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Orna Ross Nov 2012
Her name? Her name is Generose, 
See now how her story flows

through the sounds of war anew,
our ruler coming out to say:
‘Bombs! Again! Away!’  Through 
minions mincing with regret
at what we need to do and why 
evil ones must die. 

Through the soldiers jumping to; 
through me, and my kind, left  bereft 
behind, nowhere to be
except here, hoping to woo 
a person like you.

I hope you can you come with me 
I need us to get to a place 
far from here, where four or five 
million...? No. Let me begin again... 

Let me start with yesterday.
I was clearing my house,
‘and not before time’ 
is what you would say if you’d seen it. 
I was making two piles
– to hold or to go? - 
when I found it: the book. 
Lying open, face down, waiting 
for me to return. 

I shrugged off the me who likes 
to think she can think 
herself safe, and picked it back up 
where I’d stopped, and dropped, 
down again into that wood 
where four million people once died. 
(Or was it five?) 
Yes, genocide.

One woman’s name was Generose, 
see now how her story goes.

When they’d hear the trucks of the killers 
roar in, the villagers would grab the hands
of their children and flee to the trees. 
At night they’d lie down on dead leaves, 
knuckling dirt into dreams. 

One day Generose and her family 
were too slow to go. The soldiers 
came in with machete and gun, 
hacked her husband to death, then
made her climb up to lie down
on her own kitchen table, 
in front of her daughter and son.
“We’re hungry,” they said as they 
cut off her leg and sliced it 
into six pieces and fried them 
up in her pan. 

Yes, name her name, it’s Generose. 
Listen. Listen to how it goes.

They ordered her children to partake.
The boy knew how to refuse
and was shot on the spot. The girl,
in terror, attempted to try. I ask you:
can you imagine? Not the family 
so much as those soldiers, 
the teaching it took to create them. 

(Where this happened was already famed
for kings who came from afar to take 
what they would. What one liked 
to take was the hands
of the men he’d enslaved, 
the ones who had failed to bring in 
their quota of crop. And chop 
them off.)

Consumed by the sight of the girl 
trying to force her mother 
as meat through her mouth, the men 
somehow allowed Generose down
from the table to crawl from the house. 
And so, somehow, she survived. 
And so, she has heard, did her daughter. 

And so she believes that some day 
she’ll see her again and she works 
every which way for that day. 

Why tell you all this? 
May I reverse the question, 
Ask you how you feel when you
hear it? That’s why the poet 
wrote her book, though to regurgitate 
that leg made her sick for weeks after,  
to show how how the same choices 
call to us all. Kings will do what kings do, 
soldiers too, and if you don’t 
want to know, I won’t keep you. 

Let me back to the book that knows 
what to own, what should be let go.
Let me wait in the place
I’ve come to call home 
with those who decline
to oppose.  Let me hold to my hope 
that the girl might be found, 
and enfolded again, with
their two mourned dead men  

so we all might recall what we’ve been 
taught so well to forget: 
the long-lasting hold, the cast iron 
caress of the mother. 

