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Dorme la corriera
dorme la farfalla
dormono le mucche
nella stalla

il cane nel canile
il ***** nel bimbile
il fuco nel fucile
e nella notte nera
dorme la pula
dentro la pantera

dormono i rappresentanti
nei motel dell'Esso
dormono negli Hilton
i cantanti di successo
dorme il barbone
dorme il vagone
dorme il contino
nel baldacchino
dorme a Betlemme
Gesù bambino
un po' di paglia
come cuscino
dorme Pilato
tutto agitato

dorme il bufalo
nella savana
e dorme il verme
nella banana
dorme il rondone
nel campanile
russa la seppia
sul'arenile
dorme il maiale
all'Hotel Nazionale
e sull'amaca
sta la lumaca
addormentata

dorme la mamma
dorme il figlio
dorme la lepre
dorme il coniglio
e sotto i camion
nelle autostazioni
dormono stretti
i copertoni

dormono i monti
dormono i mari
dorme quel porco
di Scandellari
che m'ha rubato
la mia Liù
per cui io solo
porcamadonna
non dormo più.
Dorme la corriera
dorme la farfalla
dormono le mucche
nella stalla

il cane nel canile
il ***** nel bimbile
il fuco nel fucile
e nella notte nera
dorme la pula
dentro la pantera

dormono i rappresentanti
nei motel dell'Esso
dormono negli Hilton
i cantanti di successo
dorme il barbone
dorme il vagone
dorme il contino
nel baldacchino
dorme a Betlemme
Gesù bambino
un po' di paglia
come cuscino
dorme Pilato
tutto agitato

dorme il bufalo
nella savana
e dorme il verme
nella banana
dorme il rondone
nel campanile
russa la seppia
sul'arenile
dorme il maiale
all'Hotel Nazionale
e sull'amaca
sta la lumaca
addormentata

dorme la mamma
dorme il figlio
dorme la lepre
dorme il coniglio
e sotto i camion
nelle autostazioni
dormono stretti
i copertoni

dormono i monti
dormono i mari
dorme quel porco
di Scandellari
che m'ha rubato
la mia Liù
per cui io solo
porcamadonna
non dormo più.
Dorme la corriera
dorme la farfalla
dormono le mucche
nella stalla

il cane nel canile
il ***** nel bimbile
il fuco nel fucile
e nella notte nera
dorme la pula
dentro la pantera

dormono i rappresentanti
nei motel dell'Esso
dormono negli Hilton
i cantanti di successo
dorme il barbone
dorme il vagone
dorme il contino
nel baldacchino
dorme a Betlemme
Gesù bambino
un po' di paglia
come cuscino
dorme Pilato
tutto agitato

dorme il bufalo
nella savana
e dorme il verme
nella banana
dorme il rondone
nel campanile
russa la seppia
sul'arenile
dorme il maiale
all'Hotel Nazionale
e sull'amaca
sta la lumaca
addormentata

dorme la mamma
dorme il figlio
dorme la lepre
dorme il coniglio
e sotto i camion
nelle autostazioni
dormono stretti
i copertoni

dormono i monti
dormono i mari
dorme quel porco
di Scandellari
che m'ha rubato
la mia Liù
per cui io solo
porcamadonna
non dormo più.
Che diremo stanotte all'amico che dorme?
La parola più tenue ci sale alle labbra
dalla pena più atroce. Guarderemo l'amico,
le sue inutili labbra che non dicono nulla,
parleremo sommesso.
La notte avrà il volto
dell'antico dolore che riemerge ogni sera
impassibile e vivo. Il remoto silenzio
soffrirà come un'anima, muto, nel buio.
Parleremo alla notte che fiata sommessa.

Udiremo gli istanti stillare nel buio
al di là delle cose, nell'ansia dell'alba,
che verrà d'improvviso incidendo le cose
contro il morto silenzio. L'inutile luce
svelerà il volto assorto del giorno. Gli istanti
taceranno. E le cose parleranno sommesso.
Raymond Turco Feb 2018
Ragazzo che dorme
testa sul petto
Drogato.
Da mille sogni
ed aspirazioni:
un cervello affollato,
In cui i pensieri
lo perseguitano
come i cani da caccia.
Di notte.
Che diremo stanotte all'amico che dorme?
La parola più tenue ci sale alle labbra
dalla pena più atroce. Guarderemo l'amico,
le sue inutili labbra che non dicono nulla,
parleremo sommesso.
La notte avrà il volto
dell'antico dolore che riemerge ogni sera
impassibile e vivo. Il remoto silenzio
soffrirà come un'anima, muto, nel buio.
Parleremo alla notte che fiata sommessa.

Udiremo gli istanti stillare nel buio
al di là delle cose, nell'ansia dell'alba,
che verrà d'improvviso incidendo le cose
contro il morto silenzio. L'inutile luce
svelerà il volto assorto del giorno. Gli istanti
taceranno. E le cose parleranno sommesso.
Victor Marques Oct 2010
António teu nome,
Agricultor, vitivicultor.
Apaixonado pela terra,
Pelo Douro, pelos Montes.


Aquele amor que não se encerra,
Dorme na colina, na serra.
Colheu tristeza na Guerra Colonial,
Amou  o Douro e Portugal.


Semeou a terra que alegrias lhe traria,
Amou seus filhos e sua esposa Maria.
Plantou videiras que olhavam o céu estrelado,
Fez vinho com amor imaculado.



As uvas são um amor para toda a vida,
Deus nos ama até na despedida.
Olhou para o Rio Douro eTua ,
E na memória de um povo com glória,
Com aquela lágrima que eu sinto agora.
Me conforto no horizonte duriense,
Hoje, amanhã e sempre.


Victor Marques
amor, douro, Pai
Victor Marques Oct 2010
Nasceste para mim


Nos altares sagrados pousam brancas pombas,
Nasceste entre as mais belas flores.
A tua frescura enlace das minhas loucuras,
Rouxinóis com penas de várias cores.

Beijo os teus lábios toda a vida,
Bendito Outono que te trouxe.
Olhos castanhos tão doces,
Nasceste para mim minha querida.

A lua dorme sem minha companhia,
Os anjos cantam vestidos de branco,
Nasceste para mim com alegria,
Tão suave é teu canto.

Vejo-te neste espelho aberto,
Os pecados eu sinto,
Amor terno, distinto,
Nasceste para mim no deserto.


Victor Marques
Che diremo stanotte all'amico che dorme?
La parola più tenue ci sale alle labbra
dalla pena più atroce. Guarderemo l'amico,
le sue inutili labbra che non dicono nulla,
parleremo sommesso.
La notte avrà il volto
dell'antico dolore che riemerge ogni sera
impassibile e vivo. Il remoto silenzio
soffrirà come un'anima, muto, nel buio.
Parleremo alla notte che fiata sommessa.

Udiremo gli istanti stillare nel buio
al di là delle cose, nell'ansia dell'alba,
che verrà d'improvviso incidendo le cose
contro il morto silenzio. L'inutile luce
svelerà il volto assorto del giorno. Gli istanti
taceranno. E le cose parleranno sommesso.
Raquel Martinez Jan 2013
Nel mio cuore,
una fata dorme.
Lungo per i sogni,
sono una povera, piccola ragazza all'interno.
Per fuori, sono una ragazza coraggiosa e matura.

Pero, io non posso fingere che non voglio essere nei miei sogni,
dove si incontra tutto lo che mi piace,
tutto che io voglio.
i principe con gli occhi azzurri,
il castello bianco dove io vivo,
il cavallo bianco,
la carrozza bianca,
tutto bianco.

perche tutto bianco?
forse vedo tutto cosi buio,
crudele,
spietato.
La gente non voglie essere tu amici,
ancora meno riconoscerti.

Vogliono solo guardarti piangere.
Vogliono guardare cuando ti realizza
che non si puoi vivere nei tuoi sogni.
Che non sara' giovane per sempre.
Che non sei piu un bambino.

Prima o dopo,
sarai uno di loro.
amaro e apatico.
non ti sognare.
Non esiste il principe con gli occhi azzuri,
non esiste il castello bianco,
non esiste il cavallo bianco,
non esiste la carrozza bianca.

**Non tutto e' bianco.
Victor Marques Nov 2012
Um grande amor nunca morre

Um grande amor não pode morrer,
Não pode fechar o livro sem ler…!
O vento é por vezes altivo,
Com este amor eu sempre vivo.

O amor gosta do orvalho de madrugada,
Com sua janela aberta, fechada?
Os lugares boa lembrança sempre te mostrarão,
O grande amor também vive de solidão.

Não dorme sempre em teu leito,
Pode até ser teu par perfeito?
Estradas sinuosas por vezes num só caminho,
Sorriso que se sente em menino…

Um grande amor gosta de ver a lua,
Ser verdade minha e sua,
A tristeza nos mutila e invade,
Amor que nunca acabe…

Victor Marques
amor , lembrança, solidão
Donne-moi tes mains pour l'inquiétude
Donne-moi tes mains dont j'ai tant rêvé
Dont j'ai tant rêvé dans ma solitude
Donne-moi tes mains que je sois sauvé

Lorsque je les prends à mon propre piège
De paume et de peur de hâte et d'émoi
Lorsque je les prends comme une eau de neige
Qui fuit de partout dans mes mains à moi

Sauras-tu jamais ce qui me traverse
Qui me bouleverse et qui m'envahit
Sauras-tu jamais ce qui me transperce
Ce que j'ai trahi quand j'ai tressailli

Ce que dit ainsi le profond langage
Ce parler muet de sens animaux
Sans bouche et sans yeux miroir sans image
Ce frémir d'aimer qui n'a pas de mots

Sauras-tu jamais ce que les doigts pensent
D'une proie entre eux un instant tenue
Sauras-tu jamais ce que leur silence
Un éclair aura connu d'inconnu

Donne-moi tes mains que mon coeur s'y forme
S'y taise le monde au moins un moment
Donne-moi tes mains que mon âme y dorme
Que mon âme y dorme éternellement.
Marco Raimondi Jun 2017
Narrador:
O sol, fadando aos seus desmaios,
Em falta de luz aureolava
A face natura com seus distantes raios;
A areia qual aos clarões brilhava,
Neste sol d'agora dorme junto às figueiras
Às terras, aos vales, às distantes matas altaneiras

