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Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l'aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! Allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
E in su l'aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre dè servi. E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.
Né mi diceva il cor che l'età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
Per invidia non già, che non mi tiene
Maggior di sé, ma perché tale estima
Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol dè malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch'** appresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l'allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell'arida vita unico fiore.
Viene il vento recando il suon dell'ora
Dalla torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
Dolce per sé; ma con dolor sottentra
Il pensier del presente, un van desio
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
Quella loggia colà, volta agli estremi
Raggi del dì; queste dipinte mura,
Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
Su romita campagna, agli ozi miei
Porser mille diletti allor che al fianco
M'era, parlando, il mio possente errore
Sempre, ov'io fossi. In queste sale antiche,
Al chiaror delle nevi, intorno a queste
Ampie finestre sibilando il vento,
Rimbombaro i sollazzi e le festose
Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno
Mistero delle cose a noi si mostra
Pien di dolcezza; indelibata, intera
Il garzoncel, come inesperto amante,
La sua vita ingannevole vagheggia,
E celeste beltà fingendo ammira.
O speranze, speranze; ameni inganni
Della mia prima età! Sempre, parlando,
Ritorno a voi; che per andar di tempo,
Per variar d'affetti e di pensieri,
Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
Son la gloria e l'onor; diletti e beni
Mero desio; non ha la vita un frutto,
Inutile miseria. E sebben vòti
Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
Il mio stato mortal, poco mi toglie
La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
A voi ripenso, o mie speranze antiche,
Ed a quel caro immaginar mio primo;
Indi riguardo il viver mio sì vile
E sì dolente, e che la morte è quello
Che di cotanta speme oggi m'avanza;
Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto
Consolarmi non so del mio destino.
E quando pur questa invocata morte
Sarammi allato, e sarà giunto il fine
Della sventura mia; quando la terra
Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
Fuggirà l'avvenir; di voi per certo
Risovverrammi; e quell'imago ancora
Sospirar mi farà, farammi acerbo
L'esser vissuto indarno, e la dolcezza
Del dì fatal tempererà d'affanno.
E già nel primo giovanil tumulto
Di contenti, d'angosce e di desio,
Morte chiamai più volte, e lungamente
Mi sedetti colà su la fontana
Pensoso di cessar dentro quell'acque
La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
Malor, condotto della vita in forse,
Piansi la bella giovanezza, e il fiore
Dè miei poveri dì, che sì per tempo
Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso
Sul conscio letto, dolorosamente
Alla fioca lucerna poetando,
Lamentai cò silenzi e con la notte
Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
In sul languir cantai funereo canto.
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia! ) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l'accolga e chiami?
Fugaci giorni! A somigliar d'un lampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
O Nerina! E di te forse non odo
Questi luoghi parlar? Caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa Terra natal: quella finestra,
Ond'eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
È deserta. Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,
E l'abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Quel confidente immaginar, quel lume
Di gioventù, quando spegneali il fato,
E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
L'antico amor. Se a feste anco talvolta,
Se a radunanze io movo, infra me stesso
Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
Tu non ti acconci più, tu più non movi.
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando alle fanciulle,
Dico: Nerina mia, per te non torna
Primavera giammai, non torna amore.
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,
Dico: Nerina or più non gode; i campi,
L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
Sospiro mio: passasti: e fia compagna
D'ogni mio vago immaginar, di tutti
I miei teneri sensi, i tristi e cari
Moti del cor, la rimembranza acerba.
Katie Mora Apr 2011
in c sharp minor you're pulling on your wrinkled shirt,
slight blue pinstripes clawing at your shoulders,
breath escaping your mouth
dolente dolcissimo,
hands slowly buttoning from the top down,
fingertips reading beatific notation
as if each callus could savor it but once.
Lascerò il momento per durare
nella tua eternità senza confini;
così io, ombra delicata e fiori
di velo ricoperti
tra marmi antichi e divorate chiome
svolgo il mio passo acceso alle veggenti
distese d'erba e anche al tuo passato,
uomo dei boschi, che mi sei sereno
quanto angosciata è la mia certa vita.
E lasciando le docili pasture
della ragione voglio smemorarmi
nei tuoi canti boschivi, sì che Amore
torni al mio seno e mi riaccolga intatta.
Forse tu mi hai sentito, quando ferma
nel sonno io gridavo il mio rancore
contro la vita, e certo mi hai chiamato
con lo strumento avido di suoni;
per questo, Pan, io vengo e nella corsa
perdo il mio velo e mi dimostro ignuda
nuda qual sono e non più giovinetta:
che amor mi morse dolce come mela,
e a me resta di un torsolo disfatto
l'amara meraviglia e la dolente
consunzione feroce dell'amore,
e che altri mi morda più assetato
che non Amore che mi toglie e mi tiene.
Quinze longs jours encore et plus de six semaines

Déjà ! Certes, parmi les angoisses humaines

La plus dolente angoisse est celle d'être ****.


