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Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu ch'hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla".
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l'amavi forte!
Con lui c'eri tu sola e la sua morte.
O nata in selve tra l'ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l'agonia... "
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! Due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l'eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole".
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l'abbracciò su la criniera
"O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
A me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise:
esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come".
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito.
Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
amore, lungo la pianura nordica,
in un campo di morte: fredda, funebre,
la pioggia sulla ruggine dei pali
e i grovigli di ferro dei recinti:
e non albero o uccelli nell'aria grigia
o su dal nostro pensiero, ma inerzia
e dolore che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.
Da quell'inferno aperto da una scritta
bianca: " Il lavoro vi renderà liberi "
uscì continuo il fumo
di migliaia di donne spinte fuori
all'alba dai canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all'acqua con la bocca
di scheletro sotto le doccie a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di fiumi, d'animali,
o sei tu pure cenere d'Auschwitz,
medaglia di silenzio?
Restano lunghe trecce chiuse in urne
di vetro ancora strette da amuleti
e ombre infinite di piccole scarpe
e di sciarpe d'ebrei: sono reliquie
d'un tempo di saggezza, di sapienza
dell'uomo che si fa misura d'armi,
sono i miti, le nostre metamorfosi.

Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte.
Nat Lipstadt Sep 2013
The TSA won't let me fly
It seems when airplane-jailed,
My muse sneaks aboard
Without paying for a seat.

Another airplane poem like 30B,
From a long ago flight,
Found dusty, in the poetry sewing box


~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

with every breathe he tithes
a packet of whispered wishes,
a blended osmosis of
past and future scenes,
reviewed, previewed,
moments in time,
actual and dreamed

some received,
airborne plucked,
in his chest stored,
prepared for future
takeoffs and landings,
for ultimate insertion
in both
your recesses
and
your abscesses

some native,
combobulated, containerized
packets of seconds,
of joyous moments,
bytes of historical
hugs n' kisses,
as a child
to a child
from a child

those are vanilla frosted,
residual payments for the
good done and given,  
forwarded with all clear signals,
to his loved ones,
now resent, to you,
fellow travelers and sojourners,
intersectors of our peculiar
coded dots and dashes

thirty five thousand feet high,
composure lost,
he swoons as
Bocelli's voce del silenzio
releases tears so sweet,
which are by nature,
gravitated and transformed
into snowflakes to decorate
the Sierra Nevada's
breasted peaks and valleys,
over which his physical notion
is at rest, yet in motion,
within a Delta flying ship

Yet his fevered chest
beats rough,
for every flight seems
a time warp interlude,
a forced reflecting rhyme,
not of his choosing,
a lawful, thoughtful, imprisonment

having donated to you
his best, the remainders,
the man tallies, recalls:

ancient slights, scaled heights,
requiems for his forefathers
scored by cantorial choirs,
liberation struggle weariness,
offers taken and refused,
aces in the hole that proved
insufficient to save his soul.

goal line stands made,
onslaughts refused,
true lies and false truths,
moist lips and monster tears,
occasional A's and calcu-hell-us,
hand me downs received,
help me ups got n' given,
buildings pricked by airplanes,
death wishes granted
and nothing thereby gained,
children, found and lost,
mine, yours, ours...

The sums, always the sums!

engine noises and pilfered winds
are dulled and semi-silenced,
yet the silvered chamber prison
resonates from end to end
as each ledgered memory,
each packet of the
hidden whispered poems
he does NOT choose to send,
dents the man,
leaving claw marks,
screaming pay attention to me,
as if they were the priorities
of a six year old child,
refusing to be ignored

he does,
attention, he does pay,  
allowing rocking guitar heroes
to overtake weeping violinists,
just as newer transgressions
surfeit even his
most really *****,
ancient sins

No matter how he counts,
unable to master the additions,
no matter how many times
counts are initiated,
taken and retaken,
the tally's net net is
concluded, numbered
"forsaken"

his life's W-2 is black n' blue,
deductions falsely enumerate
and thereby underestimate
dues he has paid summarily,
earnings, distorted,
taxes paid never enough,
to satisfy the justice scales,
so wearily he
cries and enunciates,

The sums, always the sums!

THEN COMES HIS SHOUT OUT,
at his most vulnerable,
when a thin veneer of alumina
separates him,
from a fall inglorious
to an end most gorious,
a rapping beat moderne
insists that he go all out,
disallowing no
airy fairy poetry
to disguise that:

If the integers are false,
the entries of a life lived,
are sucker lies
black eyed flies
toxic shockers
that bust open
stinko lockers
where the B.S.
mocking stories
are kept

don't look close
at his documents
they ain't exactly
heaven sent
and the government men
be back on his track
their aviator shades
protect them from
burning light of the
man's furnace
where he burns their liens,
and the agent's ear pieces
drown out his screams of

The sums, always the sums!

God bless you,
keep and recall those packets of
whispered wishes, good tithes,
that the man bequeaths,
gift baskets of
expresso essentials
with God's love delivered

Tho his words,
amateurish and unvarnished,
silly and pompous,
nonetheless, they are the
return on his investments,
his yearnings for your happiness
are the savings accumulated,
though meager jewels are they,
they are ad valorem,
mixed into his confused murmurings

here then,
are his summings up,
what he wills you,,
the tally finale
the best wisdom is
found on coffee cups
at 2:47am.

