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Sam Aug 2012
Mi fai scoppiare in lacrime.
Gioia, tristezza, e l'amore.
Sono sopraffatto
ogni volta
Ti vedo.

Le Farfalle ritorno
Di volta in volta.

Il mento così prominente,
Il tuo sorriso così luminoso,
I tuoi occhi così incantevole.

Un abbraccio come nessun altro,
Caldo, pieno d'amore.
Imbarazzante e scomodo.

Baci soffici, duro, lento, veloce.
Intenso.

Fai finta di essere, cose che non sono,
Ma dentro di me vedere il tuo amore, la compassione,
La paura, il dolore, la gioia.

ride piccoli come un anello vero figlio dalla bocca,
come ** dolcemente solleticare la vostra abbronzato, ventre maculato.

Avvolto tra le tue braccia,
un bruco in un bozzolo.
Cassetta di sicurezza, suono, sicuro.

Abbiamo urlare e piangere.
Ci baciamo e ci sorridiamo.
Abbiamo fatto male e guarire.

Tu sei mia,
Io sono tuo.
Non importa chi ti ha amato,
o che vi piace quando ci separiamo,
L'amore che sgorga dal mio cuore,
per te,
Continuerà fino a che non cessa di.

Mi fai ridere,
piangere,
urlo,
brivido,
nella gioia, la rabbia, la disperazione, l'amore.

Voi mi levate dal baratro che è la mia mente.
Mi ricordi per questo che voglio essere vivo.
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.
Già tutta l'aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù dà colli e dà tetti,
Al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
È come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vò; ma la tua festa
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto di un bambino
a cui fugge il pallone tra le case.
Credei ch'al tutto fossero
In me, sul fior degli anni,
Mancati i dolci affanni
Della mia prima età:
I dolci affanni, i teneri
Moti del cor profondo,
Qualunque cosa al mondo
Grato il sentir ci fa.

Quante querele e lacrime
Sparsi nel novo stato,
Quando al mio cor gelato
Prima il dolor mancò!
Mancàr gli usati palpiti,
L'amor mi venne meno,
E irrigidito il seno
Di sospirar cessò!

Piansi spogliata, esanime
Fatta per me la vita
La terra inaridita,
Chiusa in eterno gel;
Deserto il dì; la tacita
Notte più sola e bruna;
Spenta per me la luna,
Spente le stelle in ciel.

Pur di quel pianto origine
Era l'antico affetto:
Nell'intimo del petto
Ancor viveva il cor.
Chiedea l'usate immagini
La stanca fantasia;
E la tristezza mia
Era dolore ancor.

Fra poco in me quell'ultimo
Dolore anco fu spento,
E di più far lamento
Valor non mi restò.
Giacqui: insensato, attonito,
Non dimandai conforto:
Quasi perduto e morto,
Il cor s'abbandonò.

Qual fui! Quanto dissimile
Da quel che tanto ardore,
Che sì beato errore
Nutrii nell'alma un dì!
La rondinella vigile,
Alle finestre intorno
Cantando al novo giorno,
Il cor non mi ferì:

Non all'autunno pallido
In solitaria villa,
La vespertina squilla,
Il fuggitivo Sol.
Invan brillare il vespero
Vidi per muto calle,
Invan sonò la valle
Del flebile usignol.

E voi, pupille tenere,
Sguardi furtivi, erranti,
Voi dè gentili amanti
Primo, immortale amor,
Ed alla mano offertami
Candida ignuda mano,
Foste voi pure invano
Al duro mio sopor.

D'ogni dolcezza vedovo,
Tristo; ma non turbato,
Ma placido il mio stato,
Il volto era seren.
Desiderato il termine
Avrei del viver mio;
Ma spento era il desio
Nello spossato sen.

Qual dell'età decrepita
L'avanzo ignudo e vile,
Io conducea l'aprile
Degli anni miei così:
Così quegl'ineffabili
Giorni, o mio cor, traevi,
Che sì fugaci e brevi
Il cielo a noi sortì.

Chi dalla grave, immemore
Quiete or mi ridesta?
Che virtù nova è questa,
Questa che sento in me?
Moti soavi, immagini,
Palpiti, error beato,
Per sempre a voi negato
Questo mio cor non è?

