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D Conors Oct 2010
(O Fortuna! had re-gained popular attention when it was chosen as the theme song for the film, The Omen, the story of a child who was the Anti-Christ.
The entire performance of Orff's Carmina Burana is gripping and spine-chilling. I had the pleasure of watching it from a box seat the the Broward Centre for the Performing Arts back in 1999, played by the Florida Philharmonic (defunct) led by maestro James Judd--it terrified me so much I couldn't sleep for days!-D)

1. O Fortuna (Chorus) (O Fortune)

O Fortuna O Fortune,
velut luna like the moon
statu variabilis, you are changeable,
semper crescis ever waxing
aut decrescis; and waning;
vita detestabilis hateful life
nunc obdurat first oppresses
et tunc curat and then soothes
ludo mentis aciem, as fancy takes it;
egestatem, poverty
potestatem and power
dissolvit ut glaciem. it melts them like ice.
Sors immanis Fate - monstrous
et inanis, and empty,
rota tu volubilis, you whirling wheel,
status malus, you are malevolent,
vana salus well-being is vain
semper dissolubilis, and always fades to nothing,
obumbrata shadowed
et velata and veiled
michi quoque niteris; you plague me too;
nunc per ludum now through the game
dorsum nudum I bring my bare back
fero tui sceleris. to your villainy.
Sors salutis Fate is against me
et virtutis in health
michi nunc contraria, and virtue,
est affectus driven on
et defectus and weighted down,
semper in angaria. always enslaved.
Hac in hora So at this hour
sine mora without delay
corde pulsum tangite; pluck the vibrating strings;
quod per sortem since Fate
sternit fortem, strikes down the strong man,
mecum omnes plangite! everyone weep with me!
____

About:
"Carmina Burana is a scenic cantata composed by Carl Orff in 1935 and 1936. It is based on 24 of the poems found in the medieval collection Carmina Burana. Its full Latin title is Carmina Burana: Cantiones profanæ cantoribus et choris cantandæ comitantibus instrumentis atque imaginibus magicis"

"Orff first encountered the text in John Addington Symonds's 1884 publication Wine, Women and Song, which included English translations of 46 poems from the collection. Michel Hofmann, a young law student and Latin and Greek enthusiast, assisted Orff in the selection and organization of 24 of these poems into a libretto, mostly in Latin verse, with a small amount of Middle High German and Old Provençal. The selection covers a wide range of topics, as familiar in the 13th century as they are in the 21st century: the fickleness of fortune and wealth, the ephemeral nature of life, the joy of the return of Spring, and the pleasures and perils of drinking, gluttony, gambling and lust."
http://en.wikipedia.org/wiki/Carmina
Burana_
by Carl Orff
(July 10, 1895(1895-07-10) – March 29, 1982)
BardOfTheNorth Apr 2015
"O Fortuna
velut luna
statu variabilis,
semper crescis
aut decrescis;
vita detestabilis
nunc obdurat
et tunc curat
ludo mentis aciem,
egestatem,
potestatem
dissolvit ut glaciem.

Sors immanis
et inanis,
rota tu volubilis,
status malus,
vana salus
semper dissolubilis;
obumbrata
et velata
mihi quoque niteris;
nunc per ludum
dorsum nudum
fero tui sceleris.

Sors salutis
et virtutis
michi nunc contraria,
est affectus
et defectus
semper in angaria.
Hac in hora
sine mora
corde pulsum tangite;
quod per sortem
sternit fortem,
mecum omnes plangite!"
Written in the early 13th century. Later translated into song by Carl Orff, in Carmina Burana.
tangshunzi Jun 2014
Pianificare un matrimonio Texas tutto il tragitto dall'Inghilterra non è esattamente quello che chiamerei un compito facile .ma per questa splendida sposa e lo sposo è stato uno che è venuto insieme senza soluzione di continuità .Sto parlando di una squadra impressionante di fornitori .amici favolosi + parenti e romantico giorno di tempo piovoso tutti insieme per creare una relazione seria sognante .Vedi tutto catturato da Geoff Duncan proprio qui .