Dance
Love
Sing
Live

to which he respectfully amends with a
Write.
(See banner photo)
See Nat Lipstadt
Juggling Thoughts Re Proximity, in Seat 30B
Che diremo stanotte all'amico che dorme?
La parola più tenue ci sale alle labbra
dalla pena più atroce. Guarderemo l'amico,
le sue inutili labbra che non dicono nulla,
parleremo sommesso.
La notte avrà il volto
dell'antico dolore che riemerge ogni sera
impassibile e vivo. Il remoto silenzio
soffrirà come un'anima, muto, nel buio.
Parleremo alla notte che fiata sommessa.

Udiremo gli istanti stillare nel buio
al di là delle cose, nell'ansia dell'alba,
che verrà d'improvviso incidendo le cose
contro il morto silenzio. L'inutile luce
svelerà il volto assorto del giorno. Gli istanti
taceranno. E le cose parleranno sommesso.
Stefano Jan 2013
Occhi verdi come il silenzio, ostinati nel vuoto di forme angeliche e trasparenti. Finti giroscopici frammenti moltiplicati a dare geometrica forma al mare. Bianchi cristalli fragili ed invisibili. Osservo le onde, le persone e la musica. Ubriaco di volti e suoni. Incastonati nella mia storia. Semplici ed incomprensibili.
Conosco una città
che ogni giorno s'empie di sole
e tutto è rapito in quel momento

Me ne sono andato una sera

Nel cuore durava il limio
delle cicale

Dal bastimento
verniciato di bianco
** visto
la mia città sparire
lasciando
un poco
un abbraccio di lumi nell'aria torbida
sospesi.
Non ti preparerò col mio mostrarmiti
ad una confidenza limitata,
ma perché nel toccarmi la tua mano
non abbia una memoria di presagi,
giacerò all'informe
fusa io stessa, sciolta dentro il buio,
per quanto possa, elaborata e viva,
ridivenire caos...
Orfeo novello, amico dell'assenza,
modulerai di nuovo dalla cetra
la figura nascente di me stessa.
Sarai alle soglie piano e divinante
di un mistero assoluto di silenzio,
ignorando i miei limiti di un tempo,
godrai il possesso della sola essenza.
Allora, concretandomi in un primo
accenno di presenza,
sarò un ramo fiorito di consenso,
e poi, trovato un punto di contatto,
ammetterò una timida coscienza
di vita d'animale
e mi dirò che non andrò più oltre,
mentre già mi sviluppi,
sapienza ineluttabile e sicura,
in un gioco insperato di armonie,
in una conclusione di fanciulla...
Fanciulla: è questo il termine raggiunto?
E per l'addietro non l'** maturato
e non l'** poi distrutto
delusa, offesa in ogni volontà?
Che vuol dire fanciulla
se non superamento di coscienza?
Era questo di me che non volevo:
condurmi, trascurando ogni mia forma,
al vertice mortale della vita...
Ma la presenza d'ogni mia sembianza
quale urgenza incalzante di sviluppo,
quale presto proporsi
e più presto risolversi d'enigmi!
E quando poi, dal mio aderire stesso,
la forma scivolò in un altro tempo
di più rare e più estranee conclusioni,
quando del mio "sentirmi" voluttuoso
rimase un'aderenza di dolore,
allora, allora preferii la morte
che ribadisse in me questo possesso.
Ma ci si può avanzare nella vita
mano che regge e fiaccola portata
e ci si può liberamente dare
alle dimenticanze più serene
quando gli anelli multipli di noi
si sciolgano e riprendano in accordo,
quando la garanzia dell'immanenza
ci fasci di un benessere assoluto.
Così, nelle tue braccia ordinatrici
io mi riverso, minima ed immensa;
dato sereno, dato irrefrenabile,
attività perenne di sviluppo.
tangshunzi Aug 2014
Ci sono matrimoni ipnotizzante e poi ci sono i matrimoni ipnotizzante.Una giornata così magico che si deve letteralmente smettere di tutti gli altri obblighi per immergersi in ogni ultimo istante della bella .Questo è uno di quei matrimoni.A chiudere la porta .il silenzio al telefono .sollevare i talloni dal tipo di scrivania vicenda che merita veramente la vostra attenzione .Un matrimonio che brilla dalla testa



ai piedi con dettagli contemporanei Fleurs \u0026Coriandoli e stelle filanti .yummy tratta di Sug'art e un Centro des sciences de l'impostazione Montreal che vi toglierà il fiato .Vedi tutto catturato da Isabelle Paille proprio qui.nella piena galleria .
Condividi questa splendida galleria ColorsSeasonsSpringSettingsMuseumUrban SpaceStylesModernWhimsical

Da Isabelle Paille .Questo particolare matrimonio primaverile amo.perché l'equilibrio della città e del verde .di un luogo industriale decorato con calore in tutte le cose capriccio .di una storia d'amore che è tutto molto urbano .ma con tutto il fascino classico ad esso .E ' così equilibrato come questa coppia è .e la preparazione di questo matrimonio con loro è stato a dir poco un sogno !

