in quest'uomo trascorrono tiepide vene
dove un tempo la vita bruciava? Nessuno
crederebbe che un tempo una donna abbia fatto carezze
su quel corpo e baciato quel corpo, che trema,
e bagnato di lacrime, adesso che l'uomo
giunto a casa a dormire, non riesce, ma geme.
tokonoma Oct 2014
out of lust he detached
his eyes from the recording meter,
frames shifted apart,
he turned when all was already gone.
as he fiddled between elastic bands and clips
he realized :
time for another cigarette and a barley coffee.
with his friend’s eybrows
the patron of the corner bar ***** the sister,
too ****** not to deserve it at least in dreams.
a song popped up again
unwrapping fifteen years of ratafia candies .
as he crossed the street, again
the yellow light reminded him that santander
was a rainy city .
what mostly ****** him off was not being able to smoke on the street

Italian version  written in 1995:

per concupiscenza staccò
gli occhi dal contatore,
l’immagine cambiò parte,
si voltò quando già non c’era.
giochicchiando tra l’elastico e le clips
si rese conto:
era tempo di un’altra sigaretta e un caffè d’orzo.
il signore del bar d’angolo
stuprava la sorella colle ciglia dell’amico,
troppo stronza per non meritarlo almeno in sogno.
una canzone si rifece viva
scartando almeno quindici anni di caramelle ratafià.
riattraversando
il giallo gli rammentò che santander
era una città piovosa.
soprattutto lo irritava il non poter fumare in strada.
"Cammina, su, non fare resistenza!"
diceva 'o brigadiere, e 'a strascenava.
"Sta storia adda fernì,è un'indecenza!".
"Chi sa c'ha fatto"- 'a ggente se spiava.
"C'ha fatto?" - rispunnette nu signore.
È na povera ddia... è na mundana".
"E 'a porteno accussì?Gesù, che core!"
murmuliaie Nannina " 'a parulana ".
"Lassateme... nun aggio fatto niente!".
"E lass' 'a jì - dicette nu cucchiere -
ma vuie 'e vvedite quanto sò fetiente?".
"Nce vò nu core a ffà chillu mestiere".
"Sta purtanno 'o brigante Musolino-
se mettette alluccà Peppe " 'o Fravaglia" -
Si 'o ssape ll'onorevole Merlini
'o fa 'a proposta p' 'o fà avè 'a medaglia".
Quase ogne ghiuorno, 'a povera figliola
approfittava ca na caruzzella
a Nnapule scenneva d'Afragola
pe nu passaggio fino 'a Ruanella.
'O nomme?Nun 'o saccio.
Saccio sulo ca 'e ccumpagne
'a chiammaveno " 'A pezzente".
Pe sparagnà, 'a sera, dduie fasule,
e, spisse vote, nun magnava niente!
Cu chelle ppoche lire ch'abbuscava
aveva mantenè tutta 'a famiglia;
e quanno 'e vvote po'... nun aizava,
steva diuno 'o pate, 'a mamma e 'o figlio.
'O pate, viecchio, ciunco... into a nu lietto
senza lenzole, cu na cupertella.
E 'a mamma ca campava pe dispietto
d' 'a morte e d' 'a miseria.
Puverella! A piede o lietto, dinto a nu spurtone,
na criatura janca e malaticcia,
pe pazziella 'nmano nu scarpone
e na tozzola 'e pane sereticcio.
Nun appena fuie 'ncoppa 'a Sezione,
se mettette alluccà comme a na pazza.
'E strille se sentivano a 'o puntone.
"Ch' è stato, neh? Ched' è chisto schiamazzo?
Avanti, fate entrà sta... Capinera"-
dicette 'o Cummissario a nu piantone.
E 'o milite, cu grazia e cu maniera,
'a votta dinto cu nu sbuttulone.
"Ah! Sì tu? - dicette 'o funzionario-
Si nun mme sbaglio, tu si recidiva?
Si cunusciuta cca a Muntecalvario.
Addò t'hanno acchiappata, neh, addò stive?".
"All'angolo d' 'o vico 'a Speranzella.
Steve parlanno cu nu marenaro,
quanno veco 'e passà na carruzzella
Cu dinto don Ciccillo 'o farenaro.
Don Ciccio fa nu segno: "Fuitenne!
Curre ca sta passando 'o pattuglione".
I' dico a 'o marenaro: "Iatevenne.
Stu brigadiere 'o saccio... è nu 'nfamone"
."A legge è legge - dice 'o cavaliere
Nun aggio che te fà, ragazza mia.
I' te cunziglio: lassa stu mestiere,
e lievete pe sempe 'a miezo 'a via".
"E che mme metto a ffà, signore bello,
'a sarta, 'a lavannara, 'a panettera?
Spisso mm' 'o sento chistu riturnello"
."E truovete nu posto 'e cammarera!".
"Signò, dicite overo opuro apposta?
Vulite pazzià? E nun è umano.
V' 'a mettisseve dinto 'a casa vosta
chi... pe disgrazia ha avuta fà 'a puttana?!".
Non chiamarmi, non dirmi nulla
Non tentare di farmi sorridere.
Oggi io sono come la belva
che si rintana per morire.