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Da Sposa.Dopo Jon ed io siamo fidanzati nel gennaio 2013 .ci fu inizialmente un sacco di avanti e indietro sopra dove il matrimonio reale avrebbe avuto luogo .Jon è vestiti da sposa dalla costa meridionale dell'Inghilterra .e miè èdal Texas .e anche se la gente continuava a dirci che era il nostro matrimonio.quindi dovremmo avere nel posto che ci rende felici .ci stavaè èvuole che sia davverodifficile per tutti della nostra famiglia e gli amici per farlo .Alla fine abbiamo deciso che aveva più senso avere in Texas.come ** TALE una grande famigliaèe al momento abbiamo pensato che sarebbe sicuramente ottenere un tempo migliore ( sì proprio! ) Ed essere in grado di avere il matrimonio all'aperto.Inoltre .un paio di Jon ' amici inglesi ci ha detto cheñ è èEtter nonèce l'ha nel Regno Unitoè èvolevanoè eo da qualche parte esotica .come il Texas !è è/ em >

Jon e io sapevamo che didnè èvogliono avere il matrimonio in una grande cittàècosì Dallas .dove hoè èoriginario .è stato escluso abbastanza rapidamente .La nostra posizione di nozze e il tema di ispirazione in realtà provenivano da uno dei matrimoni Jon ' groomsmen "che abbiamo partecipato insieme il primo fine settimana mi sono trasferito nel Regno Unito all'inizio del 2011 . Loro matrimonio era nelle Highlands scozzesièpiù disabitata .selvaggia .zona remota voipoteva immaginare .Abbiamo volato da Glasgow .affittato una macchina e guidato altre 3 ore a nord nel bel mezzo del nulla .La maggior parte delle persone che frequentano il matrimonio alloggiavano nello stesso albergo ( o nelle vicinanze ).per tutto il weekend ed è stato questo ( probabilmente centinaia di anni) edificio in pietra si affaccia su un bellissimo lago .La vecchia chiesa caratteristico era solo la strada - e stranamenteèversò prima.durante e dopo tutta la loro cerimoniaèsuona familiare .E 'stato davvero romantico anche se durante la cerimonia .perché eravamo tutti rannicchiati in questa calda chiesetta con il vento e la pioggia che urla fuori .Abbiamo apprezzato molto l'idea di fare una cosa simile dove tutti alloggiava nella stessa zona ed era in campagna - e tutti abbiamo potuto trascorrere il weekend insieme .Abbiamo pensato cheè ñal sicuro dalla pioggia in Texas estate.anche seèci stavaè èaspettano Scozia meteo !

organizzare il matrimonio in Texas da Londra non ha dimostrato di essere un compito facile .In un primo momento ** pensato che ero in cima delle coseènon eroè èlavoro e sono stato in grado di ottenere la maggior parte dei miei grandi fornitori prenotati.Ma poi ** trovato un nuovo lavoro nel mese di luglio e che ' quando le cose sono diventate davvero difficile .** sottovalutato quanti piccoli dettagli ci sarebbeèma fortunatamente per meèmia mamma e papà davvero tirato insieme e aiutatoèmolto .** trovato un sacco di mie idee per i più piccoli dettagli su Pinterest ( come si fa ) e ** trovato il materiale che avevo bisogno di fare loro su Etsy .Vorrei ordinare tutto il necessario per una delle mie idee e quindi provare a lavorare con mia mamma per vedere come si potrebbe ottenere fatto .I vasi di muratore sono un esempioèho ordinato 100 vasi di muratore .etichette.cannucce .ecc e li aveva spediti alla mamma .Poi ** avuto la vestiti da sposa mamma di passare le etichette per invitare la mia ragazza (che è INCREDIBILE tra l'altro) e aveva tutti i nomi stampati sulle etichette e ha dato di nuovo a mamma che li bloccato sui vasi .E così la maggior parte dei piccoli dettagli sono stati fatti in questo modo!I donè èche avrei potuto fare tutto senza tutto l'aiuto straordinario che avevoèmamma.papà .il abiti da sposa on line mio coordinatore e altri fornitori sorprendenti.