Her name, this time, was Generose, 
and that is how the story goes.
Inspired by Alice Walker’s book, *Overcoming Speechlessness*.  More poems by Orna Ross: http://www.amazon.com/Thoughts-About-Love-Poems-ebook/dp/B005Z322JO
O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l'erme
Torri degli avi nostri,
Ma la la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme
Nuda la fronte e nudo il petto mostri,
Oimè quante ferite,
Che lívidor, che sangue! Oh qual ti veggio,
Formesissima donna!
Io chiedo al cielo e al mondo: dite dite;
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia,
Sì che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
Le genti a vincer nata
E nella fausta sorte e nella ria.
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Mai non potrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
Che fosti donna, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Perché, perché? Dov'è la forza antica?
Dove l'armi e il valore e la costanza?
Chi ti discinse il brando?
Chi ti tradì? Qual arte o qual fatica
0 qual tanta possanza,
Valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
Come cadesti o quando
Da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna per te? Non ti difende
Nessun dè tuoi? L'armi, qua l'armi: ío solo
Combatterà, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
Agl'italici petti il sangue mio.
Dove sono i tuoi figli?. Odo suon d'armi
E di carri e di voci e di timballi
In estranie contrade
Pugnano i tuoi figliuoli.
Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
Un fluttuar di fanti e di cavalli,
E fumo e polve, e luccicar di *****
Come tra nebbia lampi.
Nè ti conforti e i tremebondi lumi
Piegar non soffri al dubitoso evento?
A che pugna in quei campi
L'itata gioventude? 0 numi, o numi
Pugnan per altra terra itali acciari.
Oh misero colui che in guerra è spento,
Non per li patrii lidi e per la pia
Consorte e i figli cari, Ma da nemici altrui
Per altra gente, e non può dir morendo
Alma terra natia,
La vita che mi desti ecco ti rendo.
Oh venturose e care e benedette
L'antiche età, che a morte
Per la patria correan le genti a squadre
E voi sempre onorate e gloriose,
0 tessaliche strette,
Dove la Persia e il fato assai men forte
Fu di poch'alme franche e generose!
Lo credo che le piante e i sassi e l'onda
E le montagne vostre al passeggere
Con indistinta voce
Narrin siccome tutta quella sponda
Coprir le invitte schiere
Dè corpi ch'alla Grecia eran devoti.
Allor, vile e feroce,
Serse per l'Ellesponto si fuggia,
Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;
E sul colle d'Antela, ove morendo
Si sottrasse da morte il santo stuolo,
Simonide salia,
Guardando l'etra e la marina e il suolo.
E di lacrime sparso ambe le guance,
E il petto ansante, e vacillante il piede,
Toglicasi in man la lira:
Beatissimi voi,
Ch'offriste il petto alle nemiche lance
Per amor di costei ch'al Sol vi diede;
Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira
Nell'armi e nè perigli
Qual tanto amor le giovanette menti,
Qual nell'acerbo fato amor vi trasse?
Come si lieta, o figli,
L'ora estrema vi parve, onde ridenti
Correste al passo lacrimoso e, duro?
Parea ch'a danza e non a morte andasse
Ciascun dè vostri, o a splendido convito:
Ma v'attendea lo scuro
Tartaro, e l'ond'a morta;
Nè le spose vi foro o i figli accanto
Quando su l'aspro lito
Senza baci moriste e senza pianto.
Ma non senza dè Persi orrida pena
Ed immortale angoscia.
Come lion di tori entro una mandra
Or salta a quello in tergo e sì gli scava
Con le zanne la schiena,
Or questo fianco addenta or quella coscia;
Tal fra le Perse torme infuriava
L'ira dè greci petti e la virtute.
Vè cavalli supini e cavalieri;
Vedi intralciare ai vinti
La fuga i carri e le tende cadute,
E correr frà primieri
Pallido e scapigliato esso tiranno;
vè come infusi e tintí
Del barbarico sangue i greci eroi,
Cagione ai Persi d'infinito affanno,
A poco a poco vinti dalle piaghe,
L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva:
Beatissimi voi
Mentre nel mondo si favelli o scriva.
Prima divelte, in mar precipitando,
Spente nell'imo strideran le stelle,
Che la memoria e il vostro
Amor trascorra o scemi.
La vostra tomba è un'ara; e qua mostrando
Verran le madri ai parvoli le belle
Orme dei vostro sangue. Ecco io mi prostro,
0 benedetti, al suolo,
E bacio questi sassi e queste zolle,
Che fien lodate e chiare eternamente
Dall'uno all'altro polo.
Deh foss'io pur con voi qui sotto, e molle
Fosse del sangue mio quest'alma terra.
Che se il fato è diverso, e non consente
Ch'io per la Grecia i mororibondi lumi
