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Giosuè Carducci
LA MADRE
Lei certo l’alba che affretta rosea
al campo ancora grigio gli agricoli
mirava scalza co ‘l piè ratto
passar tra i roridi odor del fieno.
Curva su i biondi solchi i larghi omeri
udivan gli olmi bianchi di polvere
lei stornellante su ‘l meriggio
sfidar le rauche cicale a i poggi.
E quando alzava da l’opra il turgido
petto e la bruna faccia ed i riccioli
fulvi, i tuoi vespri, o Toscana,
coloraro ignei le balde forme.
Or forte madre palleggia il pargolo
forte; da i nudi seni già sazio
palleggialo alto, e ciancia dolce
con lui che a’ lucidi occhi materni
intende gli occhi fissi ed il piccolo
corpo tremante d’inquïetudine
e le cercanti dita: ride
la madre e slanciasi tutta amore.
A lei d’intorno ride il domestico
lavor, le biade tremule accennano
dal colle verde, il büe mugghia,
su l’aia il florido gallo canta.
Natura a i forti che per lei spregiano
le care a i vulghi larve di gloria
così di sante visïoni
conforta l’anime, o Adrïano:
onde tu al marmo, severo artefice,
consegni un’alta speme de i secoli.
Quando il lavoro sarà lieto?
Quando securo sarà l’amore?
Quando una forte plebe di liberi
dirà guardando nel sole: ‘Illumina
non ozi e guerre a i tiranni,
ma la giustizia pia del lavoro’?
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Giosuè Carducci
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