Jon e ** volato in Dallas la settimana prima del matrimonio per aiutare a finire alcune cose prima del giorno e per abituarsi al cambiamento di tempo orribile.Il weekend di matrimonio iniziato nel Austin sul ​​Giovedi prima perché il Inn Above Onion Creek richiesto l' intero hotel è stato affittato per tutti e tre notti .È finito per lavorare fuori fantastico e mi ha dato una notte in più da trascorrere con tutta la mia famiglia e gli amici Jon ' in un unico luogo .L'intero weekend è stato davvero speciale (ovviamente la notte del matrimonio reale era il migliore !) .Ma è stato incredibile .non solo avendo tutti i nostri cari in un posto.ma guardando quanto bene tutti andavano d'accordo e quanto divertimento tutti sembravano essereavere .

Tutta la settimana che porta al matrimonio .Jon e mi era stato nervosamente controllo le previsioni ogni cinque minuti .Purtroppo .una previsione di pioggia sarebbe semplicemente non andare via per il giorno del matrimonio reale .ma è tenuto saltando dal 20 % al 50 % e di nuovo al 20 % - la tortura totale.TUTTI continuava a direè ñhhh donè èpreoccuparti !Non ' sicuramente pioverà .Essa non fa maièprobabilmente sarà cielo sereno !èquindi non era davvero stressante a tutti quando tre ore prima della cerimonia .la pioggia peggiore cheè èe visto in anni laminati in ( ben che potrebbe in parte essere perché drizzles solo a Londra).ma letteralmente il cielo stava cadendo .Probabilmente ero un piacere essere intorno in quel periodo .Per fortuna



.come ** detto primaèavevo fornitori incredibili che erano in grado di tenere tutto insieme ( mentre io ero un disastro ) e tutto si è rivelato splendidamente .La pioggia cessò per la cerimonia (per fortuna ).e il cielo si schiarì che ha fornito anche un bellissimo sfondo per tutte le foto di gruppo .Tutto sembrava essere scorre senza intoppi e ci siamo divertiti così tanto a parlare con tutti e ballare verso la fine della notte .
couldnè èpotuto essere più felice di come è andato tuttoèera letteralmente tutto ciò che avremmo potuto sperare.Ci siamo sentiti solo come se fosse volato da troppo veloce!Fotografia

: Geoff Duncan | Cinematografia : Jerry Malcolm 2nd Generation Films | Cake: The Cupcake Bar | Cancelleria : Love And Wit Paper Co. | Hair \u0026 Makeup : Erica Gray | DJ : DJ Floyd Banche | Ufficiante : Sarah Reed | Alcol: Specifiche | Cerimonia \u0026 Reception Venue : Inn Above Onion Creek | Coordinamento : stile e la grazia Eventi | barman : Bar Divas | Rehearsal Dinner Luogo : Iron Cactus 6th Street | vacanze : Illusions AffittiThe Cupcake Bar è un membro del nostro Little Black Book .Scopri come i membri sono scelti visitando la nostra pagina delle FAQ .The Cupcake Bar VIEW
http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-c-1
http://www.belloabito.com/goods.php?id=450
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Kyle Matrimonio al Inn Above Onion Creek_abiti da sposa 2014
Mateuš Conrad Jul 2016
.one of the great dissatisfactions of life: dreaming... which makes me suspect of the anglo-saxons and their subsequent branches of sub-ethicities... they dream... they have recurring dreams... lucid dreams... i find that slightly suspicious... i rarely dream and if i do dream, the dreams are so bogus or so uninteresting that they make no sense to: "interpret" them via any freud-cubism schematic - that a woman's sun hat implies: the depth of ****** and promiscuity, or some otherwise bogus stretching it mate, really stretching that analogy... but why do the anglo-saxons have such lucid dreams, even recurring dreams? are they descendants of joseph: der traumgehhilfe? last time i had a dream? oh... family invites me to say, three memebers of the family don't like me... **** the rest of the family with a knife, a gun and a baseball bat (somewhere in south east asia)... a few of the killed members run into the street to die... i somehow pick up a kalashnikov and shoot the murderous 3... then i jump into slender boat with a motor with 3 or 4 women... 'jesus'... and i escape the scene of retribution sailing to... cambodia! **** me... even sylvester stallone or jason statham or arnie wouldn't star in a movie as b-movie as this... but anglo-saxons seem to have the most vivid dreams... two good examples: h. p. lovecraft and william burroughs... is dreaming a form of escapism? if so, then evidently i'm quiet content with reality... like today: too much pop psychology, too much self-help guru mishmash, too much advice: not enough stories... video streaming a game being played... etc., so i retreat, even from modern music, into? here's a beginner's guide list to medieval music:

       1. qui habitat in adiutorio altissimi
       2. da pacem domine
       3. agni parthene
       4. dum pater familias
       5. chevalier, mult estes guariz
       6. virga iesse floruit
       7. walther von der vogelweide's
                 palästinalied
       8. codex buranus no. 179:
                     tempus est locundum
       9. non é gran causa
      10. herr holger
      11. herr mannelig
      12. die eisenfaust am lanzenschaft
      13. meie din liechter schin
      14. under der linden
      15. mayenzeit one neidt
      16. mönch von salzburg (das nachthorn)

   why would i have stopped at merely
Orff's reading of Carmina Burana -
                 sure... that's the entry point...
   but the radio only plays o fortuna till
the cows come home in a full-moon lit night...
yawn...
    if only: fortune plango vulnera,
      veris leta facies, omnia sol temperat,
     floret silva, or... or!
   a monk's love song for the queen of england -
were diu werlt alle min:
              were diu werlt alle min
              von dem mere unze an den Rin,
              des wolt ih mih darben
              daz diu chunegin von Engellant
               lege an minen armen.

but no... it's o fortuna or nothing from that album
on the radio...
    i get it, great song...
   but why is auld lang syne only sung once
a year, on new year's eve?!
              
as with women, so with music, one simply tires of
contemporary examples: not exactly the music
but the lyrics behind the music...
                        music will never change to appease
the brute and the beast... but modern lyricism
is just agitating... it exhaust with its choice
of subject matters...
                                and by the looks of it...
    i spend too much time with music to find myself
in needing the comfort of a woman's voice,
a cuddle or relationship or whatever you want
to call it from now on...
           i am wedded to three women that will
never materialize: Euterpe, Sophia and Amber...
and all the better...
                                i could never wallow in what's
currently being wallowed in...
by some who have these recurrent dreams
and are unable to stop them from recurring...
hence my suspicion with the anglo-saxon traits
of vivid dreaming: this cruch of relying on dreams...
of so easily being ***** by celesto-cerebral powers
that impregnate their sleeping heads with
these realities that only exist in the mind and
a sleeping mind at that!


(nb. not proof read, apologies in advance for any mistakes, upon rereading will correct if any appear - or i'll just keep them...)