Gaia, que nas folhas de carvalho
Rompe a escuridão do céu vultuoso
E jorra em seu corpo as águas d'orvalho
Cobre-se, nas horas, d'um véu moroso;
Quando olham ao zênite, estrelas podem ver
Como áureo tesouro a na escuridão se irromper

Por este turvo azul sidéreo,
Entre as florestas tem-se o canto,
E dos troncos retorcidos, um mistério
Cuja noite predomina em seu encanto,
Cobrindo as nuvens do olhar,
Com seu etéreo resplendor lunar

Divagam as almas que dormem
E divagam as que repousam, sob o sentir de fantasia
As mais atormentadas, que de sonhos envolvem,
Veem nos vastos pesadelos dores de uma visão sombria;
Se em prantos, quando dormem, não podem culminar
Vezes quebram, em gritos e desatino, um longo calar

Destes prantos, cujas lágrimas caem nas profundezas
Ressoam em uma perdição do infinito
Entoando pérolas e cânticos desta proeza
Que é constituir, no espírito, o próprio mito;
Tudo não mais cintila, Gaia se cobre,
Os olhos da matéria se fecham após tanto obre

Enfim, fez-se da natureza uma realidade escrava
Na qual os dias, tão somente o tempo envenena
Mas Gaia, quando os serenos campos lava
A realidade, a mudança é ela quem condena,
À miséria dos povos, as glórias, a graça
Tudo é ao tempo, que a natureza trespassa

O lar dos sentires se silencia sob aurora
Todos desprezos, amores e outros enganos
Agrados, estupores, inclemências de outrora
Contiguamente extinguem-se, ao eclipsar dos raios meridianos
O som enleia as serranias noturnas
Sussurrando longínqua a madrugada soturna

É a glória do Destino! Ânsia abissal e dolorida,
Aprisionando a natureza em seu prazer de ilusão
Subitamente, em brumas, um estirpe que é vida
Das lembranças renovadas, canções d'uma visão
Logo o sol nascerá em amplitude
E clarear-se-á o dia em suas virtudes

Idália, a vaguear nos cúmulos imaginários
Vê as estrelas em umedecidos rochedos
A ecoarem devaneios visionários
As névoas quais, do delírio, são divinos segredos,
Empíreo enigma, perpetua-se em infinita imensidade,
Que há de trovejar os pensamentos na obscura eternidade
Le loup criait sous les feuilles
En crachant les belles plumes
De son repas de volailles :
Comme lui je me consume.

Les salades, les fruits
N'attendent que la cueillette ;
Mais l'araignée de la haie
Ne mange que des violettes.

Que je dorme ! que je bouille
Aux autels de Salomon.
Le bouillon court sur la rouille,
Et se mêle au Cédron.
Como é escasso o sorriso
sem brilho e frio
Há alguma coisa ebulindo
uma bomba
Mas não, eles não sairão de lá
nunca explodirão
pois não existem sorrisos
bocas se movem em formatos semelhantes
sem dentes e podres
toxinas exalam-se,
o veneno é o licor divino
o paraíso é logo abaixo da ponte
não se dorme no paraíso
se ao menos conseguissem dormir...
mas os putrefatos corpos que andam parasitando
consumindo restos e ruínas
patifes e loucos bailam a vida
vida que não é vida
O perfume está no ar
as flores são tão belas
as abelhas não tem ferrões
e se tivessem não ferroariam
a jovem virgem caminha exuberante
fotografias da bela matriz
onde a arquitetura supera a fé
mas ao lado, no canto escuro
onde ninguém vê
canta o homem escuro
que a todos observa
observa e observa....
Si muove il cielo, tacito e lontano:
la terra dorme, e non la vuol destare;
dormono l'acque, i monti, le brughiere.
Ma no, ché sente sospirare il mare,
gemere sente le capanne nere:
v'è dentro un ***** che non può dormire:
piange; e le stelle passano pian piano.
Ogn'anno, il due novembre, c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno, puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zì Vicenza.

St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! Si ce penzo, e che paura!,
ma po' facette un'anema e curaggio.

'O fatto è chisto, statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io, tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31"

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
... sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele, cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata, senza manco un fiore;
pè segno, sulamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola, che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'Ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura... nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto, che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje: stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato... dormo, o è fantasia?

Ate che fantasia; era 'o Marchese:
c'ò tubbo, 'a caramella e c'ò pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'nascopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello... 'o scupatore.
'Int 'a stu fatto ì nun ce veco chiaro:
sò muorte e se ritirano a chest'ora?

Putevano stà 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo... calmo calmo,
dicette a don Gennaro: "Giovanotto!

Da Voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va, si, rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava, si, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari, tra la vostra gente"

"Signor Marchese, nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffà sta fesseria,
ì che putevo fà si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo, obbj'... 'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza! "

"Famme vedé... -piglia sta violenza...
'A verità, Marché, mme sò scucciato
'e te senti; e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca sò muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere... nu ddio?
Ccà dinto, 'o vvuo capi, ca simmo eguale?...
... Muorto si'tu e muorto sò pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".

"Lurido porco!... Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali? ".

'Tu quà Natale... Pasca e Ppifania!!!
T'o vvuò mettere 'ncapo... 'int'a cervella
che staje malato ancora è fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched'e?... è una livella.

'Nu rre, 'nu maggistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò, stamme a ssenti... nun fa'o restivo,
suppuorteme vicino-che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie... appartenimmo à morte!
Te referent fluctus.
HORACE.

Naguère une même tourmente,
Ami, battait nos deux esquifs ;
Une même vague écumante
Nous jetait aux mêmes récifs ;
Les mêmes haines débordées
Gonflaient sous nos nefs inondées
Leurs flots toujours multipliés,
Et, comme un océan qui roule,
Toutes les têtes de la foule
Hurlaient à la fois sous nos pieds !

Qu'allais-je faire en cet orage,
Moi qui m'échappais du berceau ?
Moi qui vivais d'un peu d'ombrage
Et d'un peu d'air, comme l'oiseau ?
A cette mer qui le repousse
Pourquoi livrer mon nid de mousse
Où le jour n'osait pénétrer ?
Pourquoi donner à la rafale
Ma belle robe nuptiale
Comme une voile à déchirer ?

C'est que, dans mes songes de flamme,
C'est que, dans mes rêves d'enfant,
J'avais toujours présents à l'âme
Ces hommes au front triomphant,
Qui tourmentés d'une autre terre,
En ont deviné le mystère
Avant que rien en soit venu,
Dont la tête au ciel est tournée,
Dont l'âme, boussole obstinée,
Toujours cherche un pôle inconnu.

Ces Gamas, en qui rien n'efface
Leur indomptable ambition,
Savent qu'on n'a vu qu'une face
De l'immense création.
Ces Colombs, dans leur main profonde,
Pèsent la terre et pèsent l'onde
Comme à la balance du ciel,
Et, voyant d'en haut toute cause,
Sentent qu'il manque quelque chose
A l'équilibre universel.

Ce contre-poids qui se dérobe,
Ils le chercheront, ils iront ;
Ils rendront sa ceinture au globe,
A l'univers sont double front.
Ils partent, on plaint leur folie.
L'onde les emporte ; on oublie
Le voyage et le voyageur... -
Tout à coup de la mer profonde
Ils ressortent avec leur monde,
Comme avec sa perle un plongeur !

Voilà quelle était ma pensée.
Quand sur le flot sombre et grossi
Je risquai ma nef insensée,
Moi, je cherchais un monde aussi !
Mais, à peine **** du rivage,
J'ai vu sur l'océan sauvage
Commencer dans un tourbillon
Cette lutte qui me déchire
Entre les voiles du navire
Et les ailes de l'aquilon.

C'est alors qu'en l'orage sombre
J'entrevis ton mât glorieux
Qui, bien avant le mien, dans l'ombre,
Fatiguait l'autan furieux.
Alors, la tempête était haute,
Nous combattîmes côte à côte,
Tous deux, mois barque, toi vaisseau,
Comme le frère auprès du frère,
Comme le nid auprès de l'aire,
Comme auprès du lit le berceau !

L'autan criait dans nos antennes,
Le flot lavait nos ponts mouvants,
Nos banderoles incertaines
Frissonnaient au souffle des vents.
Nous voyions les vagues humides,
Comme des cavales numides,
Se dresser, hennir, écumer ;
L'éclair, rougissant chaque lame,
Mettait des crinières de flamme
A tous ces coursiers de la mer.

Nous, échevelés dans la brume,
Chantant plus haut dans l'ouragan,
Nous admirions la vaste écume
Et la beauté de l'océan.
Tandis que la foudre sublime
Planait tout en feu sur l'abîme,
Nous chantions, hardis matelots,
La laissant passer sur nos têtes,
Et, comme l'oiseau des tempêtes,
Tremper ses ailes dans les flots.

Echangeant nos signaux fidèles
Et nous saluant de la voix,
Pareils à deux soeurs hirondelles,
Nous voulions, tous deux à la fois,
Doubler le même promontoire,
Remporter la même victoire,
Dépasser le siècle en courroux ;
Nous tentions le même voyage ;
Nous voyions surgir dans l'orage
Le même Adamastor jaloux !

Bientôt la nuit toujours croissante,
Ou quelque vent qui t'emportait,
M'a dérobé ta nef puissante
Dont l'ombre auprès de moi flottait.
Seul je suis resté sous la nue.
Depuis, l'orage continue,
Le temps est noir, le vent mauvais ;
L'ombre m'enveloppe et m'isole,
Et, si je n'avais ma boussole,
Je ne saurais pas où je vais.

Dans cette tourmente fatale
J'ai passé les nuits et les jours,
J'ai pleuré la terre natale,
Et mon enfance et mes amours.
Si j'implorais le flot qui gronde,
Toutes les cavernes de l'onde
Se rouvraient jusqu'au fond des mers ;
Si j'invoquais le ciel, l'orage,
Avec plus de bruit et de rage,
Secouait se gerbe d'éclairs.

