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A un cruzado caballero,
garrido y noble garzón,
en el palenque guerrero
le clavaron un acero
tan cerca del corazón,
que el físico al contemplarle,
tras verle y examinarle,
dijo: «Quedará sin vida
si se pretende sacarle
el venablo de la herida».
Por el dolor congojado,
triste, débil, desangrado,
después que tanto sufrió,
con el acero clavado
el caballero murió.
Pues el físico decía
que, en dicho caso, quien
una herida tal tenía,
con el venablo moría,
sin el venablo también.
¿No comprendes, Asunción,
la historia que te he contado,
la del garrido garzón
con el acero clavado
muy cerca del corazón?
Pues el caso es verdadero;
yo soy el herido, ingrata,
y tu amor es el acero:
¡si me lo quitas, me muero;
si me lo dejas, me mata!
Lua Bastos Apr 2015
Na neblina abafada
Dentre as árvores, dentre algas
Sentir a água
Ouvir os cantos
Cintilante
Suas mãos quentes tocaram meu tornozelo
Seu coração frio tocou o meu
Oh, Deus,
Se realmente estou apaixonado
Me faça não querer deixa-la
Os corações que já quebrei,
não se comparam ao dela
Deixe-me ficar
Se realmente estou apaixonado,
me diga se ela corresponde
Seu canto entrou em meus ouvidos
Uma sintonia aveludada,
salgada,
com uma pitada de perigo
O som dos pingos de água se rebatendo
Venha comigo, vamos viver juntos
Seja minha esposa.
Presa por algemas de areia
Se rebatia enquanto suas mãos puxavam as minhas
Delicada.
Uma beleza agoniante
Oh, Deus,
O que será de mim?
Um vida fria terei caso não ficar com ela.
Me trazendo para a água
Sussurrando feitiços e me deixando cego pelo amor
Meu corpo logo estará submerso
Estou indo
Ofegante
Coração frio, mãos quentes, beleza agoniante
Vendo a escuridão
Cego por um amor planejado
Um coração antes sujo,
fora iludido por olhos vibrantes
e pele cintilante
O coração quente fora apagado,
sentindo amor.
Oh, Deus,
diga-me, terminarei sendo enganado?
tangshunzi Jul 2014
abiti da sposa corti Abbiamo sicuramente avuto la nostra parte di sorprendenti dettagli di nozze grazia le pagine di LSP .ma abbastanza positiva questa è la prima volta che abbiamo incontrato un cervo muschio.E 'uno dei molti dettagli moderni realizzati da The Horse Scrittura insieme con la pianificazione da parte in ogni caso e fiori + avorio verdi



di Lily e Società che dimostra rustico Wyoming gioca bene con un piccolo pizzico di mod .Date un'occhiata a ogni ultima immagine catturata dalla splendida Carrie Patterson Fotografia proprio qui.nella piena galleria .
Condividi questa splendida galleria ColorsSeasonsSummerSettingsTentedStylesModern

Qual è stata la tua visioneè ematrimonio erfectè?

Zee e ** incontrato a Jackson Hole e sempre discusso incredibile come un matrimonio a Jackson sarebbe.Per mostrare la bellezza di Jackson Hole ai nostri tanti amici e viaggiando da Georgia .Texas famiglia .e molti punti in mezzo era sicuro di essere incredibile .Volevo essere certo di mantenere le cose eleganti .ma abbastanza semplice da non distrarre dalla bella vista .

Quali sono tre dettagli unici che infuse nel vostro arredamento ?

mia madre e ** fatto tutta la pianificazione di noi stessi .che è qualcosa che entrambi amiamo fare !Cerco di emulare mia madre quando si tratta di pianificazione del partito e il layout .Ha il sapore più meraviglioso e l'occhio per la decorazione .e io sono così molto grato per tutto il suo aiuto durante la pianificazione .

Alcuni dettagli unici che infuse nostri cor désono :

I due Avorio Elk e Moose .la nostra torta nuziale Faux Bois con i miei genitori ' figurina Staffordshire in alto .gli alberi Aspen e le tovagliette Moss e fioriere .Mi è piaciuto molto anche il nostroè entler Luogo Carteèed i nostri numeri del tavolo .I nostri numeri della tabella sono stati etichettati in animali diversi ad ogni tavolo che rappresentava tutti i diversi vita selvaggia a Jackson Hole .

Qual è abiti da sposa 2014 stato il momento più memorabile ?

Durante la cena .il nostro fotografo Carrie tirato Zee e via per le fotografie al tramonto .Abbiamo camminato attraverso lo stagno .più vicino alle montagne e il nostro primo minuto solo tutto il giorno .Guardando indietro attraverso lo stagno alla bella tenda piena di persone più speciali nella nostra vita è un momento che non dimenticherò mai .

Che canzone hai fatto il tuo primo ballo a ?

Il nostro primo ballo : Crazy Love di Van Morrison padre / figlia Danza : Isnè èShe Lovely di Stevie Wonder

Cosaèse qualcosaèhai fatto fai da te ?

Mia nonna ha fatto la biancheria per i tavoli da cocktail .I quattro grandi Fioriere e la scaffalatura dietro ogni bar sono stati costruiti da un amico in Texas .Le tonalità appeso sopra la nostra pista da ballo abiti da sposa 2014 sono stati realizzati su misura solo per il nostro matrimonio .Avevamo laè èharlie Joseph 'ècappelli di carta fatti per i server di indossare durante il passaggio su cani e patatine fritte a tarda notte

Fotografia : Carrie Patterson Fotografia | Event Design : . The Horse Writing | Pianificazione : in ogni caso |Floral Design : Giglio E Azienda | Catering : Bistro Catering | Località : Jackson Hole Golf \u0026Tennis ClubCarrie Patterson fotografia è un membro del nostro Little Black Book .Scopri come i membri sono scelti visitando la nostra pagina delle FAQ .Carrie Patterson Fotografia VIEW
http://188.138.88.219/imagesld/td//t35/productthumb/1/4434735353535_391823.jpg
http://www.belloabito.com/goods.php?id=11
http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-corti-c-49
Moderna incontra rustico in Wyoming_abiti da sposa on line
Julia Jaros Nov 2016
Sonha em se vestir com as nuvens
Cantar para uma platéia no topo da montanha mais alta
Sentir a luz do sol infiltrando seu corpo
Compartilhando o brilho entre si.

Beijar sem machucar
Divertir sem causar alvoroço
Ver sem precisar matar
nem correr para qualquer pescoço.

Beber um licor no bar mais caro
Flertar com os bonitões
Um volume a mais em suas calças
Escapando-lhes os botões.

A única platéia daquelas asas pretas,
aveludadas
Era o limo da gruta
Não corria, nem se assustava
Batia palmas quando ela cantava.
Se apaixonara.

Como poderia dar certo?
Ela queria o mundo
Saia todo dia por um segundo
Queimando-se
Por um breve trinfo.
Irena Adler Nov 2018
Virginia Woolf una volte scrisse che " la bellezza ha due tagli, uno di gioia, l'altro di angoscia, che ci dividono il cuore".
La prima cosa che mi passa per la testa di fronte a tali parole è che l'uomo e la donna patiscono continuamente anche quando sono felici. Quel tipo di angoscia che non ti abbandona mai, la sofferenza di fronte alle scelte fatte o non fatte, il desiderio di evasione in un mondo utopico, la volontà di essere completamente liberi e stoici. I pregiudizi sono nostri amici-nemici. Tutto dipende da come gli accogliamo nelle varie circostanze della vita.
Se ci fosse Virginia Woolf qua con me sicuramente  si arrabbierebbe; " Come puoi essere così disordinata? Non mi stavi  per caso citando? E poi sembrava che stessi cercando  di spiegare qualcosa?! Salti da un argomento all'altro per caso. Se devi essere patetica, aggiungici un sarcasmo poetico".
Scusa ma non riesco ad organizzare ancora bene i miei pensieri. Fluttuano come la polvere nell'aria dopo che hai tentato inutilmente  di pulire un armadio vecchio. Scusa Virginia, mi conoscerai meglio con il passare del tempo.  " Ecco, brava! Che sia sempre con te lo spirito di Judith Shakespeare!"




Martedì 6.  

L'artista che corre per la strada e cerca la sua musa, la trova nello specchio che tende subito a scomparire.
Lui non si è accorto del Sole, vive di notte, disegna di notte, sogna di giorno, sogna di notte. Vive.
Non vede, lui osserva, ama l'impossibile, ama il futile eterno, sogna e vede ciò che non sarà mai compreso dagli altri. Lui trema e le sue mani tengono il pennello con un eccitazione che non si può comprendere ma solo provare. L'emozione di fronte ad un opera che deve appena essere creata, immortalata, eterna come la non-realtà.
L'immagine sussiste e lui sbatte le ali del sogno, disubbidisce alla società, gode ed ama l'incomprensibile, lo respira e vive di ciò.

Lo spessore della profondità è inabbattibile. L'acqua non ti fa annegare; è il pensiero. Non pensiamo, nuotiamo, è l'istinto a prevalere eppure abbiamo scelto di morire. Per questo motivo esiste l'altro, per annegarci o salvarci. Mantieni la dignità e vivi. E dunque sanguina.


Venerdì 9.

L'uomo e la donna. La donna e l'uomo. L'uomo ha sulla testa una lampadine e la donna uno sbattitore da cucina. La natura del cane è quella di abbaiare. La natura della specie umana è quella di riprodursi. Eppure abbiamo la necessità di creare ed inventare, non riusciamo a farne a meno. Sentiamo un bisogno insostenibile di portare fuori ciò che sta dentro. Siamo continuamente alla ricerca dell'essere presenti, passati e futuri. La gioia e l'angoscia d' esistere ci turba le anime. Ci chiediamo sempre qual'è lo scopo del fare e di muoverci. Dove sta il dono o la maledizione di essere stati scaraventati sulla palla ovale che gira intorno a se stessa ed intorno ad una palla ancora più grande che ci mantiene in vita. E' questo il senso? Dipendere dalla luce del sole oppure  soltanto dall'acqua e dal pane?
Dove sta l'essere in questa stanza? E' forse disteso su questo letto a scrivere? Forse.
Oppure si trova proprio nel pensiero che crea quel' atto?
L'esistenza umana è ridotta ad anni di vita, non secoli. Ciò che ci è stato dato l'abbiamo preso ed appreso, ci siamo impossessati ed ora fa parte di noi. Ci è stata data la vita dalla Natura ed essa ci ha pure delimitati.
" Ecco, voi siete parte di me, vivete e morite". Se è così noi dipendiamo gli uni dagli altri, non ha senso vivere soli sulla terra, abbandonati da nessuno. Non possiede alcuna logica.

Mercoledì 33.

Il mare non è sempre stato blu; una volta era violaceo e tutti gli animali potevano entrare nell'acqua senza dove trattenere il fiato. Si respirava nell'acqua, si stava bene. Soltanto quando arrivò l'uomo e ci mise il piede in acqua, essa si contrasse e divenne blu, scura e profonda. Il mare scelse di non dare accesso all'uomo e a quel diverso tipo di intelletto che si preparava a conquistare tutto ciò che mai gli potrà appartenere interamente. Per colpa sua le specie che abitavano la terra ferma dovettero separarsi da quelle marine.
Più l'uomo diventava avido ed egoista più il mare diventava profondo e salato. Non voleva finire nella bocca di quel animale strano che camminava su due stecchi con cinque rami piccoli, ben allineati ma sporchi. L'uomo costrinse il mare a piangere e non capì, non poteva capirlo poichè ora era lui il padrone.
Yo, Beremundo el Lelo, surqué todas las rutas
y probé todos los mesteres.
Singlando a la deriva, no en orden cronológico ni lógico -en sin orden-
narraré mis periplos, diré de los empleos con que
nutrí mis ocios,
distraje mi hacer nada y enriquecí mi hastío...;
-hay de ellos otros que me callo-:
Catedrático fui de teosofía y eutrapelia, gimnopedia y teogonía y pansofística en Plafagonia;
barequero en el Porce y el Tigüí, huaquero en el Quindío,
amansador mansueto -no en desuetud aún- de muletos cerriles y de onagros, no sé dónde;
palaciego proto-Maestre de Ceremonias de Wilfredo el Velloso,
de Cunegunda ídem de ídem e ibídem -en femenino- e ídem de ídem de Epila Calunga
y de Efestión -alejandrino- el Glabro;
desfacedor de entuertos, tuertos y malfetrías, y de ellos y ellas facedor;
domeñador de endriagos, unicornios, minotauros, quimeras y licornas y dragones... y de la Gran Bestia.

Fui, de Sind-bad, marinero; pastor de cabras en Sicilia
si de cabriolas en Silesia, de cerdas en Cerdeña y -claro- de corzas en Córcega;
halconero mayor, primer alcotanero de Enguerrando Segundo -el de la Tour-Miracle-;
castrador de colmenas, y no de Casanovas, en el Véneto, ni de Abelardos por el Sequana;
pajecillo de altivas Damas y ariscas Damas y fogosas, en sus castillos
y de pecheras -¡y cuánto!- en sus posadas y mesones
-yo me era Gerineldos de todellas y trovador trovadorante y adorante; como fui tañedor
de chirimía por fiestas candelarias, carbonero con Gustavo Wasa en Dalecarlia, bucinator del Barca Aníbal
y de Scipión el Africano y Masinisa, piloto de Erik el Rojo hasta Vinlandia, y corneta
de un escuadrón de coraceros de Westmannlandia que cargó al lado del Rey de Hielo
-con él pasé a difunto- y en la primera de Lutzen.

Fui preceptor de Diógenes, llamado malamente el Cínico:
huésped de su tonel, además, y portador de su linterna;
condiscípulo y émulo de Baco Dionisos Enófilo, llamado buenamente el Báquico
-y el Dionisíaco, de juro-.

Fui discípulo de Gautama, no tan aprovechado: resulté mal budista, si asaz contemplativo.
Hice de peluquero esquilador siempre al servicio de la gentil Dalilah,
(veces para Sansón, que iba ya para calvo, y -otras- depilador de sus de ella óptimas partes)
y de maestro de danzar y de besar de Salomé: no era el plato de argento,
mas sí de litargirio sus caderas y muslos y de azogue también su vientre auri-rizado;
de Judith de Betulia fui confidente y ni infidente, y -con derecho a sucesión- teniente y no lugarteniente
de Holofernes no Enófobo (ni enófobos Judith ni yo, si con mesura, cautos).
Fui entrenador (no estrenador) de Aspasia y Mesalina y de Popea y de María de Mágdalo
e Inés Sorel, y marmitón y pinche de cocina de Gargantúa
-Pantagruel era huésped no nada nominal: ya suficientemente pantagruélico-.
Fui fabricante de batutas, quebrador de hemistiquios, requebrador de Eustaquias, y tratante en viragos
y en sáficas -algunas de ellas adónicas- y en pínnicas -una de ellas super-fémina-:
la dejé para mí, si luego ancló en casorio.
A la rayuela jugué con Fulvia; antes, con Palamedes, axedrez, y, en época vecina, con Philidor, a los escaques;
y, a las damas, con Damas de alto y bajo coturno
-manera de decir: que para el juego en litis las Damas suelen ir descalzas
y se eliden las calzas y sustentadores -no funcionales- en las Damas y las calzas en los varones.

Tañí el rabel o la viola de amor -casa de Bach, búrguesa- en la primicia
de La Cantata del Café (pre-estreno, en familia protestante, privado).
Le piqué caña jorobeta al caballo de Atila
-que era un morcillo de prócer alzada: me refiero al corcel-;
cambié ideas, a la par, con Incitato, Cónsul de Calígula, y con Babieca,
-que andaba en Babia-, dándole prima
fui zapatero de viejo de Berta la del gran pie (buen pie, mejor coyuntura),
de la Reina Patoja ortopedista; y hortelano y miniaturista de Pepino el Breve,
y copero mayor faraónico de Pepe Botellas, interino,
y porta-capas del Pepe Bellotas de la esposa de Putifar.

Viajé con Julio Verne y Odiseo, Magallanes y Pigafetta, Salgan, Leo e Ibn-Batuta,
con Melville y Stevenson, Fernando González y Conrad y Sir John de Mandeville y Marco Polo,
y sólo, sin De Maistre, alredor de mi biblioteca, de mi oploteca, mi mecanoteca y mi pinacoteca.
Viajé también en tomo de mí mismo: asno a la vez que noria.

Fui degollado en la de San Bartolomé (post facto): secundaba a La Môle:
Margarita de Valois no era total, íntegramente pelirroja
-y no porque de noche todos los gatos son pardos...: la leoparda,
las tres veces internas, íntimas, peli-endrina,
Margarita, Margotón, Margot, la casqui-fulva...-

No estuve en la nea nao -arcaica- de Noé, por manera
-por ventura, otrosí- que no fui la paloma ni la medusa de esa almadía: mas sí tuve a mi encargo
la selección de los racimos de sus viñedos, al pie del Ararat, al post-Diluvio,
yo, Beremundo el Lelo.

Fui topógrafo ad-hoc entre El Cangrejo y Purcoy Niverengo,
(y ad-ínterim, administré la zona bolombólica:
mucho de anís, mucho de Rosas del Cauca, versos de vez en cuando),
y fui remero -el segundo a babor- de la canoa, de la piragua
La Margarita (criolla), que navegó fluvial entre Comiá, La Herradura, El Morito,
con cargamentos de contrabando: blancas y endrinas de Guaca, Titiribí y Amagá, y destilados
de Concordia y Betulia y de Urrao...
¡Urrao! ¡Urrao! (hasta hace poco lo diríamos con harta mayor razón y con aquese y este júbilos).
Tras de remero de bajel -y piloto- pasé a condueño, co-editor, co-autor
(no Coadjutor... ¡ni de Retz!) en asocio de Matías Aldecoa, vascuence, (y de un tal Gaspar von der Nacht)
de un Libraco o Librículo de pseudo-poemas de otro quídam;
exploré la región de Zuyaxiwevo con Sergio Stepánovich Stepansky,
lobo de donde se infiere, y, en más, ario.

Fui consejero áulico de Bogislao, en la corte margravina de Xa-Netupiromba
y en la de Aglaya crisostómica, óptima circezuela, traidorcilla;
tañedor de laúd, otra vez, y de viola de gamba y de recorder,
de sacabuche, otrosí (de dulzaina - otronó) y en casaciones y serenatas y albadas muy especializado.
No es cierto que yo fuera -es impostura-
revendedor de bulas (y de mulas) y tragador defuego y engullidor de sables y bufón en las ferias
pero sí platiqué (también) con el asno de Buridán y Buridán,
y con la mula de Balaám y Balaám, con Rocinante y Clavileño y con el Rucio
-y el Manco y Sancho y don Quijote-
y trafiqué en ultramarinos: ¡qué calamares -en su tinta-!,
¡qué Anisados de Guarne!, ¡qué Rones de Jamaica!, ¡qué Vodkas de Kazán!, ¡qué Tequilas de México!,
¡qué Néctares de Heliconia! ¡Morcillas de Itagüí! ¡Torreznos de Envigado! ¡Chorizos de los Ballkanes! ¡Qué Butifarras cataláunicas!
Estuve en Narva y en Pultawa y en las Queseras del Medio, en Chorros Blancos
y en El Santuario de Córdova, y casi en la de San Quintín
(como pugnaban en el mismo bando no combatí junto a Egmont por no estar cerca al de Alba;
a Cayetana sí le anduve cerca tiempo después: preguntádselo a Goya);
no llegué a tiempo a Waterloo: me distraje en la ruta
con Ida de Saint-Elme, Elselina Vanayl de Yongh, viuda del Grande Ejército (desde antaño... más tarde)
y por entonces y desde años antes bravo Edecán de Ney-:
Ayudante de Campo... de plumas, gongorino.
No estuve en Capua, pero ya me supongo sus mentadas delicias.

