O cipresso, che solo e nero stacchi dal vitreo cielo, sopra lo sterpeto irto di cardi e stridulo di biacchi:
in te sovente, al tempo delle more, odono i bimbi un pispillìo secreto, come d'un nido che ti sogni in cuore.
L'ultima cova. Tu canti sommesso mentre s'allunga l'ombra taciturna nel tristo campo: quasi, ermo cipresso, ella ricerchi tra què bronchi un'urna.
Più brevi i giorni, e l'ombra ogni dì meno s'indugia e cerca, irrequieta, al sole; e il sole è freddo e pallido il sereno.
L'ombra, ogni sera prima, entra nell'ombra: nell'ombra ove le stelle errano sole. E il rovo arrossa e con le spine ingombra
tutti i sentieri, e cadono già roggie le foglie intorno (indifferente oscilla l'ermo cipresso), e già le prime pioggie fischiano, ed il libeccio ulula e squilla.
E il tuo nido? Il tuo nido?... Ulula forte il vento e t'urta e ti percuote a lungo: tu sorgi, e resti; simile alla Morte.
E il tuo cuore? Il tuo cuore?... Orrida trebbia l'acqua i miei vetri, e là ti vedo lungo, di nebbia nera tra la grigia nebbia.
E il tuo sogno? La terra ecco scompare: la neve, muta a guisa del pensiero, cade. Tra il bianco e tacito franare tu stai, gigante immobilmente nero.