Siete pur voi quell'unica
Luce dè giorni miei?
Gli affetti ch'io perdei
Nella novella età?
Se al ciel, s'ai verdi margini,
Ovunque il guardo mira,
Tutto un dolor mi spira,
Tutto un piacer mi dà.

Meco ritorna a vivere
La piaggia, il bosco, il monte;
Parla al mio core il fonte,
Meco favella il mar.
Chi mi ridona il piangere
Dopo cotanto obblio?
E come al guardo mio
Cangiato il mondo appar?

Forse la speme, o povero
Mio cor, ti volse un riso?
Ahi della speme il viso
Io non vedrò mai più.
Proprii mi diede i palpiti,
Natura, e i dolci inganni.
Sopiro in me gli affanni
L'ingenita virtù;

Non l'annullàr: non vinsela
Il fato e la sventura;
Non con la vista impura
L'infausta verità.
Dalle mie vaghe immagini
So ben ch'ella discorda:
So che natura è sorda,
Che miserar non sa.

Che non del ben sollecita
Fu, ma dell'esser solo:
Purché ci serbi al duolo,
Or d'altro a lei non cal.
So che pietà fra gli uomini
Il misero non trova;
Che lui, fuggendo, a prova
Schernisce ogni mortal.

Che ignora il tristo secolo
Gl'ingegni e le virtudi;
Che manca ai degni studi
L'ignuda gloria ancor.
E voi, pupille tremule,
Voi, raggio sovrumano,
So che splendete invano,
Che in voi non brilla amor.

Nessuno ignoto ed intimo
Affetto in voi non brilla:
Non chiude una favilla
Quel bianco petto in sé.
Anzi d'altrui le tenere
Cure suol porre in gioco;
E d'un celeste foco
Disprezzo è la mercè.

Pur sento in me rivivere
Gl'inganni aperti e noti;
E, dè suoi proprii moti
Si maraviglia il sen.
Da te, mio cor, quest'ultimo
Spirto, e l'ardor natio,
Ogni conforto mio
Solo da te mi vien.

Mancano, il sento, all'anima
Alta, gentile e pura,
La sorte, la natura,
Il mondo e la beltà.
Ma se tu vivi, o misero,
Se non concedi al fato,
Non chiamerò spietato
Chi lo spirar mi dà.
Stefano Jan 2013
Vorticosi anelli imperlati di caducità. Volto scuro, nell'ombra del sole. Vivace tristezza volteggiante sulla testa. Scintilla di fuoco di una sigaretta sprecata. Respiro forte di polmoni, a riempire il vuoto che c'è nell'anima
con l'etereo.
Catrame nero e traditore, colma le mie mancanze e paziente ascolta i miei lamenti.
Impassibile e maligno.
bk Jul 2015
I:
una volta sputavo vetri rotti, ora si sono tramutati in perle e diamanti, conosco le parole segrete per distruggere i mondi dei miei nemici, basterebbe un *aveva ragione lei
o un mi ha amato più di quanto amerà te per farvi schiantare al suolo, fate attenzione perché oltre ai gioielli so sputare fiamme.
spero che leggiate e soffriate soffriate soffriate.

II:
guardo le mie notti andare avanti contando gli spazi vuoti nei blister di plastica delle pastiglie.