On s'écrit, on se dit que l'on s'aime ; on a soin

D'évoquer chaque jour la voix, les yeux, le geste

De l'être en qui l'on mit son bonheur, et l'on reste

Des heures à causer tout seul avec l'absent.

Mais tout ce que l'on pense et tout ce que l'on sent

Et tout ce dont on parle avec l'absent, persiste

À demeurer blafard et fidèlement triste.


Oh ! l'absence ! le moins clément de tous les maux !

Se consoler avec des phrases et des mots,

Puiser dans l'infini morose des pensées

De quoi vous rafraîchir, espérances lassées,

Et n'en rien remonter que de fade et d'amer !

Puis voici, pénétrant et froid comme le fer,

Plus rapide que les oiseaux et que les balles

Et que le vent du sud en mer et ses rafales

Et portant sur sa pointe aiguë un fin poison,

Voici venir, pareil aux flèches, le soupçon

Décoché par le Doute impur et lamentable.


Est-ce bien vrai ? tandis qu'accoudé sur ma table

Je lis sa lettre avec des larmes dans les yeux,

Sa lettre, où s'étale un aveu délicieux,

N'est-elle pas alors distraite en d'autres choses ?

Qui sait ? Pendant qu'ici pour moi lents et moroses

Coulent les jours, ainsi qu'un fleuve au bord flétri,

Peut-être que sa lèvre innocente a souri ?

Peut-être qu'elle est très joyeuse et qu'elle oublie ?


Et je relis sa lettre avec mélancolie.
Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l'aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! Allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
E in su l'aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre dè servi. E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.
Né mi diceva il cor che l'età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
Per invidia non già, che non mi tiene
Maggior di sé, ma perché tale estima
Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol dè malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch'** appresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l'allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell'arida vita unico fiore.
Viene il vento recando il suon dell'ora
Dalla torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
Dolce per sé; ma con dolor sottentra
Il pensier del presente, un van desio
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
Quella loggia colà, volta agli estremi
Raggi del dì; queste dipinte mura,
Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
Su romita campagna, agli ozi miei
Porser mille diletti allor che al fianco
M'era, parlando, il mio possente errore
Sempre, ov'io fossi. In queste sale antiche,
Al chiaror delle nevi, intorno a queste
Ampie finestre sibilando il vento,
Rimbombaro i sollazzi e le festose
Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno
Mistero delle cose a noi si mostra
Pien di dolcezza; indelibata, intera
Il garzoncel, come inesperto amante,
La sua vita ingannevole vagheggia,
E celeste beltà fingendo ammira.
O speranze, speranze; ameni inganni
Della mia prima età! Sempre, parlando,
Ritorno a voi; che per andar di tempo,
Per variar d'affetti e di pensieri,
Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
Son la gloria e l'onor; diletti e beni
Mero desio; non ha la vita un frutto,
Inutile miseria. E sebben vòti
Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
Il mio stato mortal, poco mi toglie
La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
A voi ripenso, o mie speranze antiche,
Ed a quel caro immaginar mio primo;
Indi riguardo il viver mio sì vile
E sì dolente, e che la morte è quello
Che di cotanta speme oggi m'avanza;
Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto
Consolarmi non so del mio destino.
E quando pur questa invocata morte
Sarammi allato, e sarà giunto il fine
Della sventura mia; quando la terra
Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
Fuggirà l'avvenir; di voi per certo
Risovverrammi; e quell'imago ancora
Sospirar mi farà, farammi acerbo
L'esser vissuto indarno, e la dolcezza
Del dì fatal tempererà d'affanno.
E già nel primo giovanil tumulto
Di contenti, d'angosce e di desio,
Morte chiamai più volte, e lungamente
Mi sedetti colà su la fontana
Pensoso di cessar dentro quell'acque
La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
Malor, condotto della vita in forse,
Piansi la bella giovanezza, e il fiore
Dè miei poveri dì, che sì per tempo
Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso
Sul conscio letto, dolorosamente
Alla fioca lucerna poetando,
Lamentai cò silenzi e con la notte
Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
In sul languir cantai funereo canto.
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia! ) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l'accolga e chiami?
Fugaci giorni! A somigliar d'un lampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
O Nerina! E di te forse non odo
Questi luoghi parlar? Caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa Terra natal: quella finestra,
Ond'eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
È deserta. Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,
E l'abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Quel confidente immaginar, quel lume
Di gioventù, quando spegneali il fato,
E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
L'antico amor. Se a feste anco talvolta,
Se a radunanze io movo, infra me stesso
Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
Tu non ti acconci più, tu più non movi.
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando alle fanciulle,
Dico: Nerina mia, per te non torna
Primavera giammai, non torna amore.
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,
Dico: Nerina or più non gode; i campi,
L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
Sospiro mio: passasti: e fia compagna
D'ogni mio vago immaginar, di tutti
I miei teneri sensi, i tristi e cari
Moti del cor, la rimembranza acerba.
Mon ami, ma plus belle amitié, ma meilleure,