Fabriqué clavicémbalos y espinetas, restauré virginales, reparé Stradivarius
falsos y Guarnerius apócrifos y Amatis quasi Amatis.
Cincelé empuñaduras de dagas y verduguillos, en el obrador de Benvenuto,
y escriños y joyeles y guardapelos ad-usum de Cardenales y de las Cardenalesas.
Vendí Biblias en el Sinú, con De la Rosa, Borelly y el ex-pastor Antolín.
Fui catador de tequila (debuté en Tapachula y ad-látere de Ciro el Ofiuco)
y en México y Amecameca, y de mezcal en Teotihuacán y Cuernavaca,
de Pisco-sauer en Lima de los Reyes,
y de otros piscolabis y filtros muy antes y después y por Aná del Aburrá, y doquiérase
con El Tarasco y una legión de Bacos Dionisos, pares entre Pares.
Vagué y vagué si divagué por las mesillas del café nocharniego, Mil Noches y otra Noche
con el Mago de lápiz buido y de la voz asordinada.
Antes, muy antes, bebí con él, con Emmanuel y don Efe y Carrasca, con Tisaza y Xovica y Mexía y los otros Panidas.
Después..., ahora..., mejor no meneallo y sí escanciallo y persistir en ello...

Dicté un curso de Cabalística y otro de Pan-Hermética
y un tercero de Heráldica,
fuera de los cursillos de verano de las literaturas bereberes -comparadas-.
Fui catalogador protonotario en jefe de la Magna Biblioteca de Ebenezer el Sefardita,
y -en segundo- de la Mínima Discoteca del quídam en referencia de suso:
no tenía aún las Diabelli si era ya dueño de las Goldberg;
no poseía completa la Inconclusa ni inconclusa la Décima (aquestas Sinfonías, Variaciones aquesas:
y casi que todello -en altísimo rango- tan Variaciones Alredor de Nada).

Corregí pruebas (y dislates) de tres docenas de sota-poetas
-o similares- (de los que hinchen gacetilleros a toma y daca).
Fui probador de calzas -¿prietas?: ceñidas, sí, en todo caso- de Diana de Meridor
y de justillos, que así veníanle, de estar atán bien provista
y atán rebién dotada -como sabíalo también y así de bien Bussy d'Amboise-.
Temperé virginales -ya restaurados-, y clavecines, si no como Isabel, y aunque no tan baqueano
como ése de Eisenach, arroyo-Océano.
Soplé el ***** bufón, con tal cual incongruencia, sin ni tal cual donaire.
No aporreé el bombo, empero, ni entrechoqué los címbalos.

Les saqué puntas y les puse ribetes y garambainas a los vocablos,
cuando diérame por la Semasiología, cierta vez, en la Sorbona de Abdera,
sita por Babia, al pie de los de Úbeda, que serán cerros si no valen por Monserrates,
sin cencerros. Perseveré harto poco en la Semántica -por esa vez-,
si, luego retorné a la andadas, pero a la diabla, en broma:
semanto-semasiólogo tarambana pillín pirueteante.
Quien pugnó en Dénnevitz con Ney, el peli-fulvo
no fui yo: lo fue mi bisabuelo el Capitán...;
y fue mi tatarabuelo quien apresó a Gustavo Cuarto:
pero sí estuve yo en la Retirada de los Diez Mil
-era yo el Siete Mil Setecientos y Setenta y Siete,
precisamente-: releed, si dudaislo, el Anábasis.
Fui celador intocable de la Casa de Tócame-Roque, -si ignoré cuyo el Roque sería-,
y de la Casa del Gato-que-pelotea; le busqué tres pies al gato
con botas, que ya tenía siete vidas y logré dar con siete autores en busca de un personaje
-como quien dice Los Siete contra Tebas: ¡pobre Tebas!-, y ya es jugar bastante con el siete.
No pude dar con la cuadratura del círculo, que -por lo demás- para nada hace falta,
mas topé y en el Cuarto de San Alejo, con la palanca de Arquimedes y con la espada de Damocles,
ambas a dos, y a cual más, tomadas del orín y con más moho
que las ideas de yo si sé quién mas no lo digo:
púsome en aprietos tal doble hallazgo; por más que dije: ¡Eureka! ...: la palanca ya no servía ni para levantar un falso testimonio,
y tuve que encargarme de tener siempre en suspenso y sobre mí la espada susodicha.

Se me extravió el anillo de Saturno, mas no el de Giges ni menos el de Hans Carvel;
no sé qué se me ficieron los Infantes de Aragón y las Nieves de Antaño y el León de Androcles y la Balanza
del buen Shylock: deben estar por ahí con la Linterna de Diógenes:
-¿mas cómo hallarlos sin la linterna?

No saqué el pecho fuera, ni he sido nunca el Tajo, ni me di cuenta del lío de Florinda,
ni de por qué el Tajo el pecho fuera le sacaba a la Cava,
pero sí vi al otro don Rodrigo en la Horca.
Pinté muestras de posadas y mesones y ventas y paradores y pulquerías
en Veracruz y Tamalameque y Cancán y Talara, y de riendas de abarrotes en Cartagena de Indias, con Tisaza-,
si no desnarigué al de Heredia ni a López **** tuerto -que era bizco-.
Pastoreé (otra vez) el Rebaño de las Pléyades
y resultaron ser -todellas, una a una- ¡qué capretinas locas!
Fui aceitero de la alcuza favorita del Padre de los Búhos Estáticos:
-era un Búho Sofista, socarrón soslayado, bululador mixtificante-.
Regí el vestier de gala de los Pingüinos Peripatéticos,
(precursores de Brummel y del barón d'Orsay,
por fuera de filósofos, filosofículos, filosofantes dromomaníacos)
y apacenté el Bestiario de Orfeo (delegatario de Apollinaire),
yo, Beremundo el Lelo.

Nada tuve que ver con el asesinato de la hija del corso adónico Sebastiani
ni con ella (digo como pesquisidor, pesquisante o pesquisa)
si bien asesoré a Edgar Allan Poe como entomólogo, cuando El Escarabajo de Oro,
y en su investigación del Doble Asesinato de la Rue Morgue,
ya como experto en huellas dactilares o quier digitalinas.
Alguna vez me dio por beberme los vientos o por pugnar con ellos -como Carolus
Baldelarius- y por tomar a las o las de Villadiego o a las sus calzas:
aquesas me resultaron harto potables -ya sin calzas-; ellos, de mucho volumen
y de asaz poco cuerpo (si asimilados a líquidos, si como justadores).
Gocé de pingües canonjías en el reinado del bonachón de Dagoberto,
de opíparas prebendas, encomiendas, capellanías y granjerías en el del Rey de los Dipsodas,
y de dulce privanza en el de doña Urraca
(que no es la Gazza Ladra de Rossini, si fuéralo
de corazones o de amantes o favoritos o privados o martelos).

Fui muy alto cantor, como bajo cantante, en la Capilla de los Serapiones
(donde no se sopranizaba...); conservador,
conservador -pero poco- de Incunables, en la Alejandrina de Panida,
(con sucursal en El Globo y filiales en el Cuarto del Búho).

Hice de Gaspar Hauser por diez y seis hebdémeros
y por otras tantas semanas y tres días fui la sombra,
la sombra misma que se le extravió a Peter Schlémil.

Fui el mozo -mozo de estribo- de la Reina Cristina de Suecia
y en ciertas ocasiones también el de Ebba Sparre.
Fui el mozo -mozo de estoques- de la Duquesa de Chaumont
(que era de armas tomar y de cálida sélvula): con ella pus mi pica en Flandes
-sobre holandas-.

Fui escriba de Samuel Pepys -¡qué escabroso su Diario!-
y sustituto suyo como edecán adjunto de su celosa cónyuge.
Y fuí copista de Milton (un poco largo su Paraíso Perdido,
magüer perdido en buena parte: le suprimí no pocos Cantos)
y a la su vera reencontré mi Paraíso (si el poeta era
ciego; -¡qué ojazos los de su Déborah!).

Fui traductor de cablegramas del magnífico Jerjes;
telefonista de Artajerjes el Tartajoso; locutor de la Esfinge
y confidente de su secreto; ventrílocuo de Darío Tercero Codomano el Multilocuo,
que hablaba hasta por los codos;
altoparlante retransmisor de Eubolio el Mudo, yerno de Tácito y su discípulo
y su émulo; caracola del mar océano eólico ecolálico y el intérprete
de Luis Segundo el Tartamudo -padre de Carlos el Simple y Rey de Gaula.
Hice de andante caballero a la diestra del Invencible Policisne de Beocia
y a la siniestra del Campeón olímpico Tirante el Blanco, tirante al blanco:
donde ponía el ojo clavaba su virote;
y a la zaga de la fogosa Bradamante, guardándole la espalda
-manera de decir-
y a la vanguardia, mas dándole la cara, de la tierna Marfisa...

Fui amanuense al servicio de Ambrosio Calepino
y del Tostado y deMatías Aldecoa y del que urdió el Mahabarata;
fui -y soylo aún, no zoilo- graduado experto en Lugares Comunes
discípulo de Leon Bloy y de quien escribió sobre los Diurnales.
Crucigramista interimario, logogrifario ad-valorem y ad-placerem
de Cleopatra: cultivador de sus brunos pitones y pastor de sus áspides,
y criptogramatista kinesiólogo suyo y de la venus Calipigia, ¡viento en popa a toda vela!
Fui tenedor malogrado y aburrido de libros de banca,
tenedor del tridente de Neptuno,
tenedor de librejos -en los bolsillos del gabán (sin gabán) collinesco-,
y de cuadernículos -quier azules- bajo el ala.
Sostenedor de tesis y de antítesis y de síntesis sin sustentáculo.
Mantenedor -a base de abstinencias- de los Juegos Florales
y sostén de los Frutales -leche y miel y cerezas- sin ayuno.
Porta-alfanje de Harún-al-Rashid, porta-mandoble de Mandricardo el Mandria,
porta-martillo de Carlos Martel,
porta-fendiente de Roldán, porta-tajante de Oliveros, porta-gumía
de Fierabrás, porta-laaza de Lanzarote (¡ búen Lancelot tan dado a su Ginevra!)
y a la del Rey Artús, de la Ca... de la Mesa Redonda...;
porta-lámpara de Al-Eddin, el Loca Suerte, y guardián y cerbero de su anillo
y del de los Nibelungos: pero nunca guardián de serrallo ni cancerbero ni evirato de harem...
Y fui el Quinto de los Tres Mosqueteros (no hay quinto peor) -veinte años después-.

Y Faraute de Juan Sin Tierra y fiduciario de
Loco porque yo lo coloco
y ella lo quita y lo coloca
con cola loca en
otro loquito lugar

Loco lo quito y otra vez
loquito vuelvo y lo coloco
como un bobo loco
bien dónde debe estar
Y la loquita loca
lo quita de su local
Y lo coloca en otro lugar

El colmo del caso
es que si seguimos acaso  
dando este paso
nunca lo cazo en
casa local al loco
loco loquito locazo.

Así que deme otro vaso
Qué si la loca
lo quiere al loco de paso
lo buzco al triple locazo
y lo juro que
yo me lo cazco.
Trabalenguas inspirado por unos dos dichos de mi mamá. Se me prendió el foco.  ¡Hágale pues a ver!
Victor D López Feb 2019
Heroes Desconocidos: Parte V: Felipe 1931 - 2016  
© 2016, 2019 Victor D. López

Naciste cinco años antes del comienzo de la Guerra Civil Española que vería a tu padre exiliado.
El lenguaje llegó más tarde a ti que a tu hermano pequeño Manuel, y tartamudeaste por un
Tiempo, a diferencia de aquellos que hablan incesantemente sin nada que decir. Tu madre
Confundió la timidez con la falta de lucidez un trágico error que te marcó por vida.

Cuando tu hermano Manuel murió a los tres años de la meningitis, oíste a tu madre exclamar:
"Dios me llevó el listo y me dejó el tonto." Tenías apenas cinco años. Nunca olvidaste esas
Palabras. ¿Como podrías hacerlo? Sin embargo, amaste a tu madre con todo tu corazón.
Pero también te retiraste más en ti mismo, la soledad tu compañera y mejor amiga.

De hecho, eras un niño excepcional. La tartamudez se alejó después de los cinco años para no
Volver jamás, y cuando estaba en la escuela secundaria, tu maestra llamó a tu madre para una
Rara conferencia y le dijo que la tuya era una mente dotada, y que deberías ingresar a la
Universidad para estudiar ciencia, matemáticas o ingeniería.

Ella escribió a tu padre exiliado en Argentina para decirle la buena noticia, que tus profesores
Creían que fácilmente ganarías la entrada a la (entonces y ahora) altamente selectiva universidad Pública donde los asientos eran pocos, y muy difíciles de alcanzar basado en exámenes Competitivos ¿La respuesta de tu padre? Comprale un par de bueyes para arar las tierras.

Esa respuesta de un hombre muy respetado, un pez grande en un pequeño estanque en su nativo Olearos en ese tiempo está más allá de la comprensión. Había optado por preservar su interés
Propio en que continuaras su negocio familiar y trabajara sus tierras en su ausencia. Esa cicatriz También fue añadida a aquellas que nunca sanarían en tu enorme y poro corazón.

Sin la ayuda para los gastos de vida universitarios (todo lo que habrías requerido), quedaste
Decepcionado y dolido, pero no enfadado; Simplemente encontrarías otra opción. Tomaste los Exámenes competitivos para las dos escuelas de entrenamiento militar que proporcionarían una Educación vocacional excelente y un pequeño sueldo a cambio del servicio militar.

De los cientos de aspirantes a los pocos puestos premiados en cada una de las dos instituciones,
Marcaste primero para el más competitiva de las dos (El Parque) y decimotercero para la Segundo, La Fábrica de Armas. Escogiste la inferior para dejarle el puesto a un compañero de
Clase que había quedado eliminado por pocos puntos. Ese eras tú, siempre y para siempre.

En la escuela militar, finalmente estuviste en tu elemento. Te convertiría en una mecánico /
Maquinista de clase mundial, una profesión que te brindaría trabajo bien pagado en cualquier
Parte de la tierra de por vida. Fuiste verdaderamente un genio mecánico quien años más tarde
Añadiría electrónica, mecánica de automóviles y soldadura especializada a tus capacidades.

Dado un taller de máquinas bien montado, podrías con ingeniería inversa duplicar cada maquina
Y montar uno idéntico sin referencia a planes ni instrucciones. Te convertiste en un mecánico
Maestro dotado, y trabajaste en posiciones de línea y de supervisión en un puñado de empresas
En Argentina y en los Estados Unidos, incluyendo a Westinghouse, Warner-Lambert y Pepsi Co.

Te encantó aprender, especialmente en tus campos (electrónica, mecánica, soldadura), buscando
La perfección en todo lo que hiciste. Cada tarea difícil en el trabajo se te dio a ti toda tu vida.
No dormías por la noche cuando un problema necesitaba solución. Hacías cálculos,
Dibujos, planes y trabajabas incluso literalmente en tus sueños con pasión singular.

Estabas en tu elemento enfrentando los rigores académicos y físicos de la escuela militar,
Pero la vida era difícil para ti en la época de Franco cuando algunos instructores
Te llamaban "Roxo" - "rojo" en gallego - que se refería a la política de tu padre en
Apoyo a la República fallida. Finalmente, el abuso fue demasiado para soportar.


Una vez mientras estabas de pie en la atención en un pasillo con los otros cadetes esperando
Dar lista, fuiste repetidamente empujado en la espalda subrepticiamente. Moverte provocaría
Deméritos, y deméritos podrían causar la pérdida de puntos en tu grado final y arresto por
Los fines de semana sucesivos. Lo aguantaste un rato hasta perder la paciencia.

Volteaste hacia el cadete detrás tuyo y en un movimiento fluido lo cogiste por la chaqueta y con
Una mano lo colgaste en un gancho por encima de una ventana donde estaban Parados. Se
Arremolinó, hasta que fue rescatado por dos instructores militares furiosos.
Tuviste detención de Fin de semana durante meses, y una reducción del 10% en el grado final.

Un destino similar le ocurrió un compañero de trabajo unos años más tarde en Buenos Aires que
Te llamó hijo de puta. Lo levantaste en una mano por la garganta y lo mantuviste allí hasta que
Tus compañeros de trabajo intervinieron, rescatándolo al por la fuerza. La lección fue aprendida
Por todos en términos inconfundibles: Dejar a la mamá de Felipe en paz.

Eras increíblemente fuerte, especialmente en tu juventud, sin duda en parte debido a un trabajo
Agrícola riguroso, tu entrenamiento militar y participación en deportes competitivos. A los quince
Años, una vez te doblaste para recoger algo en vista de un carnero, presentando al animal un
Objetivo irresistible. Te cabeceo encima de un pajar. También aprendió rápidamente su lección.

Te sacudiste el polvo, y corriste hacia el pobre carnero, agarrándolo por los cuernos, girándolo
Alrededor varias vueltas, y lanzándolo encima del mismo pajar. El animal no resultó herido, pero Aprendió a mantener su distancia a partir de ese día. En general, fuiste muy lentos en enfadar
Ausente cabeceos, empujones repetidos o referencias irrespetuosas a tu madre.

Rara vez te vi enfadado; y era mamá, no tú, la disciplinaria, con zapatilla en la mano. Recibí
Muy pocas bofetadas tuyas. Mamá me golpeaba con una zapatilla a menudo cuando yo era
Pequeño, sobre todo porque podía ser un verdadero dolor de cabeza, queriendo Saber / intentar / Hacerlo todo, completamente ajeno al significado de la palabra "no" o de mis limitaciones.

Mamá a veces insistía en que me dieras una buena paliza. En una de esas ocasiones por una Transgresión olvidada cuando yo tenía nueve años, me llevaste a tu habitación, quitaste el
Cinturón, te sentaste a mi lado y te pegaste varias veces a tu propio brazo y mano susurrándome
"Llora", lo cual hice fácilmente. "No se lo digas a mamá." No lo hice. Sin duda lo sabía.

La perspectiva de servir en un ejército que te consideraba un traidor por la sangre se te hizo
Difícil de soportar, y en el tercer año de escuela, un año antes de la graduación, te fuiste a unirte
A tu padre exiliado en Argentina, a comenzar una nueva vida. Dejaste atrás a tu amada madre y a
Dos hermanas para comenzar de nuevo en una nueva tierra. Tu querido perro murió de pena.

Llegaste a Buenos Aires para ver a un padre que no recordabas a los 17 años. Eras demasiado
Joven para trabajar legalmente, pero parecías más viejo que tus años (un rasgo compartido).
Mentiste acerca de tu edad e inmediatamente encontraste trabajo como maquinista / mecánico de
Primer grado. Eso fue inaudito y te trajo algunos celos y quejas en el taller sindical.

El sindicato se quejó con el gerente general sobre tu sueldo y rango. Él respondió, "Daré el
Mismo rango y salario a cualquier persona en la compañía que pueda hacer lo que Felipe hace."
Sin duda, los celos y los gruñidos continuaron durante un tiempo. Pero no había compradores.
Y pronto ganaste el grupo, convirtiéndote en su mascota protegida como "hermano pequeño".

Tu padre partió hacia España dentro de un año de tu llegada cuando Franco emitió un perdón
General a todos los disidentes que no habían derramado sangre. Quería que volvieras a
Reanudar el negocio familiar asumido por tu madre en su ausencia con tu ayuda. Pero te negaste a Renunciar tu alto salario, el respeto y la independencia que se te negaban en su casa.

Tendrías escasamente 18 años, viviendo en una habitación que habías compartido con tu padre al
Lado de una escuela. Pero también habías encontrado una nueva querida familia en tu tío José,
Uno de los hermanos de tu padre, y su familia. su hija, Nieves con su esposo, Emilio, y
Sus hijos, Susana, Oscar (Rubén Gordé) y Osvaldo, se convirtieron en tu nueva familia nuclear.

Te casaste con mamá en 1955 y tuviste dos negocios fallidos en el rápido desvanecimiento en la
Argentina a finales de los años 1950 y comienzos de los años 1960. El primero fue un taller
Con una pequeña fortuna de contratos de gobierno no pagados. El segundo, una tienda de
Comestibles, también falló debido a la hiperinflación y el crédito extendió a clientes necesitados.

