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Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
amore, lungo la pianura nordica,
in un campo di morte: fredda, funebre,
la pioggia sulla ruggine dei pali
e i grovigli di ferro dei recinti:
e non albero o uccelli nell'aria grigia
o su dal nostro pensiero, ma inerzia
e dolore che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.
Da quell'inferno aperto da una scritta
bianca: " Il lavoro vi renderà liberi "
uscì continuo il fumo
di migliaia di donne spinte fuori
all'alba dai canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all'acqua con la bocca
di scheletro sotto le doccie a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di fiumi, d'animali,
o sei tu pure cenere d'Auschwitz,
medaglia di silenzio?
Restano lunghe trecce chiuse in urne
di vetro ancora strette da amuleti
e ombre infinite di piccole scarpe
e di sciarpe d'ebrei: sono reliquie
d'un tempo di saggezza, di sapienza
dell'uomo che si fa misura d'armi,
sono i miti, le nostre metamorfosi.

Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte.
katy winser Jul 2014
Dormo …dormo profondamente
le palpebre  chiuse e pesanti come la neve cadente
la mente offuscata dal impetuoso pensiero
vagando nel obblio senza trovare il sentiero
la ragion ormai vola via col sussurrar del vento
oltrepassando  l’oscurità  della  luna  d’argento …
da lontano ti vedo rivolto al indietro
entrando dentro casa senza aspettare il mio rientro .

Dormo…
dormo …incessantemente…
dormo senza poter sognare, stupidamente
nei miei pensieri il tuo sorriso brilla
ed io vedendoti rimango come l’argilla
pietrificata …
e se ci penso meglio, direi ghiacciata;

Dormo…
dormo…inconscentemente
senza mai potermi svegliare veramente
perché ahimè! In questo mondo vissuto palesemente
non trovo la fiamma della ragion che bruci ardentemente !

perciò…continuo a dormire
dormire, per poter svanire
svanire, dalla insulsa menzogna attuale
più esilarante persino della realtà virtuale…
Caro, dammi parole di fiducia
per te, mio uomo, l'unico che amassi
in lunghi anni di stupido terrore,
fa che le mani m'escano dal buio
incantesimo amaro che non frutta...
Sono gioielli, vedi, le mie mani,
sono un linguaggio per l'amore vivo
ma una fosca catena le ha ben chiuse
ben legate ad un ceppo. Amore mio
** sognato di te come si sogna
della rosa e del vento,
sei purissimo, vivo, un equilibrio
astrale, ma io sono nella notte
e non posso ospitarti. Io vorrei
che tu gustassi i pascoli che in dono
** sortiti da Dio, ma la paura
mi trattiene nemica; oso parole,
solamente parole e se tu ascolti
fiducioso il mio canto, veramente
so che ti esalterai delle mie pene.
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto.
Il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s'aprì e si chiuse, nella notte nera.
A lungo, modulando le discrete
erte forme del cuore
per attingere a foce inconosciuta
mani esangui di donna
e mani vigorose e pronte, il solco
hanno tracciato in circolo alla terra
perché vi si calasse inopinato
seme, ristoratore del peccato.
Ma poi che avvenne il crollo onde di un moto
originario mosse la dolcezza
della sua pura essenza,
nudi giacciono in sonno gli antenati,
anfore chiuse al fremito del parto.
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avviò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
Caro, dammi parole di fiducia
per te, mio uomo, l'unico che amassi
in lunghi anni di stupido terrore,
fa che le mani m'escano dal buio
incantesimo amaro che non frutta...
Sono gioielli, vedi, le mie mani,
sono un linguaggio per l'amore vivo
ma una fosca catena le ha ben chiuse
ben legate ad un ceppo. Amore mio
** sognato di te come si sogna
della rosa e del vento,
sei purissimo, vivo, un equilibrio
astrale, ma io sono nella notte
e non posso ospitarti. Io vorrei
che tu gustassi i pascoli che in dono
** sortiti da Dio, ma la paura
mi trattiene nemica; oso parole,
solamente parole e se tu ascolti
fiducioso il mio canto, veramente
so che ti esalterai delle mie pene.
Caro, dammi parole di fiducia
per te, mio uomo, l'unico che amassi
in lunghi anni di stupido terrore,
fa che le mani m'escano dal buio
incantesimo amaro che non frutta...
Sono gioielli, vedi, le mie mani,
sono un linguaggio per l'amore vivo
ma una fosca catena le ha ben chiuse
ben legate ad un ceppo. Amore mio
** sognato di te come si sogna
della rosa e del vento,
sei purissimo, vivo, un equilibrio
astrale, ma io sono nella notte
e non posso ospitarti. Io vorrei
che tu gustassi i pascoli che in dono
** sortiti da Dio, ma la paura
mi trattiene nemica; oso parole,
solamente parole e se tu ascolti
fiducioso il mio canto, veramente
so che ti esalterai delle mie pene.
A lungo, modulando le discrete
erte forme del cuore
per attingere a foce inconosciuta
mani esangui di donna
e mani vigorose e pronte, il solco
hanno tracciato in circolo alla terra
perché vi si calasse inopinato
seme, ristoratore del peccato.
Ma poi che avvenne il crollo onde di un moto
originario mosse la dolcezza
della sua pura essenza,
nudi giacciono in sonno gli antenati,
anfore chiuse al fremito del parto.
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto.
Il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s'aprì e si chiuse, nella notte nera.
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto.
Il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s'aprì e si chiuse, nella notte nera.
A lungo, modulando le discrete
erte forme del cuore
per attingere a foce inconosciuta
mani esangui di donna
e mani vigorose e pronte, il solco
hanno tracciato in circolo alla terra
perché vi si calasse inopinato
seme, ristoratore del peccato.
Ma poi che avvenne il crollo onde di un moto
originario mosse la dolcezza
della sua pura essenza,
nudi giacciono in sonno gli antenati,
anfore chiuse al fremito del parto.

— The End —