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Donde, o vecchina, queste violette
serene come un lontanar di monti
nel puro occaso? Poi che il gelo ha strette
tutte le fonti;
il gelo brucia dalle stelle, o nonna,
ogni foglia, ogni radica, ogni zolla. -
- Tiepida, sappi, lungo la Corsonna
geme una polla.
Là noi sciacquiamo il candido bucato
nell'onda calda in mezzo a nevi e brine;
e il poggio è pieno di viole, e il prato
di pratelline. -
Ah!... ma, poeta, non ancor nel pio
tuo cuore è l'onda che discioglie il gelo?
Non è la polla, calda nell'oblio
freddo del cielo?
Ché sempre, se ti agghiaccia la sventura,
se l'odio altrui ti spoglia e ti desola,
spunta, al tepor dell'anima tua pura,
qualche viola.
Caroline Grace May 2010
HEY!....
today we got sun!
Up track to sea
you, kids an' me.
Ice cream treats in cornets;
***** of gelo 'n' flake!
Yours got nuts in.
Yours got passion fruity bits.
Ours got choclit!
Oops - tripped!
Ball gone flop
S
l
i
t
h
e
r
i
n'
like snake
down Vanilla Hill
he-he  :)))  he-he
Go get 'nuther.
copyright © Caroline Grace 2010
Nuha Fariha Jun 2019
Cockroaches peering between the shattered plates scattered once they heard the slap of Shanta’s footsteps up the narrow halls. 5’4 in white socks and brown sandals, she commands the room, her yellow sari, a beacon in the darkening winter days. Mrs Tagore’s radio leaks through paper-thin walls.

Pagla hawar badol diney/ Pagol amar mon jegey othey

Out the **** elevator, she glides above dull linoleum floors to her two room cardboard box. Salina’s neon pink birthday banner hangs on, cobwebs burrowed between ‘A’ and ‘L’. She put the meager groceries away, and hung the bag out the window next to of her neighbor’s drying *******, cold air a mercy from the heat of the stove. Next door, the radio blares on.

Chena shonar kon bairey; Jekhaney poth nai nai re, Shekhaney okaroney jaai chhootey

Lamb’s breath sauteed with cumin, onions, garlic and green chillis from Aladdin’s Grocery on 14th and Jasper clings to her collar like an expensive perfume. The water hisses when it’s poured over, steam rising in protest. She traps under the lid, allowing a single stream to whistle her a lonely tune.

Ghorer mukhey, aar ki re? Kono din shey jabey phirey/ Jabey na jabey na, deyal joto shob gelo tootey.

Today is Salina’s birthday, her plastic table mat is still in its place on the three legged table propped against the living room wall. Shanta puts down a chipped white ceramic plate, cuts out a slice of angel birthday cake and lights a candle, a spell casting soft gold on the old crayon drawings on the plaster walls. She sits in a plastic chair and watches the door. The song reaches its crescendo.

Brishti nesha bhora shondha bela/Kon Boloraam-er ami chaela/ Amar shopno ghirey naachey maatal jutey, joto maatal jutey.

Each echo of stilettos makes Shanta hold her breath. Perhaps this year Salina will finally come back, perhaps this year the door will open and her daughter will smile, will hug her, will laugh as her mother cries. On the table, wilted jasmines, calling cards left unused, Salina’s poems cut from magazines, the word collage blurring together. “My mother's hands/calloused/call me/ bruised mango/this is love”. Each ticking of the clock another blow, another **** collecting on the plate.

Ja na chaayibar tai aaj chaayi go, Ja na paayibar tai kotha pai go? Pabo na pabo no

Mrs. Tagore’s song ends. The candle wax melts on the cake, the cake is thrown away, the room grows dark. Shanta collapses next to the stove. She undoes her yellow sari, loosens her blouse. When she strokes herself, when she comes, she bleeds, she is coming home.
VS Sep 2014
Raiva. ****. Dança. Um bipe, susto, esquecimento, raiva, dois bipes, três, soneca. Cinco minutos.

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Bipe. Resmungo. Piscar. Interruptor, luz, ardência, explosão. Porta, cozinha. Frigideira, ovos, omelete, engasgue, tosse, água. Maçã.

Quarto, vestimentas, capacete. Mochila: 15kg.
Rua, bicicleta. Firmeza, foco, parábola, impulso. Curvas, carro, fechada. Porra! Esquece. Vocalise. Caminho: metade → Calor, suor. Vestimentas, despir, mochila, guardar, impulso. Partir.

Subida: força, constância, relaxamento, foco. Acidente. Morte? Não. *****, olhos, claridade. Gelo. Suspiro. Rua, asfalto. Inferno? Subterrâneo, ainda...
Chegada, contra-mão.

Bom-dia. Raiva.
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall'azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest'odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l'odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità
Lo sguardo fruga d'intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità

Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l'anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.
Serafeim Blazej Dec 2016
Eu estou atado ao garoto de cabelos negros
Ele é o rei das flechas
O príncipe e o próprio monarca
Ele é o último pássaro humano

Eu estou atado ao garoto de cabelos negros
Ele possui olhos pálidos
E canta como um rouxinol
Ele vai te enfeitiçar e atar

Eu estou atado ao garoto de cabelos negros
Ele me prendeu ao seu coração azul
Meu lar é mais frio que gelo
Eu, que um dia, fui uma fênix

Eu estou atado ao garoto de cabelos negros
Ele é o vilão de muitas lendas
Eu sou seu prisioneiro em todas elas
Inclusive em meu próprio mito

Eu estou atado ao garoto de cabelos negros
Eu fui seduzido por sua tristeza e solidão
Eu fui enganado por suas lágrimas
Eu fui preso por seus lábios

Eu estou atado ao garoto de cabelos negros
E nunca serei livre
Meu coração foi tomado de mim
Pelo garoto de cabelos negros
Escrito em 13/12/2016.
É um presente.
Dalla tua adolescenza
fatta di lunghi brividi ai capelli
e d'usignoli infitti alle tue palme,
sgorgava la vertigine di un giglio
esalante profumo di domanda.

Ah, l'immane fatica
d'innestare il tuo fiore prodigioso
oltre i tiepidi climi delle folle
a vertici di gelo!

Avorio concretato fra le mani
d'estremi crocifissi,
ronzio di spine ad ogni polpastrello
delle morbide dita,
e dopo rose, rose di stupore,
placide nevicate d'innocenza,
variare d'onde al largo dei tuoi occhi,
fissità di pupilla,
vedovi cigni solitari al corso
dei tuoi fiumi d'amore.
** la calma di un morto:
guardo il letto che attende
le mie membra e lo specchio
che mi riflette assorto.