III:
delle volte amore mio mi chiedo se non sia ingiusto che io spenda su di te così poche parole ma la verità è che io parlo per non vedere le ferite tesoro, alcune sono lì e non sono rimarginate.
spesso e volentieri le mie parole sono fatte di rabbia e rancore e tristezza, non c'è nulla di più lontano da te in tutto questo, scusami.
Sappi - e forse lo sai, nel camposanto -
la bimba dalle lunghe anella d'oro,
e l'altra che fu l'ultimo tuo pianto,
sappi ch'io le raccolsi e che le adoro.
Per lor ripresi il mio coraggio affranto,
e mi detersi l'anima per loro:
hanno un tetto, hanno un nido, ora, mio vanto:
e l'amor mio le nutre e il mio lavoro.
Non son felici, sappi, ma serene:
il lor sorriso ha una tristezza pia:
io le guardo - o mia sola erma famiglia! -
e sempre a gli occhi sento che mi viene
quella che ti bagnò nell'agonia
non terminata lagrima le ciglia.
Quando tu venisti, una notte, verso il suo letto, al buio,
e le dicesti, piano, già sopra di lei: Non ti vedo, non ti sento.
E la ghermisti con artiglio d'aquila, e tutta la costringesti nella tua forza
riplasmandola in te con tal furore ch'ella perdette il senso d'esistere.
E uno solo in due bocche fu il rantolo e misto fu il sangue e fu il ritmo perfetto,
e dal balcone aperto la notte guardava con l'occhio d'una sola stella
rossastra,
e il sonno che seguì parve la morte, e immoti come cadaveri
la tristezza dell'ombra vi vegliò sino all'alba.
E più facile ancora mi sarebbe
scendere a te per le più buie scale,
quelle del desiderio che mi assalta
come lupo infecondo nella notte.

So che tu coglieresti dei miei frutti
con le mani sapienti del perdono...

E so anche che mi ami di un amore
casto, infinito, regno di tristezza...

Ma io il pianto per te l'** levigato
giorno per giorno come luce piena
e lo rimando tacita ai miei occhi
che, se ti guardo, vivono di stelle.
Mo accumencia l'anno nuovo,
è Jennaro, ch'alleria!
Cu 'a speranza e 'a fantasia,
tu te pienze ca chist'anno
forse è cchiù meglio 'e chill'ato...
quanno è a fine t'he sbagliato.
A Febbraio nce sta 'o viglione:
chi se veste d'arlecchino,
pulcinella o colombina...
e me fanno tanta pena
chesti ggente cu sti facce:
ma songh'uommene o pagliacce?!

Quanno vene 'o mese 'e Marzo
pure 'e ggatte fanno ammore,
ch'aggia fa? Me guardo a lloro?
'Mmiezo 'e grade cu 'a vicina,
faccio un anema e curaggio
e m'acchiappo nu passaggio.

Comme è ddoce 'o mese Abbrile,
tutta ll'aria è profumata!
P' 'e ciardine quanno è 'a sera
cu na femmena abbracciata,
musso e musso, core e core...
tutta smania e tutto ammore.

Quant'è bello 'o mese 'e Maggio
quanno schioppano sti rrose!
Che prufumo int'a stu mese
pe Pusiileco addiruso!
Stongo 'nterra o 'mparaviso
quanno tu staje 'mbraccio a mme?

Quanno è Giugno la stagione
vene e trase chianu chiano:
s'ammatura pure 'o ggrano,
s'ammatura tutte cose...
Pure 'a femmena scuntrosa
tu t' 'a cuoglie cu nu vaso.

Quanno è Luglio 'mmiezo 'o mare,
'ncopp' 'a spiaggia, 'nterra 'a rena
mamma mia, quanta sirene!
Io cu ll'uocchie m' 'e magnasse;
guardo a chesta, guardo a chella,
ma pe mme tu si 'a cchiù bella!

Quanno è Austo che calore!
lo nun saccio che me piglia...
Chistu sole me scumpiglia!
E te guardo cu passione:
volle 'o sango dint' 'e vvene
e nisciuno me trattene.

È chest'aria settembrina
ca te mette dint' 'e vvene
tanta smania 'e vulè bbene!
Nu suspiro, ciente vase
mille cose e 'o desiderio
ca st' ammore fosse serio.

Vene Uttombre, int' 'a stu mese
ll'aria è fresca p' 'a campagna.
Chisto è tiempo d' 'a vennegna,
si t'astrigne a na cumpagna
zittu zittu dint' 'a vigna,
nun se lagna e lass'a fà.

Chiove, nebbia, scura notte.
Stu Nuvembre porta 'mpietto
nu ricordo fatto a llutto:
nu canisto 'e crisanteme...
chistu sciore, che tristezza,
mette 'ncore n'amarezza!

