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Non ti preparerò col mio mostrarmiti
ad una confidenza limitata,
ma perché nel toccarmi la tua mano
non abbia una memoria di presagi,
giacerò all'informe
fusa io stessa, sciolta dentro il buio,
per quanto possa, elaborata e viva,
ridivenire caos...
Orfeo novello, amico dell'assenza,
modulerai di nuovo dalla cetra
la figura nascente di me stessa.
Sarai alle soglie piano e divinante
di un mistero assoluto di silenzio,
ignorando i miei limiti di un tempo,
godrai il possesso della sola essenza.
Allora, concretandomi in un primo
accenno di presenza,
sarò un ramo fiorito di consenso,
e poi, trovato un punto di contatto,
ammetterò una timida coscienza
di vita d'animale
e mi dirò che non andrò più oltre,
mentre già mi sviluppi,
sapienza ineluttabile e sicura,
in un gioco insperato di armonie,
in una conclusione di fanciulla...
Fanciulla: è questo il termine raggiunto?
E per l'addietro non l'** maturato
e non l'** poi distrutto
delusa, offesa in ogni volontà?
Che vuol dire fanciulla
se non superamento di coscienza?
Era questo di me che non volevo:
condurmi, trascurando ogni mia forma,
al vertice mortale della vita...
Ma la presenza d'ogni mia sembianza
quale urgenza incalzante di sviluppo,
quale presto proporsi
e più presto risolversi d'enigmi!
E quando poi, dal mio aderire stesso,
la forma scivolò in un altro tempo
di più rare e più estranee conclusioni,
quando del mio "sentirmi" voluttuoso
rimase un'aderenza di dolore,
allora, allora preferii la morte
che ribadisse in me questo possesso.
Ma ci si può avanzare nella vita
mano che regge e fiaccola portata
e ci si può liberamente dare
alle dimenticanze più serene
quando gli anelli multipli di noi
si sciolgano e riprendano in accordo,
quando la garanzia dell'immanenza
ci fasci di un benessere assoluto.
Così, nelle tue braccia ordinatrici
io mi riverso, minima ed immensa;
dato sereno, dato irrefrenabile,
attività perenne di sviluppo.
Uomo, mi hanno condotta dall'estremo
dove vivevo intera la "mia" vita
al Tuo opposto tremendo di giustizia:
che cosa dedurranno dal confronto
dei nostri due insondabili princìpi?
Qualcuno certo, conscio del Tuo inizio,
tratteneva i Tuoi volti successivi
in un travaglio cieco di rapporti
ma io, ancor prima che gli anelli tutti
della mia vita fossero congiunti,
mi distaccai precipite dal nulla
e proclamai la carne concepita.
Uomo Perfetto, cosa dannerai
di questo seme che, nel modularsi,
s'è rinforzato solo di se stesso
senza estasiarsi in giochi di virtù?
Certo conoscerai che equilibrando
ogni comandamento che mi esorta
a saturarmi tutta di peccato,
che riportando a questo intendimento
la perfezione delle mie lacune,
confluirei con adeguato passo
verso una vita lineare e assente.
Ma per ora, il peccato del mio tutto,
resta la tappa ultima e possente
ed un ritmo incessante di condanna
mi rigetta dal muovermi comune.
Quando, fanciulla appena, mi concessi,
quando mi sciolsi per la prima volta
da quel bruciore acuto di purezza
che sublimava ambiguità tremende,
sentii l'impegno che covavo dentro
crescere, quasi a forza di missione.
Non ** altra virtù che di condurmi
a prodigiose altezze di consenso
e una stanchezza illimite mi prende
se non mi adagio sopra un'altra forma...
Allineando tutte le mie ombre
volte perdutamente verso terra,
posso durare un tempo indefinito
accentrata in un'unica figura.
Ma che dolore sale le mie braccia
reggenti il grave fascio di me stessa:
l'essere dura giova solamente
a questa dubbia resistenza mia...
Sotto il piede che immagino sicuro
cerco il terreno viscido di sempre:
la tentazione è come un tempo lungo
ch'io devo bere, abbrividendo, in fretta...
Guarda, perché previeni il Tuo guardarmi
con errata coscienza di pudore?
Guarda, senza sapere l'astinenza,
queste carni purgate dal piacere,
questi occhi sinceri nell'orgoglio,
questi capelli dal profumo intenso
di vita e di memorie...
Peccato questo vivere me stessa?
So che la santità germoglierebbe
esercitando in me falsi connubi,
ma asségnami una giusta tolleranza
se l'indulgenza nega questo passo,
fa che il ritorno al vivere di sempre
non sprofondi nel buio di un abisso
e che non mi si dia maggiore colpa
se come gli altri, e con eguale indugio,
gioco il distacco dalla mia matrice.
Wörziech Nov 2014
Um medíocre seixo formado por um aglomerado espalhafato de pulgas flutua e veleja por oceanos saturados de desaproveitas lágrimas amarelo-chumbo nas mais desoladas camadas de sua privativa órbita, em uma intersecção de múltiplos limbos supra-reais, bem entre dois muros de um corredor estreito, escuro e corroborado pelo lodo - sobre o qual, cabe-se dizer, resta imóvel uma pequena patrola laranja de brinquedo, esquecida.