Non so vincere il gelo
dell'angoscia, piangendo,
come un tempo, nel cuore
della terra e del cielo.

Non so fingermi calme
o indifferenze o altre
giovanili prodezze,
serti di mirto o palme.

O immoto Dio che odio
fa che emani ancora
vita dalla mia vita
non m'importa più il modo.
Dayanne Mendes Aug 2014
Eu me encho de afeto,
Não me canso!
Bato na tua porta,
Ao relento.
O que a dor afinal,
Quer de mim?
Se for pra sofrer,
Deixe whisky com gelo
Pra mim.
Rui Serra May 2015
caio lentamente

diminuído . decaído . consumido

pensamentos demoníacos

lágrimas escorrem do meu rosto
e caem a meus pés

equilíbrio

visão extravagante
floresta de pedra

criaturas da noite
movem-se pacificamente
invisíveis

desejo

fogo incontrolável
que me absorve na sua graça

perplexo
danço nas chamas bruxuleantes

conspiro
ao som do silêncio da noite

e procuro o conforto
no gelo frio do teu ser

o meu dilema:
qual o meu caminho?
Donde, o vecchina, queste violette
serene come un lontanar di monti
nel puro occaso? Poi che il gelo ha strette
tutte le fonti;
il gelo brucia dalle stelle, o nonna,
ogni foglia, ogni radica, ogni zolla. -
- Tiepida, sappi, lungo la Corsonna
geme una polla.
Là noi sciacquiamo il candido bucato
nell'onda calda in mezzo a nevi e brine;
e il poggio è pieno di viole, e il prato
di pratelline. -
Ah!... ma, poeta, non ancor nel pio
tuo cuore è l'onda che discioglie il gelo?
Non è la polla, calda nell'oblio
freddo del cielo?
Ché sempre, se ti agghiaccia la sventura,
se l'odio altrui ti spoglia e ti desola,
spunta, al tepor dell'anima tua pura,
qualche viola.
Donde, o vecchina, queste violette
serene come un lontanar di monti
nel puro occaso? Poi che il gelo ha strette
tutte le fonti;
il gelo brucia dalle stelle, o nonna,
ogni foglia, ogni radica, ogni zolla. -
- Tiepida, sappi, lungo la Corsonna
geme una polla.
Là noi sciacquiamo il candido bucato
nell'onda calda in mezzo a nevi e brine;
e il poggio è pieno di viole, e il prato
di pratelline. -
Ah!... ma, poeta, non ancor nel pio
tuo cuore è l'onda che discioglie il gelo?
Non è la polla, calda nell'oblio
freddo del cielo?
Ché sempre, se ti agghiaccia la sventura,
se l'odio altrui ti spoglia e ti desola,
spunta, al tepor dell'anima tua pura,
qualche viola.
Dayanne Mendes Nov 2015
Chuva
Frio
Incertezas
Você
Diálogos
Discussão
Rompimento
Certeza
Você
Cigarro
Álcool
Filmes
Eu
Cama
Verdades
Música
Eu
Angústia
Eu
Mentiras
Você
Tristeza
Eu
Insensibilidade
Você
Amor
Eu
Gelo
Você
Viene il freddo. Giri per dirlo
tu, sgricciolo, intorno le siepi;
e sentire fai nel tuo zirlo
lo strido di gelo che crepi.
Il tuo trillo sembra la brina
che sgrigiola, il vetro che incrina...
trr trr trr terit tirit...
Viene il verno. Nella tua voce
c'è il verno tutt'arido e tecco.
Tu somigli un guscio di noce,
che ruzzola con rumor secco.
T'ha insegnato il breve tuo trillo
con l'elitre tremule il grillo...
trr trr trr terit tirit...
Nel tuo verso suona scrio scrio,
con piccoli crepiti e stiocchi,
il segreto scricchiolettio
di quella catasta di ciocchi.
Uno scricchiolettio ti parve
d'udirvi cercando le larve...
trr trr trr terit tirit...
Tutto, intorno, screpola rotto.
Tu frulli ad un tetto, ad un vetro.
Così rompere odi lì sotto,
così screpolare lì dietro.
Oh! lì dentro vedi una vecchia
che fiacca la stipa e la grecchia...
trr trr trr terit tirit...
Vedi il lume, vedi la vampa.
Tu frulli dal vetro alla fratta.
Ecco un tizzo soffia, una stiampa
già croscia, una scorza già scatta.
Ecco nella grigia casetta
l'allegra fiammata scoppietta...
trr trr trr terit tirit...
Fuori, in terra, frusciano foglie
cadute. Nell'Alpe lontana
ce n'è un mucchio grande che accoglie
la verde tua palla di lana.
Nido verde tra foglie morte,
che fanno, ad un soffio più forte...
trr trr trr terit tirit...
Dryden Apr 2018
Os dias acabam e a noite chega,
Acendo a minha pequena lanterna
Chamada consciência,
Com a minha solidão eterna.

A noite tranquiliza-me,
Meio mundo está a dormir
Sinónimo que está a progredir.
Durante o meu sonho
Nao existe gravidade
Posso voar, pecar ,
Ninguém estará lá para me julgar.

A madrugada costuma alimentar-se das minhas insónias,
Não me importo pois ao fim da noite encontro a aurora,
Nela encontro a minha esperança além da paranóia,
Perco o sono, levanto me, dou a volta ao mundo sem demora.

O meu quarto escuro,
Com o passar das horas
Cria um clima soturno.
É nesse ambiente que travo os meus duelos
Batalhando sob o admirável céu noturno
Mudando o rumo dos asteróides,
Faço os explodir
Apenas para alimentar esta alma nervosa,

Corro pelos anéis de Saturno
Escorrego no gelo e saio disparado pelo universo,
Enquanto gravito escrevo versos,
Sobre os mares, continentes
E formas de vida criadas na Terra.
Mas a minha mente envolvida por aquele espaço
É curiosa e faz me espreitar,
Procuro algo fantástico impossível de imaginar,
Infelizmente acordo e reparo que estava apenas a sonhar.

Dormir tornou-se um luxo,
Que raramente consigo suportar
Mas sem ele o meu pensamento fica turvo
Turvo de desencanto e claro de paixão,
Tão desorganizado como esta selva de betão.

Faz me desejar emigrar para ilhas de utopia,
Praias de naufragio onde Beethovem escreveu
Sonata ao luar á sua amada companhia..