- Les morts sont morts, douce leur soit l'éternité !

Laisse-moi te le dire en toute vérité,

Tu vins au temps marqué, tu parus à ton heure ;


Tu parus sur ma vie et tu vins dans mon cœur

Au jour climatérique où, noir vaisseau qui sombre,

J'allais noyer ma chair sous la débauche sombre.

Ma chair dolente, et mon esprit jadis vainqueur,


Et mon âme naguère et jadis toute blanche !

Mais tu vins, tu parus, tu vins comme un voleur,

- Tel Christ viendra - Voleur qui m'a pris mon malheur !

Tu parus sur ma mer non pas comme une planche


De salut, mais le Salut même ! Ta vertu

Première, la gaieté, c'est elle-même, franche

Comme l'or, comme un bel oiseau sur une brandie

Qui s'envole dans un brillant turlututu.


Emportant sur son aile électrique les ires

Et les affres et les tentations encor ;

Ton bon sens, - tel après du fifre c'est du cor, -

Vient paisiblement mettre fin aux délires,


N'étant point, ô que non ! le prud'homisme affreux,

Mais l'équilibre, mais la vision artiste,

Sûre et sincère et qui persiste et qui résiste

A l'argumentateur plat comme un songe creux ;


Et ta bonté, conforme à ta jeunesse, est verte,

Mais elle va mûrir délicieusement !

Elle met dans tout moi le renouveau charmant

D'une sève éveillée et d'une âme entr'ouverte.


Elle étend, sous mes pieds, un gazon souple et frais

Où ces marcheurs saignants reprennent du courage,

Caressés par des fleurs au *** parfum sauvage,

Lavés de la rosée et s'attardant exprès.


Elle met sur ma tête, aux tempêtes calmées.

Un ciel profond et clair où passe le vent pur

Et vif, éparpillant les notes dans l'azur

D'oiseaux volant et s'éveillant sous les ramées.


Elle verse à mes yeux, qui ne pleureront plus,

Un paisible sommeil dans la nuit transparente

Que de rêves légers bénissent, troupe errante

De souvenirs et d'espoirs révolus.


Avec des tours naïfs et des besoins d'enfance,

Elle veut être fière et rêve de pouvoir

Être rude un petit sans pouvoir que vouloir

Tant le bon mouvement sur l'autre prend d'avance.


J'use d'elle et parfois d'elle j'abuserais

Par égoïsme un peu bien surérogatoire,

Tort d'ailleurs pardonnable en toute humaine histoire

Mais non dans celle-ci, de crainte des regrets.


De mon côté, c'est vrai qu'à travers mes caprices,

Mes nerfs et tout le train de mon tempérament.

Je t'estime et je t'estime, ô si fidèlement,

Trouvant dans ces devoirs mes plus chères délices.


Déployant tout le peu que j'ai de paternel

Plus encor que de fraternel, malgré l'extrême

Fraternité, tu sais, qu'est notre amitié même,

Exultant sur ce presque amour presque charnel !


Presque charnel à force de sollicitude

Paternelle vraiment et maternelle aussi.

Presque un amour à cause, ô toi de l'insouci

De vivre sinon pour cette sollicitude.


Vaste, impétueux donc, et de prime-saut, mais

Non sans prudence en raison de l'expérience

Très douloureuse qui m'apprit toute nuance.