look at these two slogans: let's make America great (again)!
complimenting the English variation
let's get our country back! ring any bells? i guess you must
have heard one or the other as an English speaker -
it's hardly surprising - the English Prime Minister singing
a little toodeloo then uttering the word right upon
reentering number 10 - shambles ahoy! every rat and
mutineer bailed - we're in free-fall, Trotsky had it coming,
this guy hasn't - hardliner but a bubble-gum tongue -
it stretches like a joke my English teacher said:
how was copper wire invented? hmm? two Scots
tugging and pulling in opposite directions a two pence coin -
for all their worth, they joked the blond quiff of
both Boris and President Donald Yeltsin - where one
gets drunk on egoism, the other just gets drunk -
even though they don't like him in Scotland, they sure as
hell bought the slogan like a Big Mac - the problem is
there's a zenith, and then a necessary decline -
you can reach the zenith of breaking the 100m sprint,
but then a stock-market dip (necessary) -
much of Britain's exit from the European Union was due
to the campaign trail of the Doodle T - the best politician
i assume is the one that enjoys the most prodding jokes,
which also means the majority of votes,
jokes and votes walk hand-in-hand - people don't want
leaders, they want caricatures - after all, the little existences
have to matter with a joke in the Oval office.
i can't imagine the unholy alliance of feminists running
the place in the west - Theresa May in England,
Hilary Clinton in America, Angela Merkel in Germany,
Ms. Le Pen in France, the Polish prime minister
Beata Szydło - it has to look like a 2nd Cold War scenario,
a break from World Wars... Putin and pukka Tyson Trump
on the other side, macho v. macho - man talk and
the ultimate bromance. i know that Nietzsche referenced
genius too much, assuredly i hear that a lot too around
here with child geniuses storming around for silverware -
children geniuses and not original? so technically you're
talking about data storage in porridge - trained monkeys,
right? those children will be scarred for life as if they
saw their parents ******* - what sort of genius is a genius
if he doesn't work from blank but is there are a memory
gimmick to boost hopes of curing dementia?
philosophy doesn't do geniuses, it does things like Spinoza,
solitary wanderers, loners - outsiders and mesmerisers,
there's no genius in philosophy - there's only solitude -
granted that an open-minded psychiatrist is a modern subplot
in not reading philosophy - where is the ultimate source
of compassionate solely theory based (anti) psychiatry?
in reading philosophy books rather than exercising authority /
abusing it - R. D. Laing is a perfect example -
who wrote after reading philosophy books - i mean read them,
in the English speaking world i recommend reading
the works of the anti-psychiatric movement of the 1960s,
which was much bigger than the Beat Movement - obviously
not as dazzling, but with poetry you're imitating Philippe Petit
(film, the walk) - i watched it and my legs experienced
needles, and a firm assertion of gravity and the location
of the floor - films like that are worse than horror -
you share the heart of the original, but given it's Plato's cave
we're talking about representing the events, you realise
that no matter how much you want your shadow to be
Philippe Petit, you hear from the outside world, your legs
are firmly on the ground - basically: **** that - men are not
born equal, they have to live by principle to be at least moderating
their excellence into a respectable cohesion (democracy) -
quiet simply juggling their strengths with their weaknesses -
man is not born equal, he was to strive for equal measure -
when subduing their strengths and when exfoliating them -
no man is born equal, as no man is an island - the two synchronise.
(i'm deliberately masking what's coming)...
but there is genius in philosophy - but only in one area of
interest - religion... we know that popular beliefs are
grounded in plagiarism - the Trojans became the Romans
via the accounts of Virgil, and we know the Trojans in
becoming Romans plagiarised the Greek polytheism -
Zeus became Jupiter, Poseidon became Neptune,
Cronos became Saturn, Hera became Juno, Aphrodite
became Venus... etc., it was done to mimic the Greek heart
from the defeat at Troy, to invoke a heart that overcame -
every pauper and every king would identify with
this pluralism - but a second plagiarism had to come -
it was prophetically echoed from approximately 2000 years -
the Greeks later plagiarised the Hebrew concept -
the monotheistic concept, yet because their thinking
was so advanced (or so they thought) they dismissed the
sects of the Pharisees, the Sadducees, the Essenes and
the Zealots... their hero was their antagonist - and nothing
of their learning was actually work their concerns since
they boasted of their Aristotle and their Plato and their
Socrates - the peddle-stool effect appeared -
but what if a Latin man (well, these letters are Roman) were
to say - never mind the son, how about the father?
in Christianity the father is rather anonymous in his
omnipresence etc. - but let's assume on the biological tenet
that we are referring to the old testament god -
would we want to plagiarise the Greek plagiarism of
Hebrew? i already mentioned the four prime canons as
imitations of the tetragrammaton - of course they're
intended to not be identical accounts, but there must be
two that are mirror images - i.e. referring to h      &      h
of the tetragrammaton - if there are no two mirror images
then we are bothered - i can see why the Greek mind thought
that Y refers to a convergence, a mother, a father, a child
and the entry point to the gospel: a genealogy -
Y being representative of a convergence - past and present,
following through - this is all about first impressions,
from what i can remember and regurgitate back -
in Catholic school we were taught by majority the gospel
of St. Mark - the others were discredited -
i can't tell you if there are two identical gospels (or at least
with very little variation between them) - what comes after
them is what comes after all essences of religion,
bureaucracy - imams and priests, yoga teachers and
whatever it is that comes with religion for the common man,
but in the new testament this is the essence, a shady
reinterpretation of the tetragrammaton - but a Latin man
who didn't bother to attribute symbols with nouns,
but made his alphabet musically orientated for the
castrato and the choirs to come - a (alpha) b (beta)...
o (omicron / omega) it became obvious that the four letters
arranged as so with missing Adam and missing Eve
would provide more than just four interpretations of
the same event / person - for when a Greek has to cut off
-lpha from a to attach it to another letter to create meta,
the Latin man has only to cut off less, perhaps dentistry's
ah, or otherwise cut off -ee from b... the world is full
of such possibilities, and this is the only area where
genius can be applied to philosophy - the genius of
philosophy is within religion, and nowhere else -
of course mind that i don't identify myself as one -
i treat genius as an angel or a demon, that fairy-tale
race of creatures that whisper into your ear - markedly
geniuses are more powerful in demanding an individual
rather than clones of the individual, e.g. Mohammad
and Muslims, Jesus and Christians... which is why i suppose
the genius of Moses also allowed others to write on sacred
paper, but of course excluding Malachi for falling into
heresy with a polytheistic concept of reincarnation, not
oddly enough Malachi's was the last book before the two
major strands of his heresy emerged like Behemoths.
Robert C Howard Sep 2013
Stillness preceded the sonic storm.
Then the baton plummeted,
To summon low “D’s” from orchestral depths
And a hundred voices roared, “O Fortuna!”