Chiuda prostrato in guerra,
Così la vereconda
Fama del vostro vate appo i futuri
Possa, volendo i numi,
Tanto durar quanto la, vostra duri.
O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l'erme
Torri degli avi nostri,
Ma la la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme
Nuda la fronte e nudo il petto mostri,
Oimè quante ferite,
Che lívidor, che sangue! Oh qual ti veggio,
Formesissima donna!
Io chiedo al cielo e al mondo: dite dite;
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia,
Sì che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
Le genti a vincer nata
E nella fausta sorte e nella ria.
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Mai non potrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
Che fosti donna, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Perché, perché? Dov'è la forza antica?
Dove l'armi e il valore e la costanza?
Chi ti discinse il brando?
Chi ti tradì? Qual arte o qual fatica
0 qual tanta possanza,
Valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
Come cadesti o quando
Da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna per te? Non ti difende
Nessun dè tuoi? L'armi, qua l'armi: ío solo
Combatterà, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
Agl'italici petti il sangue mio.
Dove sono i tuoi figli?. Odo suon d'armi
E di carri e di voci e di timballi
In estranie contrade
Pugnano i tuoi figliuoli.
Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
Un fluttuar di fanti e di cavalli,
E fumo e polve, e luccicar di *****
Come tra nebbia lampi.
Nè ti conforti e i tremebondi lumi
Piegar non soffri al dubitoso evento?
A che pugna in quei campi
L'itata gioventude? 0 numi, o numi
Pugnan per altra terra itali acciari.
Oh misero colui che in guerra è spento,
Non per li patrii lidi e per la pia
Consorte e i figli cari, Ma da nemici altrui
Per altra gente, e non può dir morendo
Alma terra natia,
La vita che mi desti ecco ti rendo.
Oh venturose e care e benedette
L'antiche età, che a morte
Per la patria correan le genti a squadre
E voi sempre onorate e gloriose,
0 tessaliche strette,
Dove la Persia e il fato assai men forte
Fu di poch'alme franche e generose!
Lo credo che le piante e i sassi e l'onda
E le montagne vostre al passeggere
Con indistinta voce
Narrin siccome tutta quella sponda
Coprir le invitte schiere
Dè corpi ch'alla Grecia eran devoti.
Allor, vile e feroce,
Serse per l'Ellesponto si fuggia,
Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;
E sul colle d'Antela, ove morendo
Si sottrasse da morte il santo stuolo,
Simonide salia,
Guardando l'etra e la marina e il suolo.
E di lacrime sparso ambe le guance,
E il petto ansante, e vacillante il piede,
Toglicasi in man la lira:
Beatissimi voi,
Ch'offriste il petto alle nemiche lance
Per amor di costei ch'al Sol vi diede;
Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira
Nell'armi e nè perigli
Qual tanto amor le giovanette menti,
Qual nell'acerbo fato amor vi trasse?
Come si lieta, o figli,
L'ora estrema vi parve, onde ridenti
Correste al passo lacrimoso e, duro?
Parea ch'a danza e non a morte andasse
Ciascun dè vostri, o a splendido convito:
Ma v'attendea lo scuro
Tartaro, e l'ond'a morta;
Nè le spose vi foro o i figli accanto
Quando su l'aspro lito
Senza baci moriste e senza pianto.
Ma non senza dè Persi orrida pena
Ed immortale angoscia.
Come lion di tori entro una mandra
Or salta a quello in tergo e sì gli scava
Con le zanne la schiena,
Or questo fianco addenta or quella coscia;
Tal fra le Perse torme infuriava
L'ira dè greci petti e la virtute.
Vè cavalli supini e cavalieri;
Vedi intralciare ai vinti
La fuga i carri e le tende cadute,
E correr frà primieri
Pallido e scapigliato esso tiranno;
vè come infusi e tintí
Del barbarico sangue i greci eroi,
Cagione ai Persi d'infinito affanno,
A poco a poco vinti dalle piaghe,
L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva:
Beatissimi voi
Mentre nel mondo si favelli o scriva.
Prima divelte, in mar precipitando,
Spente nell'imo strideran le stelle,
Che la memoria e il vostro
Amor trascorra o scemi.
La vostra tomba è un'ara; e qua mostrando
Verran le madri ai parvoli le belle
Orme dei vostro sangue. Ecco io mi prostro,
0 benedetti, al suolo,
E bacio questi sassi e queste zolle,
Che fien lodate e chiare eternamente
Dall'uno all'altro polo.
Deh foss'io pur con voi qui sotto, e molle
Fosse del sangue mio quest'alma terra.
Che se il fato è diverso, e non consente
Ch'io per la Grecia i mororibondi lumi
Chiuda prostrato in guerra,
Così la vereconda
Fama del vostro vate appo i futuri
