Forse più di lei quel che resta
è la sagoma che compone le cose
riversa nel vetro d’una finestra,
presa per un reale abbandono.
Questo è il tempo.
Dove finisce il suono s’avviano
le luci di due fari che sollevano
dal fondo notturno del viale
il parto torbido della terra:
questo fumo d’infinita ragione.
Il passo di chi fiancheggia l’auto
e bisbiglia all’orecchio del conducente
la strada di un cortile
dove siede, assente,
il corpo inerte di un padrone.
Si spalanca su una corte
l’assottigliato riverbero dei vetri.
Assiepata città
di vani incerti sulla fine.
Se ne va l’immobile foschia
con un tremore sconnesso.
Forse di lei quel che s’appresta
è una lenta agonia.
Diego Scarca, Architetture del vuoto, Torino, Edizioni Angolo Manzoni, 2007