Lo spazio moderno e industriale era la tela perfetta bianca .con .di notte .una vista mozzafiato sulla abiti da sposa on line città .Gli inviti sono stati fatti in uno stile moderno ma con colori sorbetto aggiunti .giallo.verde e un po 'di pesca !Tavoli da refettorio sono stati abiti da sposa on line utilizzati drappeggiato in bianco .con sedie pieghevoli bianche pure .per dare un aspetto festoso e fresco .Fiori di primavera gialli come i tulipani sono stati usati abbondantemente.così come lo zucchero coperto i limoni .come segnaposto .Gli elementi di arredo sono semplici e freschi sui tavoli degli ospiti.richiamando l'attenzione sulla sposa e dello sposo tabella che è stata decorata abbondantemente .La tabella dolce è stato un enorme successo too.This matrimonio era assolutamente incantevole .dall'inizio alla fine .con tanti dettagli e rifiniture che ha reso gli ospiti giallo con invidia !E un anno dopo .i clienti sono ancora riferendosi ad esso come il matrimonio Science Center.

Fotografia : vestiti da sposa Isabelle Paille | Floral Design : Fleurs \u0026 Confetti | Abito da sposa : Anne Jean Michel | Cake: Dolci Pi | Cupcakes : Itsi Bitsi | Inviti : Fleurs \u0026 Confetti | Scarpe : Tenere Renfrew | Rosticcerie : Robert Alexis | Cookies :Sug'art | Event Design + Pianificazione : Fleurs \u0026 Confetti | Albergo : w hotel Montreal | vacanze : Bravo | Wedding Venue : Centre des Sciences de
http://www.belloabito.com/goods.php?id=583
http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-c-1
http://188.138.88.219/imagesld/td//t35/productthumb/1/1950335353535_394921.jpg
Matrimonio Moderno a Montreal da Isabelle Paille_abiti da sposa corti
Ian Beckett Nov 2012
Ti amo apertamente
ma tu non puoi vederlo
perchè stai guardando
nella direzione sbagliata
Voltati ora
e vedrai..

Ti amo quietamente
ma tu non puoi sentirlo
perchè tu stai ascoltando
nel silenzio assordante
Ascolta il nostro amore ora
e sentirai.

Ti amo totalmente
ma tu non puoi sentirlo
perchè ci incontriamo
talvolta in momenti tristi
Tienimi vicino ora
e saprai.
Conosco una città
che ogni giorno s'empie di sole
e tutto è rapito in quel momento

Me ne sono andato una sera

Nel cuore durava il limio
delle cicale

Dal bastimento
verniciato di bianco
** visto
la mia città sparire
lasciando
un poco
un abbraccio di lumi nell'aria torbida
sospesi.
Se la ruota si impiglia nel groviglio
delle stesse filanti ed il cavallo
s'impenna tra la calca, se ti nevica
fra i capelli e le mani un lungo brivido
d'iridi trascorrenti o alzano i bambini
le flebili ocarine che salutano
il tuo viaggio e i lievi echi si sfaldano
giù dal ponte sul fiume
se si sfolla la strada e ti conduce
in un mondo soffiato entro una tremula
bolla d'aria e di luce dove il sole
saluta la tua grazia-hai ritrovato
forse la strada che tentò un istante
il piombo fuso a mezzanotte quando
finì l'anno tranquillo senza spari.

Ed ora vuoi sostare dove un filtro
fa spogli i suoni
e ne deriva i sorridenti ed acri
fumi che ti compongono il domani;
ora chiedi il paese dove gli onagri
mordano quadri di zucchero dalle tue mani
e i tozzi alberi spuntino germogli
miracolosi al becco dei pavoni.

(Oh, il tuo carnevale sarà più triste
stanotte anche del mio, chiusa fra i doni
tu per gli assenti: carri dalle tinte
di rosolio, fantocci ed archibugi,
palle di gomma, arnesi da cucina
lillipuziani: l'urna li segnava
a ognuno dei lontani amici l'ora
che il gennaio si schiuse e nel silenzio
si compì il sortilegio. È carnevale
o il dicembre s'indugia ancora? Penso
che se muovi la lancetta al piccolo
orologio che rechi al polso, tutto
arretrerà dentro un disfatto prisma
babelico di forme e di colori... )

E il natale verrà e il giorno dell'anno
che sfolla le caserme e ti riporta
gli amici spersi e questo carnevale
pur esso tornerà che ora ci sfugge
tra i muri che si fendono già. Chiedi
tu di fermare il tempo sul paese
che attorno si dilata? Le grandi ali
screziate ti sfiorano, le logge
sospingono all'aperto esili bambole
bionde, vive, le pale dei mulini
rotano fisse sulle pozze garrule.
Chiedi di trattenere le campane
d'argento sopra il borgo e il suono rauco
delle colombe? Chiedi tu i mattini
trepidi delle tue prode lontane?

