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M'affaccio alla finestra e vedo il mare:
vedo le stelle passare, onde passare:
un guizzo chiama, un palpito risponde.
Ecco sospira l'acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d'argento.
Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto e dove meni?
L'osteria della pergola è in faccende:
piena è di grida, di brusìo, di sordi
tonfi; il camin fumante a tratti splende.
Sulla soglia, tra il nembo degli odori
pingui, un mendico brontola: Altri tordi
c'era una volta, e altri cacciatori.
Dice, e il cor s'è beato. Mezzogiorno
dal villaggio a rintocchi lenti squilla;
e dai remoti campanili intorno
un'ondata di riso empie la villa.
Non ammirare, se in un cuor non basso,
cui tu rivolga a prova, un pungiglione
senti improvviso: c'è sott'ogni sasso
lo scorpione.
Non ammirare, se in un cuor concesso
al male, senti a quando a quando un grido
buono, un palpito santo: ogni cipresso
porta il suo nido.
Nel mio giardino, là nel canto oscuro
dove ora il pettirosso tintinnìa,
col gelsomino rampicante al muro,
c'è la gaggìa;
e or che ottobre dentro la vermiglia
foresta il marzo rende morto al suolo,
e sembra marzo, come rassomiglia
bacca a bocciuolo,
alba a tramonto; nelle tenui trine
l'una si stringe, al roseo vespro, quando
l'altro i suoi fiori, candide stelline,
apre, alitando;
ed al sospiro dell'avemaria,
quando nel bosco dalle cime ****
il dì s'esala, il cuore in una pia
ombra si chiude;
e l'anima in quell'ombra di ricordi
apre corolle che imbocciar non vide;
e l'ombra di fior d'angelo e di fior di
spina sorride.
Errai nell'oblio della valle
tra ciuffi di stipe fiorite,
tra quercie rigonfie di galle;

errai nella macchia più sola,
per dove tra foglie marcite
spuntava l'azzurra viola;

errai per i botri solinghi:
la cincia vedeva dai pini:
sbuffava i suoi piccoli ringhi
argentini.

Io siedo invisibile e solo
tra monti e foreste: la sera
non freme d'un grido, d'un volo.

Io siedo invisibile e fosco;
ma un cantico di capinera
si leva dal tacito bosco.

E il cantico all'ombre segrete
per dove invisibile io siedo,
con voce di flauto ripete,
Io ti vedo!
Nevica: l'aria brulica di bianco;
la terra è bianca; neve sopra neve:
gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco:
cade del bianco con un tonfo lieve.
E le ventate soffiano di schianto
e per le vie mulina la bufera;
passano bimbi: un balbettìo di pianto;
passa una madre: passa una preghiera.
Si muove il cielo, tacito e lontano:
la terra dorme, e non la vuol destare;
dormono l'acque, i monti, le brughiere.
Ma no, ché sente sospirare il mare,
gemere sente le capanne nere:
v'è dentro un ***** che non può dormire:
piange; e le stelle passano pian piano.
Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro senti nel cuore...