Inevitável e também incoerente,
Continuar a ser (peleja)

"Um equívoco desmistificado; uma perturbação"

Os ideais se contrapõem aos já extintos/
Sedimentos navegam eternamente sem rumo/
Inexprimível Sensível/
O oculto que assim permanece/

Pedregulho pulguento perpetuamente a protuberar-se na imensidão dos mares de um ópio por si próprio proferido, ofendendo e perseguindo leis individuais de universo, causando o óbito comum a todos os parciais ínfimos pares de não-instantes, parados.

Estarrece-se o lógico pela busca do externo consenso, indiferente a todo gotejar de pia:
fundir-se pela semelhança!
tornar-se pela simples analogia!

****-Sutra; ****-Isso.
****-Tundra; ****-Aquilo.
**** Sapiens
**** Gênio

Entrementes,
através de seus poros abertos pela alta temperatura,
sente por seu corpo, de muitos corpos,
a circulação efervescente do mais intenso calor,
o sopro de vida hebraico de um cosmos também filisteu,
(de tudo aquilo que pode até não estar de todo vivo - ou de todo morto);
contradição de um todo-devir também carrasco, mas, em essência, todo-devir de um sorrateiro espaço de tempo do bater de asas de um besouro não mais vivo e nunca catalogado, capturado somente por um pequenino ponteiro vermelho de segundos de um relógio velho, possuído,  em circunstâncias afortunas, por uma avó - ainda hoje vivente - de um tempo atormentado pela tirania e propositalmente esquecido, a proferir não só eternidades-nascedouros e cede ansiada, como, de igual infinita intensidade, a inferir a sublimidade em poderios majestáticos estruturados na mais esplendorosa magia humana, a sua despropria linguagem;

...se apercebe o amontoado, tudo, menos genérico, mesmo não sendo, agora, inseto, nem humano, apenas animal,