Come tutto si fa strano e difficile
come tutto è impossibile, tu dici.
La tua vita è quaggiù dove rimbombano
le ruote dei carriaggi senza posa
e nulla torna se non forse
in questi disguidi del possibile.
Ritorna là fra i morti balocchi
ove è negato pur morire; e col tempo che ti batte
al polso e all'esistenza ti ridona,
tra le mura pesanti che non s'aprono
al gorgo degli umani affaticato,
torna alla via dove con te intristisco
quella che mi additò un piombo raggelato
alle mie, alle tue sere:
torna alle primavere che non fioriscono.
Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel silenzio
** scritto
lettere piene d'amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
Mia vita, a te non chiedo lineamenti
fissi, volti plausibili o possessi.
Nel tuo giro inquieto ormai lo stesso
sapore han miele e assenzio.

Il cuore che ogni moto tiene a vile
raro è squassato da trasalimenti.
Così suona talvolta nel silenzio
della campagna un colpo di fucile.
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu ch'hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla".
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l'amavi forte!
Con lui c'eri tu sola e la sua morte.
O nata in selve tra l'ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l'agonia... "
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! Due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l'eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole".
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l'abbracciò su la criniera
"O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
A me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise:
esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come".
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito.
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai né pensi
Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m'affaccio,
E l'antica natura onnipossente,
Che mi fece all'affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or dà trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già ch'io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell'artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov'è il suono
Di què popoli antichi? Or dov'è il grido
Dè nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
Che n'andò per la terra e l'oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s'aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s'udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.
All'amore non si resiste
perché le mani vogliono possedere la bellezza
e non lasciare tramortite anni di silenzio.
Perché l'amore è vivere duemila sogni
fino al bacio sublime.
Stefano Mar 2013
Scivolando silenziosi sulla strada sinuosa senza sentire sapori scientificamente salati serviti solo sui saliscendi solari
Stavamo scalciando scomodi salmi sapendoci signori socchiusi soltanto da errabondi usurai
musa dalle mille parole socchiudi il silenzio sigillando i miei battiti nel delirio di un bacio
Un murmure, un rombo...
Son solo: ** la testa
confusa di tetri
pensieri. Mi desta
quel murmure ai vetri.
Che brontoli, o bombo?
Che nuove mi porti?
E cadono l'ore
giù giù, con un lento
gocciare. Nel cuore
lontane risento
parole di morti...
Che brontoli, o bombo?
Che avviene nel mondo?
Silenzio infinito.
Ma insiste profondo,
solingo smarrito,
quel lugubre rombo.
Aiere ha fatto n'anno - 'o diece 'e maggio,
na matenata calda e chiena 'e sole -,
penzaie 'ncapo a me: "Cu che curaggio
io stamattina vaco a faticà!".
Facenno 'o paro e sparo mme susette:
"Mo mme ne vaco 'a parte 'e copp' 'o Campo".
Int'a ddiece minute mme vestette
cu 'e mucassine e cu 'o vestito blu.

Nun facette sparà manco 'o cannone
ca già stevo assettato int' 'a cantina,
annanze a nu piatto 'e maccarune:
nu zito ch'affucava int 'o ragù.

C' 'a panza chiena, a passo... chianu chiano
mme ne trasette dint'a na campagna,
mmocca nu miezo sigaro tuscano,
ca m' 'o zucavo comme 'o biberò.

Tutto a nu tratto veco nu spiazzale
chino 'e ferraglie vecchie e arrugginite.
E ched' è, neh?... nu campo 'e residuate:
"il cimitero della civiltà".

Nu carro armato cu 'a lamiera rotta...
trattore viecchie... macchine scassate...
n' "Alfetta" senza 'e qquatte rote 'a sotto...
pareva 'o campusanto d' 'a Pietà!

Guardanno a uno a uno sti ruttame,
pare ca ognuno 'e lloro mme diceva:
"Guardate ccà cosa addiventiamo
quanno 'a vicchiaia subbentra a giuventù".

Mmiezo a sta pace, a stu silenzio 'e morte,
tutto a nu tratto sento nu bisbiglio...
appizzo 'e rrecchie e sento 'e di cchiù forte:
"Mia cara Giulietta, come va?".

Chi è ca sta parlanno cu Giulietta?
Nmiezo a stu campo nun ce sta nisciuno...
Tu vuo vedè che l'hanno cu ll' "Alfetta"?
Cheste so ccose 'e pazze! E chi sarrà?

Mme movo chianu chiano... indifferente,
piglio e mm'assetto 'ncopp' 'o carro armato...
quanno 'a sotto mme sento 'e di: "Accidente!...
E chisto mo chi è?... Che vularrà?".

Chi ha ditto sti pparole? Chi ha parlato?
I' faccio sta domanda e zompo all'erta...
"So io ch'aggio parlato: 'o carro armato...
Proprio addu me v'aviveve assettà?

A Napule nun se pò sta cuieto.
Aiere un brutto cane mascalzone
se ferma, addora... aiza 'a coscia 'e reto,
e po' mme fa pipi 'nfaccia 'o sciassi".

"Vi prego di accettare le mie scuse,
v' 'e ffaccio a nome anche del mio paese;
Ma voi siete tedesco o Made in Usa?
E come vi trovate in Italy?".

"Sono tedesco, venni da Berlino
per far la guerra contro l'Inghilterra;
ma poi - chiamalo caso oppur destino -
'e mmazzate ll'avette proprio ccà!".

"Ah, si... mo mme ricordo... le mazzate
ch'avisteve da noi napoletani...
E quanto furon... quattro le giornate,
si nun mme sbaglio: o qualche cosa 'e cchiù?".