Conheço-me, durante a noite aprendi a navegar
Tomo as minhas decisões depos d'agitaçao parar,
E sobre elas costumo meditar
Enumeros conflitos tento solucionar.

Quando tenho o corpo e a mente unidos
No unico tempo que interessa, o presente,
Foco me na respiraçao até que,
Subitamente uma decisão aparece,
Na minha totalidade transcendo-me
E vivo sem arrependimentos
Estando no presente,
Não me lamento do passado,
Não preparo o futuro ,
Apenas vivo no unico tempo existente,
Tudo o resto é a minha mente, que mente,
exageradamente.
Mariana Seabra Jul 2023
Chegaste a mim em forma de argila, num balde de plástico furado.  
Apanhei-te, de surpresa, embrulhada nas ondas do meu mar salgado.  
Estavas escondida, por entre os rochedos, rodeada pelas habituais muralhas que te aconchegam,  
                                                   ­     as mesmas que me atormentam,  
quando levantas uma barreira que me impede de chegar a ti.  

Segurei-te nos braços, como quem se prepara para te embalar. Sacudi-te as algas, e encostei o meu ouvido à casca que te acolhia no seu ventre.  
Não conseguia decifrar o som que escutava, muito menos controlar a vontade de o querer escutar mais. Algo ecoava num tom quase inaudível. Sentia uma vida...uma vida fraca, sim...mas, havia vida a pulsar. Podia jurar que conseguia sentir-te, para lá da barreira, como se me tivesses atravessado corpo adentro.
Ainda não conhecia o som da tua voz, e ela já me fazia sonhar.  

Pulsavas numa frequência tão semelhante à minha!... não resisti,  
fui impelida a chegar mais perto. Precisava de te tocar, precisava de te ver,
     só para ter a certeza se eras real,
                           ou se, finalmente, tinha terminado de enlouquecer.

Se tinha perdido os meus resquícios de sanidade,  
                                                     ­                                   consciência,
                                                                ­                        lucidez,                              
ou se era verdade que estávamos ambas a vibrar,
no mesmo espaço, ao mesmo tempo, no mesmo ritmo de frequência, uma e outra e outra...e outra vez.  

Vieste dar à costa na minha pequena ilha encantada. Na ilha onde, de livre vontade, me isolava.  
Na ilha onde me permitia correr desafogadamente,  

                                             ­                            ser besta e/ou humana,  
                                                       ­                  ser eu,  
                                                           ­              ser tudo,
                                                                ­         ser todos,  
                                                        ­                 ou ser nada.  

Na mesma ilha onde só eu decidia, quem ou o que é que entrava. Não sabia se estava feliz ou assustada! Mais tarde, interiorizei que ambos podem coexistir. Por agora, sigo em elipses temporais. Longos anos que tentei suprimir num poema, na esperança que ele coubesse dentro de ti.

(…)

“Como é que não dei pela tua entrada? Ou fui eu que te escondi aqui? Será que te escondi tão bem, que até te consegui esconder de mim? És uma estranha oferenda que o mar me trouxe? Ou és só uma refugiada que ficou encalhada? Devo ficar contigo? Ou devolver-te às correntes? Como é que não dei pela tua entrada...? Que brecha é que descobriste em mim? Como é que conseguiste chegar onde ninguém chegou? Como é que te vou tirar daqui?”.  

Não precisei de te abrir para ver o que tinha encontrado, mas queria tanto descobrir uma brecha para te invadir! Não sabia de onde vinha esse louco chamamento. Sei que o sentia invadir-me a mim. Como se, de repente, chegar ao núcleo que te continha fosse cada vez menos uma vontade e, cada vez mais uma necessidade.

Cheiravas-me a terra molhada,  
                                                      ­   depois de uma chuva desgraçada. Queria entrar em ti! Mesmo depois de me terem dito que a curiosidade matava. Queria tanto entrar em ti! Ser enterrada em ti!  

A arquiteta que desenhou aquele balde estava mesmo empenhada                                                        ­                                                             
                                 em manter-te lá dentro,  
e manter tudo o resto cá fora. A tampa parecia bem selada.  

Admirei-a pela inteligência. Pelo simples que tornou complexo.  
Pela correta noção de que, nem toda a gente merece ter o teu acesso.

(...)

Vinhas em forma de argila...e, retiradas as algas da frente, vi um labirinto para onde implorei ser sugada. Estava no epicentro de uma tempestade que ainda se estava a formar e, já se faziam previsões que ia ser violenta. O caos de uma relação! de uma conexão, onde o eu, o tu e o nós, onde o passado, o futuro e o presente, entram em conflito, até cada um descobrir onde se encaixa, até se sentirem confortáveis no seu devido lugar.  

Estava tão habituada a estar sozinha e isolada, apenas acompanhada pelo som da água, dos animais ou do vento, que não sabia identificar se estava triste ou contente. Não sabia como me sentir com a tua inesperada chegada. Não sabia o que era ouvir outro batimento cardíaco dentro da minha própria mente,  

e sentir uma pulsação ligada à minha, mesmo quando o teu coração está distante ou ausente.  

No começo, espreitava-te pelos buracos do balde, por onde pequenos feixes de luz entravam e, incandesciam a tua câmera obscura,  

                 e tu corrias para te esconder!
                 e eu corria para te apanhar!
                 e foi um esconde-esconde que durou-durou...
                 e nenhuma de nós chegou a ganhar.  

Quanto mais te estudava, menos de mim percebia. Mais admiração sentia por aquela pedra de argila tão fria. "Que presente é este que naufragou no meu mar? Como é que te vou abrir sem te partir?"

Retirei-te a tampa a medo,  
                                                a medo que o teu interior explodisse.  

E tu mal te mexeste.  
                                  E eu mexia-te,
                                                           remex­ia-te,
                                                           virava-te do direito e do avesso.  

És única! Fazias-me lembrar de tudo,
                                                          e não me fazias lembrar de nada.

És única! E o que eu adorava  
é que não me fazias lembrar de ninguém,  
                             ninguém que eu tivesse conhecido ou imaginado.

És única! A musa que me inspirou com a sua existência.  

“Como é que uma pedra tão fria pode causar-me esta sensação tão grande de ardência?”

(…)

Mesmo que fechasse os olhos, a inutilidade de os manter assim era evidente.  
Entravas-me pelos sentidos que menos esperava. Foi contigo que aprendi que há mais que cinco! E, que todos podem ser estimulados. E, que podem ser criados mais! Existem milhares de canais por onde consegues entrar em mim.  

A curiosidade que aquele teu cheiro me despertava era imensa,                                                          ­                                                

               ­                                                                 ­                  intensa,
                                                                ­                                                       
         ­                                                                 ­                         então,  
                                          
             ­                                                                 ­                    abri-te.