The throbbing ritual had begun!
Rhythms drove and lurched
Through songs of Springtime, alcohol and lust.

Brasses flared.
Muted strings cast veils over the hall.
The chorus hummed and shouted
And tender solos wafted
Over graceful flute arabesques.

The thin white stick carved the air into segments
And by some mystical synchronicity
Instruments and voices reveled together -
Medieval Latin decked out in modern attire.

A baritone sang from a tavern
With electrifying irresponsibility.
The counter-tenor mournfully chanted
The complaint of an entrée roasting on a spit.

The love of my life skied her voice
To a high “D” then descended -
And we turned Fortune’s wheel back full circle
Rounding out this earth song beyond all comparing.

“O Fortuna!”
O Fortuna, indeed!

*July, 2006
Donall Dempsey Aug 2021
O FORTUNA!
("You Will Become Yourself")

She's three.
A distinct reek of Old Spice!

"And who's been splashing on
my aftershave!"

I growl in my best
Daddy Bear voice.

"Me...me!"
she answers in her best George Washington.

"Mummy's perfume
smells yucky sweet!"

She a good judge of smell
this little girl.

What is...what isn't nice
sides with the Old Spice.

"So. Are we right then?"
I ask.

We go for a walk.
The cat on the leash.

Because.
We haven't got a dog.

And so we head off.
Dad, cat and little girl.

The cat none too pleased
at "What's that meow smell!"

Old Spice
not for cats.

Only for
Dads and daughters.

*

Old Spice is the smell of my Dad...it is forever him.... deeply ingrained in the olfactory memory of many generations...the essence of childhood thus becoming an archetypal perfume that stands for all things that he meant...safety, warmth, and security.
It was what I always gave him as a birthday and Christmas present....saving up all my pennies to be able to do so and foregoing chocolate and sweeties all during the year. My mum on the other hand
was always the equally iconic 4711. I still have both in my bathroom even now...how Proust like!
So it was odd to pass it on to...my daughter.
Her mum said it always reminded her of a Mexican drink called Horchata de arroz which is flavoured with the Aztec Marigold. and made her feel drunk even if she hadn't imbibed.
Darling daughter said it smelt of mummy's potpourri on the coffee table.
Oh and of... Daddy.
Old Spice was founded in New York by William Lightfoot Schultz in 1934. He was a soap and toiletries maker, and his first fragrance was, ironically, a woman’s scent: Early American Old Spice.
It is said that Shultz was inspired by his mother’s rose jar when creating this early version of Old Spice. A rose jar usually held a moist potpourri of rose petals, spices and herbs in a base of salt to preserve them. Those notes can still be detected in Old Spice’s products to this day. This perfume was released in 1938 to great acclaim, and he followed it with some men’s products in time for Christmas sales at the end of the year.
Although the original scent of classic Old Spice has most likely changed with time and reformulation (as a number of fragrances do), it still retains its primary scent profile, and it could be argued that it represents its own classification. Unlike many other men’s scents that fall easily into labels like fougère, leather or musk, Old Spice brought carnation, pimento, nutmeg and cinnamon to the forefront, omitting some of the classic men’s notes of pine, vetiver and lavender. This iconic mixture summoned up images of seafaring explorers and adventure, but the image and reality were often the same: Old Spice found its way wherever American G.I.’s were stationed during and after the war, and this helped to influence its proliferation around the globe.