"Furon quattro.Mazzate 'a tutte pizze:
prete, benzina, sputazzate 'nfacccia...
Aviveve vedè chilli scugnizze
che cosa se facettero afferrà!".

"Caro Signore, 'o nuosto è nu paisiello
ca tene - è overo - tanta tulleranza;
ma nun nce aimma scurdà ca Masaniello
apparteneva a chesta gente ccà.

E mo mm'ite 'a scusà ll'impertinenza,
primma aggio 'ntiso 'e dì: "Cara Giulietta".
Facitemmella chesta confidenza:
si nun mme sbaglio era st' "Alfetta" ccà?".

"Appunto, si,è qui da noi da un mese...
'A puverella è stata disgraziata,
è capitata 'nmano a un brutto arnese,
... Chisto nun ha saputo maie guidà.

Io mm' 'a pigliasse cu 'e rappresentante,
cu chilli llà che cacciano 'e ppatente;
chiunque 'e nuie, oggi, senza cuntante,
se piglia 'a macchinetta e se ne va".

"Di macchine in Italia c'è abbondanza...-
rispose sottovoce 'a puverella -
si no che ffa... po' nce grattammo 'a panza:
chillo ca vene ll'avimmo acchiappà".

"Giulietta, raccontate qui al signore
i vostri guai" - dicette 'o carro armato.
L' "Alfetta" rispunnette a malincuore:
"Se ci tenete, li racconterò.

Come sapete, sono milanese,
son figlia d'Alfa e di papà Romeo,
per fare me papà non badò a spese;
mi volle fare bella "come il fò".

Infatti, mi adagiarono in vetrina,
tutta agghindata... splendida... lucente!
Ero un' "Alfetta" ancora signorina:
facevo tanta gola in verità!

Un giorno si presenta un giovanotto
cu tanto nu paccotto 'e cambiale,
io, puverella!, avette fà 'o fagotto,
penzanno:Chi sa comme va a fernì!

Si rivelò cretino, senza gusto:
apparteneva 'a "gioventù bruciata".
Diceva a tutti quanti: "Io sono un fusto;
'e ffemmene cu mmico hanna cadè!".

Senza rispetto, senza nu cuntegno...
cambiava tutt' 'e giorne... signorina:
ci conduceva al solito convegno...
... alla periferia della città.

Chello ca cumbinava 'o giuvinotto?
Chi maie ve lo potrebbe raccontare:
io nn'aggio mantenute cannelotte
'e tutte specie, 'e tutte 'e qqualità:

la signorina di buona famiglia,
a vedova, 'a zetella, 'a mmaretata...
E quanno succedette 'o parapiglia,
stavamo proprio cu una 'e chesti ccà.

In una curva, questo gran cretino,
volle fare un sorpasso proibito,
di fronte a noi veniva un camioncino,
un cozzo, svenni, e mo mme trovo ccà".

"A nu fetente 'e chisto ce vulesse
nu paliatone, na scassata d'osse'...
Ma comme - dico i' po' - sò sempe 'e stesse
ca t'hanna cumbinà sti guaie ccà?".

"E che penzate 'e fà donna Giulietta?".
"E ch'aggia fà? - rispose 'a puverella-
So che domani viene una carretta,
mme pigliano e mme portano a squaglià".

"Giulietta... via, fatevi coraggio -
(dicette 'o carro armato). lo ero un "Tigre",
il popolo tremava al mio passaggio!...
Mannaggia 'a guerra e chi 'a vulette fà!

lo so cosa faranno del mio squaglio:
cupierche 'e cassarole, rubinette,
incudini, martelli, o qualche maglio,
e na duzzina 'e fierre pe stirà"

"lo vi capisco... sono dispiaciuto...
ma p' 'e metalli 'a morte nun esiste;
invece 'e n'ommo, quanno se n'è ghiuto,
Marco Bo Aug 2018
by these outskirts of the world, adrift in the post-truth era
a few fragments of scattered certainties here and there
sometimes in the middle of a meadow
sometimes on the asphalt,
between the cracks in the cement
inside puddles
they sink

small splinters of evidence
like inhaling
breeze
that feeds

and in the gestures
in posture
in the look
in the eyes
around the lips
between wrinkles like furrows

to be irrigated with tears
sometimes of joy

under this forgotten suburban sky
small fragments of truth
not in the words
but in the body heat
and in silence
silence
please
-----------------------

nel calore di un corpo

presso queste periferie del mondo
alla deriva nell'era della post-verità
pochi frammenti di certezze sparse qua è là
a volte in mezzo a un prato
a volte sull'asfalto,
tra le crepe nel cemento
dentro a pozzanghere
affondano

piccole schegge di evidenze
come inspirare
una brezza fresca
che nutre

e poi nei gesti
nella postura
nello sguardo
negli occhi
attorno alle labbra
tra le rughe come solchi

da irrigare con lacrime
a volte anche di gioia

sotto questo cielo urbano dimenticato
piccoli frammenti di verità
non nelle parole
ma nel calore del corpo
e del silenzio
silenzio
per favore
...........................
en el calor del cuerpo