Que
Mantêm-se
em correnteza,
Metamorfose lavareda.
Uomo, mi hanno condotta dall'estremo
dove vivevo intera la "mia" vita
al Tuo opposto tremendo di giustizia:
che cosa dedurranno dal confronto
dei nostri due insondabili princìpi?
Qualcuno certo, conscio del Tuo inizio,
tratteneva i Tuoi volti successivi
in un travaglio cieco di rapporti
ma io, ancor prima che gli anelli tutti
della mia vita fossero congiunti,
mi distaccai precipite dal nulla
e proclamai la carne concepita.
Uomo Perfetto, cosa dannerai
di questo seme che, nel modularsi,
s'è rinforzato solo di se stesso
senza estasiarsi in giochi di virtù?
Certo conoscerai che equilibrando
ogni comandamento che mi esorta
a saturarmi tutta di peccato,
che riportando a questo intendimento
la perfezione delle mie lacune,
confluirei con adeguato passo
verso una vita lineare e assente.
Ma per ora, il peccato del mio tutto,
resta la tappa ultima e possente
ed un ritmo incessante di condanna
mi rigetta dal muovermi comune.
Quando, fanciulla appena, mi concessi,
quando mi sciolsi per la prima volta
da quel bruciore acuto di purezza
che sublimava ambiguità tremende,
sentii l'impegno che covavo dentro
crescere, quasi a forza di missione.
Non ** altra virtù che di condurmi
a prodigiose altezze di consenso
e una stanchezza illimite mi prende
se non mi adagio sopra un'altra forma...
Allineando tutte le mie ombre
volte perdutamente verso terra,
posso durare un tempo indefinito
accentrata in un'unica figura.
Ma che dolore sale le mie braccia
reggenti il grave fascio di me stessa:
l'essere dura giova solamente
a questa dubbia resistenza mia...
Sotto il piede che immagino sicuro
cerco il terreno viscido di sempre:
la tentazione è come un tempo lungo
ch'io devo bere, abbrividendo, in fretta...
Guarda, perché previeni il Tuo guardarmi
con errata coscienza di pudore?
Guarda, senza sapere l'astinenza,
queste carni purgate dal piacere,
questi occhi sinceri nell'orgoglio,
questi capelli dal profumo intenso
di vita e di memorie...
Peccato questo vivere me stessa?
So che la santità germoglierebbe
esercitando in me falsi connubi,
ma asségnami una giusta tolleranza
se l'indulgenza nega questo passo,
fa che il ritorno al vivere di sempre
non sprofondi nel buio di un abisso
e che non mi si dia maggiore colpa
se come gli altri, e con eguale indugio,
gioco il distacco dalla mia matrice.
Non ti preparerò col mio mostrarmiti
ad una confidenza limitata,
ma perché nel toccarmi la tua mano
non abbia una memoria di presagi,
giacerò all'informe
fusa io stessa, sciolta dentro il buio,
per quanto possa, elaborata e viva,
ridivenire caos...
Orfeo novello, amico dell'assenza,
modulerai di nuovo dalla cetra
la figura nascente di me stessa.
Sarai alle soglie piano e divinante
di un mistero assoluto di silenzio,
ignorando i miei limiti di un tempo,
godrai il possesso della sola essenza.
Allora, concretandomi in un primo
accenno di presenza,
sarò un ramo fiorito di consenso,
e poi, trovato un punto di contatto,
ammetterò una timida coscienza
di vita d'animale
e mi dirò che non andrò più oltre,
mentre già mi sviluppi,
sapienza ineluttabile e sicura,
in un gioco insperato di armonie,
in una conclusione di fanciulla...
Fanciulla: è questo il termine raggiunto?
E per l'addietro non l'** maturato
e non l'** poi distrutto
delusa, offesa in ogni volontà?
Che vuol dire fanciulla
se non superamento di coscienza?
Era questo di me che non volevo:
condurmi, trascurando ogni mia forma,
al vertice mortale della vita...
Ma la presenza d'ogni mia sembianza
quale urgenza incalzante di sviluppo,
quale presto proporsi
e più presto risolversi d'enigmi!
E quando poi, dal mio aderire stesso,
la forma scivolò in un altro tempo
di più rare e più estranee conclusioni,
quando del mio "sentirmi" voluttuoso
rimase un'aderenza di dolore,
allora, allora preferii la morte
che ribadisse in me questo possesso.
Ma ci si può avanzare nella vita
mano che regge e fiaccola portata
e ci si può liberamente dare
alle dimenticanze più serene
quando gli anelli multipli di noi
si sciolgano e riprendano in accordo,
quando la garanzia dell'immanenza
ci fasci di un benessere assoluto.
Così, nelle tue braccia ordinatrici
io mi riverso, minima ed immensa;
dato sereno, dato irrefrenabile,