Abri-me ao meio,  
só para ver em quantas peças é que um ser humano pode ser desmontado.

Despi-te a alma com olhares curiosos. E, de cada vez que te olhava, tinha de controlar o tempo! Tinha de me desviar! Tinha medo que me apanhasses a despir-te com o olhar. Ou pior!  
Tinha medo que fosses tu a despir-me. Nunca tinha estado assim tão nua com alguém.  
Tinha medo do que os teus olhos poderiam ver. Não sabia se ficarias, mesmo depois de me conhecer. Depois de me tirares as algas da frente, e veres que não sou só luz, que luz é apenas a essência em que me prefiro converter. Que vim da escuridão, embrulhada nas ondas de um mar escuro e tenebroso, e é contra os monstros que habitam essas correntes que me debato todos os dias, porque sei que não os posso deixar tomar as rédeas do meu frágil navio.  

(...)

Vinhas em inúmeros pedaços rochosos,
                                                                ­             uns afiados,  
  
                                                   ­                          uns macios,

                                                               ­           todos partidos...

Sentia a tua dureza contra a moleza da minha pele ardente,  
E eu ardia.  
                    E tu não ardias,  
                                                 parecias morta de tão fria.  

Estavas tão endurecida pela vida, que nem tremias.  
Não importava o quanto te amasse,  
                                                       ­          que te atirasse à parede, 
                                                        ­         que te gritasse                                                         ­                                                                 ­                    
                                                                ­                            ou abanasse...

Não importava. Não tremias.  

Haviam demasiadas questões que me assombravam. Diria que, sou uma pessoa com tendência natural para se questionar. Não é motivo de alarme, é o formato normal do meu cérebro funcionar. Ele pega numa coisa e começa a rodá-la em várias direções, para que eu a possa ver de vários ângulos, seja em duas, três, quatro ou cinco dimensões.  

"Porque é que não reagias?"  
"Devia ter pousado o balde?"  
"Devia ter recuado?"
"Devia ter desviado o olhar,
                                                      em vez de te ter encarado?"  

Mas, não. Não conseguia. Existia algo! Algo maior que me puxava para os teus pedaços.  
Algo que me fervia por dentro, uma tal de "forte energia", que não se permitia ser domada ou contrariada. Algo neles que me atraía, na exata medida em que me repelia.

Olhava-te, observava-te,  
                                                absorvia-te...
e via além do que os outros viam.
Declarava a mim mesma, com toda a certeza, que te reconhecia.
Quem sabe, de uma outra vida.
Eras-me mais familiar à alma do que a minha própria família.  
Apesar de que me entristeça escrever isto.  

Eram tantas as mazelas que trazias...Reconhecia algumas delas nas minhas. Nem sabia por onde te pegar.
Nem sabia como manter os teus pedaços juntos. Nem sabia a forma certa de te amar.
Estava disposta a aprender,  
                                                   se estivesses disposta a ensinar.  

(…)

Descobri com a nossa convivência, que violência era o que bem conhecias,                                                       ­                                                         
                    então, claro que já não tremias!  
Um ser humano quebrado, eventualmente, habitua-se a esse estado. Até o amor lhe começa a saber a amargo.  

Só precisei de te observar de perto.  
Só precisei de te quebrar com afeto.

Culpei-me por ser tão bruta e desastrada, esqueci-me que o amor também vem com espinhos disfarçados. Devia ter percebido pelo teu olhar cheio e vazio, pelo reflexo meu que nele espelhava, que a semelhança é demasiada para ser ignorada.

Somos semelhantes.  

Tão diferentes! que somos semelhantes.  

Duas almas velhas e cansadas. Duas crianças ingénuas e magoadas. Duas pessoas demasiado habituadas à solidão.  

Só precisei de escavar através do teu lado racional.
Cegamente, mergulhei bem fundo, onde já nem a luz batia,

                                                               ­    e naveguei sem rumo certo  

nas marés turbulentas do teu emocional. E, algures dentro de ti,  
encontrei um portal que me levou a um outro mundo...

Um mundo onde eu nem sabia que uma outra versão de mim existia,                                                         ­                                                         
       ­       onde me escondias e cobrias com a lua.

Um mundo onde eu estava em casa, e nem casa existia,  
                                                      ­            
                       onde me deitava ao teu lado,                                          
                          onde te deitavas ao meu lado,                                                            ­                                            
                    ­            totalmente nua,
      debaixo da armadura que, finalmente, parecia ter caído.  

Creio que mergulhei fundo demais...  
Ultrapassei os limites terrestres,
                                 e fui embater contigo em terrenos espirituais.  

Cheguei a ti com muita paciência e ternura.
Tornei-me energia pura! Um ser omnipresente. Tinha uma vida no mundo físico e, uma dupla, que vivia contigo através da música, da escrita, da literatura…Tornei-me minha e tua!  
Eu sabia...
Há muito amor escondido atrás dessa falsa amargura.  
Então, parei de usar a força e, mudei de abordagem,  
para uma mais sossegada,
                                               uma que te deixasse mais vulnerável,                                                                    ­                                            
         em vez de assustada.  

(…)

“Minha pedra de argila, acho que estou a projetar. Estou mais assustada que tu! Estar perto de ti faz-me tremer, não me consigo controlar. Quero estar perto! Só quero estar perto! Mesmo que não me segure de pé. Mesmo que tenhas de me relembrar de respirar. Mesmo que me custem a sair as palavras, quando são atropeladas pela carrada de sentimentos que vieste despertar…”

És um livro aberto, com páginas escritas a tinta mágica.
A cada página que o fogo revelava, havia uma página seguinte que vinha arrancada. Mais um capítulo que ficava por ler. Outra incógnita sobre ti que me deixavas a matutar.

Soubeste como me despertar a curiosidade,
como a manter,
como me atiçar,
como me deixar viciada em ti,
como me estabilizar ou desestabilizar.  

E nem precisas de fazer nada! a tua mera existência abana a corda alta onde me tento equilibrar.

Segurei-te com todo o carinho! E, foi sempre assim que quis segurar-te.

Como quem procura
                                       amar-te.

Talvez transformar-te,  
                                        em algo meu,
                                        em algo teu,
                                                                ­ em algo mais,
                                                                ­                          em algo nosso.  

Oferecias resistência, e eu não entendia.  
A ausência de entendimento entorpecia-me o pensamento, e eu insistia...Não conseguia respeitar-te. Só queria amar-te!