Longtemps, laissant le vent bruire,
Je t'ai cherché, criant ton nom.
Voici qu'enfin je te vois luire
A la cime de l'horizon
Mais ce n'est plus la nef ployée,
Battue, errante, foudroyée
Sous tous les caprices des cieux,
Rêvant d'idéales conquêtes,
Risquant à travers les tempêtes
Un voyage mystérieux.

C'est un navire magnifique
Bercé par le flot souriant,
Qui, sur l'océan pacifique,
Vient du côté de l'orient.
Toujours en avant de sa voile
On voit cheminer une étoile
Qui rayonne à l'oeil ébloui ;
Jamais on ne le voit éclore
Sans une étincelante aurore
Qui se lève derrière lui.

Le ciel serein, la mer sereine
L'enveloppent de tous côtés ;
Par ses mâts et par sa carène
Il plonge aux deux immensités.
Le flot s'y brise en étincelles ;
Ses voiles sont comme des ailes
Au souffle qui vient les gonfler ;
Il vogue, il vogue vers la plage,
Et, comme le cygne qui nage,
On sent qu'il pourrait s'envoler.

Le peuple, auquel il se révèle
Comme une blanche vision,
Roule, prolonge, et renouvelle
Une immense acclamation.
La foule inonde au **** la rive.
Oh ! dit-elle, il vient, il arrive !
Elle l'appelle avec des pleurs,
Et le vent porte au beau navire,
Comme à Dieu l'encens et la myrrhe,
L'haleine de la terre en fleurs !

Oh ! rentre au port, esquif sublime !
Jette l'ancre **** des frimas !
Vois cette couronne unanime
Que la foule attache à tes mâts :
Oublie et l'onde et l'aventure.
Et le labeur de la mâture,
Et le souffle orageux du nord ;
Triomphe à l'abri des naufrages,
Et ris-toi de tous les orages
Qui rongent les chaînes du port !

Tu reviens de ton Amérique !
Ton monde est trouvé ! - Sur les flots
Ce monde, à ton souffle lyrique,
Comme un oeuf sublime est éclos !
C'est un univers qui s'éveille !
Une création pareille
A celle qui rayonne au jour !
De nouveaux infinis qui s'ouvrent !
Un de ces mondes que découvrent
Ceux qui de l'âme ont fait le tour !

Tu peux dire à qui doute encore :
"J'en viens ! j'en ai cueilli ce fruit.
Votre aurore n'est pas l'aurore,
Et votre nuit n'est pas la nuit.
Votre soleil ne vaut pas l'autre.
Leur jour est plus bleu que le vôtre.
Dieu montre sa face en leur ciel.
J'ai vu luire une croix d'étoiles
Clouée à leurs nocturnes voiles
Comme un labarum éternel."

Tu dirais la verte savane,
Les hautes herbes des déserts,
Et les bois dont le zéphyr vanne
Toutes les graines dans les airs ;
Les grandes forêts inconnues ;
Les caps d'où s'envolent les nues
Comme l'encens des saints trépieds ;
Les fruits de lait et d'ambroisie,
Et les mines de poésie
Dont tu jettes l'or à leurs pieds.

Et puis encor tu pourrais dire,
Sans épuiser ton univers,
Ses monts d'agate et de porphyre,
Ses fleuves qui noieraient leurs mers ;
De ce monde, né de la veille,
Tu peindrais la beauté vermeille,
Terre vierge et féconde à tous,
Patrie où rien ne nous repousse ;
Et ta voix magnifique et douce
Les ferait tomber à genoux.

Désormais, à tous tes voyages
Vers ce monde trouvé par toi,
En foule ils courront aux rivages
Comme un peuple autour de son roi.
Mille acclamations sur l'onde
Suivront longtemps ta voile blonde
Brillante en mer comme un fanal,
Salueront le vent qui t'enlève,
Puis sommeilleront sur la grève
Jusqu'à ton retour triomphal.

Ah ! soit qu'au port ton vaisseau dorme,
Soit qu'il se livre sans effroi
Aux baisers de la mer difforme
Qui hurle béante sous moi,
De ta sérénité sublime
Regarde parfois dans l'abîme,
Avec des yeux de pleurs remplis,
Ce point noir dans ton ciel limpide,
Ce tourbillon sombre et rapide
Qui roule une voile en ses plis.

C'est mon tourbillon, c'est ma voile !
C'est l'ouragan qui, furieux,
A mesure éteint chaque étoile
Qui se hasarde dans mes cieux !
C'est la tourmente qui m'emporte !
C'est la nuée ardente et forte
Qui se joue avec moi dans l'air,
Et tournoyant comme une roue,
Fait étinceler sur ma proue
Le glaive acéré de l'éclair !

Alors, d'un coeur tendre et fidèle,
Ami, souviens-toi de l'ami
Que toujours poursuit à coups d'aile
Le vent dans ta voile endormi.
Songe que du sein de l'orage
Il t'a vu surgir au rivage
Dans un triomphe universel,
Et qu'alors il levait la tête,
Et qu'il oubliait sa tempête
Pour chanter l'azur de ton ciel !

Et si mon invisible monde
Toujours à l'horizon me fuit,
Si rien ne germe dans cette onde
Que je laboure jour et nuit,
Si mon navire de mystère
Se brise à cette ingrate terre
Que cherchent mes yeux obstinés,
Pleure, ami, mon ombre jalouse !
Colomb doit plaindre La Pérouse.
Tous deux étaient prédestinés !

Le 20 juin 1830.
Vais na noite calma:
olhar-sono como se de um aceno
se tratasse.
Calcando o vapor que o sol
que agora se põe liberta.
Herói cansado que salva
o dia nefasto.
Dorme a preguiça que o teu
corpo exalta; queda-te em sonhos
mil e em mil embaraços.
Sê neles o mundo
e neles - um abraço.
Quand je mourrai, ce soir peut-être,
Je n'ai pas de jour préféré,
Si je voulais, je suis le maître,
Mais... ce serait mal me connaître,
N'importe, enfin, quand je mourrai.

Mes chers amis, qu'on me promette
De laisser le bois... au lapin,
Et, s'il vous plaît, qu'on ne me mette
Pas, comme une simple allumette,
Dans une boîte de sapin ;

Ni, comme un hareng, dans sa tonne ;
Ne me couchez pas tout du long,
Pour le coup de fusil qui tonne,
Dans la bière qu'on capitonne
Sous sa couverture de plomb.

Car, je ne veux rien, je vous jure ;
Pas de cercueil ; quant au tombeau,
J'y ferais mauvaise figure,
Je suis peu fait pour la sculpture,
Je le refuse, fût-il beau.

Mon vœu jusque-là ne se hausse ;
Ça me laisserait des remords,
Je vous dis (ma voix n'est pas fausse) :
Je ne veux pas même la fosse,
Où sont les lions et les morts.

Je ne suis ni puissant ni riche,
Je ne suis rien que le toutou,
Que le toutou de ma Niniche ;
Je ne suis que le vieux caniche
De tous les gens de n'importe où.

Je ne veux pas que l'on m'enferre
Ni qu'on m'enmarbre, non, je veux
Tout simplement que l'on m'enterre,
En faisant un trou... dans ma Mère,
C'est le plus ardent de mes vœux.

Moi, l'enterrement qui m'enlève,
C'est un enterrement d'un sou,
Je trouve ça chic ! Oui, mon rêve,
C'est de pourrir, comme une fève ;
Et, maintenant, je vais dire où.

Eh ! pardieu ! c'est au cimetière
Près d'un ruisseau (prononcez l'Ar),
Du beau village de Pourrière
De qui j'implore une prière,
Oui, c'est bien à Pourrières, Var.

Croisez-moi les mains sous la tête,
Qu'on laisse mon œil gauche ouvert ;
Alors ma paix sera complète,
Vraiment je me fais une fête
D'être enfoui comme un pois vert.

Creusez-moi mon trou dans la terre,
Sous la bière, au fond du caveau,
Où tout à côté de son père,
Dort déjà ma petite mère,
Madame Augustine Nouveau.

Puis... comblez-moi de terre... fine,
Sur moi, replacez le cercueil ;
Que comme avant dorme Augustine !
Nous dormirons bien, j'imagine,
Fût-ce en ne dormant... que d'un œil.

Et... retournez-la sur le ventre,
Car, il ne faut oublier rien,
Pour qu'en son regard le mien entre,
Nous serons deux tigres dans l'antre
Mais deux tigres qui s'aiment bien.

Je serai donc avec les Femmes
Qui m'ont fait et qui m'ont reçu,
Bonnes et respectables Dames,
Dont l'une sans cœur et sans flammes
Pour le fruit qu'elles ont conçu.

Ah ! comme je vais bien m'étendre,
Avec ma mère sur mon nez.
Comme je vais pouvoir lui rendre
Les baisers qu'en mon âge tendre
Elle ne m'a jamais donnés.

Paix au caveau ! Murez la porte !
Je ressuscite, au dernier jour.
Entre mes bras je prends la Morte,
Je m'élève d'une aile forte,
Nous montons au ciel dans l'Amour.

Un point... important... qui m'importe,
Pour vous ça doit vous être égal,
Je ne veux pas que l'on m'emporte
Dans des habits d'aucune sorte,
Fût-ce un habit de carnaval.

Pas de suaire en toile bise...
Tiens ! c'est presque un vers de Gautier ;
Pas de linceul, pas de chemise ;
Puisqu'il faut que je vous le dise,
Nu, tout nu, mais nu tout entier.

Comme sans fourreau la rapière,
Comme sans gant du tout la main,
Nu comme un ver sous ma paupière,
Et qu'on ne grave sur leur pierre,
Qu'un nom, un mot, un seul, GERMAIN.

