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Sono cresciuto in una terra strana
dopo che hai messo all'ombra la mia luce,
quasi non mossi piede dalla soglia
della mia meraviglia
per il dio nuovo cui tu m'opponevi.
In me cresceva il Dio dei miei domini
(ero ancora ragazzo)
ma tu mi hai rotto l'urlo ai vorticosi
margini della bocca,
l'urlo della potente giovinezza.
Mamma, io ti ringrazio
dalla rigida tomba entro cui siede
il mio pensiero finalmente puro.
Ora vedo che a forza mi hai strappato
il verde degli amari desideri,
mi hai edificato come l'architetto
sapiente che ritoglie chiari miti
dalle antiche macerie.

Nacqui umana rovina come tutti,
tu mi hai intessuta un'ala senza geli...
Non è del nulla che ti parlo
ma di questo vacuo ardore
che misura ogni mio atto

Ognuno adesso è santo e il pasto
di certe sere - di bocche serie
ha smembrato anche me

che guardo e fingo
di non sapere che l'asfalto
riflette il mio viso
liquefatto per il caldo

E' un patto questo fango
di macerie restaurate
da mani urlanti un passato
in cui tutto era più chiaro o forse
meno azzardato
Dove sull'acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie tu vai lungo binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da due giorni, è dicembre d'uragani
e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
nei carri merci e noi bestiame infantile
contiamo sogni polverosi con i morti
sfondati dai ferri, mordendo mandorle
e mele dissecate a ghirlanda. La scienza
del dolore mise verità e lame
nei giochi dei bassopiani di malaria
gialla e terzana gonfia di fango.

La tua pazienza
triste, delicata, ci rubò la paura,
fu lezione di giorni uniti alla morte
tradita, al vilipendio dei ladroni
presi fra i rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria degli sbarchi, un conto
di numeri bassi che tornava esatto
concentrico, un bilancio di vita futura.

Il tuo berretto di sole andava su e giù
nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
Anche a me misurarono ogni cosa,
e ** portato il tuo nome
un po' più in là dell'odio e dell'invidia.
Quel rosso del tuo capo era una mitria,
una corona con le ali d'aquila.
E ora nell'aquila dei tuoi novant'anni
** voluto parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza colorati dalla lanterna
notturna, e qui da una ruota
imperfetta del mondo,
su una piena di muri serrati,
lontano dai gelsomini d'Arabia
dove ancora tu sei, per dirti
ciò che non potevo un tempo - difficile affinità
di pensieri - per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del biviere, agavi lentischi,
come il campiere dice al suo padrone:
"Baciamu li mani". Questo, non altro.
Oscuramente forte è la vita.
Sono cresciuto in una terra strana
dopo che hai messo all'ombra la mia luce,
quasi non mossi piede dalla soglia
della mia meraviglia
per il dio nuovo cui tu m'opponevi.
In me cresceva il Dio dei miei domini
(ero ancora ragazzo)
ma tu mi hai rotto l'urlo ai vorticosi
margini della bocca,
l'urlo della potente giovinezza.
Mamma, io ti ringrazio
dalla rigida tomba entro cui siede
il mio pensiero finalmente puro.
Ora vedo che a forza mi hai strappato
il verde degli amari desideri,
mi hai edificato come l'architetto
sapiente che ritoglie chiari miti
dalle antiche macerie.

Nacqui umana rovina come tutti,
tu mi hai intessuta un'ala senza geli...
Sono cresciuto in una terra strana
dopo che hai messo all'ombra la mia luce,
quasi non mossi piede dalla soglia
della mia meraviglia
per il dio nuovo cui tu m'opponevi.
In me cresceva il Dio dei miei domini
(ero ancora ragazzo)
ma tu mi hai rotto l'urlo ai vorticosi
margini della bocca,
l'urlo della potente giovinezza.
Mamma, io ti ringrazio
dalla rigida tomba entro cui siede
il mio pensiero finalmente puro.
Ora vedo che a forza mi hai strappato
il verde degli amari desideri,
mi hai edificato come l'architetto
sapiente che ritoglie chiari miti
dalle antiche macerie.

Nacqui umana rovina come tutti,
tu mi hai intessuta un'ala senza geli...

— The End —