A lo largo de todo esto, seguiste ganando un salario excepcionalmente bueno. Pero a mediados
De los años 60, casi todo fue a pagar a los acreedores de la tienda de comestibles fallada.
Tuvimos años muy difíciles. Algún día escribiré sobre eso. Mamá trabajo de sirvienta, incluso
Para amigos ricos. Tu salías de casa a las 4:00 a.m. volviendo de noche para pagar las facturas.

El único lujo que tú y mamá retuvieron fue mi colegio católico. No había otra extravagancia. No
Pagar las facturas nunca fue una opción para ustedes. Nunca entró en sus mentes. No era una
Cuestión de ley u orgullo, sino una cuestión de honor. Pasamos por lo menos tres años muy
Dolorosos con tu y mamá trabajando muy duro, ganando bien pero éramos realmente pobres.

Tú y mamá se cuidaron mucho de esconder esto de mí y sufrieron grandes privaciones para
Aislarme lo mejor que pudieron de las consecuencias de una economía destrozada y su efecto a
Sus ahorros de vida y a nuestra cómoda vida. Llegamos a Estados Unidos a finales de los años 60 Después de esperar más de tres años por visas, a una nueva tierra de esperanza.

Tu hermana y cuñado, Marisa y Manuel, hicieron sus propios sacrificios para traernos aquí.
Traíamos unos $ 1, 000 del pago inicial por nuestra diminuta casa, y las joyas empeñadas de Mamá.
(La hiperinflación y los gastos comieron los pagos restantes). Otras posesiones preciadas
Fueron dejadas en un baúl hasta que pudieran reclamarlas. Nunca lo hicieron.

Incluso los billetes de avión fueron pagados por Marisa y Manuel. Insististe al llegar en términos
Escritos para el reembolso con intereses. Fuiste contratado en tu primera entrevista como un
Mecánico de primer grado a pesar de no hablar una palabra de inglés. Dos meses más tarde, la
Deuda fue saldada, mamá también trabajaba, y nos mudamos a nuestro primer apartamento.

Trabajaste largas horas, incluyendo sábados y horas extras diarias. La salud en declive te obligó
A retirarte a los 63 años y poco después, tú y mamá se mudaron de Queens al Condado de Orange. Compraron una casa a dos horas de nuestra residencia permanente en el Condado de Otsego, y, en la Próxima década, fueron felices, viajando con amigos y visitándonos a menudo.

Entonces las cosas empezaron a cambiar. Problemas cardíacos (dos marcapasos), cáncer de
Colon, Melanoma, enfermedad de hígado y renal causada por sus medicamentos, presión arterial
Alta, la gota, Cirugía de la vejiga biliar, diabetes.... Y aún seguiste hacia adelante, como el
Conejito “Energizer”, remendado, golpeado, magullado pero imparable e imperturbable.

Luego mamá comenzó a mostrar señas de pérdida de memoria junto con sus otros problemas de
Salud. Ella oculto bien sus propias dolencias, y nos dimos cuenta mucho más tarde que había un Problema grave. Hace dos años, su demencia empeoraba pero seguía funcionando hasta que
Complicaciones de cirugía de la vesícula biliar requirieron cuatro cirugías en tres meses.

Ella nunca se recuperó y tuvo que ser colocada en un asilo de ancianos con cuido intensivo.
Varios, de hecho, ya que Rechazó la comida y tú y yo nos negamos a simplemente dejarla ir, lo que Pudiera haber sido más noble. Pero "mientras hay vida, hay esperanza" como dicen los españoles.
No hay nada más allá del poder de Dios. Los milagros suceden.

Durante dos años tu viviste solo, rechazando ayuda externa, engendrando numerosos argumentos Acerca de tener a alguien unos días a la semana para ayudar a limpiar, cocinar, y hacer las tareas.
Tu no eras nada sino terco (otro rasgo compartido). El último argumento sobre el tema hace unas
Dos semanas terminó en tu llanto. No aceptarías ayuda externa hasta que mamá regresara a casa.

Sufriste un gran dolor debido a los discos abultados en la columna vertebral y caminabas con uno
De esos asientos ambulatorios con manillares que mamá y yo te elegimos hace años. Te
Sentabas cuando el dolor era demasiado, y luego seguías adelante con pocas quejas. Hace diez
Días, finalmente acordaste que necesitabas ir al hospital para drenar el líquido abdominal.
Tu hígado y riñones enfermos lo producían y se te hinchó el abdomen y las piernas hasta el punto
Que ponerte los zapatos o la ropa era muy difícil, como lo era la respiración. Me llamaste de una
Tienda local llorando que no podías encontrar pantalones que te cupieran. Hablamos, un rato y te
Calmé, como siempre, no permitiendo que te ahogaras en la lástima propia.

Fuiste a casa y encontraste unos pantalones nuevos extensibles que Alice y yo te habíamos
Comprado y quedaste feliz. Ya tenías dos cambios de ropa que aún te cabían para llevar al
Hospital. Listo, ya todo estaba bien. El procedimiento no era peligroso y lo había ya pasado
Varias veces.  Sería necesario un par de días en el hospital y te vería de nuevo el fin de semana.

No pude estar contigo el lunes 22 de febrero cuando tuviste que ir al hospital, como casi siempre
Lo había hecho, por el trabajo. Se suponía que debías ser admitido el viernes anterior, para yo Acompañarte, pero los médicos también tienen días libres y cambiaron la cita. No pude faltar al
Trabajo. Pero no estabas preocupado; Esto era sólo rutina. Estarías bien. Te vería en unos días.

Iríamos a ver a mamá el viernes, cuando estarías mucho más ligero y te sentirías mucho mejor.
Tal vez podríamos ir a comprate más ropa si la hinchazón no disminuía lo suficiente. Condujiste
Al médico y luego te transportaron por ambulancia al hospital. Yo estaba preocupado, pero no Demasiado. Me llamaste sobre las cinco de la tarde para decirme que estabas bien, descansando.

“No te preocupes. Estoy seguro aquí y bien cuidado." Hablamos un poco sobre lo usual, y te
Asegure que te vería el viernes o el sábado. Estabas cansado y querías dormir. Te pedí que me Llamaras si despertabas más tarde esa noche o te hablaría yo al día siguiente. Alrededor de
Las 10:00 p.m. recibí una llamada de tu celular y respondí de la manera habitual optimista.

“Hola, Papi.” En el otro lado había una enfermera que me decía que mi padre había caído.
Le aseguré que estaba equivocada, ya que mi padre estaba allí para drenar el líquido abdominal.
"No entiendes. Se cayó de su cama y se golpeó la cabeza en una mesita de noche o algo,
Y su corazón se ha detenido. Estamos trabajando en él durante 20 minutos y no se ve bien ".

"¿Puedes llegar aquí?" No pude. Había bebido dos o tres vasos de vino poco antes de la llamada
Con la cena. No pude conducir las tres horas a Middletown. Lloré. Oré. Quince minutos después
Recibí la llamada de que te habías ido. Perdido en el dolor, sin saber qué hacer, llamé a mi
Esposa. Poco después vino una llamada del forense. Se requirió una autopsia. No pudría verte.

Cuatro días después tu cuerpo fue finalmente entregado al director de funeraria que había
Seleccionado por su experiencia con el proceso de entierro en España. Te vi por última vez para Identificar tu cuerpo. Besé mis dedos y toqué tu frente mutilada. Ni siquiera podrías tener la
Dignidad de un ataúd abierto. Querías cremación. Tu cuerpo lo espera mientras escribo esto.

Estabas solo, incluso en la muerte. Solo. En el hospital, mientras desconocidos trabajaron en ti. En la Oficina del médico forense mientras esperabas la autopsia. En la mesa de la autopsia
Mientras pinchaban, empujaban, y cortaban tu cuerpo buscando indicios irrelevantes que no
Cambiarían nada ni beneficiarían a nadie, y menos que a nadie a ti.

Tendremos un servicio conmemorativo el próximo viernes con tus cenizas y una misa el sábado.
Nunca más te veré en esta vida. Alice y yo te llevaremos a casa, a tu pueblo natal, al
Cementerio de Olearos, La Coruña, España este verano. Allí esperarás el amor de tu vida.
Quién se unirá contigo en la plenitud del tiempo. Ella no comprendió mis lágrimas ni tu muerte.

Hay una bendición en la demencia. Ella pregunta por su madre, y dice que está preocupada
Porque no ha venido a visitarla en algún tiempo. “Ella viene”, me asegura siempre que la veo.
Tú la visitabas todos los días, excepto cuando la salud lo impedía. Pasaste este 10 de febrero aparte,
El aniversario 61 de bodas, demasiado enfermo para visitarla. Tampoco yo pude ir. Primera vez.

Espero que no te hayas dado cuenta de que estabais aparte el 10, pero dudo que sea el caso.
No te lo mencioné, esperando que lo hubieras olvidado, y tú tampoco. Eras mi conexión con Mamá.
No puede marcar o contestar un teléfono. Tu le ponías el teléfono celular al oído cuando
Yo no estaba en clase o en reuniones y podía hablar con ella. Ella siempre me reconoció.
Estoy a tres horas de ella. Los visitaba una o dos veces al mes. Ahora incluso esa línea de
Vida está cortada. Mamá está completamente sola, asustada, confundida, y no puedo en el corto
Plazo al menos hacer mucho sobre eso. No habías de morir primero. Fue mi mayor temor, y el
Tuyo, pero como con tantas cosas que no podemos cambiar, lo puse en el fondo de mi mente.

Me mantuvo en pie muchas noches, pero, como tú, todavía creía --y creo-- en milagros.
Yo te hablaba todas las noches, a menudo durante una hora o más, en el camino a casa del trabajo Tarde por la noche durante mi hora de viaje, o desde casa mientras cocinaba mi cena.
La mayoría del tiempo te dejaba hablar, tratando de darte apoyo y aliento.

Estabas solo, triste, atrapado en un ciclo sin fin de dolor emocional y físico. Últimamente eras Especialmente reticente a colgar el teléfono. Cuando mamá estaba en casa y todavía estaba
Relativamente bien, yo llamaba todos los días también, pero por lo general hablaba contigo sólo
Unos minutos y le dabas el teléfono a mamá, con quien conversaba por mucho más tiempo.

Durante meses tuviste dificultades para colgar el teléfono. Sabía que no querías volver al sofá,
Para ver un programa de televisión sin sentido, o para pagar más facturas. Me decías adiós, o
"Ya basta para hoy", y comenzar inmediatamente un nuevo hilo, repitiendo el ciclo, a veces cinco o seis Veces. Me dijiste una vez llorando recientemente, "Cuélgame o seguiré hablando".

Te quería, papá, con todo mi corazón. Discutimos, y yo a menudo te gritaba con frustración,
Sabiendo que nunca lo tomarías a pecho y que por lo general solo me ignorarías y harías lo que querías. Sabía lo desesperadamente que me necesitabas, y traté de ser tan paciente como pude.
Pero había días en los que estaba demasiado cansado, frustrado, y lleno de otros problemas.

Había días en los que me sentía frustrado cuando te quedabas en el teléfono durante una hora
Cuando necesitaba llamar a Alice, comer mi cena fría o incluso mirar un programa favorito.
Muy rara vez te corté una conversación por lo larga que fuese, pero si estuve frustrado a veces,
Incluso sabiendo bien cuánto me necesitabas y yo a ti, y cuán poco me pediste.

¿Cómo me gustaría oír tu voz de nuevo, incluso si fuera quejándote de las mismas cosas, o
Para contarme en detalle más minucioso algún aspecto sin importancia de tu día. Pensé que te haría
Tener al menos un poco más de tiempo. ¿Un año? ¿Dos? Sólo Dios sabía. Habría tiempo. Tenía
Mucho más que compartir contigo, mucho más de aprender cuando la vida se relajara un poco.

Tú me enseñaste a pescar (no tomó) y a cazar (que tomó aún menos) y mucho de lo que sé sobre
La mecánica y la electrónica. Trabajamos en nuestros coches juntos durante años--cambios de
Frenos, silenciadores, “tuneas” en los días en que los puntos, condensadores y luces de
Cronometraje tenían significado. Reconstruimos carburadores, ventanas eléctricas, y chapistería.

Éramos amigos, bunos amigos. Fuimos los domingos en coche a restaurantes favoritos o a
Comprar herramientas cuando yo era soltero y vivía en casa. Me enseñaste todo lo que necesito
Saber en la vida sobre todas las cosas que importan. El resto es papel sin sentido y vestidor.
Conocí tus pocas faltas y tus colosales virtudes y te conocí ser el mejor hombre de los dos.

Ni punto de comparación. Nunca podría hacer lo que hiciste. Nunca podría sobresalir en mis
Campos como lo hiciste en los tuyos. Eras hecho y derecho en todos los sentidos, visto desde
Todos los ángulos, a lo largo de tu vida. No te traté siempre así, pero te amé siempre
Profundamente, como lo sabe cualquiera que nos conoce. Te lo he dicho a menudo, sin vergüenza.

El mundo se ha enriquecido con tu viaje sobre él. No dejas atrás gran riqueza, ni obras que te Sobrevivan. Nunca tuviste tus quince minutos al sol. Pero importaste. Dios conoce tu virtud, tu
Integridad absoluta y la pureza de tu corazón. Nunca conoceré a un hombre mejor. Te amaré, te Extrañaré y te llevaré en mi corazón todos los días de mi vida. Que Dios te bendiga, papá.

  Si desean oír mi lectura de la versión original de este poema en inglés, pueden hacerlo aquí:
https://www.youtube.com/channel/UCRUiSZr1_rWDEObcWJELP7w
This is a translation from the English original I wrote immediately after my dad's passing in February of 2016.  Even in the hardest of times suffering from his own very serious medical conditions, my dad was full of love and easy laughter. I will never see his equal, or my mom's. Tears still blur my eyes as they do now just thinking of them with great love and an irreparable sense of loss.
tangshunzi Jul 2014
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Santiago Jun 2015
Este amor apasionado, anda todo alborotado , por volver.
voy camino a la locura y aunque todo me tortura, se querer.

Nos dejamos hace tiempo pero me llego el momento de perder
tu tenias mucha razon, le hago caso al corazon y me muero
por volver

'Y volver volver, volver a tus brazos otra vez, llegare hasta donde estes
yo se perder,yo se perder, quiero volver, volver, volver.'

Nos dejamso hace tiempo pero me llego el momento de perder
tu tenias mucha razon, le hago caso al corazon y me muero por volver.

'Y volver volver, volver a tus brazos otra vez, llegare hasta donde estes
yo se perder, yo se perder, quiero volver, volver, volver.
Entre las ondas azules
Del bello Mediterráneo,
En el Golfo de Trieste
Surgiendo entre los peñascos,
Hay un alcázar que ostenta
Con gran arte entrelazados
En muros y minaretes
Lo gótico y lo cristiano.
Parece visto de lejos
Airoso cisne de mármol,
Que extiende las blancas alas
Entre dos abismos claros,
El del mar siempre sereno
Y el del cielo siempre diáfano.

Ese alcázar tan hermoso
En tiempos no muy lejanos,
Por mirar tanto las olas
De Miramar le llamaron,
Y en él vivieron felices
Dos príncipes de alto rango,
Dos seres de regia estirpe:
Carlota y Maximiliano.

En una tarde serena,
Al bello alcázar llegaron
Con una rara embajada
Varios próceres extraños;
Penetran a los salones
Y al noble príncipe hablando,
En nombre de un pueblo entero
(Que no les dio tal encargo)
Le ofrecieron la corona
Del Imperio Mejicano.

El Príncipe quedó absorto,
Para responder dio un plazo;
Soñó en pompas, en honores,
En fama, en poder, en lauros
Y al despertar de aquel sueño,
Al volver de tal encanto,
A su joven compañera
Le fue a consultar el caso.
«Acepta -dijo Carlota-,
Eres grande, noble y apto,
Y de este alcázar a un trono
Tan solamente hay un paso».

No corrida una semana,
El Príncipe meditando
En las difíciles luchas
De los grandes dignatarios,
Miraba tras los cristales
De su espléndido palacio
Enfurecerse las olas,
Rojo surgir el relámpago,
Y con bramidos horribles
Rugir los vientos airados.

De pronto, un ujier le anuncia
Que un extranjero, ya anciano,
Hablarle solicitaba
Con urgencia y en el acto.
Sorprendido el Archiduque
Dijo al ujier: «Dadle paso»;
Y penetró en los salones
Aquel importuno extraño,
De tez rugosa y enjuta,
De barba y cabello cano.

En frente del Archiduque
Dijo con acento franco:
«Vengo, señor, para veros
Desde un pueblo muy lejano,
Desde un pueblo cuyo nombre
Jamás habréis escuchado;
Yo nací en Aguascalientes,
En el suelo mejicano,
Serví a don Benito Juárez
De quien ya os habrán hablado,
Le serví como Ministro,
Soy su firme partidario,
Y mientras aquí os engañan,
Yo vengo a desengañaros;
No aceptéis, señor, un trono
Que tiene cimientos falsos,
Ni os ciñáis una corona
Que Napoleón ha labrado.
No quiere Méjico reyes,
El pueblo es republicano
Y si llegáis a mi patria
Y os riegan palmas y lauros,
Sabed que tras esas pompas
Y esos mentidos halagos
Pueden estar escondidos
El deshonor y el cadalso».

Oyendo aquestas palabras
Dichas por aquel anciano,
A tiempo que por los aires
Cruzó veloz un relámpago,
Tiñendo en color de sangre
La inmensidad del espacio,
Sin dar respuesta ninguna
Quedóse Maximiliano
Rígido, lívido, mudo,
Como una estatua de mármol.

