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Irena Adler Nov 2018
Virginia Woolf una volte scrisse che " la bellezza ha due tagli, uno di gioia, l'altro di angoscia, che ci dividono il cuore".
La prima cosa che mi passa per la testa di fronte a tali parole è che l'uomo e la donna patiscono continuamente anche quando sono felici. Quel tipo di angoscia che non ti abbandona mai, la sofferenza di fronte alle scelte fatte o non fatte, il desiderio di evasione in un mondo utopico, la volontà di essere completamente liberi e stoici. I pregiudizi sono nostri amici-nemici. Tutto dipende da come gli accogliamo nelle varie circostanze della vita.
Se ci fosse Virginia Woolf qua con me sicuramente  si arrabbierebbe; " Come puoi essere così disordinata? Non mi stavi  per caso citando? E poi sembrava che stessi cercando  di spiegare qualcosa?! Salti da un argomento all'altro per caso. Se devi essere patetica, aggiungici un sarcasmo poetico".
Scusa ma non riesco ad organizzare ancora bene i miei pensieri. Fluttuano come la polvere nell'aria dopo che hai tentato inutilmente  di pulire un armadio vecchio. Scusa Virginia, mi conoscerai meglio con il passare del tempo.  " Ecco, brava! Che sia sempre con te lo spirito di Judith Shakespeare!"




Martedì 6.  

L'artista che corre per la strada e cerca la sua musa, la trova nello specchio che tende subito a scomparire.
Lui non si è accorto del Sole, vive di notte, disegna di notte, sogna di giorno, sogna di notte. Vive.
Non vede, lui osserva, ama l'impossibile, ama il futile eterno, sogna e vede ciò che non sarà mai compreso dagli altri. Lui trema e le sue mani tengono il pennello con un eccitazione che non si può comprendere ma solo provare. L'emozione di fronte ad un opera che deve appena essere creata, immortalata, eterna come la non-realtà.
L'immagine sussiste e lui sbatte le ali del sogno, disubbidisce alla società, gode ed ama l'incomprensibile, lo respira e vive di ciò.

Lo spessore della profondità è inabbattibile. L'acqua non ti fa annegare; è il pensiero. Non pensiamo, nuotiamo, è l'istinto a prevalere eppure abbiamo scelto di morire. Per questo motivo esiste l'altro, per annegarci o salvarci. Mantieni la dignità e vivi. E dunque sanguina.


Venerdì 9.

L'uomo e la donna. La donna e l'uomo. L'uomo ha sulla testa una lampadine e la donna uno sbattitore da cucina. La natura del cane è quella di abbaiare. La natura della specie umana è quella di riprodursi. Eppure abbiamo la necessità di creare ed inventare, non riusciamo a farne a meno. Sentiamo un bisogno insostenibile di portare fuori ciò che sta dentro. Siamo continuamente alla ricerca dell'essere presenti, passati e futuri. La gioia e l'angoscia d' esistere ci turba le anime. Ci chiediamo sempre qual'è lo scopo del fare e di muoverci. Dove sta il dono o la maledizione di essere stati scaraventati sulla palla ovale che gira intorno a se stessa ed intorno ad una palla ancora più grande che ci mantiene in vita. E' questo il senso? Dipendere dalla luce del sole oppure  soltanto dall'acqua e dal pane?
Dove sta l'essere in questa stanza? E' forse disteso su questo letto a scrivere? Forse.
Oppure si trova proprio nel pensiero che crea quel' atto?
L'esistenza umana è ridotta ad anni di vita, non secoli. Ciò che ci è stato dato l'abbiamo preso ed appreso, ci siamo impossessati ed ora fa parte di noi. Ci è stata data la vita dalla Natura ed essa ci ha pure delimitati.
" Ecco, voi siete parte di me, vivete e morite". Se è così noi dipendiamo gli uni dagli altri, non ha senso vivere soli sulla terra, abbandonati da nessuno. Non possiede alcuna logica.

Mercoledì 33.