en estas afueras del mundo, a la deriva en la era de la post-verdad
algunos fragmentos de certezas dispersas aquí y allá
a veces entre la hierba del campo
a veces en el asfalto,
entre las grietas en el cemento
adentro de charcos
se hunden

pequeñas astillas de evidencia
como inhalar
brisa
que alimenta

y en los gestos
en la postura
en la mirada
en los ojos
alrededor de los labios
entre arrugas como surcos
a regar con lágrimas
a veces de alegría

bajo este olvidado cielo suburbano
pequeños fragmentos de verdad
no en las palabras
en el calor del cuerpo
y en el silencio
silencio
por favor
Amici ci aspetta una barca e dondola
nella luce ove il cielo s'inarca
e tocca il mare, volano creature pazze ad amare
il viso d'Iddio caldo di speranza
in alto in basso cercando
affetto in ogni occulta distanza
e piangono: noi siamo in terra
ma ci potremo un giorno librare
esilmente piegare sul seno divino
come rose dai muri nelle strade odorose
sul ***** che le chiede senza voce.

Amici dalla barca si vede il mondo
e in lui una verità che precede
intrepida, un sospiro profondo
dalle foci alle sorgenti;
la Madonna dagli occhi trasparenti
scende adagio incontro ai morenti,
raccoglie il cumulo della vita, i dolori
le voglie segrete da anni sulla faccia inumidita.
Le ragazze alla finestra annerita
con lo sguardo verso i monti
non sanno finire d'aspettare l'avvenire.

Nelle stanze la voce materna
senza origine, senza profondità s'alterna
col silenzio della terra, è bella
e tutto par nato da quella.
Dicevi: morte, silenzio, solitudine;
come amore, vita. Parole
delle nostre provvisorie immagini.
E il vento s'è levato leggero ogni mattina
e il tempo colore di pioggia e di ferro
è passato sulle pietre,
sul nostro chiuso ronzio di maledetti.
Ancora la verità è lontana.
E dimmi, uomo spaccato sulla croce,
e tu dalle mani grosse di sangue,
come risponderò a quelli che domandano?
Ora, ora: prima che altro silenzio
entri negli occhi, prima che altro vento
salga e altra ruggine fiorisca.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi,
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avviò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro senti nel cuore...

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
vuoto il cielo, e cavo al piè sonante sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile.
È l'estate, fredda, dei morti.
Dante Rocío Jul 2020
Ci riscaldato
Lo Sguardo,
Un buco trascina con pensieri
bellamente da eleganza pervertiti,
La pioggia mi propria caldaia
Che ne faccio far‘ di sé,
Che ne faccio star’ da me.

Scelgo di ballare senza corpo
Ma fare i passi scuri in negazione,
Osservazione, vero mascalzone
Altrimenti: note di silenzio fragorose.
Momento il piano,
Battimenti di cuore per i piedi.
Bolle ermetiche per fiato.

Menestrello d’Utopie starò,
In piedi come Ellissi rimerò
E vedrò come la fine verrà
Per lacrime brucianti dalla
Nullità di nuvole.

Scelgo di splendere negli
occhi di metà coperchio
E che si fa del loro febbrile?
Si suda dallo affascinante,
Si apre il petto per sentire
come caldo sta il muscolo cardiaco
E si fa amore colle sue battaglie,
Nello scuro del Giorno,
come vuoi,
O lucidità della Notte.

Non si dice ragione.
Nella piuma c’è rumore.
A trial in scarlet darkness of
music sonorous in mind,
Trying to capture my vivid beat in melody,
While dancing glory in pencil gold hair
In the pit of thoughts in Me.
In lush green of cigarette Italian book-like.

Prima, Prova.
First, Trial/
Earlier, Try.
La fatica è sedersi senza farsi notare.
Tutto il resto poi viene da sé. Tre sorsate
e ritorna la voglia di pensarci da solo.
Si spalanca uno sfondo di lontani ronzii,
ogni cosa si sperde, e diventa un miracolo
esser nato e guardare il bicchiere. Il lavoro
(l'uomo solo non può non pensare al lavoro)
ridiventa l'antico destino che è bello soffrire
per poterci pensare. Poi gli occhi si fissano
a mezz'aria, dolenti, come fossero ciechi.

Se quest'uomo si rialza e va a casa a dormire,
pare un cieco che ha perso la strada. Chiunque
può sbucare da un angolo e pestarlo di colpi.
Può sbucare una donna e distendersi in strada,
bella e giovane, sotto un altr'uomo, gemendo
come un tempo una donna gemeva con lui.
Ma quest'uomo non vede. Va a casa a dormire
e la vita non è che un ronzio di silenzio.

A spogliarlo, quest'uomo, si trovano membra sfinite
e del pelo brutale, qua e là. Chi direbbe
che in quest'uomo trascorrono tiepide vene
dove un tempo la vita bruciava? Nessuno
crederebbe che un tempo una donna abbia fatto carezze
su quel corpo e baciato quel corpo, che trema,
e bagnato di lacrime, adesso che l'uomo
giunto a casa a dormire, non riesce, ma geme.
Uno scambio mal riuscito
di sguardi mai incrociati
ha tappezzato il pavimento
di dimenticati imbarazzi
i miei i tuoi sommati
ad un'unica finestra di poco aperta
per far scolare via quel fumo denso
della sigaretta
succhiata forte che il silenzio
vibrasse di qualcosa di non detto
il tuo nome o quel che faccio
ma la porta ora ha messo
pace alle nostre solitudini
e la tua fretta
lungo le scale che corri
non è più mia su questo divano
impiantito ancora oggi
a contare via le ore
con il sommo delle dita.
I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.