Abbassa la lampada, copri il fuoco,
che la stanza sia come una tomba.
Lascia ch'io mi rannicchi nell'angolo
con la testa sulle ginocchia.

L'ore si spengano nel silenzio.
Salga in torbide onde l'angoscia
e m'affoghi: altro non chiedo
che di perdere la conoscenza.

Ma non è dato. Quel volto,
quel riso l'** sempre davanti.
Giorno e notte il ricordo m'è uncino
confitto nella carne viva.

Forse morire io non potrò
mai: condannata in eterno
a vegliare il mio strazio in me,
piangendo con occhi senza palpebre.
Non ** voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

** tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
******>con le quattro
capriole
di fumo
del focolare.
Buon San Valentino, cari amici.
È il giorno per prendersi cura l'uno dell'altro
E dove dobbiamo tenerci per mano
L'amicizia è importante, l'amore è importante
La famiglia è importante, le buone maniere sono importanti
E anche i fiori sono importanti, fratelli e sorelle
Non essere troppo arrabbiato
Perché il cielo non è blu
Godiamoci la rugiada del mattino
Non essere troppo triste
Godiamoci il clima freddo e soleggiato
C'è neve qua e là, ma è dietro l'angolo
È primavera con aria fresca e un mazzo di fiori
L'amicizia è importante, l'amore è importante
Ci sono scintille di fuoco d'amore nell'aria
Godiamoci la stagione dell'amore, della pace e della cura
È tempo di camminare felicemente mano nella mano
Insieme cammineremo, insieme ci solleveremo.

P.S. Traduzione di “Joyous Saint Valentine’s Day” di Hébert Logerie.
Questa poesia è dedicata a tutti gli innamorati del mondo.
Copyright © gennaio 2025, Hébert Logerie, Tutti i diritti riservati.
Hébert Logerie è autore di diverse raccolte di poesie.
Marco Bo Aug 2018
under this gray suburban sky
you
look down and wait for sunrise,
close your eyes and curse the fall
mimic a caress and clench your fists
spread water  to start a fire
and pretend to stop it with dry breeze

by this forgotten corner of the universe
as if nothing had, laziness is your excuse to forgive your loneliness
and to pretend not to feel the unbearable pain
dull mask on fragile bones
perfect embroidery on hard stone
.............................

sotto questo grigio cielo suburbano
tu
  guardi in basso e aspetti l'alba,
chiudi gli occhi e maledici la caduta
imiti una carezza e stringi i pugni
spargi acqua per accendere un fuoco
e pretendi di fermarlo con il vento

in questo angolo dimenticato dell'universo
come se nulla fosse, la pigrizia è la tua scusa per perdonare la tua solitudine
e fingere di non sentire il dolore insopportabile
maschera opaca su ossa fragili
ricamo perfetto su dura pietra
La fatica è sedersi senza farsi notare.
Tutto il resto poi viene da sé. Tre sorsate
e ritorna la voglia di pensarci da solo.
Si spalanca uno sfondo di lontani ronzii,
ogni cosa si sperde, e diventa un miracolo
esser nato e guardare il bicchiere. Il lavoro
(l'uomo solo non può non pensare al lavoro)
ridiventa l'antico destino che è bello soffrire
per poterci pensare. Poi gli occhi si fissano
a mezz'aria, dolenti, come fossero ciechi.