Il mare non è sempre stato blu; una volta era violaceo e tutti gli animali potevano entrare nell'acqua senza dove trattenere il fiato. Si respirava nell'acqua, si stava bene. Soltanto quando arrivò l'uomo e ci mise il piede in acqua, essa si contrasse e divenne blu, scura e profonda. Il mare scelse di non dare accesso all'uomo e a quel diverso tipo di intelletto che si preparava a conquistare tutto ciò che mai gli potrà appartenere interamente. Per colpa sua le specie che abitavano la terra ferma dovettero separarsi da quelle marine.
Più l'uomo diventava avido ed egoista più il mare diventava profondo e salato. Non voleva finire nella bocca di quel animale strano che camminava su due stecchi con cinque rami piccoli, ben allineati ma sporchi. L'uomo costrinse il mare a piangere e non capì, non poteva capirlo poichè ora era lui il padrone.
Bello.
Non ** idea del perché.
Ma è bello questo paesaggio.

Grazie, cittadella in riposo.
Grazie, cielo puro e ammaliante.
Grazie, finestra cara,
che mi hai dato la possibilità
di vedere questo invisibile spettacolo.

Case semplici, piante non molto alte, alcune secche,
come in una terra all’industria
del necessario e il minimo per il buono.

Luce di lampioni
che illumina disordinata le strade,
come se il panico diurno fosse
congelato nel tempo dalla luce.
Eppure, anche nella pace,
l’uomo lo trascina con sé.

Tralicci che tagliano un cielo
senza nuvole e senza stelle,
non degno di essere amato dagli urbani,
che cercano solo il bello canonico,
antico, sterile.

Ma fortemente illuminato dalle città, il cielo,
che lo uccidono per convenienza.
E noi, sordi,
nemmeno ne udiamo il grido.

E poi, laggiù in fondo,
oltre l’autostrada,
altri grandi lampioni.
Pagane colonne d’Ercole,
Ignorate per voler del nostro
antropocentrismo,
lasciate a sbiadire
sul fondale.

Tutto nel silenzio di un istante
che non si apprezza più,
perché è memoria lontana
il tempo da perdere.


Non è nulla di che, a pensarci.
Eppure mi affascina.
La prima volta che, forse,
e dico solo forse,
trovo la magia nell’ordinario.

Forse ora capisco i grandi scrittori.
Forse la capirò meglio anch’io,
se davvero c’è magia.

Comunque,
so solo che questa visione è ferma,
vuota, angosciante per certi versi,
disperata,
morta.

Mi fa paura.

Ma, nonostante ciò,
mi fa stare bene.
E ne sono grato.

Grazie, cittaccia assassina.
Grazie, falso cielo ormai defunto.
Grazie, finestra svelatrice,
che mi hai permesso di vedere
questo melodrammatico spettacolo.

///

Beautiful.
I have no idea why.
But this landscape is beautiful.

Thank you, citadel in repose.
Thank you, pure and enchanting sky.
Thank you, dear window,
that you gave me the chance
to see this invisible spectacle.

Simple houses, plants not very tall, some dry,
as in a land of industry
of the necessary and the minimum for the good.

Light of street lamps
that illuminates the streets in a disorderly way,
as if the daytime panic was
frozen in time by the light.
And yet, even in peace,
man drags it with him.

Pylons that cut a sky
without clouds and without stars,
not worthy of being loved by urbanites,
who seek only the canonical beauty,
ancient, sterile.

But strongly illuminated by cities, the sky,
that **** it for convenience.
And we, deaf,
do not even hear its cry.

And then, down there,
beyond the highway,
other large streetlights.
Pagan Pillars of Hercules,
Ignored by the will of our
anthropocentrism,
left to fade
on the seabed.

All in the silence of a moment
that is no longer appreciated,
because it is a distant memory
the time to waste.

It is nothing special, if you think about it.
And yet it fascinates me.
The first time that, perhaps,
and I say only perhaps,
I find magic in the ordinary.

Perhaps now I understand the great writers.
Perhaps I will understand it better too,
if there really is magic.

In any case,
I only know that this vision is still,
empty, distressing in some ways,
desperate,
dead.

It scares me.

But, despite this,
it makes me feel good.
And I am grateful for it.

Thank you, murderous city.
Thank you, false sky now defunct.
Thank you, revealing window,
that allowed me to see
this melodramatic spectacle.
When the view talks

— The End —