I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.

Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.
Ridotto a me stesso?
Morto l'interlocutore?
O morto io,
l'altro su di me
padrone del campo, l'altro,
universo, parificatore...
o no,
niente di questo:
il silenzio raggiante
dell'amore pieno,
della piena incarnazione
anticipato da un lampo? -
penso
se è pensare questo
e non opera di sonno
nella pausa solare
del tumulto di adesso.
È riapparsa la donna dagli occhi socchiusi
e dal corpo raccolto, camminando per strada.
Ha guardato diritto tendendo la mano,
nell'immobile strada. Ogni cosa è riemersa.

Nell'immobile luce dei giorno lontano
s'è spezzato il ricordo. La donna ha rialzato
la sua semplice fronte, e lo sguardo d'allora
è riapparso. La mano si è tesa alla mano
e la stretta angosciosa era quella d'allora.
Ogni cosa ha ripreso i colori e la vita
allo sguardo raccolto, alla bocca socchiusa.

È tornata l'angoscia dei giorni lontani
quando tutta un'immobile estate improvvisa
di colori e tepori emergeva, agli sguardi
di quegli occhi sommessi. È tornata l'angoscia
che nessuna dolcezza di labbra dischiuse
può lenire. Un immobile cielo s'accoglie
freddamente, in quegli occhi.
Fra calmo il ricordo
alla luce sommessa dei tempo, era un docile
moribondo cui già la finestra s'annebbia e scompare.
Si è spezzato il ricordo. La stretta angosciosa
della mano leggera ha riacceso i colori
e l'estate e i tepori sotto il viviclo cielo.
Ma la bocca socchiusa e gli sguardi sommessi
non dan vita che a un duro inumano silenzio.
Io vorrei, superato ogni tremore
giungere alla bellezza che mi incalza,
dalla rovina del silenzio, fonda,
togliere la misura della voce
e cantare all'unisono coi suoni;
stamparmi nelle palme ogni vigore
in crescita perenne e modulare
un attento confine con le cose
ov'io possa con esse colloquiare
difesa sempre da incipienti caos.
Vorrei abitare nel segreto cuore
centro d'ogni più puro movimento,
animare di me gli spenti aspetti
dei fantasmi reali e riplasmare
le parabole ardenti ove ogni grazia
è tocca dal suo limite. Variata
stupendamente da codesti incontri
numererò la plurima mia essenza
entro un solo, perenne,
insistere di toni adolescenti.
Nell'aperta misura delle ali
del più libero uccello,
nel vigore degli alberi,
nella chiarezza-musica dei venti,
nel frastuono puerile dei colori,
nell'aroma del frutto,
sarò creatura in unico e diverso
principio, senza origine né segno
d'ancestrale condanna.
E so, per questa verità, che il tempo
non crollerà spargendo le rovine
dei violati contatti alla mitezza
del mio nuovo apparire, né la sacra
identità del canto verrà meno
ai suoi idoli vivi.
Senza di te tornavo, come ebbro,
non più capace d'esser solo, a sera
quando le stanche nuvole dileguano
nel buio incerto.
Mille volte son stato così solo
dacché son vivo, e mille uguali sere
m'hanno oscurato agli occhi l'erba, i monti
le campagne, le nuvole.
Solo nel giorno, e poi dentro il silenzio
della fatale sera. Ed ora, ebbro,
torno senza di te, e al mio fianco
c'è solo l'ombra.

E mi sarai lontano mille volte,
e poi, per sempre. Io non so frenare
quest'angoscia che monta dentro al seno;
essere solo.
O dolce usignolo che ascolto
(non sai dove), in questa gran pace
cantare cantare tra il folto,
là, dei sanguini e delle acace;
t'** presa - perdona, usignolo -
una dolce nota, sol una,
ch'io canto tra me, solo solo,
nella sera, al lume di luna.
E pare una tremula bolla
tra l'odore acuto del fieno,
un molle gorgoglio di polla,
un lontano fischio di treno...
Chi passa, al morire del giorno,
ch'ode un fischio lungo laggiù
riprende nel cuore il ritorno
verso quello che non è più.
Si trova al nativo villaggio,
vi ritrova quello che c'era:
l'odore di mesi-di-maggio
buon odor di rose e di cera.
Ne ronzano le litanie,
come l'api intorno una culla:
ci sono due voci sì pie!
Di sua madre e d'una fanciulla.
Poi fatto silenzio, pian piano,
nella nota mia, che t'** presa,
risente squillare il lontano
campanello della sua chiesa.
Riprende l'antica preghiera,
ch'ora ora non ha perché;
si trova con quello che c'era,
ch'ora ora ora non c'è...
Chi sono? Non chiederlo. Io piango,
ma di notte, perch'** vergogna.
O alato, io qui vivo nel fango.
Sono un gramo rospo che sogna.
"Era un mattino in cui sognava ignara
nei ròsi orizzonti una luce di mare:
ogni filo d'erba come cresciuto a stento
era un filo di quello splendore opaco e immenso.