Cada obstáculo que aparecia era só mais uma prova para superar,  
                    ou, pelo menos, era disso que me convencia.
Menos metros que tinha de fazer nesta maratona exaustiva!
onde a única meta consistia  
                                                   em chegar a ti.
Desse por onde desse, tivesse de suar lágrimas ou chorar sangue!

(...)

Olhava-te a transbordar de sentimentos! mal me conseguia conter! mal conseguia formar uma frase! mal conseguia esconder que o que tremia por fora, nem se comparava ao que tremia por dentro!
Afinal, era o meu interior que estava prestes a explodir.

"Como é que não te conseguiste aperceber?”

A tua boca dizia uma coisa que, rapidamente, os teus olhos vinham contrariar. "Voa, sê livre”. Era o que a tua boca pregava em mim, parecia uma cruz que eu estava destinada a carregar. Mas, quando eu voava, ficava o meu mar salgado marcado no teu olhar.  
Não quero estar onde não estás! Não quero voar! quero deitar-me ao teu lado! quero não ter de sair de lá! e só quero voar ao teu lado quando nos cansarmos de viajar no mundo de cá.  

“Porque é que fazemos o oposto daquilo que queremos? Porque é que é mais difícil pedir a alguém para ficar? Quando é que a necessidade do outro começou a parecer uma humilhação? Quando é que o mundo mudou tanto, que o mais normal é demonstrar desapego, em vez daquela saudável obsessão? Tanta questão! Também gostava que o meu cérebro se conseguisse calar. Também me esgoto a mim mesma de tanto pensar.”

(...)

O amor bateu em ti e fez ricochete,  
                                                    ­                acertou em mim,  
quase nos conseguiu despedaçar.  

Até hoje, és uma bala de argila, perdida no fluxo das minhas veias incandescentes. O impacto não me matou, e o buraco já quase sarou com a minha própria carne à tua volta. Enquanto for viva, vou carregar-te para onde quer que vá. Enquanto for viva, és carne da minha própria carne, és uma ferida aberta que me recuso a fechar.
Quero costurar-me a ti! para que não haja possibilidade de nos voltarmos a separar.

Não sei se te cheguei a ensinar alguma coisa, mas ansiava que, talvez, o amor te pudesse ensinar.  

Oferecias resistência, e eu não entendia.  
Então, eu insistia...
                                   Dobrava-te e desdobrava-me.
Fazia origami da minha própria cabeça  
                                                e das folhas soltas que me presenteavas,
escritas com os teus pensamentos mais confusos. Pequenos pedaços de ti!  
Estava em busca de soluções para problemas que nem existiam.  

"Como é que vou tornar esta pedra áspera, numa pedra mais macia? Como é que chego ao núcleo desta pedra de argila? Ao sítio onde palpita o seu pequeno grande coração?
Querias que explorasse os teus limites,  
                                                      ­      ou que fingisse que não os via?”

Querias ser pedra de gelo,  
                                                  e eu, em chamas,  
queria mostrar-te que podias ser pedra vulcânica.

(...)

Estudei as tuas ligações químicas, cada partícula que te constituía.
Como se misturavam umas com as outras para criar  

                 a mais bela sinestesia

que os meus olhos tiveram o prazer de vivenciar.


Tornaste-te o meu desafio mais complicado.  
“O que raio é suposto eu fazer com tantos bocados afiados?”.  
Sinto-os espalhados no meu peito, no sítio onde a tua cabeça deveria encaixar, e não há cirurgia que me possa salvar. Não sei a que médico ir.  Não sei a quem me posso queixar.
São balas fantasma, iguais às dores que sinto quando não estás.  
A dor aguda e congruente que me atormenta quando estás ausente.
Como se me faltasse um pedaço essencial, que torna a minha vida dormente.

Perdoa-me, por nunca ter chegado a entender que uso lhes deveria dar.  

(...)

Reparei, por belo acaso! no teu comportamento delicado  
quando te misturavas com a água salgada, que escorria do meu olhar esverdeado,
                                  quando te abraçava,  
                                  quando te escrevia,  
                          em dias de alegria e/ou agonia.
Como ficavas mais macia, maleável e reagias eletricamente.  
Expandias-te,  
                          tornav­as-te numa outra coisa,  
                                                        ­              um novo eu que emergia,  

ainda que pouco coerente.  


Peguei-te com cuidado. Senti-te gélida, mas tranquila...
"Minha bela pedra de argila..."
Soube logo que te pertencia,  
                                                    ­   soube logo que me pertencias.  
Que o destino, finalmente, tinha chegado.
E soube-o, mesmo quando nem tu o sabias.

A estrada até ti é longa, prefiro não aceitar desvios.  
É íngreme o caminho, e raramente é iluminado...
muito pelo contrário, escolheste construir um caminho escuro,  
cheio de perigos e obstáculos,  
                                                   ­      um caminho duro,  
feito propositadamente para que ninguém chegue a ti...
Então, claro que, às vezes, me perco. Às vezes, também não tenho forças para caminhar. E se demoro, perdoa-me! Tenho de encontrar a mim mesma, antes de te ir procurar.  

No fim da longa estrada, que mais parece um labirinto perfeitamente desenhado,
                                      sem qualquer porta de saída ou de entrada,
estás tu, lá sentada, atrás da tua muralha impenetrável, a desejar ser entendida e amada, e simultaneamente, a desejar nunca ser encontrada.  

“Como é que aquilo que eu mais procuro é, simultaneamente, aquilo com que tenho mais medo de me deparar?”

Que ninguém venha quebrar a tua solidão!  
Estás destinada a estar sozinha! É isso que dizes a ti mesma?
Ora, pois, sei bem o que é carregar a solidão às costas,  
a beleza e a tranquilidade de estar sozinha.

Não vim para a quebrar,  
                                   vim para misturar a tua solidão com a minha.

Moldei-te,  
                     e moldei-me a ti.

Passei os dedos pelas fissuras. Senti todas as cicatrizes e, beijei-te as ranhuras por onde escapavam alguns dos teus bocados. Tentei uni-los num abraço.
Eu sabia...
Como se isto fosse um conto de fadas…
Como se um beijo pudesse acordar…
Como se uma chávena partida pudesse voltar atrás no tempo,  
                                                        ­      
                                                         segundo­s antes de se estilhaçar.  

O tempo recusa-se a andar para trás.
Então, tive de pensar numa outra solução.
Não te podia deixar ali, abandonada, partida no chão.

Todo o cuidado! E mesmo assim foi pouco.  
Desmoronaste.  
Foi mesmo à frente dos meus olhos que desmoronaste.  