Fou de corps, fou d'esprit, fou d'âme,
De cœur, si l'on veut de cerveau,
J'ai fait mon testament, Madame ;
Qu'il reste entre vos mains de femme,
Dûment signé : GERMAIN NOUVEAU.
Rui Serra Jul 2014
É noite... lá fora a cidade já dorme. Aqui, o tempo passa lentamente, abro o maço, tiro um cigarro, e puxo-lhe fogo. Penso na vida. Dias passados, dores sofridas, pontapés levados, lágrimas a rolar, enfim, um amontoado de coisas, hoje já sem nexo.
Sofro, estou só, desamparado, e acima de tudo odeio a vida, ou melhor dizendo, a vida repugna-me.
A noite vai longa, o sono não chega, dou voltas na cama... por fim adormeço. 7h15m, o despertador toca, acordo, . . . enfim foi só mais uma noite.
Nel più alto punto
dove scienza è oblìo d'ogni sapere
e certezza, mi dicono,
certezza irrefutabile venuta incontro

o nel tempo appeso a un filo
d'un riacquisto d'infanzia,

tra sonno e veglia, tra innocenza e colpa,

dove c'è e non c'è opera nostra voluta e scelta.

"La salute della mente
è là" dice una voce
con cui contendo da anni,
una voce che ora è di sirena.

Si naviga tra Sardegna e Corsica.
C'è un po' di mare
e la barca appruata scarricchia.
L'equipaggio dorme. Ma due
vegliano nella mezzaluce della plancia.
È passato agosto; Siamo alla rottura dei tempi.
È una notte viva.
Viva più di questa notte,
viva tanto da serrarmi la gola
è la muta confidenza
di quelli che riposano
si curi in mano d'altri
e di questi che non lasciano la manovra e il calcolo

mentre pregano per i loro uomini in mare
da un punto oscuro della costa, mentre arriva
dalla parte del Rodano qualche raffica.
Quando brillava il vespero vermiglio,
e il cipresso pareva oro, oro fino,
la madre disse al piccoletto figlio:
Così fatto è lassù tutto un giardino.
Il ***** dorme, e sogna i rami d'oro,
gli alberi d'oro, le foreste d'oro;
mentre il cipresso nella notte nera
scagliasi al vento, piange alla bufera.
(Au Marquis de Lamaisonfort)

Oh ! qui m'emportera vers les tièdes rivages,
Où l'Arno couronné de ses pâles ombrages,
Aux murs des Médicis en sa course arrêté,
Réfléchit le palais par un sage habité,
Et semble, au bruit flatteur de son onde plus lente,
Murmurer les grands noms de Pétrarque et du Dante ?
Ou plutôt, que ne puis-je, au doux tomber du jour,
Quand le front soulagé du fardeau de la cour,
Tu vas sous tes bosquets chercher ton Égérie,
Suivre, en rêvant, tes pas de prairie en prairie ;
Jusqu'au modeste toit par tes mains embelli,
Où tu cours adorer le silence et l'oubli !
J'adore aussi ces dieux : depuis que la sagesse
Aux rayons du malheur a mûri ma jeunesse,
Pour nourrir ma raison des seuls fruits immortels,
J'y cherche en soupirant l'ombre de leurs autels ;
Et, s'il est au sommet de la verte colline,
S'il est sur le penchant du coteau qui s'incline,
S'il est aux bords déserts du torrent ignoré
Quelque rustique abri, de verdure entouré,
Dont le pampre arrondi sur le seuil domestique
Dessine en serpentant le flexible portique ;
Semblable à la colombe errante sur les eaux,
Qui, des cèdres d'Arar découvrant les rameaux,
Vola sur leur sommet poser ses pieds de rose,
Soudain mon âme errante y vole et s'y repose !
Aussi, pendant qu'admis dans les conseils des rois,
Représentant d'un maître honoré par son choix,
Tu tiens un des grands fils de la trame du monde ;
Moi, parmi les pasteurs, assis aux bords de l'onde,
Je suis d'un oeil rêveur les barques sur les eaux ;
J'écoute les soupirs du vent dans les roseaux ;
Nonchalamment couché près du lit des fontaines,
Je suis l'ombre qui tourne autour du tronc des chênes,
Ou je grave un vain nom sur l'écorce des bois,
Ou je parle à l'écho qui répond à ma voix,
Ou dans le vague azur contemplant les nuages,
Je laisse errer comme eux mes flottantes images ;
La nuit tombe, et le Temps, de son doigt redouté,
Me marque un jour de plus que je n'ai pas compté !

Quelquefois seulement quand mon âme oppressée
Sent en rythmes nombreux déborder ma pensée ;
Au souffle inspirateur du soir dans les déserts,
Ma lyre abandonnée exhale encor des vers !
J'aime à sentir ces fruits d'une sève plus mûre,
Tomber, sans qu'on les cueille, au gré de la nature,
Comme le sauvageon secoué par les vents,
Sur les gazons flétris, de ses rameaux mouvants
Laisse tomber ces fruits que la branche abandonne,
Et qui meurent au pied de l'arbre qui les donne !
Il fut un temps, peut-être, où mes jours mieux remplis,
Par la gloire éclairés, par l'amour embellis,
Et fuyant **** de moi sur des ailes rapides,
Dans la nuit du passé ne tombaient pas si vides.
Aux douteuses clartés de l'humaine raison,
Egaré dans les cieux sur les pas de Platon,
Par ma propre vertu je cherchais à connaître
Si l'âme est en effet un souffle du grand être ;
Si ce rayon divers, dans l'argile enfermé,
Doit être par la mort éteint ou rallumé ;
S'il doit après mille ans revivre sur la terre ;
Ou si, changeant sept fois de destins et de sphère,
Et montant d'astre en astre à son centre divin,
D'un but qui fuit toujours il s'approche sans fin ?
Si dans ces changements nos souvenirs survivent ?
Si nos soins, nos amours, si nos vertus nous suivent
S'il est un juge assis aux portes des enfers,
Qui sépare à jamais les justes des pervers ?
S'il est de saintes lois qui, du ciel émanées,
Des empires mortels prolongent les années,
Jettent un frein au peuple indocile à leur voix,
Et placent l'équité sous la garde des rois ?
Ou si d'un dieu qui dort l'aveugle nonchalance
Laisse au gré du destin trébucher sa balance,
Et livre, en détournant ses yeux indifférents,
La nature au hasard, et la terre aux tyrans ?
Mais ainsi que des cieux, où son vol se déploie,
L'aigle souvent trompé redescend sans sa proie,
Dans ces vastes hauteurs où mon oeil s'est porté
Je n'ai rien découvert que doute et vanité !
Et las d'errer sans fin dans des champs sans limite,
Au seul jour où je vis, au seul bord que j'habite,
J'ai borné désormais ma pensée et mes soins :
Pourvu qu'un dieu caché fournisse à mes besoins !
Pourvu que dans les bras d'une épouse chérie
Je goûte obscurément les doux fruits de ma vie !
Que le rustique enclos par mes pères planté
Me donne un toit l'hiver, et de l'ombre l'été ;
Et que d'heureux enfants ma table couronnée
D'un convive de plus se peuple chaque année !
Ami ! je n'irai plus ravir si **** de moi,
Dans les secrets de Dieu ces comment ; ces pourquoi,
Ni du risible effort de mon faible génie,
Aider péniblement la sagesse infinie !
Vivre est assez pour nous ; un plus sage l'a dit :
Le soin de chaque jour à chaque jour suffit.
Humble, et du saint des saints respectant les mystères,
J'héritai l'innocence et le dieu de mes pères ;
En inclinant mon front j'élève à lui mes bras,
Car la terre l'adore et ne le comprend pas :
Semblable à l'Alcyon, que la mer dorme ou gronde,
Qui dans son nid flottant s'endort en paix sur l'onde,
Me reposant sur Dieu du soin de me guider
A ce port invisible où tout doit aborder,
Je laisse mon esprit, libre d'inquiétude,
D'un facile bonheur faisant sa seule étude,
Et prêtant sans orgueil la voile à tous les vents,
Les yeux tournés vers lui, suivre le cours du temps.

Toi, qui longtemps battu des vents et de l'orage,
Jouissant aujourd'hui de ce ciel sans nuage,
Du sein de ton repos contemples du même oeil
Nos revers sans dédain, nos erreurs sans orgueil ;
Dont la raison facile, et chaste sans rudesse,
Des sages de ton temps n'a pris que la sagesse,
Et qui reçus d'en haut ce don mystérieux
De parler aux mortels dans la langue des dieux ;
De ces bords enchanteurs où ta voix me convie,
Où s'écoule à flots purs l'automne de ta vie,
Où les eaux et les fleurs, et l'ombre, et l'amitié,
De tes jours nonchalants usurpent la moitié,
Dans ces vers inégaux que ta muse entrelace,
Dis-nous, comme autrefois nous l'aurait dit Horace,
Si l'homme doit combattre ou suivre son destin ?
Si je me suis trompé de but ou de chemin ?
S'il est vers la sagesse une autre route à suivre ?
Et si l'art d'être heureux n'est pas tout l'art de vivre.
Dominique Sep 2013
Ele finge que não se importa
Ele finge que está tudo bem
Ele finge que não sente
Ele finge que não sabe
Ele finge que esquece
Ele finge que dorme
Ele finge que não vê
Ele finge que vive
Ele finge que ri
Porém,
Ele apenas
**Finge
xÀ Maurice de Foucault.


Le soleil fut avant les yeux,
La terre fut avant les roses,
Le chaos avant toutes choses.
Ah ! que les éléments sont vieux
Sous leurs jeunes métamorphoses !

Toute jeunesse vient des morts :
C'est dans une funèbre pâte
Que, toujours, sans lenteur ni hâte,
Une main pétrit les beaux corps
Tandis qu'une autre main les gâte ;

Et le fond demeure pareil :
Que l'univers s'agite ou dorme,
Rien n'altère sa masse énorme ;
Ce qui périt, fleur ou soleil,
N'en est que la changeante forme.

Mais la forme, c'est le printemps :
Seule mouvante et seule belle,
Il n'est de nouveauté qu'en elle ;
C'est par les formes de vingt ans
Que rit la matière éternelle !

Ô vous, qui tenez enlacés
Les amoureux aux amoureuses,
Bras lisses, lèvres savoureuses,
Formes divines qui passez,
Désirables et douloureuses !