Corrió inexorable el tiempo,
huyeron breves los años
Y en una noche de junio
Triste, sombrío, ensimismado,
En vísperas de la muerte
El Archiduque germano
En su celda de Querétaro
Y en sus desgracias pensando,
Así dijo conmovido
A uno de los abogados
Que tueron a despedirse
En momentos tan aciagos:
«Todo lo que hoy me sucede
A tiempo me lo anunciaron;
Un profeta he conocido
Que sin doblez, sin engaño,
Me auguró que en esta tierra
A donde vine cegado,
El pueblo no quiere reyes
Ni gobernantes extraños,
Y que si lauros y palmas
Se me regaban al paso
Tras ellos encontraría
El deshonor y el cadalso».
-¿Quién ha sido ese profeta?
Al Príncipe preguntaron:
«Era un ministro de Juárez
Sincero, patriota, honrado,
Don Jesús Terán, que ha muerto
En su hacienda hará dos años
¡Ah! ¡Si yo le hubiera oído!
iSi yo le hubiera hecho caso!
¡Hoy estuviera en mi alcázar
Con los seres más amados,
Y no contara los horas
Para subir al cadalso!!»
Danielle Furtado Nov 2014
Nasceu no dia dos namorados. Filho de mãe brasileira com descendência holandesa e pai português. Tinha três irmãos: seu gêmeo Fabrício, o mais velho, Renato, e o terceiro, falecido, que era sua grande dor, nunca dizia seu nome e ninguém se atrevia a perguntar.
A pessoa em questão chamaremos de Jimmy. Jimmy Jazz.
Jimmy morava em Portugal, na cidade de Faro, e passou a infância fazendo viagens ao Brasil a fim de visitar a família de sua mãe; sempre rebelde, colecionava olhares tortos, lições de moral, renegações.
Seu maior inimigo, também chamado por ele de pai, declarou guerra contra suas ideologias punk, seu cabelo que gritava anarquismo, e a vontade que tinha ele de viver.
Certo dia, não qualquer dia mas no natal do ano em que Jimmy fez 14 anos, seu pai o expulsou de casa. Mais um menino perdido na rua se tornou o pequeno aspirante à poeta, agora um verdadeiro marginal.
Não tinha para onde ir. Sentou-se na calçada, olhou para seus pés e agradeceu pela sorte de estar de sapatos e ter uma caneta no bolso no momento da expulsão, seu pai não o deixara com nada, nem um vintém, e tinha fome.
Rondou pelas mesmas quadras ao redor de sua casa por uns dias, até se cansar dos mesmos rostos e da rotina daquela região, então tomou coragem e resolveu explorar outras vidas, havia encontrado um caderno em branco dentro de uma biblioteca pública onde costumava passar o dia lendo e este seria seu amigo por um bom tempo.
Orgulhoso, auto-suficiente, o menino de apenas 14 anos acabou encontrando alguém como ele, por fim. Seu nome era Allan, um punk que, apesar de ainda ter uma casa, estava doido para ir embora viver sua rotina de não ter rotina alguma, e eles levaram isso muito à sério.
Logo se tornaram inseparáveis, arrumaram emprego juntos, que não era muito mas conseguiria mantê-los pelo menos até terminarem a escola, conseguiram alugar uma casa e compraram um cachorro que nunca ganhou nome pois não conseguiam entrar em acordo sobre isso, Jimmy tinha também um lagarto de estimação que chamava de Mr. White, sua paixão.
Os dois amigos começaram a frequentar o que antes só viam na teoria: as festas punk; finalmente haviam conseguido o que estavam procurando há tempos: liberdade total de expressão e ação. Rodeados por todos os tipos de drogas e práticas sexuais, mas principalmente, a razão de todo o movimento: a música.
Jimmy tinha inúmeras camisetas dos Smiths, sua banda favorita, e em seu quarto já não se sabia a cor das paredes que estavam cobertas por pôsteres de bandas dos anos 80 e 90, décadas sagradas para qualquer amante da música e Jimmy era um deles, sem dúvida.
Apesar da vida desregrada que levava com o amigo, Jimmy conseguiu ingressar na faculdade de Letras, contribuindo para sua vontade de fazer poesia, e Allan em enfermagem. Os dois, ao contrário do que seus familiares pensavam, eram extremamente inteligentes, cultos, criaram um clube de poesia com mais dois ou três amigos que conheceram em uma das festas e chamaram de "Sociedade dos Poetas Mortos... e Drogados!", fazendo referência ao filme de  Peter Weir.
O nome não era apenas uma piada entre eles, era a maior verdade de suas vidas, eles eram drogados, Jimmy  era viciado em heroína, Allan também mas em menos intensidade que seu parceiro.
Jimmy não era hétero, gay, bissexual ou qualquer outra coisa que se encaixe dentro de um quadrado exigido pela sociedade, Jimmy era do amor livre, Jimmy apenas amava. E com o passar o tempo, amava seu amigo de forma diferente, assustado pelo sentimento, escondeu o maior tempo que pôde até que o sentimento sumisse, afinal é só um hormônio e a vida voltaria ao normal, mas a amizade era e sempre seria algo além disso: uma conexão espiritual, se acreditassem em almas.
Ambos continuaram suas vidas sendo visitados pela família (no caso de Jimmy, apenas sua mãe) duas vezes ao ano, no máximo, e nesses dias não faziam questão de esconderem seus cigarros, piercings ou qualquer pista da vida que levavam sozinhos, afinal, não os devia mais nada já que seus vícios, tanto químicos quanto musicais, eram bancados por eles mesmos.
Era 14 de fevereiro e Jimmy completara 19 anos, a vida ainda era a mesma, o amigo também, mas sua saúde não, principalmente sua saúde mental.
O poeta de sofá, como alguns de nós, sofria de um existencialismo perturbador, o mundo inteiro doía no seu ser, e não podia fazer muito sobre aquilo, afinal o que poderia fazer à respeito senão escrever?
Até pensou em viver de música já que tocava dois instrumentos, mas a ideia de ter desconhecidos desfrutando ou zombando dos seus sentimentos mais puros não lhe era agradável. Continuou a escrever sobre suas dores e amores, e se perguntava por que se sentia daquela forma, por que não poderia ser como seu irmão que, apesar de possuírem aparência idêntica, eram extremos do mesmo corpo. Fabrício era apenas outro cidadão português que chegava em casa antes de sua mãe ficar preocupada, não que ele fosse um filho exemplar, ele só era... normal, e era tudo que Jimmy não era e jamais gostaria de ser; aliás, ter uma vida comum era visto com desprezo pelos olhos dele, olhos que, ainda tão cedo, haviam visto o melhor e o pior da vida, já não acreditava em nada, nem em si mesmo, nem em deus, nem no universo, nem no amor.
Como poderia alguém amar uma pessoa com tanta dor dentro de si? Como ele explicaria sua vontade de morrer à alguém que ele gostaria de passar a vida toda com? Era uma contradição ambulante. Uma contradição de olhos azuis, profundos, e com hematomas pelo corpo todo.
Aos 20 anos, o tédio e a depressão ainda controlavam seu estado emocional a maior parte do tempo, aos domingos era tudo pior, existe algo sobre domingo à tarde que é inexplicável e insuportável para os existencialistas, e para ele não seria diferente. Em um domingo qualquer, se sentindo sozinho, resolveu entrar em um chat online daqueles famosos, e na primeira tentativa de conversa conheceu uma moça do Brasil, que como ele, amava a banda Placebo e sendo existencialista, também sofria de solidão, o que facilitou na construção dos assuntos.
Ela não deu muita importância ao português que dizia "não ser punk porque punks não se chamam de punks", já estava cansada de amores e amizades à distância, decidiu se despedir. O rapaz, insistente e talvez curioso sobre a pessoa com quem se deparara por puro acaso, perguntou se poderiam conversar novamente, e não sabendo a dor que isso a causaria, cedeu.
Assim como havia feito com Allan, Jimmy conquistou Julien, a nova amiga, rapidamente. De um dia para o outro, se pegou esperando para que Jimmy voltasse logo para casa para que pudessem conversar sobre poesia, música, começo e fim da vida, todos os porquês do mundo em apenas uma noite, e então perceberam que já não estavam sozinhos, principalmente ela, que havia tempo não conhecia alguém tão interessante e único quanto ele.
Não demorou muito para que trocassem confidências e os segredos mais íntimos, mas nem tudo era tão sério, riam juntos como nunca antes, e todos sabem que o caminho para o coração de uma mulher é o bom humor, Julien se encontrava perdidamente apaixonada pelo ****** que conhecera num site de relacionamentos e isso se tornaria um problema.
Qualquer relacionamento à distância é complicado por natureza, agora adicione dois suicidas em potencial, um deles viciado em heroína e outra que de tão frustrada já não ligava tanto para sede de viver que sentia, queria apenas ler poesia longe de todas as pessoas comuns, essas que ambos abominavam.
Jimmy era todos os ídolos de Julien comprimidos dentro de si. Ele era Marilyn Manson, era Brian Molko, era Gerard Way, Billy Corgan, Kurt Cobain, mas acima de todos esses, Jimmy era Sid Vicious e Julien sonhava com seus dias de Nancy.
Ele era o primeiro e último pensamento dela, e se tornou o tema principal de toda as poesias que escrevia, assim como as que lia, parecia que todas eram sobre o luso-brasileiro que considerava sua cópia masculina. Jimmy, como ela, era feminista, cheio de ideologias e viciado em bandas, mas ao contrário dela, não teria tanto tempo para essas coisas.
Estava apaixonado por um rapaz brasileiro, Estêvão, que também dizia estar apaixonado por ele mas nunca passaram disso, e logo se formou um semi-triângulo amoroso, pois Julien sabia da existência da paixão de Jimmy, mas Estêvão não sabia que existia outra brasileira que amava a mesma pessoa perdidamente. Não sentiu raiva dele, pelo contrário, apoiava o romance dos dois já que tudo que importava à ela era a felicidade de Jimmy, que como ela, era infeliz, e as chances de pessoas como eles serem felizes algum dia é quase nula.
O brasileiro era amante da MPB e da poesia do país, assim como amava ouvir pós-punk e escrever, interesses que eram comum aos três perdidos, mas era profissional para ele já que conseguira que seus trabalhos fossem publicados diversas vezes. Se Jimmy era Sid Vicious, Julien desejava ser Nancy (ou Courtney Love dependendo do humor), Estêvão era Cazuza.
Morava sozinho e não conseguia se fixar em lugar algum, estava à procura de algo que só poderia achar dentro dele mesmo mas não sabia por onde começar; convivia com *** há alguns meses na época, mas estava relativamente bem com aquilo, tinha um controle emocional maior do que nosso Sid.
Assim como aconteceu com Allan e Julien, não demorou muito para que Estêvão caísse nos encantos de Jimmy, que não eram poucos, e não fazia mais tanta questão de esconder o que sentia por ele. Dono de olhos infinitamente azuis, cabelo bagunçado que mudava de cor frequentemente, corpo magro, pálido, e escrevia os versos mais lindos que poderia imaginar, Jimmy era o ser mais irresistível para qualquer um que quisesse um bom tema para escrever.
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Julien era de uma cidade pequena do Brasil, onde, sem a internet, jamais poderia ter conhecido Jimmy, que frequentava apenas as grandes cidades do país. Filha de pais separados, tinha o mesmo ódio pelo pai que ele, mas diferente do amigo, seu ódio era usado contra ela mesma, auto-destrutiva é um termo que definiria sua personalidade. Era de se esperar que ela se apaixonasse por alguém viciado em drogas, existe algo de romântico sobre tudo isso, afinal.
Em uma quarta-feira comum, antecipada por um dia nublado, escreveu:

Minhas palavras, todas tiradas dos teus poemas
Teu sotaque, uma voz imaginada
Que obra de arte eram teus olhos
Feitos de um azul-convite

E eu aceitei.


Jimmy era agora seu mundo, e qualquer lugar do mundo a lembrava dele. Qualquer frase proferida aleatoriamente em uma roda de amigos e automaticamente conseguia ouvir sua opinião sobre o assunto, ela o conhecia como ninguém, e em tão pouco tempo já não precisavam falar muita coisa, os dois sabiam dos dois.
Desejava que Jimmy fosse inteiramente dela, corpo e mente, que cada célula de seu ser pudesse tocar todas as células do dela, e que todos os pensamentos dele fossem sobre amá-la, mas como a maioria das coisas que queria, nada iria acontecer, se achava a pessoa mais azarada do mundo (e provavelmente era).
Em uma noite qualquer, após esperar o dia todo ansiosa pela hora em que Jimmy voltaria da faculdade, ele não apareceu. Bom, ele era mesmo uma pessoa inconstante e já estava acostumada à esse tipo de surpresa, mas existia algo diferente sobre aquela noite, sabia que Jimmy estava escondendo alguma coisa dela pois há dias estava estranho e calado, dormia cedo, acordava tarde, não comia, e as músicas que costumavam trocar estavam se tornando cada vez mais tristes, mas era inútil questionar, apesar da intimidade, ele se tornara uma pessoa reservada, o que era totalmente compreensível.
Após três ou quatro dias de aflição, ele finalmente volta e não parece bem, mesmo sem ver seu rosto, conhecia as palavras usadas por ele em todos os momentos. Preocupada com o sumiço, foi logo questionando sua ausência com certa raiva e euforia, Jimmy não respondia uma letra sequer. Julien deixou uma lágrima escorrer e implorou por respostas, tinha a certeza de que algo estava muito errado.
"Acalme-se, ou não poderei lhe contar hoje. Algo aconteceu e seu pressentimento está mais que correto, mas preciso que entenda o meu silêncio", disse à ela.
Julien não respondeu nada além de "me dê seu número, sinto que isso não é algo que se conta por escrito".
Discando o número gigantesco, cheio de códigos, sabia que assim que terminasse aquela ligação teria um problema muito maior do que a alta taxa que é cobrada por ligações internacionais. Ele atendeu e começou a falar interrompendo qualquer formalidade que ela viria a proferir:

– Apenas escute e prometa-me que não irá chorar.
Ela não disse nada, aceitando a condição.
– Há tempos não sinto-me bem, faço as mesmas coisas, não mudei meus costumes, embora deveria mas agora é tarde demais. Sinto-me diferente, meu corpo... fraco. Preciso te contar mas não tenho as palavras certas, acho que nem existem palavras certas para o que estou prestes à dizer então serei direto: descobri que sou *** positivo. ´
Um silêncio quase mórbido no ar, dos dois lados da linha.
Parecia-se com um tiro que atravessou o estômago dos dois, e nenhum podia falar.
Julien quebrou o silêncio desligando o telefone. Não podia expressar a dor que sentia, o sentimento de injustiça que a deixava de mãos atadas, Ele era a última pessoa do mundo que merecia aquilo, para ela, Jimmy era sagrado.

Apenas uma pessoa soube da nova situação de Jimmy antes de Julien: Allan.
Dois dias antes de contar tudo à amiga, Jimmy havia ido ao hospital sozinho, chegou em casa mais cedo, sentou-se no sofá e quis morrer, comparou o exame médico à um atestado de óbito e deu-se por morto. Allan chegou em casa e encontrou o amigo no chão, de olhos inchados, mãos trêmulas. Tirou o envelope de baixo dos braço de Jimmy, que o segurava como se fosse voar a qualquer instante, como se tivesse que apertar ao máximo para ter certeza de que aquilo era real. Enquanto lia os papéis, Jimmy suplicava sua morte, em meio à lágrimas, Allan lhe beijou como o amante oculto que foi por anos, com lábios fracos que resumiam a dor e o medo mas usou um disfarce para o pânico que sentia e sussurrou "não sinto nojo de ti, meu amigo, não estás morto".
Palavras inúteis. Já não queria ouvir nada, saber de nada. Jimmy então tentou dormir mas todas as memórias das vezes que usou drogas, que transou sem saber com quem, onde ou como, estavam piscando como flashes de luz quase cegantes e sentia uma culpa incomparável, um medo, terror. Mas nenhuma memória foi tão perturbadora quanto a da vez em que sofreu abuso ****** em uma das festas. Uma pessoa aleatória e sem grande importância, aproveitou-se do menino pálido e mirrado que estava dormindo no chão, quase desmaiado por culpa de todo o álcool consumido, mas ainda consciente, Jimmy conseguia sentir sua cabeça sendo pressionada contra a poça d'água que estava em baixo de seu corpo, e ouvia risos, e esses mesmos risos estavam rindo dele agora enquanto tentava dormir e rezava pra um deus que não acredita para que tudo fosse um pesadelo.
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Naquele dia, Jimmy, que já era pessimista por si só, prometeu que não se trataria, que iria apenas esperar a morte, uma morte precoce, e que este seria o desfecho perfeito para alguém que envelheceu tão rápido, mas ele não esperaria sentado, iria continuar sua vida de auto-destruição, saindo cedo e voltando tarde, dormindo e comendo mal, não pararia também com nenhum tipo de droga, principalmente cigarro, que era tão importante quanto a caneta ao escrever seus poemas, dizia que sentir a cinza ainda quente caindo no peito o inspirava.
Outra manhã chegou, e mesmo que desejasse com toda força, tudo ainda era real, seus pensamentos eram confusos, dúvidas e incertezas tão insuportáveis que poderiam causar dores físicas e curadas com analgésicos. Trocou o dia pela noite, já não via o sol, não via rostos crús como os que se vê quando estamos à caminho do trabalho, só via os personagens da noite, prostitutas, vendedores de drogas, pessoas que compravam essas drogas, e gente como ele, de coração quebrado, pessoas que perderam amigos (ou não têm), que perderam a si mesmos, que terminaram relacionamentos até então eternos, que já não suportavam a vida medíocre imposta por uma sociedade programada e hipócrita. Continuou indo aos mesmos lugares por semanas, e já não dormia em casa todos os dias, sempre arrumava um espaço na casa de algum amigo ou conhecido, como se doesse encara
D. Furtado
Lesly Jan 2015
Recuerdo exactamente como si fuese ayer. Recuerdo cuando en los veranos mi padre se iba a jugar al campo de futbol y nos llevaba a mi hermana y yo. Andaba un overol estilo chor morado con flores amarillas al lado y teñís negros. Suena como estilo feo y raro pero yo desde peque me vestía diferente. Pero se veía bien. Vale. Miraba a mi papa jugar el futbol como si fuese campeón jajá. Cuando el era joven de 18 anos le había dicho que si quería jugar futbol profesional. Pero mi padre decidió que no. No se porque no tomo esa oportunidad? Estuvo buena.. pero años después se caso con mi mama y nacimos nosotros. Mi hermana gemela, yo y mis dos hermanos.

Las Malta Goya's fueron esas bebidas que me encantaba tomar en esos días súper calientes. Al principio no me gustaba mucho. Wakala dije yo! pero no se como explicar este sentimiento pero mi cuerpo deseaba mas. Ahora que tengo 18 anos los sigo bebiendo. Wow. El que lea esto debería de probar Malta Goya. Cuando lo buscas en Google dice que es cerveza sin alcohol. jeje ;)
COISAS DO ARCO DA VELHA

- Os etês gostam de bunda. Foi o que captei da conversa entre as meninas, enquanto caminhava no calçadão do Liceu.
- Tem caras que não gostam, né; acho que não são chegados; comer um cuzinho será que não faz bem?!
- Cruz credo! Exclamei mentalmente, e segui meu caminho rumo ao Fórum, que fica em frente.
Elas vieram na minha direção, a passos firmes, olhar direto, "você tem fogo...", perguntou a morena pele-de-cuia, "e como tem", observou a loira de olhos azuis, típica europeia, me examinando de cima a baixo, parando os olhos, ostensivamente, na minha barriguilha; "te vejo sempre por aqui", disse a morena, enquanto eu lhe entregava o isqueiro; "é, estou sempre na cantina, tomando café; café de Fórum é choco, frio, fraco, e causa-me asia; então, venho na cantina, às vezes comer alguma coisa", concluí.
- Uma bucetinha, um cuzinho e o que mais? Indagou a loura, acendendo o cigarro.
- Você está sempre cercado de meninas! Não é à toa!! Vai ver é o maior safadão, pica doce.... Completou a morena, sempre combinando seus ataques com a colega.

O Liceu é uma escola destinada à classe média alta, concebida nos tempos do império, onde só entravam filhinhos de papai e seus apadrinhados do aparelho de estado. Mas isso dançou com o advento da república, e hoje, assim como os "Pedro II", recebem qualquer um, desde que aguentem suas provas de avaliação, pois ainda são um padrão de ensino almejado pelas camadas interessadas em ascensão social e tecnica. Seus prédios são construções coloniais, com arquitetura rebuscada, estilosos; janelões de madeira nobre, ainda insensíveis ao cupim. Uma coisa fantástica em termos de concepção, pois possuem salas espaçosas, bem arejadas, lousas imensas, mesas de cedro vernisadas, cheias de gavetas; seus corredores lembram aqueles do filme Harry Potter, sinistros de arrepiar. E no caso do Liceu Nilo Peçanha, de Niterói, Rio de Janeiro, tem um sótão, que seguramente foi planejado como adega, pois tem balcãozinho cheio de compartimentos para copos, taças e talheres, à frente de um espelho na parede em moldura de mogno  e uma silhueta vitoriana; além de um velho barril de carvalho, aonde, sem dúvida, Casimiro de Abreu, Fagundes Varela, Lima Barreto e tantas outras celebridades literárias desta terra de orfandades iniciaram-se nos caminhos da radicalidade estética.

- Conhece o sótão do Liceu? Indagou a morena, quase ao pé do meu ouvido.
- É ideal para uma brincadinha... Insinuou ela. Respondi que lá eu já namorei, me embriaguei, estudei e fiz muita reunião do grêmio.
- Então é "liceano... Vamos!" Disseram ambas, quase em uníssono.
No rádio da cantina, exatamente às dez da manhã no meu Rolex, tocava uma canção, cujo trecho diz assim:" Deixa isso pra lá, vem pra cá, venha ver. Eu não tô fazendo nada, nem você também..." e seguia insinuando outras coisas, ditas pela voz de um dos meus tantos ídolos da mpb, Jair Rodrigues.