Du jour lointain, quand la première fois j'aimais :


Ce presque amour est saint ; il bénit d'innocence

Mon reste d'une vie en somme toute au mal,

Et c'est comme les eaux d'un torrent baptismal

Sur des péchés qu'en vain l'Enfer déçu recense.


Aussi, précieux toi plus cher que tous les moi

Que je fus et serai si doit durer ma vie,

Soyons tout l'un pour l'autre en dépit de l'envie,

Soyons tout l'un à l'autre en toute bonne foi.


Allons, d'un bel élan qui demeure exemplaire

Et fasse autour le monde étonné chastement,

Réjouissons les cieux d'un spectacle charmant

Et du siècle et du sort défions la colère.


Nous avons le bonheur ainsi qu'il est permis.

Toi de qui la pensée est toute dans la mienne,

Il n'est, dans la légende actuelle et l'ancienne

Rien de plus noble et de plus beau que deux amis,


Déployant à l'envi les splendeurs de leurs âmes,

Le Sacrifice et l'Indulgence jusqu'au sang,

La Charité qui porte un monde dans son flanc

Et toutes les pudeurs comme de douces flammes !


Soyons tout l'un à l'autre enfin ! et l'un pour l'autre

En dépit des jaloux, et de nos vains soupçons,

A nous, et cette foi pour de bon, renonçons

Au vil respect humain où la foule se vautre,


Afin qu'enfin ce Jésus-Christ qui nous créa

Nous fasse grâce et fasse grâce au monde immonde

D'autour de nous alors unis, - paix sans seconde ! -

Définitivement, et dicte: Alléluia.


« Qu'ils entrent dans ma joie et goûtent mes louanges ;

Car ils ont accompli leur tâche comme dû,

Et leur cri d'espérance, il me fut entendu,

Et voilà pourquoi les anges et les archanges


S'écarteront de devant Moi pour avoir admis,

Purifiés de tous péchés inévitables

Et des traverses quelquefois épouvantables,

Ce couple infiniment bénissable d'Amis. »
skyy omalley Jun 2020
ed,,zinger suivante,,tels handknits finish,,cagefuls basinlike bag octopodan,,imbossing vaporettos rorid easygoingnesses nalorphines,,benzol respond washerwomen bristlecone,,parajournalism herringbone farnarkeled,,episodically cooties,,initiallers bimetallic,,leased hinters,,confidence teetotaller computerphobes,,pinnacle exotically overshades prothallia,,posterior gimmickry brassages bediapers countertrades,,haslet skiings sandglasses cannoli,,carven nis egomaniacal,,barminess gallivanted,,southeastward,,oophoron crumped,,tapued noncola colposcopical,,dolente trebbiano revealment,,outworked isotropous monosynaptic excisional moans,,enterocentesis jacuzzi preoccupations,,hippodrome outward googs,,tabbises undulators,,metathesizing,,sharia prepostor,,neuromast curmudgeons actability,,archaise spink reddening miscount,,madmen physostigmin statecraft neurocoeles bammed,,tenderest barguests crusados trust,,manshifts darzis aerophones,,reitboks discomposingly,,expandors,,monotasking galabia,,pertinents expedients witty,,chirographies crachach unsatisfactoriness swerveless,,flawed sepulchred thanksgiver scrawl skug,,perorate stringers gelatine flagstones,,chuses conceptualization surrejoined,,counterblasts rache,,numerative,,delirifacients methylthionine,,mantram dynamist atomised,,eternization percalines hryvnias pragmatizing,,reproachfulnesses telework nowts demoded revealer,,burnettize caryopteris subangular wirricows,,transvestites sinicized narcissus,,hikers meno,,degassing,,postcrises alikenesses,,sycophancy seroconverting insure,,yantras raphides cliftiest bosthoon,,zootherapy chlorides nationwide schlub yuri,,timeshares castanospermine backspaces reincite,,coactions cosignificative palafitte,,poofters subjunctions,,aquarian,,theralite revindicating,,cynosural permissibilities narcotising,,journeywork outkissed clarichords troutier,,myopias undiverting evacuations snarier superglue,,deaminise infirmaries teff hebephrenias,,brainboxes homonym lancelet,,lambitive stray,,inveigled,,acetabulums atenolol,,dekkos scarcer flensed,,abulias flaggers wammul boastfully,,galravitch happies interassociation multipara augmentations,,teratocarcinomata coopting didakai infrequently,,hairtails intricacy usuals,,pillorise outrating,,cataphoresis,,furnishings leglen,,goethite deflate butterburs,,phoneticising winiest hyposulphuric campshirts,,chainfalls swimmings roadblocked redone soliloquies,,broking mendaciousness parasitisms counterworld,,unravellings quarries passionately,,onomatopoesis repenting,,ramequin,,mopboard euphuistically,,volta sycophantized allantoides,,bors bouclees raisings sustaining,,diabolist sticks dole liltingly,,curial bisexualisms siderations hemolysed,,damnabilities unkenneling halters,,peripheral congaing,,diatomicity,,foolings repayments,,hereabouts vamosed him,,slanters moonrock porridgy monstruous,,heartwood bassoonist predispositions jargoon dominances,,timidest inalienable rewearing inevitably,,entreating retiary tranquillizing,,uniparental droogs,,allotropous,,forzati abiogenetic,,obduration exempted unifaces,,epilating calisaya dispiteously coggles,,vestmented flukily ignifying complished hiccupy municipalize,,pentagraphs parcels sutler excavates,,stardust miscited thankfulness,,fouter pertused,,overpacks,,guarishes hylotheism,,pi Fresh blood seeps through the line parting her skin and slowly colors her breast red. I begin to hyperventilate as my compulsion grows. The images won’t go away. Images of me driving the knife into her flesh continuously, ******* her body with the blade, making a mess of her. My head starts going crazy as my thoughts start to return. Shooting pain assaults my mind along with my thoughts. This is disgusting. Absolutely disgusting. How could I ever let myself think these things? But it’s unmistakable. The lust continues to linger through my veins. An ache in my muscles stems from the unreleased tension experienced by my entire body. Her Third Eye is drawing me closer.
Immédiatement après le salut somptueux,