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
vuoto il cielo, e cavo al piè sonante sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile.
È l'estate, fredda, dei morti.
Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca.
Senti: una zana dondola piano piano.
Un ***** piange, il piccol dito in bocca;
Canta una vecchia, il mento sulla mano.
La vecchia canta: intorno al tuo lettino
C'è rose e gigli, tutto un bel giardino.
Nei bel giardino il ***** si addormenta
La neve fiocca lenta, lenta, lenta.
Sogno d'un dì d'estate.
Quanto scampanellare
tremulo di cicale!
Stridule pel filare
moveva il maestrale
le foglie accartocciate.
Scendea tra gli olmi il sole
in fascie polverose;
erano in ciel due sole
nuvole, tenui, róse:
due bianche spennellate
in tutto il ciel turchino.
Siepi di melograno,
fratte di tamerice,
il palpito lontano
d'una trebbiatrice,
l'angelus argentino...
dov'ero? Le campane
mi dissero dov'ero,
piangendo, mentre un cane
latrava al forestiero,
che andava a capo chino.
Cantava al buio d'aia in aia il gallo.
E gracidò nel bosco la cornacchia:
il sole si mostrava a finestrelle.
Il sol dorò la nebbia della macchia,
poi si nascose; e piovve a catinelle.
Poi fra il cantare delle raganelle
guizzò sui campi un raggio lungo e giallo.
Stupìano i rondinotti dell'estate
di quel sottile scendere di spille:
era un brusìo con languide sorsate
e chiazze larghe e picchi a mille a mille;
poi singhiozzi, e gocciar rado di stille:
di stille d'oro in coppe di cristallo.
Chi questo nuovo pianto in cuor mi pone?
Verso Occidente, o dolce madre Aurora,
da te lontano la mia vita è corsa.
Il cielo s'alza e tutto trascolora;
passano stelle e stelle in lenta corsa;
emerge dall'azzurro la grand'Orsa,
e sta nell'arme fulgido Orione.
Come più lieta la tua vista, quando
un poco accenni delle rosee dita;
e la greggia s'avvia scampanellando,
esce il bifolco e rauco i bovi incìta,
canta lassù la lodola - apparita
ecco Giulietta, e piange, al suo balcone! -.
Lo so: non era nella valle fonda
suon che s'udìa di palafreni andanti:
era l'acqua che giù dalle stillanti
tegole a furia percotea la gronda.
Pur via e via per l'infinita sponda
passar vedevo i cavalieri erranti;
scorgevo le corazze luccicanti,
scorgevo l'ombra galoppar sull'onda.
Cessato il vento poi, non di galoppi
il suono udivo, nè vedea tremando
fughe remote al dubitoso lume;
ma poi solo vedevo, amici pioppi!
Brusivano soave tentennando
lungo la sponda del mio dolce fiume.
Si sente un galoppo lontano
(è la...? ),
che viene, che corre nel piano
con tremula rapidità.
Un piano deserto, infinito;
tutto ampio, tutt'arido, eguale:
qualche ombra d'uccello smarrito,
che scivola simile a strale:
non altro. Essi fuggono via
da qualche remoto sfacelo;
ma quale, ma dove egli sia,
non sa né la terra né il cielo.
Si sente un galoppo lontano
più forte,
che viene, che corre nel piano:
la Morte! La Morte! La Morte!
O mamma, o mammina, hai stirato
la nuova camicia di lino?
Non c'era laggiù tra il bucato,
sul bossolo o sul biancospino.
Su gli occhi tu tieni le mani...
Perché? Non lo sai che domani...?
din don dan, din don dan.
Si parlano i bianchi villaggi
cantando in un lume di rosa:
dell'ombra dè monti selvaggi
si sente una romba festosa.
Tu tieni a gli orecchi le mani...
tu piangi; ed è festa domani...
din don dan, din don dan.
Tu pensi... Oh! Ricordo: la pieve...
quanti anni ora sono? Una sera...
il ***** era freddo, di neve;
il ***** era bianco, di cera:
allora sonò la campana
(perché non pareva lontana? )
din don dan, din don dan.
Sonavano a festa, come ora,
per l'angiolo; il nuovo angioletto
nel cielo volava a quell'ora;
ma tu lo volevi al tuo petto,
con noi, nella piccola zana:
gridavi; e lassù la campana...
din don dan, din don dan.
Per un attimo fui nel mio villaggio,
nella mia casa. Nulla era mutato.
Stanco tornavo, come da un viaggio;
stanco al mio padre, ai morti, ero tornato.
Sentivo una gran gioia, una gran pena;
una dolcezza ed un'angoscia muta.
- Mamma? - È là che ti scalda un po' di cena. -
Povera mamma! E lei, non l'** veduta.
È mezzodì. Rintomba.
Tacciono le cicale
nelle stridule seccie.
E chiaro un tuon rimbomba
dopo uno stanco, uguale,
rotolare di breccie.
Rondini ad ali aperte
fanno echeggiar la loggia
dè lor piccoli scoppi.
Già, dopo l'afa inerte,
fanno rumor di pioggia
le fogline dei pioppi.
Un tuon sgretola l'aria.
Sembra venuto sera.
Picchia ogni anta su l'anta.
Serrano. Solitaria
s'ode una capinera,
là, che canta... che canta...
E l'acqua cade, a grosse
goccie, poi giù a torrenti,
sopra i fumidi campi.
S'è sfatto il cielo: a scosse
v'entrano urlando i venti
e vi sbisciano i lampi.
Cresce in un gran sussulto
l'acqua, dopo ogni rotto
schianto ch'aspro diroccia;
mentre, col suo singulto
trepido, passa sotto
l'acquazzone una chioccia.
Appena tace il tuono,
che quando al fin già pare,
fa tremare ogni vetro,
tra il vento e l'acqua, buono,
s'ode quel croccolare
cò suoi pigolìi dietro.
Vidi il mio sogno sopra il monte in cima;
era una striscia pallida, cò suoi
Boschi d'un verde quale mai né prima
vidi né poi.
Prima, il sonante nembo coi velari,
tutto ascondeva, delle nubi nere:
poi, tutto il sole disvelò del pari
bello a vedere.
Ma quel mio sogno al raggio d'un'aurora
nuova m'apparve e sparve in un baleno,
che il ciel non era torbo più né ancora
tutto sereno.
Donde, o vecchina, queste violette
serene come un lontanar di monti
nel puro occaso? Poi che il gelo ha strette
tutte le fonti;
il gelo brucia dalle stelle, o nonna,
ogni foglia, ogni radica, ogni zolla. -
- Tiepida, sappi, lungo la Corsonna
geme una polla.
Là noi sciacquiamo il candido bucato
nell'onda calda in mezzo a nevi e brine;
e il poggio è pieno di viole, e il prato
di pratelline. -
Ah!... ma, poeta, non ancor nel pio
tuo cuore è l'onda che discioglie il gelo?
Non è la polla, calda nell'oblio
freddo del cielo?
Ché sempre, se ti agghiaccia la sventura,
se l'odio altrui ti spoglia e ti desola,
spunta, al tepor dell'anima tua pura,
qualche viola.

— The End —