A Natale, 'o zampugnaro,
'e biancale, 'e spare, 'e bbotte,
'o presebbio a piede 'o lietto.
Quann' è 'mpunto mezanotte
cu mugliereta tu miette
'o Bambino dint' 'a grotta...
Jay Luistro Nov 2018
Tu che dall’ombra compari,
E docile e dolce tu pari,
Nel sole cocente la tua pelle schiarisce
E dalla tua faccia la tristezza svanisce.

Ti ** guardata dritta negli occhi,
E tu la mia pelle mi tocchi.
Ti ** guardata nel viso un sorriso
Che la dolce faccia tua ha riso.

Mi ricordo di averti amata subito
E che allorché scelta non dubito,
E di fatto mi hai regalato la felicità
E al cuore mio la verità.

Adesso ti dirò che sei speciale,
Speciale ma non tanto quanto il reale.
Perché più di questo tu sei e sarai
E per sempre il mio cuore battere farai.
You that you appear in the shadow,/
Docile and sweet you seem,
Under the hot sun your skin lightens,/
And from your face the sadness vanishes./

I looked through your eyes,
And my skin you touch.
I saw in your face a smile,
That your sweet face has laughed.

I remember to have loved ya immediately,
And my choice when I decided I don’t doubt,/
And in fact you gave me the happiness,/
And to my heart the truth.

Now I tell you, you are special,/
But Special not as likely the reality,/
Because you are and will be more than it(special),/
And my heart you will always make it beat./

Dedicated to my Girlfriend.
Credei ch'al tutto fossero
In me, sul fior degli anni,
Mancati i dolci affanni
Della mia prima età:
I dolci affanni, i teneri
Moti del cor profondo,
Qualunque cosa al mondo
Grato il sentir ci fa.

Quante querele e lacrime
Sparsi nel novo stato,
Quando al mio cor gelato
Prima il dolor mancò!
Mancàr gli usati palpiti,
L'amor mi venne meno,
E irrigidito il seno
Di sospirar cessò!

Piansi spogliata, esanime
Fatta per me la vita
La terra inaridita,
Chiusa in eterno gel;
Deserto il dì; la tacita
Notte più sola e bruna;
Spenta per me la luna,
Spente le stelle in ciel.

Pur di quel pianto origine
Era l'antico affetto:
Nell'intimo del petto
Ancor viveva il cor.
Chiedea l'usate immagini
La stanca fantasia;
E la tristezza mia
Era dolore ancor.

Fra poco in me quell'ultimo
Dolore anco fu spento,
E di più far lamento
Valor non mi restò.
Giacqui: insensato, attonito,
Non dimandai conforto:
Quasi perduto e morto,
Il cor s'abbandonò.

Qual fui! Quanto dissimile
Da quel che tanto ardore,
Che sì beato errore
Nutrii nell'alma un dì!
La rondinella vigile,
Alle finestre intorno
Cantando al novo giorno,
Il cor non mi ferì:

Non all'autunno pallido
In solitaria villa,
La vespertina squilla,
Il fuggitivo Sol.
Invan brillare il vespero
Vidi per muto calle,
Invan sonò la valle
Del flebile usignol.

E voi, pupille tenere,
Sguardi furtivi, erranti,
Voi dè gentili amanti
Primo, immortale amor,
Ed alla mano offertami
Candida ignuda mano,
Foste voi pure invano
Al duro mio sopor.

D'ogni dolcezza vedovo,
Tristo; ma non turbato,
Ma placido il mio stato,
Il volto era seren.
Desiderato il termine
Avrei del viver mio;
Ma spento era il desio
Nello spossato sen.

Qual dell'età decrepita
L'avanzo ignudo e vile,
Io conducea l'aprile
Degli anni miei così:
Così quegl'ineffabili
Giorni, o mio cor, traevi,
Che sì fugaci e brevi
Il cielo a noi sortì.

Chi dalla grave, immemore
Quiete or mi ridesta?
Che virtù nova è questa,
Questa che sento in me?
Moti soavi, immagini,
Palpiti, error beato,
Per sempre a voi negato
Questo mio cor non è?

Siete pur voi quell'unica
Luce dè giorni miei?
Gli affetti ch'io perdei
Nella novella età?
Se al ciel, s'ai verdi margini,
Ovunque il guardo mira,
Tutto un dolor mi spira,
Tutto un piacer mi dà.