Tive tanto cuidado! E mesmo assim, foi pouco.
Não sei se te peguei da forma errada,  
                            
                              ou se já chegaste a mim demasiado fragilizada…

Não queria acreditar que, ainda agora te segurava...
Ainda agora estavas viva…
Ainda agora adormecia com o som do teu respirar…

Agora, chamo o teu nome e ninguém responde do lado de lá…
Agora, já ninguém chama o meu nome do lado de cá.

Sou casmurra. Não me dei por vencida.
Primeiro, levantei-me a mim do chão, depois, quis regressar a ti
                            e regressei à corrida.  
Recuperei-me, e estava decidida a erguer-te de novo.
Desta vez tive a tua ajuda,
                                                   estavas mais comprometida.
Tinhas esperança de ser curada.
Talvez, desta vez, não oferecesses tanta resistência!
Talvez, desta vez, aceitasses o meu amor!
Talvez, desta vez, seja um trabalho a dois!
Talvez, desta vez, possa estar mais descansada.
Talvez, desta vez, também eu possa ser cuidada.

Arrumei os pedaços, tentei dar-lhes uma outra figura.
Adequada à tua beleza, ao teu jeito e feitio. Inteligente, criativa, misteriosa, divertida, carismática, observadora, com um toque sombrio.

Despertaste em mim um amor doentio!  
Ou, pelo menos, era assim que alguns lhe chamavam.
Admito, a opinião alheia deixa-me mais aborrecida do que interessada. A pessoas incompreensivas, não tenho vontade de lhes responder. Quem entende, irá entender. Quem sente o amor como uma brisa, não sabe o que é senti-lo como um furacão. Só quem ama ou já amou assim, tem a total capacidade de compreender, que nem tudo o que parece mau, o chega realmente a ser.

Às vezes, é preciso destruir o antigo, para que algo novo tenha espaço para aparecer. Um amor assim não é uma doença, não mata, pelo contrário, deu-me vontade de viver. Fez-me querer ser melhor, fez-me lutar para que pudesse sentir-me merecedora de o ter.

Sim, pode levar-nos à loucura. Sei que, a mim, me leva ao desespero. O desespero de te querer apertar nos meus braços todos os dias. O desespero de te ter! hoje! amanhã! sempre! O desespero de viver contigo já! agora! sempre! O desespero de não poder esperar! O desespero de não conseguir seguir indiferente depois de te conhecer! O desespero de não me conseguir conter! Nem a morte me poderia conter!  
E , saber que te irei amar, muito depois de morrer.  

Quem nunca passou de brasa a incêndio, não entende a total capacidade de um fogo. Prefiro renascer das cinzas a cada lua nova, do que passar pela vida sem ter ardido.  

Já devia ter entendido, as pessoas só podem mergulhar fundo em mim se já tiverem mergulhado fundo em si. Quem vive à superfície, não sabe do que falo quando o assunto é o inconsciente.  
Se os outros não se conhecem sequer a si mesmos, então, a opinião deles deveria mesmo importar? Há muito já fui aclamada de vilã, por não ser mais do que mera gente. E, como qualquer gente, sou simples e complexa. A realidade é que, poucos são os que se permitem sentir todo o espectro de emoções humanas, genuinamente, e eu, felizmente e infelizmente, sou gente dessa.

(…)

Descobriste um oceano escondido e inexplorado.  
Um Mar que se abriu só para ti, como se fosse Moisés que se estivesse a aproximar. Um Mar que só existia para ti. Um Mar que mais ninguém via, onde mais ninguém podia nadar. Um Mar reservado para ti. Parecia que existia com o único propósito de fazer o teu corpo flutuar.  

Deste-lhe um nome, brincaste com ele, usaste-o, amassaste-o, engoliste-o
                      e, cuspiste-o de volta na minha cara.

Uma outra definição. Um Mar de água doce, com a tua saliva misturada.
Uma outra versão de mim, desconhecida, até então.  
Um outro nome que eu preferia.
Um nome que só tu me chamavas, e mais ninguém ouvia,  
Um booboo que nasceu na tua boca e veio parar às minhas mãos, e delas escorria para um sorriso tímido que emergia.

(...)

E, de onde origina a argila?
Descobri que, pode gerar-se através de um ataque químico. Por exemplo, com a água. "A água sabe."  Era o que tu me dizias.  

Era com ela que nos moldavas.
Talvez com a água doce e salgada que escorria do teu rosto
                                                   e no meu rosto caía,
                                                   e no meu pescoço secava,

enquanto choravas em cima de mim,
                                                                ­abraçada a mim, na tua cama.

Enquanto tremias de receio, de que me desejasses mais a mim, do que aquilo que eu te desejava.

“Como não podias estar mais enganada!  
Como é que não vias todo o tempo e amor que te dedicava?  
Tinhas os olhos tapados pelo medo? Como é que me observavas e não me absorvias?”

O amor tem muito de belo e muito de triste.  A dualidade do mundo é tramada, mas não me adianta de nada fechar os olhos a tudo o que existe.  

Ah! Tantas coisas que nascem de um ataque químico! Ou ataque físico, como por exemplo, através do vulcanismo ou da erosão.
Quando moveste as placas que solidificavam as minhas raízes à Terra,  
           e chegaste a mim em forma de sismo silencioso,  
mandaste-me as ilusões e as outras estruturas todas abaixo, e sobrou uma cratera com a forma do meu coração, de onde foi cuspida a lava que me transmutou. A mesma lava que, mais tarde, usei para nos metamorfosear. Diria que, ser destruída e reconstruída por ti, foi a minha salvação.
Sobrei eu, debaixo dos destroços. Só não sei se te sobrevivi. Nunca mais fui a mesma desde que nos vi a desabar.  

E, são esses dois ataques que geram a argila. Produzem a fragmentação das rochas em pequenas partículas,  
                                                   ­                                                             
                                                                ­                         umas afiadas,  
                                                      ­                                                        
                                                                ­                         umas macias,
                                                                ­                                                       
         ­                                                                 ­               todas partidas.  

Gosto de pegar em factos e, aproximá-los da ficção na minha poesia.
Brinco com metáforas, brinco contigo, brinco com a vida...mas, sou séria em tudo o que faço. Só porque brinco com as palavras, não significa que te mentiria. A lealdade que me une a ti não o iria permitir.  

É belo, tão belo! Consegues ver? Fazes vibrar o meu mundo. Contigo dá-se a verdadeira magia! Também consegues senti-la?  
Tudo dá para ser transformado em algo mais. Nem melhor nem pior, apenas algo diferente.  