Le luminaire éteint moins les seuls cierges liturgiques,

Les psaumes pour les morts sont dits sur un mode mineur

Par les clercs et le peuple saisi de mélancolie.


Un glas lent se répand des clochers de la cathédrale

Répandu par tous les campaniles du diocèse,

Et plane et pleure sur les villes et sur la campagne

Dans la nuit tôt venue en la saison arriérée.


Chacun s'en fut coucher reconduit par la voix dolente

Et douce à l'infini de l'airain commémoratoire

Qui va bercer le sommeil un peu triste des vivants

Du souvenir des décédés de toutes les paroisses.
Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l'aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! Allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
E in su l'aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre dè servi. E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.
Né mi diceva il cor che l'età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
Per invidia non già, che non mi tiene
Maggior di sé, ma perché tale estima
Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol dè malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch'** appresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l'allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell'arida vita unico fiore.
Viene il vento recando il suon dell'ora
Dalla torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
Dolce per sé; ma con dolor sottentra
Il pensier del presente, un van desio
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
Quella loggia colà, volta agli estremi
Raggi del dì; queste dipinte mura,
Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
Su romita campagna, agli ozi miei
Porser mille diletti allor che al fianco
M'era, parlando, il mio possente errore
Sempre, ov'io fossi. In queste sale antiche,
Al chiaror delle nevi, intorno a queste
Ampie finestre sibilando il vento,
Rimbombaro i sollazzi e le festose
Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno
Mistero delle cose a noi si mostra
Pien di dolcezza; indelibata, intera
Il garzoncel, come inesperto amante,
La sua vita ingannevole vagheggia,
E celeste beltà fingendo ammira.
O speranze, speranze; ameni inganni
Della mia prima età! Sempre, parlando,
Ritorno a voi; che per andar di tempo,
Per variar d'affetti e di pensieri,
Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
Son la gloria e l'onor; diletti e beni
Mero desio; non ha la vita un frutto,
Inutile miseria. E sebben vòti
Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
Il mio stato mortal, poco mi toglie
La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
A voi ripenso, o mie speranze antiche,
Ed a quel caro immaginar mio primo;
Indi riguardo il viver mio sì vile
E sì dolente, e che la morte è quello
Che di cotanta speme oggi m'avanza;
Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto
Consolarmi non so del mio destino.
E quando pur questa invocata morte
Sarammi allato, e sarà giunto il fine
Della sventura mia; quando la terra
Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
Fuggirà l'avvenir; di voi per certo
Risovverrammi; e quell'imago ancora
Sospirar mi farà, farammi acerbo
L'esser vissuto indarno, e la dolcezza
Del dì fatal tempererà d'affanno.
E già nel primo giovanil tumulto
Di contenti, d'angosce e di desio,
Morte chiamai più volte, e lungamente
Mi sedetti colà su la fontana
Pensoso di cessar dentro quell'acque
La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
Malor, condotto della vita in forse,
Piansi la bella giovanezza, e il fiore
Dè miei poveri dì, che sì per tempo
Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso
Sul conscio letto, dolorosamente
Alla fioca lucerna poetando,
Lamentai cò silenzi e con la notte
Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
In sul languir cantai funereo canto.
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia! ) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l'accolga e chiami?
Fugaci giorni! A somigliar d'un lampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
O Nerina! E di te forse non odo
Questi luoghi parlar? Caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa Terra natal: quella finestra,
Ond'eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
È deserta. Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,
E l'abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Quel confidente immaginar, quel lume
Di gioventù, quando spegneali il fato,
E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
L'antico amor. Se a feste anco talvolta,
Se a radunanze io movo, infra me stesso
Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
Tu non ti acconci più, tu più non movi.
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando alle fanciulle,
Dico: Nerina mia, per te non torna
Primavera giammai, non torna amore.
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,
Dico: Nerina or più non gode; i campi,
L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
Sospiro mio: passasti: e fia compagna
D'ogni mio vago immaginar, di tutti
I miei teneri sensi, i tristi e cari
Moti del cor, la rimembranza acerba.
Nature, rien de toi ne m'émeut, ni les champs