attività perenne di sviluppo.
Uomo, mi hanno condotta dall'estremo
dove vivevo intera la "mia" vita
al Tuo opposto tremendo di giustizia:
che cosa dedurranno dal confronto
dei nostri due insondabili princìpi?
Qualcuno certo, conscio del Tuo inizio,
tratteneva i Tuoi volti successivi
in un travaglio cieco di rapporti
ma io, ancor prima che gli anelli tutti
della mia vita fossero congiunti,
mi distaccai precipite dal nulla
e proclamai la carne concepita.
Uomo Perfetto, cosa dannerai
di questo seme che, nel modularsi,
s'è rinforzato solo di se stesso
senza estasiarsi in giochi di virtù?
Certo conoscerai che equilibrando
ogni comandamento che mi esorta
a saturarmi tutta di peccato,
che riportando a questo intendimento
la perfezione delle mie lacune,
confluirei con adeguato passo
verso una vita lineare e assente.
Ma per ora, il peccato del mio tutto,
resta la tappa ultima e possente
ed un ritmo incessante di condanna
mi rigetta dal muovermi comune.
Quando, fanciulla appena, mi concessi,
quando mi sciolsi per la prima volta
da quel bruciore acuto di purezza
che sublimava ambiguità tremende,
sentii l'impegno che covavo dentro
crescere, quasi a forza di missione.
Non ** altra virtù che di condurmi
a prodigiose altezze di consenso
e una stanchezza illimite mi prende
se non mi adagio sopra un'altra forma...
Allineando tutte le mie ombre
volte perdutamente verso terra,
posso durare un tempo indefinito
accentrata in un'unica figura.
Ma che dolore sale le mie braccia
reggenti il grave fascio di me stessa:
l'essere dura giova solamente
a questa dubbia resistenza mia...
Sotto il piede che immagino sicuro
cerco il terreno viscido di sempre:
la tentazione è come un tempo lungo
ch'io devo bere, abbrividendo, in fretta...
Guarda, perché previeni il Tuo guardarmi
con errata coscienza di pudore?
Guarda, senza sapere l'astinenza,
queste carni purgate dal piacere,
questi occhi sinceri nell'orgoglio,
questi capelli dal profumo intenso
di vita e di memorie...
Peccato questo vivere me stessa?
So che la santità germoglierebbe
esercitando in me falsi connubi,
ma asségnami una giusta tolleranza
se l'indulgenza nega questo passo,
fa che il ritorno al vivere di sempre
non sprofondi nel buio di un abisso
e che non mi si dia maggiore colpa
se come gli altri, e con eguale indugio,
gioco il distacco dalla mia matrice.
Non ti preparerò col mio mostrarmiti
ad una confidenza limitata,
ma perché nel toccarmi la tua mano
non abbia una memoria di presagi,
giacerò all'informe
fusa io stessa, sciolta dentro il buio,
per quanto possa, elaborata e viva,
ridivenire caos...
Orfeo novello, amico dell'assenza,
modulerai di nuovo dalla cetra
la figura nascente di me stessa.
Sarai alle soglie piano e divinante
di un mistero assoluto di silenzio,
ignorando i miei limiti di un tempo,
godrai il possesso della sola essenza.
Allora, concretandomi in un primo
accenno di presenza,
sarò un ramo fiorito di consenso,
e poi, trovato un punto di contatto,
ammetterò una timida coscienza
di vita d'animale
e mi dirò che non andrò più oltre,
mentre già mi sviluppi,
sapienza ineluttabile e sicura,
in un gioco insperato di armonie,
in una conclusione di fanciulla...
Fanciulla: è questo il termine raggiunto?
E per l'addietro non l'** maturato
e non l'** poi distrutto
delusa, offesa in ogni volontà?
Che vuol dire fanciulla
se non superamento di coscienza?
Era questo di me che non volevo:
condurmi, trascurando ogni mia forma,
al vertice mortale della vita...
Ma la presenza d'ogni mia sembianza
quale urgenza incalzante di sviluppo,
quale presto proporsi
e più presto risolversi d'enigmi!
E quando poi, dal mio aderire stesso,
la forma scivolò in un altro tempo
di più rare e più estranee conclusioni,
quando del mio "sentirmi" voluttuoso
rimase un'aderenza di dolore,
allora, allora preferii la morte
che ribadisse in me questo possesso.
Ma ci si può avanzare nella vita
mano che regge e fiaccola portata
e ci si può liberamente dare
alle dimenticanze più serene
quando gli anelli multipli di noi
si sciolgano e riprendano in accordo,
quando la garanzia dell'immanenza
ci fasci di un benessere assoluto.
Così, nelle tue braccia ordinatrici
io mi riverso, minima ed immensa;
dato sereno, dato irrefrenabile,
attività perenne di sviluppo.
I - A Entrada