Das rochas vem a areia, da areia vem a argila, da argila vem o meu vaso imaginário, a quem dei um nome e uma nova sina.  

Viva a alquimia! Sinto a fluir em mim a alquimia!  
Tenho uma capacidade inata de romantizar tudo,  

                                                   de ver o copo meio cheio,  

                                                       ­                          e nem copo existia.  

Revelaste-me um amor que não sabia estar perdido.
Entendeste-me com qualidades e defeitos.
Graças a ti, fiquei esclarecida! Que melhor do que ser amada,
é ser aceite e compreendida.

Feita de barro nunca antes fundido.
Assim seguia a minha alma, antes de te ter conhecido.
Dá-me da tua água! Quero afogar-me em ti, todas as vidas!
E ter o prazer de conhecer-te, e ter o desprazer de esquecer-te, só para poder voltar a conhecer-te,
sentir-te, e por ti, só por ti, ser sentida.  

Toquei-te na alma nua! Ainda tenho as mãos manchadas com o sangue da tua carne crua. E a minha alma nua, foi tocada por ti. Provaste-me que não estava doida varrida. Soube logo que era tua!  

Nunca tinha trabalhado com o teu tipo de barro.
Ainda para mais, tão fraturado.
Peguei em ti, com todo o cuidado...

"Tive um pensamento bizarro,
Dos teus pedaços vou construir um vaso! Tem de caber água, búzios, algumas flores! Talvez o meu corpo inteiro, se o conseguir encolher o suficiente.

Recolho todos os teus bocados, mantenho-os presos, juntos por um fio vermelho e dourado. Ofereço-me a ti de presente."

(…)

Amei-te de forma sincera.  Às vezes errada, outras vezes certa, quem sabe incoerente. Mas o amor, esse que mais importa, ao contrário de nós, é consistente.  

Sobreviveu às chamas do inferno, às chuvas que as apagaram, a dezenas de enterros e renascimentos.  

Nem os anos que por ele passaram, o conseguiram romper. Nem o tempo que tudo desbota, o conseguiu reescrever.

Foi assim que me deparei com o presente agridoce que me aguardava. Descobriste um dos vazios que carrego cá dentro e, depositaste um pedaço de ti para o preencher.
Invadiste o meu espaço, sem que te tivesse notado, nem ouvi os teus passos a atravessar a porta.  
Confundiste-te com a minha solidão, sem nunca a ter mudado. Eras metade do que faltava em mim, e nem dei conta que me faltavas.

“Como poderia não te ter amado? …"

(…)

Minha bela pedra de argila,  
Ninguém me disse que eras preciosa.
Ninguém o sabia, até então.
Não te davam o devido valor,
e, para mim, sempre foste o meu maior tesouro.
Até a alma me iluminavas,
como se fosses uma pedra esculpida em ouro.

  
Meu vaso de barro banhado a fio dourado,  
Ninguém me avisou que serias tão cobiçado,  
                                                     ­             invejado,
                                                               desdenhado,
ou, até, a melhor obra de arte que eu nunca teria acabado.
Ninguém o poderia saber.  
Queria guardar-te só para mim!
Não por ciúmes, além de os ter.
Mas sim, para te proteger.
Livrar-te de olhares gananciosos e, pessoas mal-intencionadas.  
Livrar-te das minhas próprias mãos que, aparentemente, estão condenadas
                       a destruir tudo o que tanto desejam poder agarrar.  

Perdoa-me, ter achado que era uma benção.

Talvez fosse mais como a maldição  
de um Rei Midas virado do avesso.
Tudo o que toco, transforma-se em fumo dourado.
Vejo o futuro que nos poderia ter sido dado!
Vejo-te no fumo espesso,
                                               a dissipares-te à minha frente,
antes mesmo de te ter tocado.

Tudo o que os deuses me ofereceram de presente, vinha envenenado.

  
A eterna questão que paira no ar.  
É melhor amar e perder? Ou nunca chegar a descobrir a sensação de ter amado?

É melhor amar e ficar!

Há sempre mais opções, para quem gosta de se focar menos nos problemas
                     e mais nas soluções.

O amor é como o meu vaso de argila em processo de criação.  
Cuidado! Qualquer movimento brusco vai deixar uma marca profunda. Enquanto não solidificar, tens de ter cuidado! Muito cuidado para não o estragar. Deixa-o girar, não o tentes domar, toca-lhe com suavidade, dá-lhe forma gentilmente, decora os seus movimentos e, deixa-te ser levado, para onde quer que te leve a sua incerta corrente.

Enquanto não solidificar, é frágil! Muito frágil e, a qualquer momento, pode desabar.

Era isso que me estavas a tentar ensinar?  

Duas mãos que moldam a argila num ritmo exaltante!
E une-se a argila com o criador!
                                            E gira! E gira! num rodopio esmagador,  
                                                    ­  E gira! E gira! mas não o largues!
Segura bem os seus pedaços! Abraça-os com firmeza!

Porque erguê-lo é um trabalho árduo
                                                           ­      e se o largas, vai logo abaixo!

São horas, dias, meses, anos, atirados para o esgoto. Sobra a dor, para que nenhuma de nós se esqueça.

                                        E dança! E dança! E dança!...
                             Tento seguir os seus passos pela cintura...  
                                       Se não soubesse que era argila,  
                          diria que era a minha mão entrelaçada na tua.

Bato o pé no soalho.
                                    E acelero!
                                                      e acalmo o compasso...
A água escorre por ele abaixo.
Ressalta as tuas belas linhas à medida da sua descida,
como se fosse a tua pele suada na minha.  

No final, que me resta fazer? Apenas admirá-lo.

Reconstrui-lo. Delimitá-lo. Esculpi-lo. Colori-lo. Parti-lo, quem sabe. É tão simples! a minha humana de ossos e carne, transformada em pedra de argila, transformada em tesouro, transformada em pó de cinza que ingeri do meu próprio vulcão...

A destruição também é uma forma de arte, descobri isso à força, quando me deixaste.  

Acho que, no meu vaso de argila, onde duas mãos se entrecruzaram para o moldar, vou enchê-lo de areia, búzios, pedras e água dourada,
         talvez nasça lá um outro pedaço de ti, a meio da madrugada.
Vou metê-lo ao lado da minha cama, e chamar-lhe vaso de ouro. Porque quem pega num pedaço rochoso e consegue dar-lhe uma outra utilidade, já descobriu o que é alquimia,  

o poder de ser forjado pelo fogo e sair ileso,
renascido como algo novo.
Vieni, andiamo a vivere di poesia
Non ci saranno più notti buie, né lacrime che bagnano cuscini. E tutto sarà bello da ricordare.
Lo giuro.
Torneremo e costruiremo ricordi felici.
Lo giuro.