Vous ne laissez qu'un souvenir,
Un songe, une impalpable trace !
Si fortement qu'il vous embrasse,
L'Amour ne peut vous retenir :
Vous émigrez de race en race.

Époux des âmes, corps chéris,
Vous vous poussez, pareils aux fleuves ;
Vos grâces ne sont qu'un jour neuves,
Et les âmes sur vos débris
Gémissent, immortelles veuves.

Mais pourquoi vous donner ces pleurs ?
Les tombes, les saisons chagrines,
Entassent en vain des ruines
Sans briser le moule des fleurs,
Des fruits et des jeunes poitrines.

Pourquoi vous faire des adieux ?
Le même sang change d'artères,
Les filles ont les yeux des mères,
Et les fils le front des aïeux.
Non, vous n'êtes pas éphémères !

Vos modèles sont quelque part,
Ô formes que le temps dévore !
Plus pures vous brillez encore
Au paradis profond de l'art,
Où Platon pense et vous adore !
Fable VI, Livre IV.


Or çà, mes amis, essayons
De vous redire en vers tout ce que la chandelle
Disait naguère en prose, en voyant ses rayons
Porter jusqu'à six pas la lumière autour d'elle.
« Ce n'est pas tout-à-fait la clarté du soleil,
Et je n'éclaire pas une sphère aussi grande.
À cela près, je le demande,
xxMon rôle au sien n'est-il pas tout pareil ?
À votre gré, monsieur, à votre goût, madame,
Écrivez, jouez ou lisez,
Tricotez, brodez ou cousez,
À qui veut en user je prodigue ma flamme.
Vous blâmez le soleil de trop tôt se coucher,
De se lever trop **** ; qu'il dorme en paix sous l'onde,
Et l'on ne saura pas s'il est nuit en ce monde,
Pour peu qu'on ait pris place à cette table ronde,
Et que l'on pense à me moucher. »
Cependant le soleil, averti par les heures,
Plus alerte et plus radieux,
Avait abandonné les humides demeures,
Et ses premiers rayons doraient déjà les cieux.
À mesure qu'il perce et dissipe les voiles
Par la nuit étendus sur le monde obscurci,
Voyez-vous pâlir les étoiles ?
Les étoiles, la lune, et la chandelle aussi !
Ainsi, dans mainte académie,
Passez-moi la comparaison,
Le faux esprit s'éclipse auprès de la raison ;
Le bel esprit s'éclipse à côté du génie.
« Mon enfant, » dit l'astre du jour,
En plaignant sa rivale à demi consumée
De perdre sa gloire en fumée,
« Veux-tu de ton triomphe assurer le retour :
Fais tout fermer, porte, fenêtre,
Volets surtout ; fais que la nuit
Règne à jamais dans ce réduit :
La nuit te fait briller ; je la fais disparaître. »
bk Jun 2015
** dimenticato come si dorme
di nuovo
evviva!
Rui Serra May 2014
Habito na cidade
Bares
Jogo
Estultícia
Arquitecto jogos na minha mente
A ideia esvanece-se
Cães latem
A cidade dorme
E se for o mar a minha morte!
“Adorava ver Nápoles e morrer”
Mariana Seabra Sep 2022
Não são os outros! Nunca foram os outros.

Não é o lugar! Nunca foi o lugar.

Sou eu!



Já quis partir em retiros para o Tibete. Ou em viagens espirituais para a Tailândia. Já quis correr o mundo à procura de algo que só podia encontrar em mim. Parece-me interessante, aliás, ainda o quero fazer pela pura necessidade que tenho de experienciar. No entanto, é inútil. É mirar ao fracasso, e é condenação interior a uma busca incessante que não traz paz, só traz correria desenfreada, sem meta final onde possa descansar, uma armadilha que me obriga a jogar por algo que nem vale a pena ganhar.
Prefiro a tranquilidade que me consigo proporcionar. Em vez de correr, prefiro caminhar. Prefiro aceitar a incompletude, para não ter de me andar a perseguir por lugares onde nem sequer passei. Prefiro pensar no que tenho. Prefiro aceitar o que tenho. Prefiro limar o que tenho. Prefiro amar o que tenho. Não me falta peça nenhuma! Só me falta descobrir uma maneira de lhes dar sentido... de me ordenar.

É inútil acharmos que temos de sair do sítio para viver e, consequentemente, evoluir ou mudar, ou correr de lugar para lugar, à procura da essência mais profunda que nos constrói. Quando as raízes são profundas, não há razão para temer o vento! O nosso cérebro não sabe distinguir entre a experiência vivida e a experiência imaginada, para ele é tudo igual. Somos biliões de informações! a que este magnífico pedaço de ***** cinzenta atribui significado. Experiências reais ou imaginárias, que se convertem em memórias, memórias que ganham uma nova vida de cada vez que as recordamos, histórias que repetimos a nós e aos outros, até sermos só pedaços daquilo que lhes contamos.

Prefiro esquecer!
Escrevo as histórias que nunca contei, para depois as tentar esquecer...

Só me oriento pelas minhas próprias pegadas e, quando escrevo é apenas através de experiência pessoal. Não recorro à generalização de vivências tão únicas, mas, como admito ser-humana, sei que por muitos outros são partilhadas, e sem o meu consentimento, generalizadas. Nasci para escrever poesia, mas não sei se nasci para ser poeta. A escrita é um dissecar do próprio íntimo. Escrever é sangrar para o papel. E se o que eu escrevo fizer sentido para um outro alguém, então ótimo, é como se partilhássemos o mesmo abraço enquanto o meu poema durar. E se o que eu escrevo não fizer sentido para ninguém, não importa. Escrevo para mim. Qualquer outra pessoa que me tente ler, irá observar-me através de um vidro duplamente espelhado. O que pensa observar de mim é, nada mais nada menos, do que o seu reflexo a acenar de volta para si. Porque a poesia é assim! dizem-me que não pertence a quem a escreve
mas sim
a quem a lê.
Sou do contra, não vivo à vossa mercê! A poesia é minha! O amor é meu! A dor é minha! E se a estou a partilhar, não é por motivos altruístas, não quero ser vista nem entendida. E se a estou a partilhar, é só porque estava sufocada, porque o poema já me estava a arder nas veias, muito antes do próprio poema começar. E se o estou a partilhar, é porque não tive escolha, era escrever ou morrer! e depois de estar cá fora, depois do fogo apagar, depois das cinzas pousarem e da ferida parar de jorrar... só depois, muito depois, é que uso o meu discernimento, volto atrás no tempo e decido se o vou partilhar, ou se é só meu, e de quem me veio inspirar.

Sou líder de mim mesma!

Sento-me na mesa-redonda do Eu e converso com todos os meus familiares, amigos, parceiros, desconhecidos, inimigos, anjos e demónios, todos com a minha cara, todos com a minha maneira de pensar, todos a olhar de volta para mim à espera que comece a falar...Quem diria, que de uma mesa tão cheia e diversificada, poderia comprimi-la, agrupa-la numa só pessoa, com uma única fachada virada para o exterior! Adoro a complexidade que de mim emana! Adoro ser várias, e ao mesmo tempo ser coesa. Ser o sol que mantém todas de mim em órbita, a força universal que me mantém presa,
Fiel a quem sou,
Com alma pura e coração digno de entrar na corte real da nobreza.
Entro em longos debates com todas as versões de mim, sobre qual de nós seguir. Creio que, desde tenra idade, tornei-me boa ouvinte para dentro. O dito mundo real não me bastava, muito menos me alegrava ou inspirava, então, recuei. Retraí-me para o vasto mundo interior da minha mente e, inventei mundos novos. Foi assim que descobri a melhor companhia que podia ter. Nunca me sentia sozinha, desde que me tivesse presente. Depois de aprender a escutar o que vem de dentro, aprendi a escutar o que vem de fora. No final do debate, decido seguir a mim mesma. Nenhuma de mim ficará para trás! Nem as que já morreram e tive de enterrar! mesmo que não saiba para onde seguir. Talvez em frente. Diria que, por esta altura, seguir em frente é uma especialização minha.  

Como qualquer líder, às vezes também me falho.

Como qualquer líder, debruço-me obsessivamente sobre as falhas até descobrir como as preencher. Puno-me por elas e, finalmente, permito-me aprender.  

Como qualquer líder, sou consumidora assídua de pequenas e grandes lições.

Como qualquer líder, cometo erros. E, como qualquer líder, tento não repetir os mesmos.  

Só não sou como qualquer líder. Não nasci para guiar outros, porque também eu estou perdida. Não quero que me sigam! Aliás, se for possível, sigam o caminho oposto ao meu. E não me peçam para vos seguir! Só me sei seguir a mim, e mal.  

Nasci para desbravar o mato à machadada, na exata medida em que for avançando nele. Não me ofereçam florestas já desbravadas! Fiquem lá com elas. Não me ofereçam sonhos que não me pertencem! Prefiro deitar-me mais cedo para ter os meus. Não me vendam a vossa verdade! É um negócio sujo, onde eu ficaria sempre a perder. A verdade do outro, que fique o outro com ela. Prefiro explorar a minha.  

Deixem-me ir!

Quero ver por mim. Ouvir por mim. Tocar por mim. Cheirar por mim. Saborear por mim. Cair por mim. Levantar pela minha própria mão. Vivam as vossas experiências e deixem-me viver as minhas!  

Deixem-me tirar as minhas próprias conclusões! Tomá-las como certas, só para mais tarde descobrir que estão erradas. E está tudo bem, crescer é mesmo isso.  

Deixem-me ser mutável! Não me queiram vendada, de ideias fixas ou radicalizadas. Sou adepta do equilíbrio, apesar de nem sempre o conseguir manter. No meu mundo tudo tem permissão para existir, simultaneamente. Todos têm permissão para ser. Há um espaço invisível sem paredes para o delimitar, um lugar inspirado no Lavoisier, onde nada se perde, nada se cria, tudo se pode transformar.

Deixem-me ser! Só peço que me deixem ser! E serei feliz, mesmo na minha profunda infelicidade.  