Bom, pra encurtar o lererê, a morena está aqui em casa há 32 anos. Já somos avós, e, nem os filhos nem os netos jamais saberão das nossas façanhas e quando lhe mostrei o rascunho deste texto, ela fitou-me com seu olhar fogueando e objetou: você não pôr aí os detalhes...
- Claro que não!! São nossas relíquias!

Esta crônica é resultado de uma conversa que eu teria com o velho companheiro de lutas Chico da Cátia. Era um companheiro de toda hora, sempre pronto a dar ajuda a quem quer que fosse. Sua viúva, a Cátia, é professora da rede pública estadual do Rio de Janeiro e ele adquiriu esse apelido devido a sua obediência a ela, pois sempre que estávamos numa reunião ou assembleia ou evento, qualquer coisa e ela dissesse "vamos embora!", o Chico obedecia, e, ao se despedir dizia: com mulher, não se discute. Apertava a mão dos amigos e partia.

Hoje, terceiro domingo do janeiro de 2015, estou cercado. Literalmente cercado. Cercado sim e cercado sem nenhum soldado armado até aos dentes tomando conta de mim. Não há sequer um helicoptero das forças armadas americanas sobrevoando o meu prédio equipado com mísseis terra-ar para exterminar-me ao menor movimento, como está acontecendo agorinha em algum lugar do oriente asiático. Estou dentro de um apartamento super ventilado, localizado próximo a uma área de reserva da mata atlântica, local extremamente confortável, mas cercado de calor por todos os lados, e devido ao precário abastecimento de água na região, sequer posso ficar tomando um banhozinho de hora em hora, pois a minha caixa d'água está pela metade. Hoje, estou tão cercado que sequer posso sair cidade a fora, batendo pernas, ou melhor, chinelos, pegar ônibus ou metrô ou BRTs e ir lá na casa daquele velho companheiro de lutas Chico da Cátia, no Morro do Falet, em Santa Tereza, para pormos as ideias em dia. É que a mulher saiu, foi para a casa da maezinha dela e como eu tinha dentista ontem, não fui também e estou em casa, cercado também pelo necessário repouso orientado pelo médico, que receitou-me cuidados com o calor devido ao dente estar aberto.

Mas, firulas à parte, lembro-me de uma conversa que tive com o Chico após a eleição do Tancredo pelo colégio eleitoral, que golpeou as DIRETAS JÁ, propostas pelo povo, na qual buscávamos entender os interesses por detrás disso, uma vez que as eleições diretas não representavam nenhuma ameaça ao Poder Burguês no Brasil, aos interesses do capital, e até pelo contrário, daria uma fachada "democrática ao país" Nessa conversa, eu e o Chico procuramos esmiuçar os segmentos da burguesia dominante no Brasil, ao contrário do conceito de "burguesia brasileira" proposto pela sociologia dos FHCs da vida. Chegamos à conclusão de que ela também se divide, tem contradições internas e nos seus embates, o setor hegemônico do capital é quem predominar. Nesse quesito nos detivemos um bom tempo debatendo, destrinçando os comportamento orgânicos do capital, e concluímos que o liberalismo, fantasiado de neo ou não, é liberal até o momento em que seus interesses são atingidos, muitas vezes por setores da própria burguesia; nesses momentos, o setor dominante, hegemônico, lança mão do que estiver ao seu alcance, seja o aparelho legislativo, o judiciário e, na falta do executivo, serve qualquer instrumento de força, como eliminação física dos seus opositores, golpe de mídia ou golpe de estado, muitas vezes por dentro dos próprios setores em disputa, como se comprovou com a morte de Tancredo Neves, de Ulisses Guimarães e de uma série de próceres da burguesia, mortos logo a seguir.

Porém, como disse, hoje estou cercado. Cercado por todos os lados, cercado até politicamente, pois os instrumentos democratizantes do meu país estão dominados pelos instrumentos fascistizantes da sociedade. É que a burguesia tem táticas bastante sutis de penetração, de corrosão do poder de seus adversários e atua de modo tão venal que é quase impossível comprovar as suas ações. Ninguém vai querer concordar comigo em que os setores corruptos da esquerda sejam "arapongas" da direita; que os "ratos" que enchem o país de ONGs, só pra sugar verbas públicas com pseudo-projetos sociais, sejam "arapongas" da direita; que os ratazanas que usam a CUT, o MST, o Movimento por Moradia, e controlam os organismos de políticas sociais do país sejam "arapongas" da direita; que os LULAS, lulista e cia, o PT, a Dilma etc, sejam a própria direita; pois do contrário, como se explica a repressão aos movimentos sociais, como se explica a criminalização das ações populares em manifestações pelo país a fora? Só vejo uma única resposta: Está fora do controle "DELLES!"

Portanto, como disse, estou cercado. Hoje, num domingo extremamente quente, com parco provimento de água, não posso mais, sequer, ir à casa do meu amigo Chico da Cátia. Ela, já está com a idade avançada, a paciência esgotada de tanto lutar por democracia, não aguenta mais sair e participar dos movimentos sociais, e eu sou obrigado a ficar no meu canto, idoso e só, pois o Chico já está "na melhor!"; não disponho mais dele para exercitar a acuidade ideológica e não me permitir ser um "maria vai com as outras" social, um alienado no meio da *****, um zé-niguém na multidão, o " boi do Raul Seixas": "Vocês que fazem parte dessa *****, que passa nos projetos do futuro..."  Por exemplo, queria conversar com ele sobre esse "CASO CHARLIE HEBDO", lá da França, em que morreu um monte de gente graças a uma charge. Mas ele objetaria; "Uma charge?!" É verdade. Não foi a charge que matou um monte de gente, não foi o jornal que matou um monte de gente, não foram os humoristas que mataram um monte de gente. Assim como na morte de Tancredo Neves e tantos membros da própria burguesia no Brasil, quem matou um monte de gente é o instrumento fascistizante da sociedade mundial, ou seja, a disputa orgânica do capital, a concorrência entre o capital ocidental e o capital oriental, que promove o racismo e vende armas, que promove a intolerância religiosa e vende armas, que promove as organizações terroristas em todo o mundo e vende armas; que vilipendia as liberdades humanas intrínsecas, pisoteia a dignidade mais elementar, como o direito à crença, como o respeito etnico, a liberdade de escolhas, as opções sexuais, e o que é pior, chama isso de LIBERDADE e comete crimes hediondos em nome da Liberdade de Imprensa, da Liberdade de Expressão,  a ponto de a ministra da justiça francesa, uma mulher, uma negra, alguém que merece respeito, ser comparada com uma macaca, e ninguém falar nada. Com toda certeza do mundo, eu e o Chico jamais seremos CHARLIE....  

Lector: escúchame atento
Esta tosca narración
Y júzgala la tradición,
Fábula, conseja o cuento.
En un libro polvoriento
La encontré leyendo un día,
Y hoy entra a la poesía
Desfigurada y maltrecha;
El verso es de mal cosecha
Y la conseja no es mía.

Hubo en un pueblo de España,
Cuyo nombre no es del caso
Porque el tiempo con su paso
Todo lo borra o lo empaña,
Un noble que cada hazaña,
De las que le daban brillo,
Celebraba en su castillo
Dando dinero a su gente
Construyendo un nuevo puente
O alzando un nuevo rastrillo.

Era el noble de gran fama,
De carácter franco y rudo,
Con campo azul en su escudo
Y en su torre una oriflama.
Era señor de una dama
Piadosa como ninguna;
Dueño de inmensa fortuna
Por trabajo y por herencia
Y tan limpio de conciencia
Como elevado de cuna.

Una vez, para decoro
De sus ricas heredades
Cruzó yermo y ciudades
Para combatir al moro.
Llevóse como tesoro
Y como escudo a la par,
Un talismán singular
Atado a viejo rosario
Un modesto escapulario
Con la Virgen del Pilar.

Era el precioso legado
De sus ínclitos mayores;
Desde sus años mejores
Lo tuvo siempre a su lado.
Y como voto sagrado
De cristiano y caballero
Juzgó su deber primero
En el combate reñido
Llevarlo siempre escondido
Tras de su cota de acero.

En ocasión oportuna
El noble llegó a creer
Que ante el moro iba a perder
Honra, blasón y fortuna.
Soñó que la media luna
Nuncio de sangre y de penas,
En horas de espanto llenas
Iba en sus feudos a entrar
Y hasta la vio coronar
Sus respetadas almenas.

Y no sueño, realidad
Pudo ser en un momento,
Pues fue tal presentimiento
Engendro de la verdad.
Acércanse a su heredad
Muslef y sus caballeros;
Mira brillar los aceros
Al fugor de alta linterna
Y sale por la poterna
En busca de sus pecheros.

Anda con paso inseguro
De un hachón a los reflejos;
«Alarma», grita a lo lejos
El arquero sobre el muro.
Como a la voz de un conjuro
Del noble los servidores
Surgen entre los negrores
De aquella noche maldita
Y lo siguen cuando grita:
«¡Sus! ¡A degollar traidores!

Corren y, en breves instantes,
Terror y espanto difunden
Y en una masa se funden
Asaltados y asaltantes.
Los cascos y los turbantes,
Revueltos y confundidos,
Entre quejas y alaridos
Vense en las sombras surgir,
Sin lograrse distinguir
Vencedores y vencidos.

El noble señor avanza
En pos del blanco alquicel
De un moro que en su corcel
Huye blandiendo su lanza.
Resuelto a asirlo le alcanza
Por ciega rabia impelido,
Y cruel y enardecido
Le mata con gran fiereza
Y le corta la cabeza,
Pues Muslef era el vencido.

Al tornar lleno de gloria
A su castillo feudal
Dijo: «Es un ser celestial
El que me dio la victoria.
El que ampara la memoria
Y el lustre de mis abuelos;
El que me otorga consuelos
Cuando vacila mi planta;
Es... ¡la imagen sacrosanta
De la Reina de los cielos!

»Siempre la llevé conmigo
Y hoy de mi fe como ejemplo
He de levantarle un templo
Donde tenga eterno abrigo.
El mundo será testigo
De que ferviente la adoro,
Y cual reclamo sonoro
De su gloria soberana
Daré al templo una campana
Hecha con armas del moro».

El tiempo corrió ligero
Y el templo se construyó
Como que el noble empeñó
Palabra de caballero.
Sobre su recinto austero,
Todo el feudo acudió a orar
Venerando en el altar
En lujoso relicario,
Un modesto escapulario
Con la Virgen del Pilar.

Los siglos, que todo arrastran
Lo más sólido destruyen,
Los hombres llegan y huyen
Y los monumentos pasan.
Templos que en la fe se abrasan
Ceden del tiempo al estrago;
Todo es efímero y vago
Y en las sombras del no ser
Lo que vistió el oro ayer
Hoy lo encubre el jaramago.

Quedóse el templo en ruinas,
Sus glorias estaban muertas
Y ya en sus naves desiertas
Volaban las golondrinas.
Sobre sus muros, espinas;
Verde yedra en la portada
La Virgen, abandonada
Por ley aciaga e injusta,
Y la campana vetusta
Eternamente calada.

En cierta noche el horror
De algo extraño se apodera
De aquel pueblo cuando oyera
De la campana el rumor.
Desde el más alto señor
Al pobre y al pequeñuelo,
Acuden con vivo anhelo
A mirar quién la profana
Y se encuentran la campana
Sola, repicando a vuelo.

Asaltan con gran trabajo
La torre donde repica
Y su espanto multiplica
Ver que toca sin badajo.
El noble, el peón del tajo,
El alcalde, el alguacil,
Con agitación febril
Y con ánima turbada
Exclaman: «¡Está hechizada
Por los siervos de Boabdil!»

Entre temores y enojos,
Propios de aquellos instantes,
Los sencillos habitantes
Ya no pegaron los ojos.
Con sobresalto y sonrojos
El temor al pueblo excita
Lleva el cura agua bendita
Y como todos, temblando,
Comienza a rezar, regando
A la campana maldita.

A medida que mojaba
El agua bendita el hierro,
Cual diabólico cencerro
Más la campana sonaba.
La gente se santiguaba
Triste, amedrentada y loca,
El cura a Jesús invoca
Y por fin llega a exclamar:
«No la podemos callar
Porque el diablo es quien la toca».

Tras esa noche infernal
Se dio cuenta al nuevo día
De aquella aventura impía
Al consejo y al fiscal.
Este, en tono magistral,
Bien estudiado el conjunto,
Resolvió tan grave punto
Y por solución perfecta
Dijo: «Que tuvo directa parte
El diablo en el asunto».

Y como sentencia sana,
Poniendo al espanto un dique,
Declaró nulo el repique
De la maldita campana;
Que cualquier mano profana
Con un golpe la ofendiera
Que el pueblo la maldijera,
Siendo el alcalde testigo
Y desterrada, en castigo,
Para las Indias saliera.

Cumplida aquella sentencia,
Maldecida y sin badajo,
A Méjico se la trajo
Antes de la Independencia.
De algún Virrey la indolencia
La dio castigo mayor
Quedando en un corredor
Del Palacio abandonada,
Por ser campana embrujada
Que a todos causaba horror.

Alguien la alzó en el espacio,
Le dio voz y útil empleo,
Y fue un timbre y un trofeo
En el reloj de palacio.
El tiempo a todo reacio
Y que méritos no advierte,
Puso un término a su suerte
Cambiando su condición
Y encontró en la fundición
Metamorfosis y muerte.

En el libro polvoriento
Que a tal caso registré,
La descripción encontré
De tan raro monumento.
Tuvo como un ornamento
De sus nobles condiciones,
De su abolengo pregones
En la parte principal,
Una corona imperial
Asida por dos leones.

En el cuerpo tosco y rudo,
Consagrando sonidos,
Se miraban esculpidos
Un calvario y un escudo,
Y como eterno saludo
De la tierra en que nació
En sus bordes se grabó
Una fecha y un letrero:
«Maese Rodrigo» (el obrero
Que la campana fundió).

Produjo tal sensación
Entre la gente más llana
Ver un reloj con campana
En la virreinal mansión,
Que son eterna expresión
De aquel popular contento
Las calles que el pueblo atento
«Del Reloj» sigue llamando
Constante conmemorando
Tan fausto acontecimiento.

Dos centenares de auroras
La campana de palacio
Lanzó al anchuroso espacio
Sus voces siempre sonorazas.
Después de marcar las horas
Con solemne majestad,
Dejóle nuestra ciudad
Recuerdo imperecedero,
Que es su toque postrimero
Vibrando en la eternidad.
SoVi Sep 2018
Admirame
O mejor largate
No mas te queria ver
No sabia que tenias mal humor

Mirame
Darme vueltas
En la oscuridad del cuarto
Contra el corriente del abanico

Dando circulos me hace mariada
Casi me quiero vomitar
Pero no hay nada adentro

Te do
Puro puro chantaje
Puro puro verguenzas
Quiero verte sufrir en mi sombra

Puro puro burlas
Puro puro mentiras
Y te veo en esquina
Quiriendo ganar te la vida



© Sofia Villagrana 2018
Poem inspired by the song Chantaje by Shakira
Natalia Rivera May 2015
Quieres un poco mas de vino?
-Se me antojan otras cosas por hacer. Seguido de una risita, y una sonrisa levante su copa y la invite a la sala de estar. Su traje ondeaba cuando caminaba, su pelo era caso perdido y yo intentaba llevarle el paso. Coloque una manta y dos cojines en el suelo y ella se acostó, y a su lado me senté. Ella me hablaba de su día, de sus superficiales compañeras del trabajo, de la economía y política; ella no parecía notar que su traje se le había subido más allá de su rodilla, no notaba que mi respiración se acortaba al imaginar…
Ella interrumpió mi mente antes de poder imaginar cualquier cosa, colocándose frente a mí, tambaleándose me miro fijo a los ojos y me dijo “Soy una mujer según muchos fácil de leer, me gusta la vida, el olor a sal, los libros, tomarme una que otra cerveza, ser casualmente coqueta. Tengo mis miedos, a ser olvidada, a no ser alguien, al fracaso, a la oscuridad. Fácil de leer, muchas personas son así. Pero no muchos saben que puedo sumergirme en aguas profundas, o que puedo ser tan indispensable como yo lo desee; puedo hacer que me necesites solo por una noche o por el resto de tu vida sin llegar al ****. Puedo ser una isla privada, o una playa nudista, todo depende de quién pase por mí. Soy más compleja que común, más viva que ordinaria.”
Perplejo y aturdido me quede sentado esperando, a que se marchara, a que continuara hablando, a que hiciera algo. Ella soltó una risa y se bebió lo que quedaba de la botella; la luz de la luna entraba por la ventana era el foco que le difuminaba el traje y le resaltaba sus ojos. Se acerco a mí y se bajo el traje dejando sus pechos respirar, y de manera dulce  y continuó “Lo que he querido decirte con todo esto, amor, es que quiero ser tuya, pero de todas mis maneras. Que cuando sea difícil me tomes y te importe poco cuanto haya costado el traje, que cuando este romántica me trates con delicadeza, pero, hoy solo quiero sentirte dentro de mí. Acariciando tus manos sobre mi pezón, suave, porque tenemos toda la noche.”

Dejo caer el vestido en el suelo y quedo su silueta desnuda frente a mí. Ella quería que la siguiera y no me resistí,  y allí estábamos, ella desnuda corriendo y yo entrando a un laberinto sin salida.  Cuando por fin la encontré, estaba empapada desde el pelo hasta el piso. Se veía jugosa y sin pedirle permiso la tome en mis brazos y fue como tomar un pedazo de cielo. Estaba radiante, como si estuviera esperando este momento desde que entro por mi puerta. La acosté, y le bese los pies con la sutileza hasta llegar a su punto, su cumbre, la sonrisa de su cuerpo. Estaba húmeda, podía sentirlo en la lengua y sabía que eso le gustaba; se retorcía en la cama, y su gemido se fusionaba con risas.  Hice que tuviera una lluvia de estrellas a las seis de la tarde, ella estaba enredada en mis sabanas y le di un beso. Deseaba que se quedara una vida, pero ¿a quién engañaba? Era viento, el viento jamás se queda. Al despertar mi cama estaba vacia y mi botella llena con una nota que decía:
Por si deseas otra noche te dejo la botella y mi número,
Por si deseas una vida, te regalo el viento.
Primer trabajo para alguien mas.
Para honrar la siempre limpia
Concepción Inmaculada
En la hermosa y opulenta
Capital de Nueva España,

Un vecino muy devoto
Y de riquezas muy vastas,
Trató de hacer un convento
Digno de gloria tan alta;

Y comprando unos solares,
Y al rey demandando gracia,
Logró dar cima a su anhelo
Sin medir riesgos ni vallas.

Llamábase aquel buen hombre
Juan Aguirre de Suasnaba,
Pródigo en las caridades,
Y en las costumbres, sin tacha.

Cuando con gran regocijo
Miró su obra comenzada
Y dio fin a los cimientos
Y forma a sus esperanzas,

La segur, que no respeta
Glorias y dichas mundanas,
Cortó el hilo de su vida,
Por cierto envidiable y grata.

Tocó a sus más allegados
Heredar cuanto dejara,
Y ya ricos, no quisieron
Proseguir obra tan santa.

Quedó en punible abandono
La nueva y costosa fábrica,
Sin que de ponerle término
Se dijera una palabra.

Los dueños de la fortuna
Fuéronse a tierras extrañas,
Y nadie creyó que hubiese
Quien a Aguirre reemplazara.

Apagáronse de un soplo
Las ilusiones doradas
De cuantos vieron seguía
Del nuevo templo la fábrica.

Y en las más nobles familias
Con dolor se comentaba
La conducta de los deudos
Del propio interés avara.

Las pudorosas doncellas
Que con delicia y con ansia
Soñaron en vestir pronto
Manto azul, túnica blanca,

Y habitar del nuevo claustro
La quieta y feliz morada,
Al saber la triste nueva
Vertieron secretas lágrimas.