Torneremo e sarai vestita del mio amore contro il gelo dell'inverno.
Come, quando su’ campi arsi la pia
Luna imminente il gelo estivo infonde,
Mormora al bianco lume il rio tra via
Riscintillando tra le brevi sponde;

E il secreto usignuolo entro le fronde
Empie il vasto seren di melodia,
Ascolta il viatore ed a le bionde
Chiome che amò ripensa, e il tempo oblia;

Ed orba madre, che doleasi in vano,
Da un avel gli occhi al ciel lucente gira
E in quel diffuso albor l’animo queta;

Ridono in tanto i monti e il mar lontano,
Tra i grandi arbor la fresca aura sospira:
Tale il tuo verso a me, divin poeta.
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall'azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest'odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l'odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità
Lo sguardo fruga d'intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità

Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l'anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.
** la calma di un morto:
guardo il letto che attende
le mie membra e lo specchio
che mi riflette assorto.

Non so vincere il gelo
dell'angoscia, piangendo,
come un tempo, nel cuore
della terra e del cielo.

Non so fingermi calme
o indifferenze o altre
giovanili prodezze,
serti di mirto o palme.

O immoto Dio che odio
fa che emani ancora
vita dalla mia vita
non m'importa più il modo.
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall'azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest'odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l'odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità
Lo sguardo fruga d'intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità

Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l'anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.
** la calma di un morto:
guardo il letto che attende
le mie membra e lo specchio
che mi riflette assorto.

Non so vincere il gelo
dell'angoscia, piangendo,
come un tempo, nel cuore
della terra e del cielo.

Non so fingermi calme
o indifferenze o altre
giovanili prodezze,
serti di mirto o palme.

O immoto Dio che odio
fa che emani ancora
vita dalla mia vita
non m'importa più il modo.
Dalla tua adolescenza
fatta di lunghi brividi ai capelli
e d'usignoli infitti alle tue palme,
sgorgava la vertigine di un giglio
esalante profumo di domanda.

Ah, l'immane fatica
d'innestare il tuo fiore prodigioso
oltre i tiepidi climi delle folle
a vertici di gelo!

Avorio concretato fra le mani
d'estremi crocifissi,
ronzio di spine ad ogni polpastrello
delle morbide dita,
e dopo rose, rose di stupore,
placide nevicate d'innocenza,
variare d'onde al largo dei tuoi occhi,
fissità di pupilla,
vedovi cigni solitari al corso
dei tuoi fiumi d'amore.
Viene il freddo. Giri per dirlo
tu, sgricciolo, intorno le siepi;
e sentire fai nel tuo zirlo
lo strido di gelo che crepi.
Il tuo trillo sembra la brina
che sgrigiola, il vetro che incrina...
trr trr trr terit tirit...
Viene il verno. Nella tua voce
c'è il verno tutt'arido e tecco.
Tu somigli un guscio di noce,
che ruzzola con rumor secco.
T'ha insegnato il breve tuo trillo
con l'elitre tremule il grillo...
trr trr trr terit tirit...
Nel tuo verso suona scrio scrio,
con piccoli crepiti e stiocchi,
il segreto scricchiolettio
di quella catasta di ciocchi.
Uno scricchiolettio ti parve
d'udirvi cercando le larve...
trr trr trr terit tirit...
Tutto, intorno, screpola rotto.
Tu frulli ad un tetto, ad un vetro.
Così rompere odi lì sotto,
così screpolare lì dietro.
Oh! lì dentro vedi una vecchia
che fiacca la stipa e la grecchia...
trr trr trr terit tirit...
Vedi il lume, vedi la vampa.
Tu frulli dal vetro alla fratta.
Ecco un tizzo soffia, una stiampa
già croscia, una scorza già scatta.
Ecco nella grigia casetta
l'allegra fiammata scoppietta...
trr trr trr terit tirit...
Fuori, in terra, frusciano foglie
cadute. Nell'Alpe lontana
ce n'è un mucchio grande che accoglie
la verde tua palla di lana.
Nido verde tra foglie morte,
che fanno, ad un soffio più forte...
trr trr trr terit tirit...
Viene il freddo. Giri per dirlo
tu, sgricciolo, intorno le siepi;
e sentire fai nel tuo zirlo
lo strido di gelo che crepi.
Il tuo trillo sembra la brina
che sgrigiola, il vetro che incrina...
trr trr trr terit tirit...
Viene il verno. Nella tua voce
c'è il verno tutt'arido e tecco.
Tu somigli un guscio di noce,
che ruzzola con rumor secco.
T'ha insegnato il breve tuo trillo
con l'elitre tremule il grillo...
trr trr trr terit tirit...
Nel tuo verso suona scrio scrio,
con piccoli crepiti e stiocchi,
il segreto scricchiolettio
di quella catasta di ciocchi.
Uno scricchiolettio ti parve
d'udirvi cercando le larve...
trr trr trr terit tirit...
Tutto, intorno, screpola rotto.
Tu frulli ad un tetto, ad un vetro.
Così rompere odi lì sotto,
così screpolare lì dietro.
Oh! lì dentro vedi una vecchia
che fiacca la stipa e la grecchia...
trr trr trr terit tirit...
Vedi il lume, vedi la vampa.
Tu frulli dal vetro alla fratta.
Ecco un tizzo soffia, una stiampa
già croscia, una scorza già scatta.
Ecco nella grigia casetta
l'allegra fiammata scoppietta...
trr trr trr terit tirit...
Fuori, in terra, frusciano foglie
cadute. Nell'Alpe lontana
ce n'è un mucchio grande che accoglie
la verde tua palla di lana.
Nido verde tra foglie morte,
che fanno, ad un soffio più forte...
trr trr trr terit tirit...
Dalla tua adolescenza
fatta di lunghi brividi ai capelli
e d'usignoli infitti alle tue palme,
sgorgava la vertigine di un giglio
esalante profumo di domanda.

Ah, l'immane fatica
d'innestare il tuo fiore prodigioso
oltre i tiepidi climi delle folle
a vertici di gelo!

Avorio concretato fra le mani
d'estremi crocifissi,
ronzio di spine ad ogni polpastrello
delle morbide dita,
e dopo rose, rose di stupore,
placide nevicate d'innocenza,
variare d'onde al largo dei tuoi occhi,
fissità di pupilla,
vedovi cigni solitari al corso
dei tuoi fiumi d'amore.

— The End —