Abrem-se as portadas, para que todas as partes de mim possam entrar.
Entro, a custo, na sala escura do meu palácio mental. As portas já se tornaram difíceis de empurrar,
pelo pouco uso a que as tenho condenado.
Não me sinto preparada. Nem sei se algum dia hei-de estar. Contudo, uma vez que os pés já atravessaram para o lado de lá, roubei-me a opção de fazer o resto do corpo recuar.
     Lá vou eu, sentar-me na mesa redonda do Eu.
Sinto mil olhos pousados em mim. Todos curiosos e com intenção de me analisar. Todos prontos para me dissecar. Logo Eu, que prefiro ter objetos de estudo, em vez de ser o objeto estudado. Então, tenho de me contrariar. Desta vez, não posso fechar-me na concha à espera que alguém a venha rebentar. Preciso de estar exposta a este desconforto. Sou a paciente. A que tem de manter os olhos abertos
enquanto lhe remexem o cérebro à procura do tumor que me está a matar.
Quase podia jurar que seria visível a todos, este peso que circula no ar,

um peso tão denso que podia ser cortado ao meio.
                  
      Mas só a mim veio cortar.

Olho em volta, a mesa está cheia de mim, não sobra um único lugar. Todas me observam, como se achassem que sei exatamente o que preciso de falar. Mas, não sei.
Tenho a firme sensação que estou prestes a ter de me enfrentar. É como se todas esperassem que, finalmente, me confessasse. Mas, não sei o quê.
Ou talvez saiba.
Ou talvez ainda me sinta demasiado fraca para o proclamar.
Sento-me na única cadeira da sala que dá para girar.
Estarão as outras mais firmes - ou serei eu que já perdi o chão?
Destravo as rodas, dou um balanço nervoso, preciso de uma distração que me ajude a começar.

Atenção a todas!
Silêncio na sala. Está na altura de confessar.

II - O Funeral

Antes de mais, devo-vos um pedido de perdão.
Sei que tenho estado propositadamente adormecida,
           num coma auto-induzido,
           uma anestesia emocional
para que consiga continuar a caminhar. Desprovida da essência dual e humana que tanto me caracteriza. Tenho estado focada em sobreviver, a correr para a frente sem olhar para trás, na esperança de que, se assim for, os meus pensamentos não consigam apanhar-me. Posso dizer que, até já tentei aprender a voar, mas ainda não consegui sentir a liberdade que me falaram.
Tenho tentado adormecer mais cedo - e acordo várias vezes a meio da noite, para não me permitir sequer sonhar. Sinto-me tentada a mandar o meu corpo ao mar, sem qualquer intenção de mexer os braços para o fazer boiar.
Encurralei, num canto escuro da minha mente, a voz que se recusava a calar. Na esperança de que, se tapasse os ouvidos com força suficiente, não a ouvisse mais a chamar.
Pus correntes à volta do meu coração. Não queria que batesse,
nem que uma única gota de sangue me traísse,
nem queria sentir a minha própria pulsação.
Mas ouvi uma voz dizer que as correntes são feitas de elos de ligação. E eu quis destruí-las também
            porque até elas me levavam a ti.
Então, já não escrevo. Já não canto. Já não sinto prazer em sentir.

Todas de mim olham-me de volta, com o mesmo olhar de desilusão. Como se me quisessem esbofetear por compaixão. Como se não tivessem coragem de me provocar mais dor.
Sabem que não podem esmagar o que já se desfez, uma vez que já me estendi em lágrimas no chão.
O eco do silêncio é ensurdecedor.
Preferia que me partissem até eu cair num caixão.
Ao menos assim,
                                 o silêncio
                          daria lugar ao som.

III - As cinzas

Deambulo como um espírito que não encontrou passagem, sobre a areia molhada onde o mar perdeu um beijo antigo. Lembro-me de todas as vezes que percorri esta mesma praia, esperançosa de me esbarrar em ti. Lembro-me do exato sítio onde te encontrei. E da exata rocha onde escorregaste, quando também me procuravas a mim.
Lembro-me do teu cheiro na minha pele,
da sensação de casa que via no castanho do teu olhar. E quero esquecer que agora sou um espírito abandonado, sem o teu olhar para encontrar.
Lembro-me da tua mão na minha,
de saber, com o corpo inteiro, que era ali o meu lugar. Agora, tento esquecer a ausência,
da mão fantasma que ainda procuro apertar.
Lembro-me que já não estás aqui. Tento apagar os anos em que te conheci.
Lembro-me que tenho de ser forte,
e tento esquecer a triste verdade:
que serei sempre fraca por ti.

Um coração partido não faz barulho ao estilhaçar. Não deixa uma marca que alguém possa ver. Chamam-lhe figura de estilo. Mas a dor é literal. Quem diz que ninguém morre de desgosto, convido-vos a entrar no meu palácio mental, e assistirem comigo, na primeira fila, ao meu próprio funeral.
O silêncio grita mais alto que qualquer lamento.

Quero gritar,

mas não me quero lembrar do porquê.

IV - A sombra da escrita

Aquilo a que resistimos, persiste dentro de nós.
E se o arrependimento matasse, eu já teria morrido. Ou talvez tenha mesmo morrido e ninguém reparou - além de mim.
Enterrei - vivo - o amor que me mantinha aqui. E agora, quanto mais fujo de mim, mais me sinto sozinha. Quanto mais longe vou, mais a minha alma definha.
Fica doente.
Pequenina.