En esos tiempos remotos
Del mundo en la mar sin playas,
Para encaminarse al cielo
Era el convento la barca;

La celda, puerto y refugio
De la vida en las borrascas;
Y la fe, radiante estrella,
Nuncio y galardón del alba.

En los tristes desengaños,
En las dudas más amargas,
En la orfandad sin apoyo
Y el amor sin esperanza,

Cuando todos los dolores
A un tiempo el ánimo embargan
Y la razón obscurece
Y las virtudes desmayan,

El claustro fue la piscina,
El Jordán de frescas aguas
En que encontraron alivio
Los hondos males del alma.

Y las vírgenes más bellas,
Las azucenas más castas,
En sus floridos abriles,
En su edad más dulce y grata,

Encerrábanse en las celdas
Como en tumbas solitarias,
Viviendo en completo olvido
Sin ambiciones bastardas;

Y allí, sin decir a nadie
La historia de sus desgracias,
Era su ilusión la muerte
Y el martirio su enseñanza.

Tarde por tarde, iban muchos
A ver en desierta plaza,
Frente a la modesta ermita
Que a nuestros tiempos alcanza

Los comenzados cimientos
De la nueva mansión sacra
Que iba a honrar la siempre
Limpia Concepción Inmaculada;

Y para excitar el celo
De gentes ricas y santas
Que con su cuantiosa hacienda
El monasterio acabaran,

Una fiesta organizóse
Invitando a la más alta
Sociedad de la opulenta
Capital de Nueva España.
En medio de gran gentío
Un viejo orador sagrado
Dice así con voz sonora
Y con inmenso entusiasmo:

-«No es cierto que nadie quiera
Esta obra llevar a cabo,
Que hay alguien a quien le sobran
Elementos para el caso.

»Allí escondido entre muchos
Acierto a ver a mi hermano;
Lo conocéis casi todos,
Le llaman Simón de Haro;

»Es un minero muy rico,
Y es además buen cristiano,
Y va a encargarse de todo
Lo que otros abandonaron.

»¿Que habrá que gastar dinero?
¡Nada importa! ¡Tiene tanto!
Y además pueden sus minas
Darle cuanto es necesario.

»Él terminará el convento,
Él lo hará, puedo jurarlo,
Y tal vez desde mañana
Ocupe aquí muchos brazos».

Volvieron todos el rostro
A don Simón, contemplando
Que estaba absorto y confuso
Con un sermón tan extraño.

Y prodigándole encomios,
Y apretándole la mano,
Por su decisión tan noble
Todos le felicitaron.

Sin dar a nadie respuesta,
Confuso, atónito, pálido,
Al ver ya fuera del púlpito
A quien movió tal escándalo,

Fuése saliendo a su encuentro
De esta guisa a interpelarlo.
-Si sabes que soy muy pobre,
Pues muy exiguo es mi erario,

¿Por qué de erigir conventos
Me impones el duro encargo
Cuando en mi caja no quedan
Más que muy pocos ducados?

-Yo no he dicho una palabra.
-¡Estás loco! Te escucharon
Todos los que aquí han venido
Y que no son muy escasos.

-Pues te juro que no dije
Ni una frase... -Has dicho tanto
Que todos me reconocen
Como un rico nada avaro,
Que va a construir el convento.

En esto pienso que hay algo
Misterioso, incomprensible.
-Lo que dijeron tus labios
Todo el mundo lo comprende.
-Yo no lo he dicho. -Habla claro.

-Sospecho que las palabras
Que oyeron todos, hermano,
Las ha dicho por mi boca
El mismo Espíritu Santo.

-¿Será posible? -No dudes,
Porque yo ni lo he pensado,
Y al decir que nada dije
Con esta verdad me salvo.

-Dios será quien te proteja.
-Yo estoy muy pobre y no guardo
En caja sino muy poco,
Ven a ver mi caja. -Vamos.

De don Simón a la casa
Bien pronto se encaminaron,
Y abriendo una tosca puerta
Entraron a húmedo cuarto.

Vieron los dos una caja
Abandonada en un ángulo,
Forrada en vetusto cuero
Y llena de toscos clavos.

La abrió don Simón, y al punto
Saca con su propia mano
Cerca de catorce duros
Que allí estaban encerrados.

-¿Basta para un monasterio
Este pequeño puñado?
Y antes de que a tal pregunta diera
Respuesta su hermano,

Dentro de la antigua caja
Oyeron un ruido extraño
Y los espantados ojos
A un tiempo volvieron ambos.

De escudos limpios y hermosos
Halláronla rebosando,
Y postráronse de hinojos
Absortos de aquel milagro.

Vaciáronla varias veces,
Y en cada vez la encontraron
Llena de nuevas monedas
Que arrojaba ignota mano.

-Con esto se hará el convento.
-Y la obra llevaré a cabo.
-Alabemos a la Virgen,
-Y al Señor tres veces santo.

Con lágrimas en los ojos
Y trémulos y rezando,
El clérigo y el minero
Salieron al fin del cuarto.

Se dio principio a las obras,
Y en menos de quince años
Se alzó el templo y el convento
De la Concepción llamado.

Y en el espléndido coro,
Las monjas siempre guardaron,
Como caja milagrosa,
Portento admirable y raro,

La que durante las obras
Sola se estuvo llenando
Hasta que la ultima piedra
Se puso en el templo santo.

Y esta conseja la citan
Haciendo mención del caso
Autores que en nuestros tiempos
Pasan por doctos y sabios.
tangshunzi Jul 2014
Mantenere il tuo cappello perché quello che abbiamo per voi proprio qui è la felicità in formato immagine .Ispirato da Confetti sistema .questo photoshoot famiglia è più o meno buono come si arriva .Confetti e glitter e girliness bizzeffe !Catturato dai Ashlee Raubach .non oso a sorridere mentre sfogliando la nostra gallery!

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Más gallarda que el nenúfar
Que sobre las verdes ondas,
Al soplo del manso viento
Se mece al rayar la aurora,
Es una linda doncella
Que tiene por nombre Rosa,
Y a fe que no hay en los campos
Igual a sus gracias otra.
Vive en Pátzcuaro, en la Villa
De hermoso lago señora,
Lago que retrata un cielo
Limpio y azul, donde flotan
Blancas nubes que semejan
Grupos de errantes gaviotas.

Está en la flor de la vida,
No empaña ninguna sombra
Las primeras ilusiones
Con que el amor ia corona
Ama Rosa y es amada
Con un amor que no estorban
Sus padres, porque comprenden
Que ei joven que para esposa
La pretende, nobies prendas
Y honrado nombre atesora.
Cuentan ios que io conocen
Que tal mérito le abona,
Que no hay otro que le iguale
Cien leguas a la redonda.

Y aunque alabanza de amigo
Pueda tacnarse de impropia,
Nadie niega que remando
Tiene ei alma generosa;
Que sus riquezas divide
Con ios que sufren y lloran,
Que es tan bravo, que el peligro
Desdeña y jamas provoca,
Pero io humilla y io vence
Cuando en su camino asoma.

No hay jinete más garboso
Ni más diestro, porque asombra
Cuando de potro rebelde
Los fieros ímpetus doma,
Y es tan amable en su trato,
Tan cumplido en su persona,
Tan generoso en sus hechos
Y tan resuelto en sus obras,
Que la envidia no se atreve
Con su lengua ponzoñosa
A manchar su justa fama
Cuando cualquiera lo nombra.

Ya se prepara la fiesta,
Cercanas están las bodas.
Los padres cuentan los días,
Los prometidos las horas;
Los amigos se disponen
Para obsequiar a la novia
Dando brillo con sus galas
A la nupcial ceremonia.
Y aunque es tiesta de familia
Por suya el pueblo la toma.
Y en llevarla bien al cabo
Se empeña la Villa toda.
¡Con qué profunda tristeza
Vive Rosa en su retiro!
Está pálida su frente
Y están sus ojos sin brillo;
De la noche a la mañana
Corre de su llanto el hilo,
Sus padres sufren con ella
Y están tristes y abatidos.

No le da el sueño descanso
Ni el sol le procura alivio,
Que son la luz y las sombras
Para el que sufre lo mismo.
Está muy lejos Fernando,
Muy lejos y en gran peligro
Por que al llegar de la boda
El instante apetecido,
Invadió como un torrente
La ciudad el enemigo.

El pabellón del imperio
Halla en Patzcuaro un asilo,
Los franceses se apoderan
Del sosegado recinto,
Su ley imponen a todos,
Subyugan al pueblo altivo,
Y Fernando en su caballo,
De pocos hombres seguido,
Sale a buscar la bandera
Que veneró desde niño,
Y que agita en las montañas
El viento del patriotismo.

Ni el amor ni la esperanza
Le cerraron el camino,
Que ciego a todo embeleso
Y sordo a todo atractivo,
La Patria, sólo la Patria
En tales horas ha visto,
Y por ella deja todo
A salvarla decidido.

Rosa se queda llorando
Y como agostado lirio,
No hay fuerza que la levante
Ni sol que le infunda brío;
De su amoroso Fernando
Sólo sabe lo que han dicho;
Fue a la guerra y lo conoce,
Firme, noble y decidido;
Lo sueña entre los primeros
Que acometen los peligros;
Sabe que en todos los casos,
Entre muerte y servilismo
Ha de preferir la muerte
Que es vida para los dignos
Y con profunda tristeza
Vive Rosa en su retiro
Sin consuelo ni descanso,
Sin esperanza ni alivio,
Que son la luz y las sombras
Para el que sufre lo mismo.
A la habitación de Rosa,
Al rayar de la mañana
Llega un indígena humilde
Que viene de la montaña,
Y sin despertar sospechas
Cruzó por las avanzadas
Trayendo un papel oculto
En su sombrero de palma.
En hablar con Rosa insiste
Cuando de oponerse tratan
Sus padres que en todo miran
Espionajes y asechanzas.
Oye la joven las voces
Y con interés indaga,
Porque el corazón le dice
Que la nueva será grata,
Y lo confirma mirando
Que al borde de su ventana
Un «salta-pared» ligero
Tres veces alegre canta,
Nuncio de buena fortuna
Del pueblo entre las muchachas.

Llama al indio presurosa,
Este con faz animada
La saluda, y del sombrero
Descose la tosca falda,
Y de allí con mano firme
Saca y le entrega una carta
Que vino tan escondida,
Que a ser otro no la hallara.

Rosa trémula no acierta
En su gozo a desplegarla
Y ya febril e impaciente
Tanta torpeza le enfada;
Abre al fin y reconoce
Que Fernando se la manda
Y en cortas frases le dice,
Esto que en su pecho guarda:

«Mi único amor, vida mía,
Mi pasión, alma del alma,
No puedo vivir sin verte,
Que sin ti todo me falta;
Y aunque tu amor me da aliento
Y tu recuerdo me salva,
Tengo sed de tu presencia,
Tengo sed de tus palabras.

»Hoy por fortuna muy cerca
Me encuentro de tu morada,
Y he de verte aunque se oponga
Todo el poder de la Francia.

»Esta noche, a media noche
Antes de rayar el alba,
Para verme y para hablarme
Asómate a la ventana.

»Adiós vida de mi vida
No tengas miedo, y aguarda
Al que adora tu recuerdo
Luchando entre las montañas».
Es pasada media noche,
Reina profundo silencio
Que sólo interrumpe a veces
El ladrido de los perros,
O el grito del centinela
Que lleva perdido el viento.

En su ventana está Rosa,
Entre las sombras queriendo
Penetrar con la mirada
De sus grandes ojos negros,
Las tinieblas que sepultan
Los callejones estrechos.

Para no inspirar sospechas
Oscuro está su aposento,
Y ni a suspirar se atreve
Por no vender su secreto.

De súbito, escucha pasos
Cautelosos a lo lejos,
Y al oírlos no le cabe
El corazón en el pecho.

Entre las sombras divisa
Algo que tomando cuerpo
A la ventana se llega
Y casi con el aliento,
Le dice: -Prenda del alma.
Aquí estoy-.
                    ¡Bendito el cielo!-
Contesta Rosa y las manos
En la oscuridad tendiendo
Halla el rostro de su amante
Que las cubre con sus besos.
-¿Dudabas de que viniera?
-¿Como dudar, si yo creo
Cuanto me dices lo mismo
Que si fuera el Evangelio?
-¡Tantas semanas sin verte!
-¡Tanto tiempo!
                        -¡Tanto tiempo!

-Pero temo por tu vida...
-No temas, Dios es muy bueno.
Ahora dime que me amas,
A que me lo digas vengo
Y a decirte que te adoro...
-¿Más que yo a ti, cuando siento
Hasta de la misma patria
El aguijón de los celos?
No te culpo, mi Fernando,
No te culpo, bien has hecho
Pero dudo y me atormenta
Pensar que esconde tu seno
Amor más grande que el mío
Y otro vínculo más tierno.

Escúchame: si algún día
Merced a tu noble esfuerzo,
Victoriosa tu bandera,
Por héroe te aclama el pueblo,
Yo disputaré a tu frente
Ese laurel, porque tengo
Ante la patria que gime,
Para adquirirlo derecho;
Tú, sacrificas tu vida,
Yo, débil mujer, le ofrezco,
Alentando tu constancia,
Todo el amor que te tengo.
¡Ay Fernando! ¿tú no mides
Este sacrificio inmenso?
Y al decir así, la mano
Atrajo del guerrillero
Y con su llanto al bañarla
La oprimió contra su pecho.
Limpia despunta la aurora
Y en la ventana Fernando
No se atreve a despedirse
Sin hacer del tiempo caso.

Mas de pronto, por la esquina,
Sobre fogoso caballo,
De la brida conduciendo
Un potro alazán tostado,
Un guerrillero aparece
Con el mosquete en la mano.

Acércase a la pareja,
Aquel coloquio turbando,
Y dirigiéndose al joven
Le dice: «Mi Jefe, vamos,
Monte, que nos han sentido
Y somos dos contra tantos».

-iVete, por Dios!-grita Rosa.
Salta a su corcel Fernando,
Toma su pistola, besa
A la doncella en los labios,
Y a tiempo que se despide,
Por un callejón cercano
Desembocan en desorden
Argelinos y zuavos.
-iAlto!-gritan los que vienen.
-¡Primero muerto que dado!-
Contesta el otro y se lanza
Para abrir en ellos paso...
Suenan discordantes gritos,
Y se escuchan los disparos
Y álzanse nubes de polvo
De los pies de los soldados;
Y al punto que Rosa enjuga
Sus ojos que anubla el llanto,
Ya mira como se alejan
A galope por el campo,
Libres de sus enemigos,
Ei asistente y Fernando.
Algunos años más tarde,
Y cuando pagó a su patria
La deuda de sus servicios
Y la vió libre y sin mancha,
Volvió Fernando a sus lares;
Colgó en el hogar su espada,
Y no quiso ser soldado
Después de triunfar su causa;
Que fue guerrero del pueblo,
Luchador en la montaña,
De los que sólo combaten
Si está en peligro la Patria.

Entonces cumplióle a Rosa
Sus ofertas más sagradas,
Y fue la boda una fiesta
Popular, risueña y franca.

Al verlos salir del templo,
Según refiere la fama,
Recordando aquellas frases
De la inolvidable carta,
Formando vistoso grupo
A las puertas de su casa,
Las más bonitas del pueblo,
Las más festivas muchachas,
Con melancólicas notas
(Que a nuestros tiempos alcanzan
En canción que «Los Capiros»
En Michoacán se la llama),
Al compás de las vihuelas,
De esta manera cantaban:

«Esta noche a media noche,
Y antes que llegue mañana
Si oyes que al pasar te silbo
Asómate a tu ventana».
CautiousRain May 2015
Hot, salty tears, muddled,
with the bitter, icy spray,
enveloped by the Atlantic,
desposed by pedigree.

Peoples, of all lifetimes,
swiftly, abducted from their blood,
with lament, embraces ripped apart,
sin left disguised, ousted love.

Lumber structures, like cages,
repressing their last breaths,
left few ongoing in the waves,
desposed by traitorous men.

Forceful souls, whose tongue called out,
reshaped their gruesome plight,
to overthrow the tides and toils, who,
ousted them at the site.

Desde África, a Cuba,
y entonces a América,
los abogados se lucharon,
y tomaron un caso de libertad.

Para un barco se llama Amistad,
todos los malhechos son,
la gente Mende querían justicia,
y tomaron parte por el mundo.
Lo siento en caso mí español no es perfecto...
Lino Althaner Dec 2011
Transeúnte**


No vale la pena lo que veo.
Las vitrinas
las mujeres de pintadas cabelleras
los objetos del deseo
sus perfumes se alían con el humo del progreso.
Aromas de cloaca en las esquinas.

Y tus pasos pasajero
condenado a transitar estas aceras.
Tú te has vuelto a su medida.
Transeúnte yo diría
que eres uno con ellas.
El reloj da la hora incorrecta.

Da la hora al transeúnte
que bien sabe adonde va
aunque ignora para qué
él que nace en el engaño
él que insiste circulando en la mentira
una vez en la grande

y después en la pequeña y repetida.
Este rostro sin alma
¿sabe acaso a quién sirve?
esa boca sin verbo
¿sabe acaso quien la mueve?
¿Transeúnte no lo sabes?

¿Has notado transeúnte tus cadenas?
¿Has oído de la cumbre?
¿Has oído del abismo?
¿Has oído de la fuente
del agua de la vida?
¿No la tienes al alcance de la mano?

Ya lo sé:
la ciudad te ha hecho así
la ciudad que eres tú y que soy yo.
Aprendiste y la ciudad está contenta.
Eres tú lo que aprendiste.
¿Ya no sientes transeúnte tus cadenas?

Porque sabes pasajero
la vida y la ciudad son más extrañas
mucho más de lo que piensas
en su caso más llenas de encanto
pero también más terribles.
¿No te sientes solitario?

Transeúnte ¿me estás escuchando?
¿No te sientes extranjero?
Ciudadano si yo te dijera
que muy bajo las aceras
cubierta por siete cortezas
las más duras las más densas

allí aguarda la perla
en el núcleo de tu alma
en el centro de la tierra.
Pero dime transeúnte si me entiendes:
yo quisiera proponerte hacer un cielo
un cielo hacer de estas calles

hacer hombres de las bestias
de nosotros ciudadanos
hacer buscadores de la perla.
Yo quisiera hacerte un cielo
con mucho silencio
a lo más con música de Händel

de Vivaldi de Bach o de Corelli.
Un cielo sin tanta agitación
con calles lavadas por una sonrisa
que nunca se aleja.
¿Te entusiasma transeúnte?
¿Hacer oro de la piedra te entusiasma

y del círculo un cuadrado
y del agua del Mapocho agua de la vida?
Nos veríamos cambiados
nuestros pasos sanarían las aceras.
¿Un cielo te parece inalcanzable?
Un cielo parecido al paraíso.