Meco ritorna a vivere
La piaggia, il bosco, il monte;
Parla al mio core il fonte,
Meco favella il mar.
Chi mi ridona il piangere
Dopo cotanto obblio?
E come al guardo mio
Cangiato il mondo appar?

Forse la speme, o povero
Mio cor, ti volse un riso?
Ahi della speme il viso
Io non vedrò mai più.
Proprii mi diede i palpiti,
Natura, e i dolci inganni.
Sopiro in me gli affanni
L'ingenita virtù;

Non l'annullàr: non vinsela
Il fato e la sventura;
Non con la vista impura
L'infausta verità.
Dalle mie vaghe immagini
So ben ch'ella discorda:
So che natura è sorda,
Che miserar non sa.

Che non del ben sollecita
Fu, ma dell'esser solo:
Purché ci serbi al duolo,
Or d'altro a lei non cal.
So che pietà fra gli uomini
Il misero non trova;
Che lui, fuggendo, a prova
Schernisce ogni mortal.

Che ignora il tristo secolo
Gl'ingegni e le virtudi;
Che manca ai degni studi
L'ignuda gloria ancor.
E voi, pupille tremule,
Voi, raggio sovrumano,
So che splendete invano,
Che in voi non brilla amor.

Nessuno ignoto ed intimo
Affetto in voi non brilla:
Non chiude una favilla
Quel bianco petto in sé.
Anzi d'altrui le tenere
Cure suol porre in gioco;
E d'un celeste foco
Disprezzo è la mercè.

Pur sento in me rivivere
Gl'inganni aperti e noti;
E, dè suoi proprii moti
Si maraviglia il sen.
Da te, mio cor, quest'ultimo
Spirto, e l'ardor natio,
Ogni conforto mio
Solo da te mi vien.

Mancano, il sento, all'anima
Alta, gentile e pura,
La sorte, la natura,
Il mondo e la beltà.
Ma se tu vivi, o misero,
Se non concedi al fato,
Non chiamerò spietato
Chi lo spirar mi dà.
Credei ch'al tutto fossero
In me, sul fior degli anni,
Mancati i dolci affanni
Della mia prima età:
I dolci affanni, i teneri
Moti del cor profondo,
Qualunque cosa al mondo
Grato il sentir ci fa.

Quante querele e lacrime
Sparsi nel novo stato,
Quando al mio cor gelato
Prima il dolor mancò!
Mancàr gli usati palpiti,
L'amor mi venne meno,
E irrigidito il seno
Di sospirar cessò!

Piansi spogliata, esanime
Fatta per me la vita
La terra inaridita,
Chiusa in eterno gel;
Deserto il dì; la tacita
Notte più sola e bruna;
Spenta per me la luna,
Spente le stelle in ciel.

Pur di quel pianto origine
Era l'antico affetto:
Nell'intimo del petto
Ancor viveva il cor.
Chiedea l'usate immagini
La stanca fantasia;
E la tristezza mia
Era dolore ancor.

Fra poco in me quell'ultimo
Dolore anco fu spento,
E di più far lamento
Valor non mi restò.
Giacqui: insensato, attonito,
Non dimandai conforto:
Quasi perduto e morto,
Il cor s'abbandonò.

Qual fui! Quanto dissimile
Da quel che tanto ardore,
Che sì beato errore
Nutrii nell'alma un dì!
La rondinella vigile,
Alle finestre intorno
Cantando al novo giorno,
Il cor non mi ferì:

Non all'autunno pallido
In solitaria villa,
La vespertina squilla,
Il fuggitivo Sol.
Invan brillare il vespero
Vidi per muto calle,
Invan sonò la valle
Del flebile usignol.

E voi, pupille tenere,
Sguardi furtivi, erranti,
Voi dè gentili amanti
Primo, immortale amor,
Ed alla mano offertami
Candida ignuda mano,
Foste voi pure invano
Al duro mio sopor.

D'ogni dolcezza vedovo,
Tristo; ma non turbato,
Ma placido il mio stato,
Il volto era seren.
Desiderato il termine
Avrei del viver mio;
Ma spento era il desio
Nello spossato sen.