Venivamo in silenzio per il nascosto argine
lungo la ferrovia, leggeri e ancora caldi

del nostro ultimo sonno in comune nel nudo
granaio tra i campi ch'era il nostro rifugio.

In fondo Casarsa biancheggiva esanime
nel terrore dell'ultimo proclama di Graziani;

e, colpita dal solo contro l'ombra dei monti,
la stazione era vuota: oltre i radi tronchi

dei gelsi e gli sterpi, solo sopra l'erba
del binario, attendeva il treno per Spilimbergo...

L'** visto allontanarsi con la sua valigetta,
dove dentro un libro di Montale era stretta

tra pochi panni, la sua rivoltella,
nel bianco colore dell'aria e della terra.

Le spalle un po' strette dentro la giacchetta
ch'era stata mia, la nuca giovinetta... ".
Non avete veduto le farfalle
con che leggera grazia
sfiorano le corolle in primavera?
Con pari leggerezza
limpido aleggia sulle cose tutte
lo sguardo della vergine sorella.
Non avete veduto quand'è notte
le vergognose stelle
avanzare la luce e ritirarla?...
Così, timidamente, la parola
varca la soglia
del suo labbro al silenzio costumato.
Non ha forma la veste ch'essa porta,
la luce che ne filtra
ne disperde i contorni. Il suo bel volto
non si sa ove cominci, il suo sorriso
ha la potenza di un abbraccio immenso.
Marco Bo Sep 2018
under this grey suburban sky
thunders rolling as rocks and drums
then silence in concrete transit spaces
although wild beats inside our veins
hunting scenes and escapes in vain

taste of honey and salt on your teeth
prey predators and carnival masks
smiles dreams feasts fire tears
running water
silence and lightning
remote storms
gentle breeze

essences and perfumes
tobacco leather cinnamon and ashes
smells of life
and skin

it's time to go home
home where we will recall
every flavor
every hug
every drop of dew
every smile and every single tear
their true meaning
and we will ask ourselves
why?
why have we ever parted from our heart?
................

sotto questo grigio cielo suburbano
tuoni che rotolano come pietre e tamburi
poi silenzio in spazi di transito di asfalto e cemento
anche se il selvatico batte nelle nostre vene
scene di caccia e fughe invano

sapore di miele e sale sui denti
prede predatori e maschere di carnevale
sorrisi sogni feste lacrime
acqua corrente
silenzio e fulmini
tempeste remote
e brezza leggera

essenze e profumi
tabacco cuoio cannella e cenere
odori di vita
e di pelle

è ora di tornare a casa
casa dove ricorderemo
ogni sapore
ogni abbraccio
ogni goccia di rugiada
ogni sorriso e ogni singola lacrima
il loro vero significato
e ci chiederemo
perché?
perché mai ci siamo separati dal nostro cuore?
Li osservo, questi uomini, educati
ad altra vita che la mia: frutti
d'una storia tanto diversa, e ritrovati,
quasi fratelli, qui, nell'ultima forma
storica di Roma. Li osservo: in tutti
c'è come l'aria d'un buttero che dorma
armato di coltello: nei loro succhi
vitali, è disteso un tenebrore intenso,
la papale itterizia del Belli,
non porpora, ma spento peperino,
bilioso cotto. La biancheria, sotto,
fine e sporca; nell'occhio, l'ironia
che trapela il suo umido, rosso,
indecente bruciore. La sera li espone
quasi in romitori, in riserve
fatte di vicoli, muretti, androni
e finestrelle perse nel silenzio.
È certo la prima delle loro passioni
il desiderio di ricchezza: sordido
come le loro membra non lavate,
nascosto, e insieme scoperto,
privo di ogni pudore: come senza pudore
è il rapace che svolazza pregustando
chiotto il boccone, o il lupo, o il ragno;
essi bramano i soldi come zingari,
mercenari, puttane: si lagnano
se non ce n'hanno, usano lusinghe
abbiette per ottenerli, si gloriano
plautinamente se ne hanno le saccocce
piene.
Se lavorano - lavoro di mafiosi macellari,
ferini lucidatori, invertiti commessi,
tranvieri incarogniti, tisici ambulanti,
manovali buoni come cani - avviene
che abbiano ugualmente un'aria di ladri:
troppa avita furberia in quelle vene...

Sono usciti dal ventre delle loro madri
a ritrovarsi in marciapiedi o in prati
preistorici, e iscritti in un'anagrafe
che da ogni storia li vuole ignorati...
Il loro desiderio di ricchezza
è, così, banditesco, aristocratico.
Simile al mio. Ognuno pensa a sé,
a vincere l'angosciosa scommessa,
a dirsi: "È fatta, " con un ghigno di re...
La nostra speranza è ugualmente ossessa:
estetizzante, in me, in essi anarchica.
Al raffinato e al sottoproletariato spetta
la stessa ordinazione gerarchica
dei sentimenti: entrambi fuori dalla storia,
in un mondo che non ha altri varchi
che verso il sesso e il cuore,
altra profondità che nei sensi.
In cui la gioia è gioia, il dolore dolore.

— The End —