¿Transeúnte
ciudadano pasajero
transeúnte te entusiasma mi proyecto?
SoVi Sep 2018
Admire me
Or better take off
No more I wanted to see you
I did not know you had a bad mood

Look at me
Go around
In the darkness of the room
Against the current of the fan

Giving Circles Makes Me Marry
I almost want to throw up
But there is nothing inside

I give you
Pure pure blackmail
Pure pure shame
I want to see you suffer in my shadow

Pure pure teasing
Pure pure lies
And I see you in the corner
Wanting to win in life



© Sofia Villagrana 2018
Poem inspired by the song Chantaje by Shakira
tangshunzi Jun 2014
<p><p> Sorpresa.ci sposiamo !è il segno che ha salutato la famiglia e gli amici sono arrivati ​​a casa di questa coppia e quello che seguì è stata una bella festa intima catturato da diana marie photography .E ' un affare di famiglia .con la più bella sala di setup cortile sotto le stelle e una vera celebrazione dell'amore accoppiato fino al più semplice dei dettagli .Vedere molto di più qui .<p>Condividi questa splendida galleria ColorsSeasonsFallSettingsHomeStylesAl Fresco <p> Da Sposa.Mike e io ci siamo incontrati estremamente breve tramite un amico in un college .Si era laureato stesso programma che stavo prendendo attualmente e probabilmente abbiamo detto due parole tra loro .Anni dopo .** solo così capitato di stage presso la stessa agenzia di pubblicità ha lavorato per ( in una città completamente diversa ) - si potrebbe dire che era destino .La prima volta  <a href="http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-corti-c-49"><b>abiti da sposa corti</b></a>  che abbiamo appeso fuori .Mike mi ha portato fuori per un drink e un film per il mio compleanno e dopo siamo andati per un caffè e parlato .Abbiamo parlato così a lungo che la caffetteria chiuso e siamo stati costretti a lasciare .Non sentirsi come se la notte era finita .abbiamo fatto il nostro modo al negozio di alimentari 24 ore e vagato per i corridoi .comprato a caso alcune stelle filanti e sono arrivato al parcheggio dove li abbiamo bruciati giù uno per uno .prima che finalmente dire buonanotte .Abbiamo iniziato a uscire come amici .ma nel tempo capito che siamo stati insieme più che eravamo a pezzi e sono stati da allora .Col senno di poi .quella prima notte prefigurava il nostro rapporto a venire.come siamo raramente a parte e non abbiamo mai a corto di cose da discutere .argomentare .o parlare - e non avremmo alcun altro modo .<p> ispirazione dietro il giorno : Volevamo fare qualcosa di elegante e un po ' vintage.che era abbastanza e speciale ( al di là di una normale cena ) .ma confortevole e informale .Abbiamo voluto la nostra famiglia per godersi veramente il giorno .nessun dramma .nessuno sforzo .solo una celebrazione delle nostre famiglie provenienti insieme .Abbiamo trascorso gli ultimi <b>abiti da sposa corti</b>  due anni della nostra vita progettando e costruendo la nostra casa .quindi era naturale che ci sposiamo lì .E ' un ricordo che sarà sempre vivo in queste mura .<p> ricordi più belli della giornata : Oltre a sposare il mio migliore amico .questa domanda è difficile.La sorpresa è stata ovviamente un punto forte .anche se i nervi e l'emozione rendono la memoria leggermente sfocata .Tuttavia guardando i miei due nipoti da parte di Mike .guida la mia nipote più giovane (sul mio lato ) lungo la navata.per me.davvero simboleggiato le nostre famiglie a venire insieme e mi ha riempito di gioia .Filanti tarda notte con le ragazze .era anche qualcosa che non dimenticherò mai .<p> scelte musicali: la cerimonia e il nostro primo ballo erano Jill Barber una delle nostre preferite .Avevamo una lista di brani molto misto per il resto della giornata .soprattutto bossonova a cena e canti celebrativi felici durante il ricevimento cocktail .Consigli <p> per le spose pianificare ora : devo ammettere che era bello avere tutto sotto il mio controllo .come nessuno sapeva che cosa stavamo facendo e quindi non poteva offrire le loro opinioni .ma allo stesso tempo abbiamo perso su un lottodella 'tradizione' di un servizio tipico .Il mio consiglio sarebbe semplicemente essere consapevoli della vostra famiglia e gli amici che sono stati lasciati fuori dal processo e cercare di trovare modi per ridurre al minimo i loro sentimenti feriti .Questo per me .significava che costituiscono apposite scatole regalo e mazzi di fiori per i miei nipoti che hanno sempre parlato di essere una parte del nostro matrimonio e l'utilizzo di alcuni cimeli di famiglia tutto l'arredamento ( Nana di anello e la scatola di sigari del nonno .ecc) per assicurarsi che la mia mamma sapevaquel grande sentimento è andato nella  <p><a href="http://www.belloabito.com/goods.php?id=336" target="blank"><img width="240" height="320" src="http://188.138.88.219/imagesld/td//t35/productthumb/1/260935353535393757.jpeg"></a></p>  pianificazione - sono le piccole cose che contano <p> Fotografia : diana marie photography | Videographer : Matt Dorman | Fiorista : Fleurish design Studio | Makeup Artist : Rebecca Marie | Sposi Suit : Hugo Boss | cravatte : Mirtilla .Minnie | abito della sposa (su misura) : Lisa Van  <a href="http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-c-1"><b>abiti da sposa on line</b></a>  Hattem | Sedie : Affitto Partito Pat | vacanze : Affitto Eventi Speciali | vacanze : Il mio evento chiave | Wedding Cake \u0026 Catering : generale</p>
Un matrimonio a sorpresa Backyard alla sposa e dello sposo casa!_vestiti da sposa
Nicole May 2014
Hace poco aprendí que la vida se define en lo poco que uno sabe sobre uno, y lo mucho que uno quiere saber sobre el mundo. Las lecciones que la vida nos obliga a enfrentar no son más que el reflejo de nosotros en el mundo. Al resarcirse, al cambiar; también cambia el mundo. También aprendí que el momento para vivir no es más que ayer, ni menos que ahora. Cuando uno no quiere más vivir y acepta morir se da cuenta de que lo que antes valía mucho, ahora vale menos que nada. Es un largo camino de vuelta a la normalidad. Talvez si la vida diera vueltas y el corazon retornara a su color inicial todo esto cambiaría. Talvez yo cambiaría.
Hace poco aprendí que los ojos no lloran por nada. Las lágrimas tienen un propósito y un fin, que espero que ambos, seas siempre tú. Los ojos en blanco y las miradas vacias significan más para mi de lo que te podrías imaginar. Mientras menos es más para mí, más acumulo estas ganas inmensas de todo. Digo todo, por que explicar lo que me haces sentir en una insignificante combinación de 26 letras, no te valen. Me gusta sentir tus ojos sobre mí, asi no me estes mirando. Cuando piensas en todo menos en mí. Mirarte mientras vives es para mí equivalente a todo lo bueno en este mundo. Vuelvo a la normalidad cuando te encuentro y me voy, me pierdo, cuando no.
Podría decirse que la dependencia es mala, frivola. Pero miremosla de otra forma, como todo en esta vida, se amolda a nuestras necesidades. Fría. Sin sentidos. Así me dejas desde el momento en el que nuestros dedos se cruzan y meramente encuentran. Puedo sentir la adversidad del mundo en ellos, puedo sentirlo todo. Con las manos heladas y el pecho frío, pero contigo.
Si talvez algún día no este ni para mi, talvez un día camines por la calle y me encuentres perdida. Cuando yo ya no habite en mí. Cuando las lágrimas dejen de secarse por ti y más por el tiempo que pasa sobre la gota que de mi lloré, dejando su camino sobre mi rostro, aquel que alguna vez miraste. Puedo asegurarte que para ese día mirarte todavía será mi deporte favorito, con ojos muertos y miradas vacias.
No existe mucho cambio entre hoy y lo que describo. Los ojos muertos me sientan bien, no necesitan de maquillaje alguno. Se dice que iluminan mi rostro al llorar. Diría sonreir pero no creo que una sonrisa me encuentre perdida en el mar de miradas en el que me encuentro, almenos que sea la tuya. En ese caso, sonríe, porfavor.
Por ti, para ti.
Adrián Poveda Feb 2016
Ojalá todo fuera un circulo que vuelve a girar, así podría hacerme de sus oídos de nuevo y decirle querida dama que fui nefasto, de cierto modo tuve miedo, sus ojos esquivos turbaron mi cabeza y un laberinto imaginario caminé, un laberinto entre su cabello rizado a mano y sus expresiones extrañas , sus ganas de no perseguirme a pesar de haber robado su mochila y de haberla hecho esperar en aquel lugar cerrado, le aseguro que su abrigo gris de aquel día no solo guardaba su cuerpo del frío sino que también supo mágicamente envolverme de calor sin tocarme;

y aquellos besos que siempre quiso y que yo también quedaron afuera del café, pero no intente recogerlos tal vez alguien ya los pisó,  o alguien que pasó por ahí se nos robó las ganas de un beso, de explotar.

Admito sin lugar a dudas que hice que perdiera el tiempo fijándose en mí, pero le confieso que no era yo, o era un yo que no pudo ver ni sentir,

El tiempo pasa y los pesares se vuelven más pesados, en mi caso le agradezco por que fue la paciencia que necesité para encontrarme envuelto en su laberinto, solo lamento que hoy la paciencia se ha terminado.
Copyright © 2016 Adrián Poveda All Rights Reserved
"oh warren warren" gritaban todos los idiotas del pueblo
en la mañana de Santa Mónica sucia
por el hollín los escapes los sueños
rotos o podridos de la noche anterior

qué formidable
extrañas rosas u orquídeas florecían en esa podredumbre caliente
mientras la multitud del bulevar vivaba a warren ese dabliu cormoran
y él se deslizaba de contrabando por el día

"oh warren warren" le decían sobre
la suciedad el mal olor el pésame envolviendo
tanta salud apenas débil
o muda o yendo en dirección a su pérdida

en todo caso era así:
el ser se lo dio ola madre en hermoso verdor
a su sombra creció warren como piedra en el río
hasta que la rompió como flecha con suaves ojos disparada

¡y si pudiera olvidar completamente!
"warren warren" gritaba la multitud no dejándolo dormir
o sólo abría su dureza donde
volaba una mosca azul sospechosa

warren ese dabliu cormoran:
¿tenías acaso ají en tu sementera?
en todo caso se voló y voló
quiéranlo mucho lagartos

denle sombrita en la mitad
tápenlo para el frío
o que lo abrigue el calor
de los sueños podridos de Santa Mónica el hollín
"oh warren warren" gritaban todos los idiotas del pueblo
pero no así porque así qué pasa con las
águilas
Mafe Oct 2012
“Compus uma canção para dizer:
‘Amo-te descontroladamente!’
De ações tangentes; da equação complexa que é te amar.
E mesmo pacificamente;
Minha alma sem ti, não pode se encontrar.

Como contra o céu paradisíaco que constrói o tempo e investe areia contra mim;
Mesmo no pior dos casos, nos meus últimos gritos, altissonante direi:
’ EU VIM!’

Me encontre na beira de meu coração,
na ponte que causa essa estranha paixão;
E direi que não sabia que um anjo poderia possuir tão rápido todo meu sentimento assim.

Vem que em laços de eternos amantes, cada consoante, dirá e recitará meu amor celeste;
Rolando em campos grandes e em flores campestres

O céu sussura uma sinfonia recém escrita para o nosso caso infindável;
E jamais ouvi a voz dos anjos num tom tão amável

As lágrimas que derramo não reclamam de nenhuma tristeza desconhecida;
Mas sim da alegria pela qual minha alma foi tingida

Novamente nos encontraremos eternamente e direi mais um trilhão de vezes:
’ Amo-te descontroladamente!”
A lo fugaz perpetuo
y sus hipoteseres
a la deriva al vértigo
al sublatir al máximo las reverberalíbido
al desensueño al alba a los cornubios dime sin titilar por ímpetu de bumerang de encelo
de gravitante acólito de tanto móvil tránsfuga cocoterráqueo efímero
y otros ripios del tránsito
meditaturbio exóvulo
espiritado en Virgo en decúbito en trance en aluvión de incógnitas
con más de un muerto huésped rondando la infraniebla del dédalo encefálico
junto a precoces ceros esterosentes dime al codeleite mudo del mimo mimo mixto
al desmelar los senos
o al trasvestirme de ola de sótano de ausencia de caminos de pájaros que lindan con la infancia
animamantemente me di por dar por tara por vocación de dado
por hacer noche solo entre amantes fogatas desinhalar lo hueco y encontrarme inhallable
hora tras otra lacra más y más cavernoso
menos volátil paria
más total seudo apoeta con esqueleto topo y suspensivas nueces de apetencias atávicas
al azar dime al gusto a las adultas menguas a las escleropsiquis
al romo tedio al pasmo al exprimir las equis a la veinteava esencia
y degustar los filtros del desencantamiento
o revertir mi arena en clepsidras sexuadas
y sincopar la cópula
me di me doy me he dado donde lleva la sangre
prostitutivamente
por puro pleno pánico de adherir a lo inmóvil
del yacer sin orillas
sin fe sin mí sin pauta sin sosías sin lastre sin máscara de espera
ni levitarme en busca del muy Señor nuestro ausente en todo
caso y tiempo y modo y **** y verbo que fecundó el vacío
obnubilado
inserto en el dislate cosmos, a todo todo dime alirrampantemente
para abusar del aire del sueño de lo vivo y redarme y masdarme
hasta el último dengue
                                                          y entorpecer la nada
Hermosa como la estrella
De la alborada de mayo
Fue en Méjico hará dos siglos
Doña Ana María de Castro.

Ninguna logró excederle
En la elegancia y el garbo
Ni en los muchos atractivos
De su afable y fino trato.

Sus maneras insinuantes,
Su genio jovial y franco,
Su lenguaje clara muestra
De su instrucción y su rango:

Su talle esbelto y flexible,
Sus ojos como dos astros
Y las riquísimas joyas,
Con que esmaltó sus encantos.

La hicieron en todo tiempo
La más bella en el teatro,
La mejor por sus hechizos,
La primera en los aplausos.

Los atronadores vivas,
Los gritos del entusiasmo
Siempre oyó, noche por noche,
Al pisar el escenario.

En canciones, en comedias,
En sacramentales autos,
Ninguna le excedió en gracia,
Ni le disputó los lauros.

Doña Ana entre bastidores
Era de orgullo tan alto,
Que a todos sus compañeros
Trató como a sus lacayos.

Las maliciosas hablillas,
Los terribles comentarios,
Los epigramas agudos
Y los rumores más falsos,

Siempre tuvieron origen
Según el vulgo, en su cuarto,
Centro fijo en cada noche
De los jóvenes más guapos.

Allí en torno de una mesa
Se charlaba sin descanso,
Sin escrúpulos ni coto
De lo bueno y de lo malo.

Si la gazmoña chicuela
Del marqués, ama a Fulano,
Y si éste le guiña el ojo
Escondido en algún palco;

Si la esposa de un marino
Mira con afán extraño
Al alabardero Azunza
Que de algún noble está al lado;

Si el Virrey fijó sus ojos
Con interés en el patio,
Como en busca de un amigo
Que subiera a acompañarlo,

Sobre el último alboroto
De tal calle y de tal barrio
Con alguaciles, corchetes
Mujerzuelas y soldados

La actriz, risueña y festiva
Oyendo tales relatos,
A todos daba respuestas
Como experta en cada caso.

Algunos por conquistarse
Su pasión más que su agrado,
Sin lograr sus esperanzas
Grandes sumas se gastaron;

Otros con menos fortuna
Sólo anhelaban su trato
Viviendo como satélites
En derredor de aquel astro.

Ana, radiante de gloria,
Miraba con desenfado
A los opulentos nobles
Que eclipsara con su encanto.

Y en la sociedad más alta
Censuraban su descaro
Creyéndola una perdida,
Foco de vicios y escándalos.

Mas no hay crónica que ponga
Tan duros juicios en claro,
Ni nos diga que a ninguno
Se rindió por los regalos.

Ella protegió conquistas
De sus amigos más francos,
Y quizá empujó al abismo
A los galanes incautos.

Astuta e inteligente
Guardó en su amor tal recato
Que tan valioso secreto
No han descubierto los años.

Se habla de un Virrey
Que estuvo de doña Ana enamorado,
Mas la historia no lo afirma
Ni puedo yo asegurarlo.

Mujer hermosa y ardiente,
De genio y en el teatro,
Por la calumnia y la envidia
Tuvo medidos sus pasos.
Por sabias disposiciones
Dictadas con gran acierto
Las actrices habitaban
Muy cerca del coliseo.

Este se alzó por entonces
Entre el callejón estrecho
Que del Espíritu Santo
Llamamos en nuestro tiempo,

Y la calle de la Acequia,
En los solares extensos
Que hoy las gentes denominan
Calle del Coliseo Viejo.

Y cerca, en vecina calle,
Que por tener un colegio
Destinado a las doncellas
«De las niñas» llama el pueblo,

Las artistas del teatro
Buscaron sus aposentos,
Y de las Damas llamóse
A tal motivo aludiendo.

Una noche gran tumulto
Turbó del barrio el sosiego,
A los más graves vecinos
Levantando de sus lechos;

Los jóvenes elegantes
Formando corrillo inmenso,
Seguidos de gente alegre
Y poco amiga del sueño,

A la puerta de una casa
Su carrera detuvieron
Acompañando sus trovas
Con sonoros instrumentos

-«Serenata a la de Castro»,
Dijo al mirarlos un viejo.
-¿Y por qué así la celebran?
Preguntó un mozo indiscreto.

-¡Cómo por qué! dijo alguno;
El Virrey loco se ha vuelto
Y prendado de la dama
Ordena tales festejos.

-¿El Virrey?-Así lo dicen.
-¡El Virrey! -Ni más ni menos;
Y allí cantan edecanes,
Corchetes y alabarderos.
-¿Será posible ?
-Miradlos...
-¡Qué locuras!
-Y ¡qué tiempos!
-Los oidores están sordos.
-Al menos están durmiendo.
-¡Turbar en tan altas horas
La soledad y el silencio!
¡Y alarmar a los que viven
Con recato en los conventos!

-¡Y por una mujerzuela!
-¡Una farsanta que ha puesto,
Como a Job, a tantos ricos
Que están limosna pidiendo!

-¿Y la Inquisición? -Se calla.
-¿Y la mitra? -¿Y el Gobierno?
-Doña Ana domina a todos
Con su horrible desenfreno.

-¿Y es hermosa? -Cual ninguna.
-¿Joven? -¡Y de gran talento!
-Y con dos ojos que vierten
Las llamas del mismo infierno.

-Con razón con sus hechizos
Vuelve locos a los viejos.
-El Virrey no es un anciano.
-Ni tampoco un arrapiezo.

-Pero escuchad lo que dicen
Cantando esos bullangueros.
-Es el descaro más grande
Tal cosa decir en verso.

Y al compás de la guitarra
Vibraba claro el acento
De un doncel que así decía
En obscura capa envuelto:

-«¡Sal a tu balcón, señora,
Que por mirarte me muero,
Piensa en que por ver tus gracias
El trono y la corte dejo».

-Más claro no canta un gallo.
-Y todos lo estáis oyendo.
El Virrey deja su trono
Por buscar a la... ¡Silencio!

-¡Cómo está la Nueva España!
-¡Pobre colonia! -Me atrevo
A decir que no se ha visto
Cosa igual en todo el reino.

Y los del corro cantaban,
Y al fin todos aplaudieron
Al mirar que la de Castro
A su balcón salió luego.

-«¡Vivan la luz y la gracia,
La sandunga y el salero!»
-«Ya asomó el sol en oriente».
-«¡Ya el alba tiñó los cielos!»

Y doña Ana agradecida
Buscando a todos un premio,
Llevó la mano a los labios
Y al grupo le arrojó un beso.

Creció el escándalo entonces
Rayó en locura el contento
Y volaron por los aires
Las capas y los sombreros,

Cerró su balcón la dama,
Apagáronse los ecos,
Dispersáronse las gentes
Y todo quedó en silencio
Con grande asombro se supo,
Trascurridas dos semanas
Desde aquella escandalosa
Aunque alegre serenata,

Que las glorias de la escena,
Los laureles de la fama,
El brillo y los oropeles
De la carrera dramática,

Por inexplicable cambio,
Por repentina mudanza,
Sin reserva y sin esfuerzo
Todo dejaba doña Ana.

Y alguno de los que saben
Cuanto en los hogares pasa
Y que exploran con cautela
Los secretos de las almas,

Dijo a todos los amigos
De artista tan celebrada
Que un sermón del Viernes Santo
Era de todo la causa.

El padre Matías Conchoso,
Cuya elocuente palabra
Los más duros corazones
Convirtiera en cera blanda,

Al ver entre su auditorio
A tan arrogante dama
Atrayéndose en el templo
De los hombres las miradas,

Habló de lo falso y breves
Que son las glorias mundanas;
De los mortales pecados
De los que viven en farsas;

De los escándalos graves
Que a la sociedad alarma
Cuando una actriz sin recato
Incautos pechos inflama;

Y con tan vivos colores
Pintó la muerte y sus ansias
Y al infierno perdurable
Que al pecador se prepara;

Que la de Castro, temblando,
Cayó al punto desmayada
Con el hechicero rostro
Bañado en ardientes lágrimas.