Qual dell'età decrepita
L'avanzo ignudo e vile,
Io conducea l'aprile
Degli anni miei così:
Così quegl'ineffabili
Giorni, o mio cor, traevi,
Che sì fugaci e brevi
Il cielo a noi sortì.

Chi dalla grave, immemore
Quiete or mi ridesta?
Che virtù nova è questa,
Questa che sento in me?
Moti soavi, immagini,
Palpiti, error beato,
Per sempre a voi negato
Questo mio cor non è?

Siete pur voi quell'unica
Luce dè giorni miei?
Gli affetti ch'io perdei
Nella novella età?
Se al ciel, s'ai verdi margini,
Ovunque il guardo mira,
Tutto un dolor mi spira,
Tutto un piacer mi dà.

Meco ritorna a vivere
La piaggia, il bosco, il monte;
Parla al mio core il fonte,
Meco favella il mar.
Chi mi ridona il piangere
Dopo cotanto obblio?
E come al guardo mio
Cangiato il mondo appar?

Forse la speme, o povero
Mio cor, ti volse un riso?
Ahi della speme il viso
Io non vedrò mai più.
Proprii mi diede i palpiti,
Natura, e i dolci inganni.
Sopiro in me gli affanni
L'ingenita virtù;

Non l'annullàr: non vinsela
Il fato e la sventura;
Non con la vista impura
L'infausta verità.
Dalle mie vaghe immagini
So ben ch'ella discorda:
So che natura è sorda,
Che miserar non sa.

Che non del ben sollecita
Fu, ma dell'esser solo:
Purché ci serbi al duolo,
Or d'altro a lei non cal.
So che pietà fra gli uomini
Il misero non trova;
Che lui, fuggendo, a prova
Schernisce ogni mortal.

Che ignora il tristo secolo
Gl'ingegni e le virtudi;
Che manca ai degni studi
L'ignuda gloria ancor.
E voi, pupille tremule,
Voi, raggio sovrumano,
So che splendete invano,
Che in voi non brilla amor.

Nessuno ignoto ed intimo
Affetto in voi non brilla:
Non chiude una favilla
Quel bianco petto in sé.
Anzi d'altrui le tenere
Cure suol porre in gioco;
E d'un celeste foco
Disprezzo è la mercè.

Pur sento in me rivivere
Gl'inganni aperti e noti;
E, dè suoi proprii moti
Si maraviglia il sen.
Da te, mio cor, quest'ultimo
Spirto, e l'ardor natio,
Ogni conforto mio
Solo da te mi vien.

Mancano, il sento, all'anima
Alta, gentile e pura,
La sorte, la natura,
Il mondo e la beltà.
Ma se tu vivi, o misero,
Se non concedi al fato,
Non chiamerò spietato
Chi lo spirar mi dà.
Quando tu venisti, una notte, verso il suo letto, al buio,
e le dicesti, piano, già sopra di lei: Non ti vedo, non ti sento.
E la ghermisti con artiglio d'aquila, e tutta la costringesti nella tua forza
riplasmandola in te con tal furore ch'ella perdette il senso d'esistere.
E uno solo in due bocche fu il rantolo e misto fu il sangue e fu il ritmo perfetto,
e dal balcone aperto la notte guardava con l'occhio d'una sola stella
rossastra,
e il sonno che seguì parve la morte, e immoti come cadaveri
la tristezza dell'ombra vi vegliò sino all'alba.
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.
Già tutta l'aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù dà colli e dà tetti,
Al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
È come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vò; ma la tua festa
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto di un bambino
a cui fugge il pallone tra le case.
Quando tu venisti, una notte, verso il suo letto, al buio,
e le dicesti, piano, già sopra di lei: Non ti vedo, non ti sento.
E la ghermisti con artiglio d'aquila, e tutta la costringesti nella tua forza
riplasmandola in te con tal furore ch'ella perdette il senso d'esistere.
E uno solo in due bocche fu il rantolo e misto fu il sangue e fu il ritmo perfetto,
e dal balcone aperto la notte guardava con l'occhio d'una sola stella
rossastra,
e il sonno che seguì parve la morte, e immoti come cadaveri
la tristezza dell'ombra vi vegliò sino all'alba.
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.
Già tutta l'aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù dà colli e dà tetti,
Al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
È come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vò; ma la tua festa
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto di un bambino
a cui fugge il pallone tra le case.
Mo accumencia l'anno nuovo,
è Jennaro, ch'alleria!
Cu 'a speranza e 'a fantasia,
tu te pienze ca chist'anno
forse è cchiù meglio 'e chill'ato...
quanno è a fine t'he sbagliato.
A Febbraio nce sta 'o viglione:
chi se veste d'arlecchino,
pulcinella o colombina...
e me fanno tanta pena
chesti ggente cu sti facce:
ma songh'uommene o pagliacce?!