Se quest'uomo si rialza e va a casa a dormire,
pare un cieco che ha perso la strada. Chiunque
può sbucare da un angolo e pestarlo di colpi.
Può sbucare una donna e distendersi in strada,
bella e giovane, sotto un altr'uomo, gemendo
come un tempo una donna gemeva con lui.
Ma quest'uomo non vede. Va a casa a dormire
e la vita non è che un ronzio di silenzio.

A spogliarlo, quest'uomo, si trovano membra sfinite
e del pelo brutale, qua e là. Chi direbbe
che in quest'uomo trascorrono tiepide vene
dove un tempo la vita bruciava? Nessuno
crederebbe che un tempo una donna abbia fatto carezze
su quel corpo e baciato quel corpo, che trema,
e bagnato di lacrime, adesso che l'uomo
giunto a casa a dormire, non riesce, ma geme.
Non chiamarmi, non dirmi nulla
Non tentare di farmi sorridere.
Oggi io sono come la belva
che si rintana per morire.

Abbassa la lampada, copri il fuoco,
che la stanza sia come una tomba.
Lascia ch'io mi rannicchi nell'angolo
con la testa sulle ginocchia.

L'ore si spengano nel silenzio.
Salga in torbide onde l'angoscia
e m'affoghi: altro non chiedo
che di perdere la conoscenza.

Ma non è dato. Quel volto,
quel riso l'** sempre davanti.
Giorno e notte il ricordo m'è uncino
confitto nella carne viva.

Forse morire io non potrò
mai: condannata in eterno
a vegliare il mio strazio in me,
piangendo con occhi senza palpebre.
La fatica è sedersi senza farsi notare.
Tutto il resto poi viene da sé. Tre sorsate
e ritorna la voglia di pensarci da solo.
Si spalanca uno sfondo di lontani ronzii,
ogni cosa si sperde, e diventa un miracolo
esser nato e guardare il bicchiere. Il lavoro
(l'uomo solo non può non pensare al lavoro)
ridiventa l'antico destino che è bello soffrire
per poterci pensare. Poi gli occhi si fissano
a mezz'aria, dolenti, come fossero ciechi.

Se quest'uomo si rialza e va a casa a dormire,
pare un cieco che ha perso la strada. Chiunque
può sbucare da un angolo e pestarlo di colpi.
Può sbucare una donna e distendersi in strada,
bella e giovane, sotto un altr'uomo, gemendo
come un tempo una donna gemeva con lui.
Ma quest'uomo non vede. Va a casa a dormire
e la vita non è che un ronzio di silenzio.

A spogliarlo, quest'uomo, si trovano membra sfinite
e del pelo brutale, qua e là. Chi direbbe
che in quest'uomo trascorrono tiepide vene
dove un tempo la vita bruciava? Nessuno
crederebbe che un tempo una donna abbia fatto carezze
su quel corpo e baciato quel corpo, che trema,
e bagnato di lacrime, adesso che l'uomo
giunto a casa a dormire, non riesce, ma geme.
Non chiamarmi, non dirmi nulla
Non tentare di farmi sorridere.
Oggi io sono come la belva
che si rintana per morire.

Abbassa la lampada, copri il fuoco,
che la stanza sia come una tomba.
Lascia ch'io mi rannicchi nell'angolo
con la testa sulle ginocchia.

L'ore si spengano nel silenzio.
Salga in torbide onde l'angoscia
e m'affoghi: altro non chiedo
che di perdere la conoscenza.

