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Diego Scarca Jan 2010
*****, io vorrei
che tu, mio padre ed io
ci potessimo rivedere
e dimenticassimo per mezz'ora
la città che ci ignora,
la città che ci separa.

*****, tu non sai come io vorrei
che per un momento
si potesse stare insieme
ad ascoltare il vento
che scuote le foglie
del frutteto di mio padre
sotto il cielo che stanotte
è una lastra di vetro.

Seduti intorno a un fuoco
o sotto un pergolato di rami
a guardarci negli occhi
come se con gli occhi
noi potessimo parlare,
mentre lontani si odono
i rintocchi di una campana
e si perde nella notte
l'abbaiare dei cani.
*****, la nostra vita è disumana.

*****, tu non sai
che cosa non darei
perché per un momento
si potesse stare insieme
ad osservare le stelle
del firmamento
che brillano stanotte
come se brillassero
per la prima volta.

Io vorrei, *****,
che la nostra vita fosse
ad una svolta,
che si mettessero da parte
i dubbi, i sospetti,
e che insieme ci mettessimo
a rileggere, perché no,
i sonetti del Petrarca
e a declamarli ad alta voce
lungo un viale di pioppi,
sotto la luna che ci rischiara,
come se nel mondo
noi non fossimo sconfitti,
come se non ci dessero per morti,
come se i nostri versi nella notte
risuonassero più forti
perché li abbiam riscritti.

Come se tu, mio padre ed io,
*****, noi non fossimo
dei derelitti.
Diego Scarca, Architetture del vuoto, Torino, Edizioni Angolo Manzoni, 2007
Y sacaréme la niebla
el turbio zumo oscuro del traspienso
la pulpa
la soborra de mente
toda su gris resaca me sacaré hasta el meollo
antes de que se asiente
la áspera espera arena que taté teté yo y lamí
y tragué yo en la sed
a trago tardo largo
lo hueco
lo plenamente hueco y que no es más que hueco
pero crece
sin fin ni sino o causa o pauta o pausa me sacaré yo el lastre que no lastra
por no saber a piedra
por no saber saber
ni saber no saber
los decesos del seso y sus desechos me sacaré yo de pie
junto con tanta sombra sórdida que sobra de cuanto fue y no fue
o fue fue
y no se fue
aunque retorne al árbol del primo primo simio me sacaré yo sin tino la maraña
demasiadísimo humana
y mil y miles vueltas y revueltas y contras y recontras
y sus colas
y sus entelequitas y emocioncitas nómadas
y más y más
de cuajo me sacaré el obtuso yo zurdo absurdo burdo que aún busca ser herido aunque sonría
entre otros obvios sordos escombros naturales
y restos casi muertos de algún yo otro propio que todavía ulula
porque me cree su perro

— The End —