Quanno vene 'o mese 'e Marzo
pure 'e ggatte fanno ammore,
ch'aggia fa? Me guardo a lloro?
'Mmiezo 'e grade cu 'a vicina,
faccio un anema e curaggio
e m'acchiappo nu passaggio.

Comme è ddoce 'o mese Abbrile,
tutta ll'aria è profumata!
P' 'e ciardine quanno è 'a sera
cu na femmena abbracciata,
musso e musso, core e core...
tutta smania e tutto ammore.

Quant'è bello 'o mese 'e Maggio
quanno schioppano sti rrose!
Che prufumo int'a stu mese
pe Pusiileco addiruso!
Stongo 'nterra o 'mparaviso
quanno tu staje 'mbraccio a mme?

Quanno è Giugno la stagione
vene e trase chianu chiano:
s'ammatura pure 'o ggrano,
s'ammatura tutte cose...
Pure 'a femmena scuntrosa
tu t' 'a cuoglie cu nu vaso.

Quanno è Luglio 'mmiezo 'o mare,
'ncopp' 'a spiaggia, 'nterra 'a rena
mamma mia, quanta sirene!
Io cu ll'uocchie m' 'e magnasse;
guardo a chesta, guardo a chella,
ma pe mme tu si 'a cchiù bella!

Quanno è Austo che calore!
lo nun saccio che me piglia...
Chistu sole me scumpiglia!
E te guardo cu passione:
volle 'o sango dint' 'e vvene
e nisciuno me trattene.

È chest'aria settembrina
ca te mette dint' 'e vvene
tanta smania 'e vulè bbene!
Nu suspiro, ciente vase
mille cose e 'o desiderio
ca st' ammore fosse serio.

Vene Uttombre, int' 'a stu mese
ll'aria è fresca p' 'a campagna.
Chisto è tiempo d' 'a vennegna,
si t'astrigne a na cumpagna
zittu zittu dint' 'a vigna,
nun se lagna e lass'a fà.

Chiove, nebbia, scura notte.
Stu Nuvembre porta 'mpietto
nu ricordo fatto a llutto:
nu canisto 'e crisanteme...
chistu sciore, che tristezza,
mette 'ncore n'amarezza!

A Natale, 'o zampugnaro,
'e biancale, 'e spare, 'e bbotte,
'o presebbio a piede 'o lietto.
Quann' è 'mpunto mezanotte
cu mugliereta tu miette
'o Bambino dint' 'a grotta...
Mo accumencia l'anno nuovo,
è Jennaro, ch'alleria!
Cu 'a speranza e 'a fantasia,
tu te pienze ca chist'anno
forse è cchiù meglio 'e chill'ato...
quanno è a fine t'he sbagliato.
A Febbraio nce sta 'o viglione:
chi se veste d'arlecchino,
pulcinella o colombina...
e me fanno tanta pena
chesti ggente cu sti facce:
ma songh'uommene o pagliacce?!

Quanno vene 'o mese 'e Marzo
pure 'e ggatte fanno ammore,
ch'aggia fa? Me guardo a lloro?
'Mmiezo 'e grade cu 'a vicina,
faccio un anema e curaggio
e m'acchiappo nu passaggio.

Comme è ddoce 'o mese Abbrile,
tutta ll'aria è profumata!
P' 'e ciardine quanno è 'a sera
cu na femmena abbracciata,
musso e musso, core e core...
tutta smania e tutto ammore.