Ma non è dato. Quel volto,
quel riso l'** sempre davanti.
Giorno e notte il ricordo m'è uncino
confitto nella carne viva.

Forse morire io non potrò
mai: condannata in eterno
a vegliare il mio strazio in me,
piangendo con occhi senza palpebre.
Non ** voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

** tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
******>con le quattro
capriole
di fumo
del focolare.
"Cammina, su, non fare resistenza!"
diceva 'o brigadiere, e 'a strascenava.
"Sta storia adda fernì,è un'indecenza!".
"Chi sa c'ha fatto"- 'a ggente se spiava.
"C'ha fatto?" - rispunnette nu signore.
È na povera ddia... è na mundana".
"E 'a porteno accussì?Gesù, che core!"
murmuliaie Nannina " 'a parulana ".
"Lassateme... nun aggio fatto niente!".
"E lass' 'a jì - dicette nu cucchiere -
ma vuie 'e vvedite quanto sò fetiente?".
"Nce vò nu core a ffà chillu mestiere".
"Sta purtanno 'o brigante Musolino-
se mettette alluccà Peppe " 'o Fravaglia" -
Si 'o ssape ll'onorevole Merlini
'o fa 'a proposta p' 'o fà avè 'a medaglia".
Quase ogne ghiuorno, 'a povera figliola
approfittava ca na caruzzella
a Nnapule scenneva d'Afragola
pe nu passaggio fino 'a Ruanella.
'O nomme?Nun 'o saccio.
Saccio sulo ca 'e ccumpagne
'a chiammaveno " 'A pezzente".
Pe sparagnà, 'a sera, dduie fasule,
e, spisse vote, nun magnava niente!
Cu chelle ppoche lire ch'abbuscava
aveva mantenè tutta 'a famiglia;
e quanno 'e vvote po'... nun aizava,
steva diuno 'o pate, 'a mamma e 'o figlio.
'O pate, viecchio, ciunco... into a nu lietto
senza lenzole, cu na cupertella.
E 'a mamma ca campava pe dispietto
d' 'a morte e d' 'a miseria.
Puverella! A piede o lietto, dinto a nu spurtone,
na criatura janca e malaticcia,
pe pazziella 'nmano nu scarpone
e na tozzola 'e pane sereticcio.
Nun appena fuie 'ncoppa 'a Sezione,
se mettette alluccà comme a na pazza.
'E strille se sentivano a 'o puntone.
"Ch' è stato, neh? Ched' è chisto schiamazzo?
Avanti, fate entrà sta... Capinera"-
dicette 'o Cummissario a nu piantone.
E 'o milite, cu grazia e cu maniera,
'a votta dinto cu nu sbuttulone.
"Ah! Sì tu? - dicette 'o funzionario-
Si nun mme sbaglio, tu si recidiva?
Si cunusciuta cca a Muntecalvario.
Addò t'hanno acchiappata, neh, addò stive?".
"All'angolo d' 'o vico 'a Speranzella.
Steve parlanno cu nu marenaro,
quanno veco 'e passà na carruzzella
Cu dinto don Ciccillo 'o farenaro.
Don Ciccio fa nu segno: "Fuitenne!
Curre ca sta passando 'o pattuglione".
I' dico a 'o marenaro: "Iatevenne.
Stu brigadiere 'o saccio... è nu 'nfamone"
."A legge è legge - dice 'o cavaliere
Nun aggio che te fà, ragazza mia.
I' te cunziglio: lassa stu mestiere,
e lievete pe sempe 'a miezo 'a via".
"E che mme metto a ffà, signore bello,
'a sarta, 'a lavannara, 'a panettera?
Spisso mm' 'o sento chistu riturnello"
."E truovete nu posto 'e cammarera!".
"Signò, dicite overo opuro apposta?
Vulite pazzià? E nun è umano.
V' 'a mettisseve dinto 'a casa vosta
chi... pe disgrazia ha avuta fà 'a puttana?!".
"Cammina, su, non fare resistenza!"
diceva 'o brigadiere, e 'a strascenava.