Nasci para ser uma selvagem autodomada. Uma líder seletivamente dedicada. Uma humana fortemente frágil, com uma beleza feia, como me dizia uma bela cigana, e obcecada com a sua própria caminhada.  

Posso viajar para o sítio mais lindo do universo! Posso deslocar os olhos pelas mais belas paisagens! Posso conhecer os seres mais fascinantes! Posso ler as palavras mais requintadas! Poderia até beber da fonte da juventude eterna!  

Mas se eu não estiver em mim, se não estiver comigo, não há nada. Não há nada! Não há coisa alguma que chegue até mim se eu não estiver dentro de casa para a receber, para lhe abrir a porta, cumprimenta-la com um sorriso, um olhar cativo de quem está lá para a acolher. Não há beleza que me toque, porque não há ninguém cá dentro para ser tocado. Às vezes, viro uma casa assombrada. Abandonada, com vida morta. Há o receptáculo! Esse fica, até que a Terra decida vir recuperá-lo e, com todo o direito, levá-lo de volta para si.  Há o corpo em piloto automático, só não há a alma que o irradia, ou que o faça completo.  

Sei quando estou comigo. Tal como sei quando me abandono. "Só não sei para onde vou de cada vez que me decido abandonar", isto foi outra coisa que aquela bela cigana que me disse, ou estarei a sonhar? A realidade e o imaginário tornam-se mais difíceis de separar.
Onde me escondo de mim mesma?
Sou mestre a desaparecer, sem aviso prévio de quando irei voltar...se irei voltar. Que péssimo hábito! Que mecanismo de defesa ridículo! Foi uma maldição que me deitaram e, agora, tenho de a conseguir quebrar.
Tenho de me quebrar!...
Abrir-me até ao meu interior, olhar para dentro do poço, mesmo que me dê vontade de vomitar, principalmente, quando me dá vontade de vomitar...por mais que me custe olhar. Não posso desviar o olhar! Tenho de remexer nas minhas entranhas, sentir nas minhas mãos o que está avariado, e descobrir como o remendar.
E quebro-me! vezes sem conta. E pego nas peças que estilhacei contra o chão, e corto-me com elas, e brinco com elas, e algures, a meio desta sádica brincadeira, há uma ou outra que decide encaixar, e dão-me sentido, uma nova forma, um eu mais polido, mais perto de nunca ser perfeito e completo.

Percebo quando me vou. Fica tudo mais *****. O vazio absorve-me. O mundo desaponta-me. A poesia desaparece. O barulho do silêncio torna-se ensurdecedor. O corpo mexe-se, mas não age. O olhar fica turvo e as lentes que uso não me permitem ver com clareza. A empatia vira apatia. A falta de emoções torna-me robotizada. Não há amor! É ensurdecedor! Não há amor...

A magia que me move decide esconder-se de mim. Não sei se para brincar comigo, não sei se para me provocar, não sei se para despertar a besta que dorme sossegada. Só sei que, de tempo a tempo, a minha alma decide jogar à apanhada e é a primeira a escapar. Alma rebelde e insurreta! Nunca te ensinei a ficar! Perdoa-me, por favor, também não me ensinaram a mim. Mas, ao menos, ensinei-te a voltar. Depois, como que por infantilidade, ou talvez por vontade de regressar a casa, começa a sussurrar-me...Ouço-a chamar baixinho por mim e, lá vou eu toda contente atrás dela, deixo o seu jogo continuar, só por curiosidade de desvendar até onde é que ela vai, onde é que ela pretende levar-me.

Quanto mais me aproximo de mim, mais cores se erguem à minha volta. A paz invade-me e reconquista o seu devido território no meu peito. A poesia ressurge e faz-me ressurgir.  O silêncio volta a ser música para esta alma sensível. O corpo age com intenção. O olhar fica cristalino e escolho ver o mundo através de lentes que o retratam mais bondoso, pelo menos para mim. As emoções retomam o seu percurso natural no meu sistema, com a intensidade de vulcões ativos. A empatia é reflexo do amor que sinto e que transborda. A magia mastiga-me e cospe-me para o mundo em forma de luz.  



De tempo a tempo, perco-me de mim.

De tempo a tempo, reencontro-me.  

E, deste tempo que se aproxima, só quero uma coisa: quero voltar a mim!

Quero abraçar-me! como se estivesse a despedir-me do amor da minha vida, às portas do aeroporto. Quero acarinhar-me e amar-me. Quero voltar a mim!

Quero ver o que vou encontrar quando a mim regressar.  

Perco-me de mim. Demasiadas vezes, perco-me de mim.  

Quando me reencontro, já não estou no ponto onde me perdi. Já sou uma mistura entre aquela que se perdeu e a que está prestes a renascer. Diria que passo muito tempo no limbo da existência e da não existência. 

Quando me reencontro, sou algo diferente. Quem sabe melhor, quem sabe pior...essas reflexões deixo para os que me oferecem opiniões não solicitadas. Sei que sou algo diferente, o resto é ruído.  

Nasci para criar. Nasci para me reinventar.  

Dito isto, acolho a destruição e o caos que vem de dentro como parte do meu processo de criação pessoal.  

Disto isto, quando me reencontrar, é só uma questão de tempo a tempo para me voltar a perder.
(extrait)

II

Oh ! Paris est la cité mère !
Paris est le lieu solennel
Où le tourbillon éphémère
Tourne sur un centre éternel !
Paris ! feu sombre ou pure étoile !
Morne Isis couverte d'un voile !
Araignée à l'immense toile
Où se prennent les nations !
Fontaine d'urnes obsédée !
Mamelle sans cesse inondée
Où pour se nourrir de l'idée
Viennent les générations !

Quand Paris se met à l'ouvrage
Dans sa forge aux mille clameurs,
A tout peuple, heureux, brave ou sage,
Il prend ses lois, ses dieux, ses moeurs.
Dans sa fournaise, pêle-mêle,
Il fond, transforme et renouvelle
Cette science universelle
Qu'il emprunte à tous les humains ;
Puis il rejette aux peuples blêmes
Leurs sceptres et leurs diadèmes,
Leurs préjugés et leurs systèmes,
Tout tordus par ses fortes mains !

Paris, qui garde, sans y croire,
Les faisceaux et les encensoirs,
Tous les matins dresse une gloire,
Eteint un soleil tous les soirs ;
Avec l'idée, avec le glaive,
Avec la chose, avec le rêve,
Il refait, recloue et relève
L'échelle de la terre aux cieux ;
Frère des Memphis et des Romes,
Il bâtit au siècle où nous sommes
Une Babel pour tous les hommes,
Un Panthéon pour tous les dieux !

Ville qu'un orage enveloppe !
C'est elle, hélas ! qui, nuit et jour,
Réveille le géant Europe
Avec sa cloche et son tambour !
Sans cesse, qu'il veille ou qu'il dorme,
Il entend la cité difforme
Bourdonner sur sa tête énorme
Comme un essaim dans la forêt.
Toujours Paris s'écrie et gronde.
Nul ne sait, question profonde !
Ce que perdrait le bruit du monde
Le jour où Paris se tairait !
Mères, l'enfant qui joue à votre seuil joyeux,
Plus frêle que les fleurs, plus serein que les cieux,
Vous conseille l'amour, la pudeur, la sagesse.
L'enfant, c'est un feu pur dont la chaleur caresse ;
C'est de la gaîté sainte et du bonheur sacré,
C'est le nom paternel dans un rayon doré ;
Et vous n'avez besoin que de cette humble flamme
Pour voir distinctement dans l'ombre de votre âme.
Mères, l'enfant que l'on pleure et qui s'en est allé,
Si vous levez vos fronts vers le ciel constellé,
Verse à votre douleur une lumière auguste ;
Car l'innocent éclaire aussi bien que le juste !
Il montre, clarté douce, à vos yeux abattus,
Derrière notre orgueil, derrière nos vertus,
Derrière nos malheurs, Dieu profond et tranquille.
Que l'enfant vive ou dorme, il rayonne toujours !
Sur cette terre où rien ne va **** sans secours,
Où nos jours incertains sur tant d'abîmes pendent,
Comme un guide au milieu des brumes que répandent
Nos vices ténébreux et nos doutes moqueurs,
Vivant, l'enfant fait voir le devoir à vos coeurs ;
Mort, c'est la vérité qu'à votre âme il dévoile.
Ici, c'est un flambeau ; là-haut, c'est une étoile.

Mars 1840.
Mariana Seabra Mar 2022
Da menina que nasceu azul,

Conto-te esta breve história.



Sei que foi em dia de sol…

Até o céu

Se abriu no espaço,

Até ele

Se manchou de glória.



Por entre os sete mares

Se espalharam; Aí e  

Em todos os lugares,

Violentas ondas  

em sua memória.



Assim nasceu,

Tão alegre…

Uma bela tela…

Era o que ela  

Me parecia.

Com o seu cheiro  

A maresia,

Amarela e só de alma.



Assim cresceu,

Tão sonhadora…

Rodava o universo

Na sua palma.

E ao passar, todos lhe diziam

“Não vás!”.



Os desassossegados,

Esses faziam tudo aquilo que podiam

Porque sentimento fútil

Não a satisfaz.



Enjaulados,

Os homens tremiam!

Piores que loucos  

Repetiam

“Olha o diabo que a moça traz!”.



Mas ela nem ouvia…

Sonhava, e não caía;

Voava; pela sua própria asa.



Como o verde, florescia

Uma flor dentro de mim.

E assim ela crescia,

Fosse de noite; fosse de dia;

Não se molhava em água rasa.



Menina nobre,

De ti brotou  

Tanta bondade

Que se espalhou.

Ofereceste-a! A quem passava.

Nem um cêntimo

Sequer cobrou.



Menina pura,

Que se isolava,

Nunca tirava  

O pé da estrada.

E mais azul ela ficou.



Com aparências?

Não se importava.

Tudo o que tinha, ela doou.

Manteve a essência,

Essa brilhava,

Tornou-se estrela

Que nunca apagou.



Tanto azul!  

Que a matava…

Então outra cor ela criou.



Em balanço perfeito  

Com a água

Nasceu uma cor

Que a transformou.