Quant'è bello 'o mese 'e Maggio
quanno schioppano sti rrose!
Che prufumo int'a stu mese
pe Pusiileco addiruso!
Stongo 'nterra o 'mparaviso
quanno tu staje 'mbraccio a mme?

Quanno è Giugno la stagione
vene e trase chianu chiano:
s'ammatura pure 'o ggrano,
s'ammatura tutte cose...
Pure 'a femmena scuntrosa
tu t' 'a cuoglie cu nu vaso.

Quanno è Luglio 'mmiezo 'o mare,
'ncopp' 'a spiaggia, 'nterra 'a rena
mamma mia, quanta sirene!
Io cu ll'uocchie m' 'e magnasse;
guardo a chesta, guardo a chella,
ma pe mme tu si 'a cchiù bella!

Quanno è Austo che calore!
lo nun saccio che me piglia...
Chistu sole me scumpiglia!
E te guardo cu passione:
volle 'o sango dint' 'e vvene
e nisciuno me trattene.

È chest'aria settembrina
ca te mette dint' 'e vvene
tanta smania 'e vulè bbene!
Nu suspiro, ciente vase
mille cose e 'o desiderio
ca st' ammore fosse serio.

Vene Uttombre, int' 'a stu mese
ll'aria è fresca p' 'a campagna.
Chisto è tiempo d' 'a vennegna,
si t'astrigne a na cumpagna
zittu zittu dint' 'a vigna,
nun se lagna e lass'a fà.

Chiove, nebbia, scura notte.
Stu Nuvembre porta 'mpietto
nu ricordo fatto a llutto:
nu canisto 'e crisanteme...
chistu sciore, che tristezza,
mette 'ncore n'amarezza!

A Natale, 'o zampugnaro,
'e biancale, 'e spare, 'e bbotte,
'o presebbio a piede 'o lietto.
Quann' è 'mpunto mezanotte
cu mugliereta tu miette
'o Bambino dint' 'a grotta...
Sappi - e forse lo sai, nel camposanto -
la bimba dalle lunghe anella d'oro,
e l'altra che fu l'ultimo tuo pianto,
sappi ch'io le raccolsi e che le adoro.
Per lor ripresi il mio coraggio affranto,
e mi detersi l'anima per loro:
hanno un tetto, hanno un nido, ora, mio vanto:
e l'amor mio le nutre e il mio lavoro.
Non son felici, sappi, ma serene:
il lor sorriso ha una tristezza pia:
io le guardo - o mia sola erma famiglia! -
e sempre a gli occhi sento che mi viene
quella che ti bagnò nell'agonia
non terminata lagrima le ciglia.
E più facile ancora mi sarebbe
scendere a te per le più buie scale,
quelle del desiderio che mi assalta
come lupo infecondo nella notte.

So che tu coglieresti dei miei frutti
con le mani sapienti del perdono...

E so anche che mi ami di un amore
casto, infinito, regno di tristezza...

Ma io il pianto per te l'** levigato
giorno per giorno come luce piena
e lo rimando tacita ai miei occhi
che, se ti guardo, vivono di stelle.
Sappi - e forse lo sai, nel camposanto -
la bimba dalle lunghe anella d'oro,
e l'altra che fu l'ultimo tuo pianto,
sappi ch'io le raccolsi e che le adoro.
Per lor ripresi il mio coraggio affranto,
e mi detersi l'anima per loro:
hanno un tetto, hanno un nido, ora, mio vanto:
e l'amor mio le nutre e il mio lavoro.
Non son felici, sappi, ma serene:
il lor sorriso ha una tristezza pia:
io le guardo - o mia sola erma famiglia! -
e sempre a gli occhi sento che mi viene
quella che ti bagnò nell'agonia
non terminata lagrima le ciglia.
E più facile ancora mi sarebbe
scendere a te per le più buie scale,
quelle del desiderio che mi assalta
come lupo infecondo nella notte.

So che tu coglieresti dei miei frutti
con le mani sapienti del perdono...

E so anche che mi ami di un amore
casto, infinito, regno di tristezza...

Ma io il pianto per te l'** levigato
giorno per giorno come luce piena
e lo rimando tacita ai miei occhi
che, se ti guardo, vivono di stelle.

— The End —