Possa, volendo i numi,
Tanto durar quanto la, vostra duri.
O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l'erme
Torri degli avi nostri,
Ma la la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme
Nuda la fronte e nudo il petto mostri,
Oimè quante ferite,
Che lívidor, che sangue! Oh qual ti veggio,
Formesissima donna!
Io chiedo al cielo e al mondo: dite dite;
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia,
Sì che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
Le genti a vincer nata
E nella fausta sorte e nella ria.
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Mai non potrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
Che fosti donna, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Perché, perché? Dov'è la forza antica?
Dove l'armi e il valore e la costanza?
Chi ti discinse il brando?
Chi ti tradì? Qual arte o qual fatica
0 qual tanta possanza,
Valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
Come cadesti o quando
Da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna per te? Non ti difende
Nessun dè tuoi? L'armi, qua l'armi: ío solo
Combatterà, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
Agl'italici petti il sangue mio.
Dove sono i tuoi figli?. Odo suon d'armi
E di carri e di voci e di timballi
In estranie contrade
Pugnano i tuoi figliuoli.
Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
Un fluttuar di fanti e di cavalli,
E fumo e polve, e luccicar di *****
Come tra nebbia lampi.
Nè ti conforti e i tremebondi lumi
Piegar non soffri al dubitoso evento?
A che pugna in quei campi
L'itata gioventude? 0 numi, o numi
Pugnan per altra terra itali acciari.
Oh misero colui che in guerra è spento,
Non per li patrii lidi e per la pia
Consorte e i figli cari, Ma da nemici altrui
Per altra gente, e non può dir morendo
Alma terra natia,
La vita che mi desti ecco ti rendo.
Oh venturose e care e benedette
L'antiche età, che a morte
Per la patria correan le genti a squadre
E voi sempre onorate e gloriose,
0 tessaliche strette,
Dove la Persia e il fato assai men forte
Fu di poch'alme franche e generose!
Lo credo che le piante e i sassi e l'onda
E le montagne vostre al passeggere
Con indistinta voce
Narrin siccome tutta quella sponda
Coprir le invitte schiere
Dè corpi ch'alla Grecia eran devoti.
Allor, vile e feroce,
Serse per l'Ellesponto si fuggia,
Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;
E sul colle d'Antela, ove morendo
Si sottrasse da morte il santo stuolo,
Simonide salia,
Guardando l'etra e la marina e il suolo.
E di lacrime sparso ambe le guance,
E il petto ansante, e vacillante il piede,
Toglicasi in man la lira:
Beatissimi voi,
Ch'offriste il petto alle nemiche lance
Per amor di costei ch'al Sol vi diede;
Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira
Nell'armi e nè perigli
Qual tanto amor le giovanette menti,
Qual nell'acerbo fato amor vi trasse?
Come si lieta, o figli,
L'ora estrema vi parve, onde ridenti
Correste al passo lacrimoso e, duro?
Parea ch'a danza e non a morte andasse
Ciascun dè vostri, o a splendido convito:
Ma v'attendea lo scuro
Tartaro, e l'ond'a morta;
Nè le spose vi foro o i figli accanto
Quando su l'aspro lito
Senza baci moriste e senza pianto.
Ma non senza dè Persi orrida pena
Ed immortale angoscia.
Come lion di tori entro una mandra
Or salta a quello in tergo e sì gli scava
Con le zanne la schiena,
Or questo fianco addenta or quella coscia;
Tal fra le Perse torme infuriava
L'ira dè greci petti e la virtute.
Vè cavalli supini e cavalieri;
Vedi intralciare ai vinti
La fuga i carri e le tende cadute,
E correr frà primieri
Pallido e scapigliato esso tiranno;
vè come infusi e tintí
Del barbarico sangue i greci eroi,
Cagione ai Persi d'infinito affanno,
A poco a poco vinti dalle piaghe,
L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva:
Beatissimi voi
Mentre nel mondo si favelli o scriva.
Prima divelte, in mar precipitando,
Spente nell'imo strideran le stelle,
Che la memoria e il vostro
Amor trascorra o scemi.
La vostra tomba è un'ara; e qua mostrando
Verran le madri ai parvoli le belle
Orme dei vostro sangue. Ecco io mi prostro,
0 benedetti, al suolo,
E bacio questi sassi e queste zolle,
Che fien lodate e chiare eternamente
Dall'uno all'altro polo.
Deh foss'io pur con voi qui sotto, e molle
Fosse del sangue mio quest'alma terra.
Che se il fato è diverso, e non consente
Ch'io per la Grecia i mororibondi lumi
Chiuda prostrato in guerra,
Così la vereconda
Fama del vostro vate appo i futuri
Possa, volendo i numi,
Tanto durar quanto la, vostra duri.

— The End —