Agora,

Menina de fogo,

Apaixonada!

E avermelhada ela ficou.



O azul é triste,

E o vermelho engana,

Então a Terra ela explorou.



Num vulcão ardia

A sua gémea-chama

Aquela cor vermelha

Que a fascinou.

Forjou-se; de rocha vulcânica,

E só mais forte isso a tornou.



Lá conheceu

A bela cigana,

Deusa da montanha,

Que a salvou.



Juntou todo o amor

Que a inspirava

E à raça humana regressou.



Menina ingénua!

Chora desolada;

Porque o humano a roubou.



Cor azul; e avermelhada,

Mas que bonito roxo

Que dela jorrou.



Menina pura! destroçada,

Pela ganância de quem não vê nada…

Foi ao mundo que se entregou.



Assim espelhava; como ouro,

A sua pequena alma dourada

Que deu início a esta balada.

Ah!...

É de ti que falo, minha amada,

O meu maior tesouro.

Eterna flecha em mim marcada,

Amor real e duradouro.



Mas o humano triste; insaciado

Que antes de mim a encontrou!

Que nem por ela dar de graça…

Nem assim ele a poupou!

Quis o tesouro de mão beijada,

E pouco ou nada se esforçou.



Daqui veio a desgraça,

De quem esta história narrou.



Foi à noite, na madrugada…

Como um cobarde! Que a apanhou.

Foi arrogância ou maldade?

Qual o motivo que o levou?!

A devorar pela calada

O coração puro

Da minha menina aprisionada

Que nunca mais se recuperou.



A menina ri alto;  

Gargalhadas loucas ao vento;

Ali encostada, envolta em tormento,

Segura o peito; completamente esvaziada  

por dentro.



E o desumano,

Que fez o assalto,  

Vira cinza; não sobra nada.



Escorrem-me as lágrimas pela cara…

Rios de tom arroxeado.

Menina azul, vermelha e rara

Peço-lhe: “Fica! Só mais um bocado”.



Ela ouve-me; e sorri.

Existe afinal alguém que a ama!

Diz-me: “Todos os perigos  

Que corri,

Todo o amor

Que ofereci,

É o que me torna  

Tão humana”.



Penso que a entendi.

Senti a sua dor como se fosse a minha,

Foi por ambas que sofri.



“Há coisas que não podem ser roubadas.

Sobrevivem à guerra, estagnadas…

Mas ficam as memórias assombradas.

Casas em ruína, muros de pedra,

Envolvem as pessoas arrombadas.”



Ah!...

Afinal, foi nesta Terra  

Onde descobri

Que quem não morre,

Sempre quebra.



Há preciosidades que só podem ser dadas…

Sem qualquer valor que lhes possa ser afixado.

E ao ladrão da cor, a esse *******!

Está o inferno destinado!

Pois o humano; ser desgraçado;

É monstro que se apodera; e as desfaz.

Nem seque olha para o que está ao lado…

Tanta crueldade, numa mente tão pequena,

Torna-o um bicho incapaz.



"Meu pequeno ser azulado!

A diferença que isto me faz…

Deita-te aqui, esquece o pecado,

Enquanto quente ainda estás.

Vou viajar, para o outro lado,

E vais passar um mau bocado

Mas isto é apenas um até já.



Meu pequeno ser avermelhado!

Não deixes que essa raiva te consuma.

Lembra-te! Do nosso tom arroxeado,

Do céu, da montanha e do mar.

Olha sempre à tua volta,

Eu estou em todo o lugar.



Que me vejas! Por entre a bruma,

A passar pelo rochedo.

A deixar na praia a minha espuma…

Será esse o nosso segredo.



Ao teu ouvido, eu vou soprar.

Exatamente do meu jeito.

E ao teu ouvido, eu vou falar

Como te fala o búzio

Que carregas ao peito.



Numa linguagem única, por nós escrita,

Escrevo-te um poema; e está perfeito.

Ouve o silêncio quando me quiseres chamar

Para me perguntares o que tenho eu feito.



Se não obtiveres resposta

Naquele exato momento,

E o desespero te abraçar;

Não é porque estou morta,

Inspira-me no vento;

Apesar do meu corpo morto estar.



É que a minha alma insurreta,

Que pela curiosidade se desperta,

Decidiu que uma volta ela queria dar.

Mas é no teu peito, minha poeta,

O lugar! Onde dorme a tua alma

Também inquieta.  

A casa, a doce casa,  

A que ela decide sempre regressar.



Como a andorinha,  

Que carrega a primavera  

Na sua pequena asa,

Assim, para ti, eu vou chegar.

Ouve o som do meu cantar,

De ramo em ramo a saltitar…

E até a chuva, que sempre passa,

Cai aos teus pés e fica em brasa

Com o calor do amor intenso

Que ainda iremos partilhar."
Le chasseur songe dans les bois
À des beautés sur l'herbe assises,
Et dans l'ombre il croit voir parfois
Danser des formes indécises.

Le soldat pense à ses destins
Tout en veillant sur les empires,
Et dans ses souvenirs lointains
Entrevoit de vagues sourires.

Le pâtre attend sous le ciel bleu
L'heure où son étoile paisible
Va s'épanouir, fleur de feu,
Au bout d'une tige invisible.

Regarde-les, regarde encor
Comme la vierge, fille d'Ève,
Jette en courant dans les blés d'or
Sa chanson qui contient son rêve !

Vois errer dans les champs en fleur,
Dos courbé, paupières baissées,
Le poète, cet oiseleur,
Qui cherche à prendre des pensées.

Vois sur la mer les matelots
Implorant la terre embaumée,
Lassés de l'écume des flots,
Et demandant une fumée !

Se rappelant quand le flot noir
Bat les flancs plaintifs du navire,
Les hameaux si joyeux le soir,
Les arbres pleins d'éclats de rire !

Vois le prêtre, priant pour tous,
Front pur qui sous nos fautes penche,
Songer dans le temple, à genoux
Sur les plis de sa robe blanche.

Vois s'élever sur les hauteurs
Tous ces grands penseurs que tu nommes,
Sombres esprit dominateurs,
Chênes dans la forêt des hommes.

Vois, couvant des yeux son trésor,
La mère contempler, ravie,
Son enfant, cœur sans ombre encor,
Vase que remplira la vie !

Tous, dans la joie ou dans l'affront,
Portent, sans nuage et sans tache,
Un mot qui rayonne à leur front,
Dans leur âme un mot qui se cache.

Selon les desseins du Seigneur,
Le mot qu'on voit pour tous varie ;
- L'un a : Gloire ! l'autre a : Bonheur !
L'un dit : Vertu ! l'autre : Patrie !

Le mot caché ne change pas.
Dans tous les cœurs toujours le même ;
Il y chante ou gémit tout bas ;
Et ce mot, c'est le mot suprême !

C'est le mot qui peut assoupir
L'ennui du front le plus morose !
C'est le mystérieux soupir
Qu'à toute heure fait toute chose !

C'est le mot d'où les autres mots
Sortent comme d'un tronc austère,
Et qui remplit de ses rameaux
Tous les langages de la terre !

C'est le verbe, obscur ou vermeil,
Qui luit dans le reflet des fleuves,
Dans le phare, dans le soleil,
Dans la sombre lampe des veuves !

Qui se mêle au bruit des roseaux,
Au tressaillement des colombes ;
Qui jase et rit dans les berceaux,
Et qu'on sent vivre au fond des tombes !

Qui fait éclore dans les bois
Les feuilles, les souffles, les ailes,
La clémence au cœur des grands rois,
Le sourire aux lèvres des belles !

C'est le nœud des prés et des eaux !
C'est le charme qui se compose
Du plus tendre cri des oiseaux,
Du plus doux parfum de la rose !

C'est l'hymne que le gouffre amer
Chante en poussant au port des voiles !
C'est le mystère de la mer,
Et c'est le secret des étoiles !

Ce mot, fondement éternel
De la seconde des deux Romes,
C'est Foi dans la langue du ciel,
Amour dans la langue des hommes !

Aimer, c'est avoir dans les mains
Un fil pour toutes les épreuves,
Un flambeau pour tous les chemins,
Une coupe pour tous les fleuves !

Aimer, c'est comprendre les cieux.
C'est mettre, qu'on dorme ou qu'on veille,
Une lumière dans ses yeux,
Une musique en son oreille !

C'est se chauffer à ce qui bout !
C'est pencher son âme embaumée
Sur le côté divin de tout !
Ainsi, ma douce bien-aimée,

Tu mêles ton cœur et tes sens,
Dans la retraite où tu m'accueilles,
Aux dialogues ravissants
Des flots, des astres et des feuilles !

La vitre laisse voir le jour ;
Malgré nos brumes et nos doutes,
Ô mon ange ! à travers l'amour
Les vérités paraissent toutes !

L'homme et la femme, couple heureux,
À qui le cœur tient lieu d'apôtre,
Laissent voir le ciel derrière eux,
Et sont transparents l'un pour l'autre.

Ils ont en eux, comme un lac noir
Reflète un astre en son eau pure,
Du Dieu caché qu'on ne peut voir
Une lumineuse figure !

Aimons ! prions ! les bois sont verts,
L'été resplendit sur la mousse,
Les germes vivent entr'ouverts,
L'onde s'épanche et l'herbe pousse !

Que la foule, bien **** de nous
Suive ses routes insensées.
Aimons, et tombons à genoux,
Et laissons aller nos pensées !

L'amour, qu'il vienne tôt ou ****,
Prouve Dieu dans notre âme sombre.
Il faut bien un corps quelque part
Pour que le miroir ait une ombre.

Le 23 mai 1839.
Com a queda de neve ou geada,
Na  aldeia ou cidade.
Vento e muita nebulosidade,
Inferno da minha liberdade.

Ursos, esquilos,  marmotas adormecem,
Folhas caem, aprodecem.
Nos rostos falta amor,
Inverno chuvoso sem odor.

As aves anseiam voltar,
A lua tem pouco luar.
Noite longa de embalar,
Anseio pelo dia, quero acordar...