"Sta storia adda fernì,è un'indecenza!".
"Chi sa c'ha fatto"- 'a ggente se spiava.
"C'ha fatto?" - rispunnette nu signore.
È na povera ddia... è na mundana".
"E 'a porteno accussì?Gesù, che core!"
murmuliaie Nannina " 'a parulana ".
"Lassateme... nun aggio fatto niente!".
"E lass' 'a jì - dicette nu cucchiere -
ma vuie 'e vvedite quanto sò fetiente?".
"Nce vò nu core a ffà chillu mestiere".
"Sta purtanno 'o brigante Musolino-
se mettette alluccà Peppe " 'o Fravaglia" -
Si 'o ssape ll'onorevole Merlini
'o fa 'a proposta p' 'o fà avè 'a medaglia".
Quase ogne ghiuorno, 'a povera figliola
approfittava ca na caruzzella
a Nnapule scenneva d'Afragola
pe nu passaggio fino 'a Ruanella.
'O nomme?Nun 'o saccio.
Saccio sulo ca 'e ccumpagne
'a chiammaveno " 'A pezzente".
Pe sparagnà, 'a sera, dduie fasule,
e, spisse vote, nun magnava niente!
Cu chelle ppoche lire ch'abbuscava
aveva mantenè tutta 'a famiglia;
e quanno 'e vvote po'... nun aizava,
steva diuno 'o pate, 'a mamma e 'o figlio.
'O pate, viecchio, ciunco... into a nu lietto
senza lenzole, cu na cupertella.
E 'a mamma ca campava pe dispietto
d' 'a morte e d' 'a miseria.
Puverella! A piede o lietto, dinto a nu spurtone,
na criatura janca e malaticcia,
pe pazziella 'nmano nu scarpone
e na tozzola 'e pane sereticcio.
Nun appena fuie 'ncoppa 'a Sezione,
se mettette alluccà comme a na pazza.
'E strille se sentivano a 'o puntone.
"Ch' è stato, neh? Ched' è chisto schiamazzo?
Avanti, fate entrà sta... Capinera"-
dicette 'o Cummissario a nu piantone.
E 'o milite, cu grazia e cu maniera,
'a votta dinto cu nu sbuttulone.
"Ah! Sì tu? - dicette 'o funzionario-
Si nun mme sbaglio, tu si recidiva?
Si cunusciuta cca a Muntecalvario.
Addò t'hanno acchiappata, neh, addò stive?".
"All'angolo d' 'o vico 'a Speranzella.
Steve parlanno cu nu marenaro,
quanno veco 'e passà na carruzzella
Cu dinto don Ciccillo 'o farenaro.
Don Ciccio fa nu segno: "Fuitenne!
Curre ca sta passando 'o pattuglione".
I' dico a 'o marenaro: "Iatevenne.
Stu brigadiere 'o saccio... è nu 'nfamone"
."A legge è legge - dice 'o cavaliere
Nun aggio che te fà, ragazza mia.
I' te cunziglio: lassa stu mestiere,
e lievete pe sempe 'a miezo 'a via".
"E che mme metto a ffà, signore bello,
'a sarta, 'a lavannara, 'a panettera?
Spisso mm' 'o sento chistu riturnello"
."E truovete nu posto 'e cammarera!".
"Signò, dicite overo opuro apposta?
Vulite pazzià? E nun è umano.
V' 'a mettisseve dinto 'a casa vosta
chi... pe disgrazia ha avuta fà 'a puttana?!".
Chiara Sep 2024
Chi gira di mattina
sono i vagabondi e i marciatori mattinieri.
I vagabondi spostano le loro cose da un punto ad un altro.
I mattinieri si preparano alla giornata.
Che potessi essere sia l'uno che l'altro non lo escludo.
Marciatori di mondi vagabondi
che spostano pensieri nell'angolo
dove il giorno non li vede
© Chiara Santarelli
Non ** voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

** tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
******>con le quattro
capriole
di fumo
del focolare.

— The End —