A realidade é que não sei como não te amar. Não sei como esquecer todo o amor que senti. Ou como ignorar que isso me mudou. E não sei lidar com o facto de que nunca mais voltarei a permitir que esse amor exista. Que inunde e transborde. Que seja o ar leve que fazem estes pulmões vibrar.
Escrever só faz sentido
quando és tu o motivo que me faz sangrar. Escrever só tem sentido se for mexer na ferida,
                               e tu eras a faca
                                                     e a razão.
Então, fugi da escrita. Fugi de mim. Quero esquecer-me de tudo aquilo que já me fizeste despejar no papel,
porque não sei como voltar à escrita sem voltar a ti.
Só que já não há casa, não há ninguém para onde voltar.
O teu sitio está vazio. O teu assento já está frio. Já não há musica, nem escrita, nem literatura para nos unir.
Resta-me queimar estas palavras, segurar o papel ardente contra o peito
como se ainda pudesse aquecer-me com o que restou.
E tentar esquecer-me que, um dia, foste a minha fonte de calor,
      a luz que me guiava na escuridão...
O meu pirilampo mágico! A quem decidi entregar-me de alma e coração.

Hoje, parece tudo tão longínquo... como se nunca tivesses existido, como um sonho do qual acordei atordoada, como se tivesse gastado mais uma vida em vão.
Agora, a mesa está vazia. Já não sei qual de mim ficou para apagar a luz.  
Mas sinto-a, sozinha, em silêncio, à espera que volte(s).

V - A mesa redonda do Nós

Sentámo-nos, sem convite, cada qual com as suas vozes. Umas sussurram desculpas, outras gritam promessas partidas.
Tu trazias o silêncio nos ombros,
   eu, a urgência de ser compreendida.
Entre nós, o tempo ocupava a cadeira do meio, com as mãos cruzadas sobre o colo, esperando que alguém lhe pedisse perdão.
Ali cabiam todas as versões de nós que tentaram
                  e falharam: a criança ferida, a amante que esperava demais, a amiga ausente, a que esperou à janela até ao fim do verão, e a que aprendeu a calar o amor para não o perder. Também ali estavam os que não souberam ficar e os que quiseram demais. Mas na hora certa, ninguém os quis de volta.
Fizemos da mesa um espelho estilhaçado, onde cada caco refletia uma versão diferente do encontro.
Eram histórias ditas pela metade, afetos com ferrugem, promessas que nunca chegaram ao corpo, cartas que não foram lidas, beijos que não voltaram para casa, toques interrompidos por orgulho, olhares desviados na última possibilidade de ternura.

Tentámos ordenar o caos, nomear culpas, mapear o amor, dar à dor algum significado:
quem magoou quem,
quem fugiu primeiro,
quem se calou quando devia ter falado,
quem amou a quem em vão.

Mas o "nós" não se escreve em linha reta,
é espiral,
                 tropeço,
                                  é laço e corte.
É ponte feita de dedos trémulos, tentando ainda alcançar.

E entre cacos, alguém - talvez tu - ergueu um gesto quase imperceptível:
um "ainda" dentro do "já não",
um "pode ser" suspenso no "acabou".

Então brindámos,
não ao passado, mas à remota e terna possibilidade de voltarmos a encontrar o amor
                                    não como foi
mas como ainda pode ser:

mais paciente,
                            mais honesto,
menos medo,
                            mais presença.

Um brinde a isso!
À flor que cresce entre as pedras,

ao reencontro verdadeiro,

mesmo que não seja imediato.
                 
Ao amor que regressa, se soubermos esperar com o coração aberto.

No fim, servimos silêncio em taças de cristal.
Um brinde à tentativa!
Às ruínas que ainda brilham.
Ao facto de termos tentado.
Um brinde a estarmos ali,

ainda que partidas,
                                    
                                      ainda que tarde,

ainda que nunca cheguemos a consenso.

Porque amar é tentar,
mesmo quando falha.

VI - Final

Talvez um dia, ouça a porta a ranger,
e outra de mim entre -
sem pressa, sem medo.
Talvez nem se sente,
apenas acenda a luz.

E nesse gesto, silencioso, haja uma oportunidade de começar de novo.

— The End —