Sacáronla de aquel templo,
Condujéronla a su casa,
Y temiendo que muriera
Fueron a sacramentarla.

Cuando cesaron sus males,
Y estuvo en su juicio y sana,
En señal de penitencia
Resolvió dejar las tablas;

Y vendió trajes y joyas;
Y las sumas que dejaran
Se las entregó a la Iglesia
De su nuevo voto en aras.

Entró después de novicia
Y su conducta sin mancha
Y su piedad y su empeño
Por vivir estando en gracia,

Abreviaron sus afanes,
La dieron consuelo y calma
Y tomó el hábito y nunca
El mundo volvió a mirarla.

Fueron tales sus virtudes
Y sus hechos de enclaustrada,
Que cuentan los que lo saben
Que murió en olor de santa.

Por muchos años miróse
La celda pequeña y blanca
Que ocupó en Regina Coeli
La memorable doña Ana.

Y aun se conservan los muros
De la antigua estrecha casa
En que vivió aquella artista
En la «Calle de las Damas».

Pasó, dejando animosa
Riqueza, aplausos y fama,
Del escenario a la celda
¡Por la salvación del alma!
¡Oh tú, que inadvertido peregrinas
de osado monte cumbres desdeñosas,
que igualmente vecinas
tienen a las estrellas sospechosas,
o ya confuso vayas
buscando el Cielo, que robustas hayas
te esconden en las hojas,
o la alma aprisionada de congojas
alivies y consueles,
o con el vario pensamiento vueles
delante de esta peña tosca y dura,
que de naturaleza aborrecida
envidia de aquel prado la hermosura:
detén el paso y tu camino olvida,
y el duro intento, que te arrastra, deja,
mientras vivo escarmiento te aconseja!
En la que oscura ves, cueva espantosa,
sepulcro de los tiempos que han pasado,
mi espíritu reposa,
dentro en mi propio cuerpo sepultado,
pues mis bienes perdidos
sólo han dejado en mí fuego y gemidos,
victorias de aquel ceño
que, con la muerte, me libró del sueño
de bienes de la tierra,
y gozo blanda paz tras dura guerra,
hurtado para siempre a la grandeza,
al envidioso polvo Cortesano,
al inicuo poder de la riqueza,
al lisonjero adulador tirano.
¡Dichoso yo, que fuera de este abismo,
vivo me soy sepulcro de mí mismo!
Estas mojadas, nunca enjutas ropas,
estas no escarmentadas y deshechas
velas, proas y popas,
estos hierros molestos, estas flechas,
estos lazos y redes
que me visten de miedo las paredes,
lamentables despojos,
desprecio del naufragio de mis ojos,
recuerdos despreciados,
son, para más dolor bienes pasados.
Fue tiempo que me vio, quien hoy me llora,
burlar de la verdad y de escarmiento,
y ya, quiérelo Dios, llegó la hora,
que debo mi discurso a mi tormento:
ved cómo y cuán en breve el gusto acaba,
pues suspira por mí quien me envidiaba.
Aun a la muerte vine por rodeos,
que se hace de rogar, o da sus veces
a mis propios deseos;
mas ya que son mis desengaños jueces,
aquí solo conmigo
la angosta senda de los sabios sigo,
donde gloriosamente
desprecio la ambición de lo presente.
No lloro lo pasado,
ni lo que ha de venir me da cuidado,
y mi loca esperanza siempre verde,
que sobre el pensamiento voló ufana,
de puro vieja aquí su color pierde,
y blanca puede estar de puro cana.
Aquí, del primer hombre despojado,
descanso ya de andar de mí cargado.
Estos que han de beber, fresnos hojosos,
la roja sangre de la dura guerra;
estos olmos hermosos,
a quien esposa vid abraza y cierra
de la sed de los días,
guardan con sombras las corrientes frías;
y en esta dura sierra,
los agradecimientos de la tierra,
con mi labor cansada,
me entretienen la vida fatigada.
Orfeo del aire el Ruiseñor parece,
y ramillete músico el jilguero;
consuelo aquél en su dolor me ofrece;
éste, a mi mal, se muestra lisonjero;
duermo, por cama, en este suelo duro,
si menos blando sueño, más seguro.
No solicito el mar con remo y vela,
ni temo al Turco la ambición armada;
no en larga centinela,
al sueño inobediente, con pagada
sangre y salud vendida,
soy, por un pobre sueldo, mi homicida;
ni a fortuna me entrego,
con la codicia y la esperanza ciego,
por acabar diligente,
los peligros precisos del Oriente;
no de mi gula amenazada vive
la Fénix en Arabia temerosa,
ni a ultraje de mis leños apercibe
el mar su inobediencia peligrosa:
vivo como hombre, que viviendo muero
por desembarazar el día postrero.
Llenos de paz serena mis sentidos,
y la Corte del alma sosegada,
sujetos y vencidos
apetitos de la ley desordenada,
por límite a mis penas
aguardo que desate de mis venas
la muerte, prevenida
la alma que anudada está en la vida,
disimulando horrores
a esta prisión de miedos y dolores,
a este polvo soberbio y presumido,
ambiciosa ceniza, sepultura
portátil que conmigo la he traído,
sin dejarme contra hora segura.
Nací muriendo, y he vivido ciego,
y nunca al cabo de mi muerte llego.
Tú, pues, oh caminante que me escuchas,
si pretendes salir con la victoria
del monstruo con quien luchas,
harás que se adelante tu memoria
a recibir la muerte,
que oscura y muda viene a deshacerte.
No hagas de otro caso,
pues se huye la vida paso a paso;
y en mentidos placeres
muriendo naces, y viviendo mueres.
Cánsate ya, oh mortal, de fatigarte
en adquirir riquezas y tesoro,
que últimamente el tiempo ha de heredarte,
y al fin te dejarán la plata y oro:
vive para ti solo, si pudieres,
pues sólo para ti, si mueres, mueres.
Equivocar el camino
es llegar a la nieve
y llegar a la nieve
es pacer durante veinte siglos las hierbas de los cementerios.

Equivocar el camino
es llegar a la mujer,
la mujer que no teme la luz,
la mujer que no teme a los gallos
y los gallos que no saben cantar sobre la nieve.

Pero si la nieve se equivoca de corazón
puede llegar el viento Austro
y como el aire no hace caso de los gemidos
tendremos que pacer otra vez las hierbas de los cementerios.

Yo vi dos dolorosas espigas de cera
que enterraban un paisaje de volcanes
y vi dos niños locos que empujaban llorando las pupilas de un asesino.

Pero el dos no ha sido nunca un número
porque es una angustia y su sombra,
porque es la guitarra donde el amor se desespera,
porque es la demostración de otro infinito que no es suyo
y es las murallas del muerto
y el castigo de la nueva resurrección sin finales.
Los muertos odian el número dos,
pero el número dos adormece a las mujeres
y como la mujer teme la luz
la luz tiembla delante de los gallos
y los gallos sólo saben votar sobre la nieve
tendremos que pacer sin descanso las hierbas de los cementerios.
Pablo Paredes Dec 2014
Siento tu respiración acelerarse,
Pero me cuesta trabajo
Empatar mi desbocado corazón
Con tu necesitada agonía.
Día a día crece el sentimiento,
Y me da miendo sentir
Esta vulnerabilidad.
Te abrazo y estorban los cuerpos,
Y esque nunca creí ver en tus ojos
Los ojos con los que yo tanto soñe.
Me da miedo que un día te levantes,
Y te des cuenta que no soy quien esperabas, ni el princepe azul
Que tanto anhelabas.
Espero tu corazón alcance mis latidos,
Y que tu boca no se seque
De tanto besar.
¿A caso estoy loco?
Pues mi insana mente se enferma
De claridad, y una luz se cuele
Entre la sombra para enclarecer
Lo que nunca tuve claro,
O tal vez simplemente me negue a ver.
Siempre estuvo frente a mí,
Y ahora que la tengo pierdo cordura,
Mientras ella se mantiente
en sana sobriedad, espero
Solo sean ideas mías, y mi luz
No se pierda con sombra
Pues es para mi solo ella,
Y hoy admito que estoy loco,
Loco por ella
bk Feb 2015
sono le 01 e 22 e io ** nel corpo e nella testa queste vibrazioni calde e pallide che mi stringono il cuore. sono irragiungibili.
** attaccato alle mie ciglia i pensieri tristi, sono perline trasparenti & i miei capelli non sono ancora abbastanza lunghi per strangolare qualcuno. se potessi scegliere di avvelenare qualsiasi superficie che toccherai, io lo farei.
i miei pensieri sono linee biforcute che corrono qui e lì, si diradano come i rami secchi contro il cielo freddo dell'inverno.
immagino me & te amore mio a danzare su un battello, sotto le stelle, qualche vita fa, in cui eravamo belli e sorridenti.
penso ai sassi lanciati nell'acqua, ai cerchi nel grano, alle macchie sul muro. penso alla mia vita da fantasma, quando vivevo a malapena, penso a chi mi ha uccisa in quei mesi e credo che l'inferno esista solo per chi ha conosciuto il paradiao e lo abbia disprezzato.
penso alle ore di sonno perse, alla pelle nuda, al mascara colato, alle tracce di rossetto sui bicchieri, ai muri della stanza che mi conoscevano più di quanto mi abbia mai conosciuta tu.
credo che il mio sia un caso inverso, ** conosciuto l'inferno e ora sto guadagnando il paradiso che ** sempre meritato.
I
Voluntario de España, miliciano
de huesos fidedignos, cuando marcha a morir tu corazón,
cuando marcha a matar con su agonía
mundial, no sé verdaderamente
qué hacer, dónde ponerme; corro, escribo, aplaudo,
lloro, atisbo, destrozo, apagan, digo
a mi pecho que acabe, al que bien, que venga,
y quiero desgraciarme;
descúbrome la frente impersonal hasta tocar
el vaso de la sangre, me detengo,
detienen mi tamaño esas famosas caídas de arquitecto
con las que se honra el animal que me honra;
refluyen mis instintos a sus sogas,
humea ante mi tumba la alegría
y, otra vez, sin saber qué hacer, sin nada, déjame,
desde mi piedra en blanco, déjame,
solo,
cuadrumano, más acá, mucho más lejos,
al no caber entre mis manos tu largo rato extático,
quiebro con tu rapidez de doble filo
mi pequeñez en traje de grandeza!

Un día diurno, claro, atento, fértil
¡oh bienio, el de los lóbregos semestres suplicantes,
por el que iba la pólvora mordiéndose los codos!
¡oh dura pena y más duros pedernales!
!oh frenos los tascados por el pueblo!
Un día prendió el pueblo su fósforo cautivo,
oró de cólera
y soberanamente pleno, circular,
cerró su natalicio con manos electivas;
arrastraban candado ya los déspotas
y en el candado, sus bacterias muertas...

¿Batallas? ¡No! Pasiones. Y pasiones precedidas
de dolores con rejas de esperanzas,
de dolores de pueblos con esperanzas de hombres!
¡Muerte y pasión de paz, las populares!
¡Muerte y pasión guerreras entre olivos,
entendámonos!
Tal en tu aliento cambian de agujas atmosféricas los vientos
y de llave las tumbas en tu pecho,
tu frontal elevándose a primera potencia de martirio.

El mundo exclama: «¡Cosas de españoles!» Y es verdad.
Consideremos,
durante una balanza, a quemarropa,
a Calderón, dormido sobre la cola de un anfibio muerto
o a Cervantes, diciendo: «Mi reino es de este mundo, pero
también del otro»: ¡***** y filo en dos papeles!
Contemplemos a Goya, de hinojos y rezando ante un espejo,
a Coll, el paladín en cuyo asalto cartesiano
tuvo un sudor de nube el paso llano
o a Quevedo, ese abuelo instantáneo de los dinamiteros
o a Cajal, devorado por su pequeño infinito, o todavía
a Teresa, mujer que muere porque no muere
o a Lina Odena, en pugna en más de un punto con Teresa...
(Todo acto o voz genial viene del pueblo
y va hacia él, de frente o transmitidos
por incesantes briznas, por el humo rosado
de amargas contraseñas sin fortuna)
Así tu criatura, miliciano, así tu exangüe criatura,
agitada por una piedra inmóvil,
se sacrifica, apártase,
decae para arriba y por su llama incombustible sube,
sube hasta los débiles,
distribuyendo españas a los toros,
toros a las palomas...

Proletario que mueres de universo, ¡en qué frenética armonía
acabará tu grandeza, tu miseria, tu vorágine impelente,
tu violencia metódica, tu caos teórico y práctico,
tu gana
dantesca, españolísima, de amar, aunque sea a traición,
a tu enemigo!
¡Liberador ceñido de grilletes,
sin cuyo esfuerzo hasta hoy continuaría sin asas la extensión,
vagarían acéfalos los clavos,
antiguo, lento, colorado, el día,
nuestros amados cascos, insepultos!
¡Campesino caído con tu verde follaje por el hombre,
con la inflexión social de tu meñique,
con tu buey que se queda, con tu física,
también con tu palabra atada a un palo
y tu cielo arrendado
y con la arcilla inserta en tu cansancio
y la que estaba en tu uña, caminando!
¡Constructores
agrícolas, civiles y guerreros,
de la activa, hormigueante eternidad: estaba escrito
que vosotros haríais la luz, entornando
con la muerte vuestros ojos;
que, a la caída cruel de vuestras bocas,
vendrá en siete bandejas la abundancia, todo
en el mundo será de oro súbito
y el oro,
fabulosos mendigos de vuestra propia secreción de sangre,
y el oro mismo será entonces de oro!

¡Se amarán todos los hombres
y comerán tomados de las puntas de vuestros pañuelos tristes
y beberán en nombre
de vuestras gargantas infaustas!
Descansarán andando al pie de esta carrera,
sollozarán pensando en vuestras órbitas, venturosos
serán y al son
de vuestro atroz retorno, florecido, innato,
ajustarán mañana sus quehaceres, sus figuras soñadas y cantadas!
¡Unos mismos zapatos irán bien al que asciende

sin vías a su cuerpo
y al que baja hasta la forma de su alma!
¡Entrelazándose hablarán los mudos, los tullidos andarán!
¡Verán, ya de regreso, los ciegos
y palpitando escucharán los sordos!
¡Sabrán los ignorantes, ignorarán los sabios!
¡Serán dados los besos que no pudisteis dar!
¡Sólo la muerte morirá! ¡La hormiga
traerá pedacitos de pan al elefante encadenado
a su brutal delicadeza; volverán
los niños abortados a nacer perfectos, espaciales
y trabajarán todos los hombres,
engendrarán todos los hombres,
comprenderán todos los hombres!

¡Obrero, salvador, redentor nuestro,
perdónanos, hermano, nuestras deudas!
Como dice un tambor al redoblar, en sus adagios:
qué jamás tan efímero, tu espalda!
qué siempre tan cambiante, tu perfil!

¡Voluntario italiano, entre cuyos animales de batalla
un león abisinio va cojeando!
¡Voluntario soviético, marchando a la cabeza de tu pecho universal!
¡Voluntarios del sur, del norte, del oriente
y tú, el occidental, cerrando el canto fúnebre del alba!
¡Soldado conocido, cuyo nombre
desfila en el sonido de un abrazo!
¡Combatiente que la tierra criara, armándote
de polvo,
calzándote de imanes positivos,
vigentes tus creencias personales,
distinto de carácter, íntima tu férula,
el cutis inmediato,
andándote tu idioma por los hombros
y el alma coronada de guijarros!

¡Voluntario fajado de tu zona fría,
templada o tórrida,
héroes a la redonda,
víctima en columna de vencedores:
en España, en Madrid, están llamando
a matar, voluntarios de la vida!

¡Porque en España matan, otros matan
al niño, a su juguete que se para,
a la madre Rosenda esplendorosa,
al viejo Adán que hablaba en alta voz con su caballo
y al perro que dormía en la escalera.
Matan al libro, tiran a sus verbos auxiliares,
a su indefensa página primera!
Matan el caso exacto de la estatua,
al sabio, a su bastón, a su colega,
al barbero de al lado -me cortó posiblemente,
pero buen hombre y, luego, infortunado;
al mendigo que ayer cantaba enfrente,
a la enfermera que hoy pasó llorando,
al sacerdote a cuestas con la altura tenaz de sus rodillas...

¡Voluntarios,
por la vida, por los buenos, matad
a la muerte, matad a los malos!
¡Hacedlo por la libertad de todos,
del explotado, del explotador,
por la paz indolora -la sospecho
cuando duermo al pie de mi frente
y más cuando circulo dando voces-
y hacedlo, voy diciendo,
por el analfabeto a quien escribo,
por el genio descalzo y su cordero,
por los camaradas caídos,
sus cenizas abrazadas al cadáver de un camino!

Para que vosotros,
voluntarios de España y del mundo, vinierais,
soñé que era yo bueno, y era para ver
vuestra sangre, voluntarios...
De esto hace mucho pecho, muchas ansias,
muchos camellos en edad de orar.
Marcha hoy de vuestra parte el bien ardiendo,
os siguen con cariño los reptiles de pestaña inmanente
y, a dos pasos, a uno,
la dirección del agua que corre a ver su límite antes que arda.
Me gusta ver el cielo
con negros nubarrones
y oír los aquilones
horrísonos bramar,
me gusta ver la noche
sin luna y sin estrellas,
y sólo las centellas
la tierra iluminar.

Me agrada un cementerio
de muertos bien relleno,
manando sangre y cieno
que impida el respirar;
y allí un sepulturero
de tétrica mirada
con mano despiadada
los cráneos machacar.

Me alegra ver la bomba
caer mansa del cielo,
inmóvil en el suelo,
sin mecha al parecer,
y luego embravecida
que estalla y que se agite
y rayos mil vomite
y muertos por doquier.

Que el trueno me despierte
con su ronco estampido,
y al mundo adormecido
le haga estremecer;
que rayos cada instante
caigan sobre él sin cuento,
que se hunda el firmamento
me agrada mucho ver.

La llama de un incendio
que corra devorando
escombros apilando
quisiera yo encender;
tostarse allí un anciano,
volverse todo tea,
oír como vocea,
¡qué gusto!, ¡qué placer!

Me gusta una campiña
de nieve tapizada,
de flores despojada,
sin fruto, sin verdor,
ni pájaros que canten,
ni sol haya que alumbre
y sólo se vislumbre
la muerte en derredor.

Allá, en sombrío monte,
solar desmantelado,
me place en sumo grado
la luna al reflejar;
moverse las veletas
con áspero chirrido
igual al alarido
que anuncia el expirar.

Me gusta que al Averno
lleven a los mortales
y allí todos los males
les hagan padecer;
les abran las entrañas,
les rasguen los tendones,
rompan los corazones
sin de ellos caso hacer.

Insólita avenida
que inunda fértil vega,
de cumbre en cumbre llega,
y llena de pavor,
se lleva los ganados
y las vides, sin pausa,
y estragos miles causa ...
¡qué gusto!, ¡qué placer!

Las voces y las risas,
el juego, las botellas,
en torno de las bellas
alegres apurar;
y en sus bocas lascivas,
un beso a cada trago
con voluptuoso halago
alegres estampar.

Romper después las copas,
los platos, las barajas,
y, abiertas las navajas,
buscando el corazón,
oír luego los brindis
mezclados con quejidos
que lanzan los heridos
en llanto y confusión.

Quisiera ver al uno
que arrastra un intestino,
y al otro pedir vino
muriendo en un rincón;
y otros, ya borrachos,
en trino desusado
cantar a Dios sagrado
impúdica canción.

Y mientras las queridas
tendidas en los lechos,
sin chales en los pechos
y flojo el cinturón,
mostrando sus encantos,
sin orden el cabello,
al aire el muslo bello.
¡Qué gozo! ¡Qué ilusión!

— The End —