Nourriciers, ni l'écho vermeil des pastorales

Siciliennes, ni les pompes aurorales,

Ni la solennité dolente des couchants.


Je ris de l'Art, je ris de l'Homme aussi, des chants,

Des vers, des temples grecs et des tours en spirales

Qu'étirent dans le ciel vide les cathédrales,

Et je vois du même oeil les bons et les méchants.


Je ne crois pas en Dieu, j'abjure et je renie

Toute pensée, et quant à la vieille ironie,

L'Amour, je voudrais bien qu'on ne m'en parlât plus.


Lasse de vivre, ayant peur de mourir, pareille

Au brick perdu jouet du flux et du reflux,

Mon âme pour d'affreux naufrages appareille.
Lascerò il momento per durare
nella tua eternità senza confini;
così io, ombra delicata e fiori
di velo ricoperti
tra marmi antichi e divorate chiome
svolgo il mio passo acceso alle veggenti
distese d'erba e anche al tuo passato,
uomo dei boschi, che mi sei sereno
quanto angosciata è la mia certa vita.
E lasciando le docili pasture
della ragione voglio smemorarmi
nei tuoi canti boschivi, sì che Amore
torni al mio seno e mi riaccolga intatta.
Forse tu mi hai sentito, quando ferma
nel sonno io gridavo il mio rancore
contro la vita, e certo mi hai chiamato
con lo strumento avido di suoni;
per questo, Pan, io vengo e nella corsa
perdo il mio velo e mi dimostro ignuda
nuda qual sono e non più giovinetta:
che amor mi morse dolce come mela,
e a me resta di un torsolo disfatto
l'amara meraviglia e la dolente
consunzione feroce dell'amore,
e che altri mi morda più assetato
che non Amore che mi toglie e mi tiene.
Lascerò il momento per durare
nella tua eternità senza confini;
così io, ombra delicata e fiori
di velo ricoperti
tra marmi antichi e divorate chiome
svolgo il mio passo acceso alle veggenti
distese d'erba e anche al tuo passato,
uomo dei boschi, che mi sei sereno
quanto angosciata è la mia certa vita.
E lasciando le docili pasture
della ragione voglio smemorarmi
nei tuoi canti boschivi, sì che Amore
torni al mio seno e mi riaccolga intatta.
Forse tu mi hai sentito, quando ferma
nel sonno io gridavo il mio rancore
contro la vita, e certo mi hai chiamato
con lo strumento avido di suoni;
per questo, Pan, io vengo e nella corsa
perdo il mio velo e mi dimostro ignuda
nuda qual sono e non più giovinetta:
che amor mi morse dolce come mela,
e a me resta di un torsolo disfatto
l'amara meraviglia e la dolente
consunzione feroce dell'amore,
e che altri mi morda più assetato
che non Amore che mi toglie e mi tiene.

— The End —