Tudo dorme profundamente,
Hiportermia  e frio intolerante,
Deixai o inferno não ser Inverno docemente.
Haja esperança de um  Verão escaldante.

Inverno,  frio,
Si muove il cielo, tacito e lontano:
la terra dorme, e non la vuol destare;
dormono l'acque, i monti, le brughiere.
Ma no, ché sente sospirare il mare,
gemere sente le capanne nere:
v'è dentro un ***** che non può dormire:
piange; e le stelle passano pian piano.
Si l'enfant sommeille,
Il verra l'abeille,
Quand elle aura fait son miel,
Danser entre terre et ciel.

Si l'enfant repose,
Un ange tout rose,
Que la nuit seule on peut voir,
Viendra lui dire : « Bonsoir. »

Si l'enfant est sage,
Sur son doux visage
La vierge se penchera,
Et longtemps lui parlera.

Si mon enfant m'aime,
Dieu dira lui-même :
J'aime cet enfant qui dort ;
Qu'on lui porte un rêve d'or.

Fermez ses paupières,
Et sur ses prières,
De mes jardins pleins de fleurs,
Faites glisser les couleurs.

Ourlez-lui des langes,
Avec vos doigts d'anges,
Et laissez sur son chevet
Pleuvoir votre blanc duvet.

Mettez-lui des ailes
Comme aux tourterelle,
Pour venir dans mon soleil
Danser jusqu'à son réveil !

Qu'il fasse un voyage,
Aux bras d'un nuage,
Et laissez-le, s'il lui plaît,
Boire à mes ruisseaux de lait !

Donnez-lui la chambre
De perles et d'ambre.
Et qu'il partage en dormant
Nos gâteaux de diamant !

Brodez-lui des voiles,
Avec mes étoiles,
Pour qu'il navigue en bateau
Sur mon lac d'azur et d'eau !

Que la lune éclaire
L'eau pour lui plus claire,
Et qu'il prenne au lac changeant
Mes plus fins poissons d'argent !

Mais je veux qu'il dorme,
Et qu'il se conforme
Au silence des oiseaux,
Dans leurs maisons de roseaux !

Car si l'enfant pleure,
On entendra l'heure
Tinter partout qu'un enfant
A fait ce que Dieu défend !

L'écho de la rue,
Au bruit accourue,
Quand l'heure aura soupiré,
Dira : « L'enfant a pleuré ! »

Et sa tendre mère,
Dans sa nuit amère,
Pour son ingrat nourrisson
Ne saura plus de chanson !

S'il brame, s'il crie,
Par l'aube en furie
Ce cher agneau révolté
Sera peut-être emporté !

Un si petit être,
Par le toit, peut-être,
Tout en criant, s'en ira,
Et jamais ne reviendra !

Qu'il rôde en ce monde,
Sans qu'on lui réponde,
Jamais l'enfant que je dis
Ne verra mon paradis !

Oui ! mais s'il est sage,
Sur son doux visage
La vierge se penchera
Et longtemps lui parlera !
Corron tra ‘l Celio fosche e l’Aventino
le nubi: il vento dal pian tristo move
umido: in fondo stanno i monti albani
bianchi di nevi.

A le cineree trecce alzato il velo
verde, nel libro una britanna cerca
queste minacce di romane mura
al cielo e al tempo.

Continui, densi, neri, crocidanti
versansi i corvi come fluttuando
contro i due muri ch’a più ardua sfida
levansi enormi.

‘Vecchi giganti’ par che insista irato
l’augure stormo ‘a che tentate il cielo?’
Grave per l’aure vien da Laterano
suon di campane.

Ed un ciociaro, nel mantello avvolto,
grave fischiando tra la folta barba,
passa e non guarda. Febbre, io qui t’invoco,
nume presente.

Se ti fur cari i grandi occhi piangenti
e de le madri le protese braccia
te deprecanti, o dea, da ‘l reclinato
capo de i figli:

se ti fu cara su ‘l Palazio eccelso
l’ara vetusta (ancor lambiva il Tebro
l’evandrio colle, e veleggiando a sera
tra ‘l Campidoglio

e l’Aventino il reduce quirite
guardava in alto la città quadrata
dal sole arrisa, e mormorava un lento
saturnio carme);

febbre, m’ascolta. Gli uomini novelli
quinci respingi e lor picciole cose:
religïoso è questo orror: la dea
Roma qui dorme.

Poggiata il capo al Palatino augusto,
tra ‘l Celio aperte e l’Aventin le braccia,
per la Capena i forti omeri stende
a l’Appia via.
À quoi pensent ces flots, qui baisent sans murmure
Les flancs de ce rocher luisant comme une armure ?
Quoi donc ! n'ont-ils pas vu dans leur propre miroir,
Que ce roc, dont le pied déchire leurs entrailles,
A sur sa tête un fort, ceint de blanches murailles,
Roulé comme un turban autour de son front noir ?

Que font-ils ? à qui donc gardent-ils leur colère ?
Allons ! acharne-toi sur ce cap séculaire,
Ô mer ! Trêve un moment aux pauvres matelots !
Ronge, ronge ce roc ! qu'il chancelle, qu'il penche,
Et tombe enfin, avec sa forteresse blanche,
La tête la première, enfoncé dans les flots !

Dis, combien te faut-il de temps, ô mer fidèle,
Pour jeter bas ce roc avec sa citadelle ?
Un jour ? un an ? un siècle ?... Au nid du criminel
Précipite toujours ton eau jaune de sable !
Que t'importe le temps, ô mer intarissable ?
Un siècle est comme un flot dans ton gouffre éternel.

Engloutis cet écueil ! que ta vague l'efface
Et sur son front perdu toujours passe et repasse !
Que l'algue aux verts cheveux dégrade ses contours !
Que, sur son flanc couché, dans ton lit sombre il dorme !
Qu'on n'y distingue plus sa forteresse informe !
Que chaque flot emporte une pierre à ses tours !

Afin que rien n'en reste au monde, et qu'on respire
De ne plus voir la tour d'Ali, pacha d'Epire ;
Et qu'un jour, côtoyant les bords qu'Ali souilla,
Si le marin de Cos dans la mer ténébreuse
Voit un grand tourbillon dont le centre se creuse,
Aux passagers muets il dise : C'était là !

Le 26 novembre 1828.
Sonnet.


D'un seul mot, pénétrant comme un acier pointu,
Vous nous exaspérez pour nous dompter d'un signe,
Sachant que notre cœur s'emporte et se résigne,
Rebelle subjugué sitôt qu'il a battu.

Triomphez pleinement, ô femmes sans vertu,
De notre souple hommage à votre empire indigne !
Quand vous nous faites choir hors de la droite ligne,
Tombés autant que vous, nous avons plus perdu :

Que dans vos corps divins le remords veille ou dorme,
Il laisse intacte en vous la gloire de la forme,
Car, fût-elle sans âme, Aphrodite a son prix !

Vos yeux, beaux sans l'honneur, peuvent régner encore,
Mais le regard d'un homme, au souffle du mépris,
Perd toute la fierté qui l'arme et le décore.
Ogn'anno, il due novembre, c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno, puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zì Vicenza.

St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! Si ce penzo, e che paura!,
ma po' facette un'anema e curaggio.

'O fatto è chisto, statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io, tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31"

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
... sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele, cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata, senza manco un fiore;
pè segno, sulamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola, che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'Ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura... nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto, che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje: stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato... dormo, o è fantasia?

Ate che fantasia; era 'o Marchese:
c'ò tubbo, 'a caramella e c'ò pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'nascopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello... 'o scupatore.
'Int 'a stu fatto ì nun ce veco chiaro:
sò muorte e se ritirano a chest'ora?

Putevano stà 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo... calmo calmo,
dicette a don Gennaro: "Giovanotto!

Da Voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va, si, rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava, si, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari, tra la vostra gente"

"Signor Marchese, nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffà sta fesseria,
ì che putevo fà si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo, obbj'... 'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza! "

"Famme vedé... -piglia sta violenza...
'A verità, Marché, mme sò scucciato
'e te senti; e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca sò muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere... nu ddio?
Ccà dinto, 'o vvuo capi, ca simmo eguale?...
... Muorto si'tu e muorto sò pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".

"Lurido porco!... Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali? ".

'Tu quà Natale... Pasca e Ppifania!!!
T'o vvuò mettere 'ncapo... 'int'a cervella
che staje malato ancora è fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched'e?... è una livella.

'Nu rre, 'nu maggistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò, stamme a ssenti... nun fa'o restivo,
suppuorteme vicino-che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie... appartenimmo à morte!
Ogn'anno, il due novembre, c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno, puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zì Vicenza.

St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! Si ce penzo, e che paura!,
ma po' facette un'anema e curaggio.

'O fatto è chisto, statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io, tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31"

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
... sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele, cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata, senza manco un fiore;
pè segno, sulamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola, che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'Ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura... nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto, che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje: stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato... dormo, o è fantasia?

Ate che fantasia; era 'o Marchese:
c'ò tubbo, 'a caramella e c'ò pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'nascopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello... 'o scupatore.
'Int 'a stu fatto ì nun ce veco chiaro:
sò muorte e se ritirano a chest'ora?

Putevano stà 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo... calmo calmo,
dicette a don Gennaro: "Giovanotto!

Da Voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va, si, rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava, si, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari, tra la vostra gente"

"Signor Marchese, nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffà sta fesseria,
ì che putevo fà si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo, obbj'... 'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza! "

"Famme vedé... -piglia sta violenza...
'A verità, Marché, mme sò scucciato
'e te senti; e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca sò muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere... nu ddio?
Ccà dinto, 'o vvuo capi, ca simmo eguale?...
... Muorto si'tu e muorto sò pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".

"Lurido porco!... Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali? ".

'Tu quà Natale... Pasca e Ppifania!!!
T'o vvuò mettere 'ncapo... 'int'a cervella
che staje malato ancora è fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched'e?... è una livella.

'Nu rre, 'nu maggistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò, stamme a ssenti... nun fa'o restivo,
suppuorteme vicino-che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie... appartenimmo à morte!

— The End —