As James the first of Aragon was supposed to have said in his best Valencian: "Açò és or, xata!" ("That's gold, pretty girl!")
Piramidal, funesta de la tierra
nacida sombra, al cielo encaminaba
de vanos obeliscos ***** altiva,
escalar pretendiendo las estrellas;
si bien sus luces bellas
esemptas siempre, siempre rutilantes,
la tenebrosa guerra
que con negros vapores le intimaba
la vaporosa sombra fugitiva
burlaban tan distantes,
que su atezado ceño
al superior convexo aún no llegaba
del orbe de la diosa
que tres veces hermosa
con tres hermosos rostros ser ostenta;
quedando sólo dueño
del aire que empañaba
con el aliento denso que exhalaba.
Y en la quietud contenta
de impero silencioso,
sumisas sólo voces consentía
de las nocturnas aves
tan oscuras tan graves,
que aún el silencio no se interrumpía.
Con tardo vuelo, y canto, de él oído
mal, y aún peor del ánimo admitido,
la avergonzada Nictímene acecha
de las sagradas puertas los resquicios
o de las claraboyas eminentes
los huecos más propicios,
que capaz a su intento le abren la brecha,
y sacrílega llega a los lucientes
faroles sacros de perenne llama,
que extingue, sino inflama
en licor claro la materia crasa
consumiendo; que el árbol de Minerva
de su fruto, de prensas agravado,
congojoso sudó y rindió forzado.
Y aquellas que su casa
campo vieron volver, sus telas yerba,
a la deidad de Baco inobedientes
ya no historias contando diferentes,
en forma si afrentosa transformadas
segunda forman niebla,
ser vistas, aun temiendo en la tiniebla,
aves sin pluma aladas:
aquellas tres oficiosas, digo,
atrevidas hermanas,
que el tremendo castigo
de desnudas les dio pardas membranas
alas, tan mal dispuestas
que escarnio son aun de las más funestas:
éstas con el parlero
ministro de Plutón un tiempo, ahora
supersticioso indicio agorero,
solos la no canora
componían capilla pavorosa,
máximas negras, longas entonando
y pausas, más que voces, esperando
a la torpe mensura perezosa
de mayor proporción tal vez que el viento
con flemático echaba movimiento
de tan tardo compás, tan detenido,
que en medio se quedó tal vez dormido.
Este. pues, triste son intercadente
de la asombrosa turba temerosa,
menos a la atención solicitaba
que al suelo persuadía;
antes si, lentamente,
si su obtusa consonancia espaciosa
al sosiego inducía
y al reposo los miembros convidaba,
el silencio intimando a los vivientes,
uno y otro sellando labio obscuro
con indicante dedo, Harpócrates la noche silenciosa;
a cuyo, aunque no duro, si bien imperioso
precepto, todos fueron obedientes.
El viento sosegado, el can dormido:
éste yace, aquél quedo,
los átomos no mueve
con el susurro hacer temiendo leve,
aunque poco sacrílego ruido,
violador del silencio sosegado.
El mar, no ya alterado,
ni aún la instable mecía
cerúlea cuna donde el sol dormía;
y los dormidos siempre mudos peces,
en los lechos 1amosos
de sus obscuros senos cavernosos,
mudos eran dos veces.
Y entre ellos la engañosa encantadora
Almone, a los que antes
en peces transformó simples amantes,
transformada también vengaba ahora.
En los del monte senos escondidos
cóncavos de peñascos mal formados,
de su esperanza menos defendidos
que de su obscuridad asegurados,
cuya mansión sombría
ser puede noche en la mitad del día,
incógnita aún al cierto
montaraz pie del cazador experto,
depuesta la fiereza
de unos, y de otros el temor depuesto,
yacía el vulgo bruto,
a la naturaleza
el de su potestad vagando impuesto,
universal tributo.
Y el rey -que vigilancias afectaba-
aun con abiertos ojos no velaba.
El de sus mismos perros acosado,
monarca en otro tiempo esclarecido,
tímido ya venado,
con vigilante oído,
del sosegado ambiente,
al menor perceptible movimiento
que los átomos muda,
la oreja alterna aguda
y el leve rumor siente
que aun le altera dormido.
Y en 1a quietud del nido,
que de brozas y lodo instable hamaca
formó en la más opaca
parte del árbol, duerme recogida
la leve turba, descansando el viento
del que le corta alado movimiento.
De Júpiter el ave generosa
(como el fin reina) por no darse entera
al descanso, que vicio considera
si de preciso pasa, cuidadosa
de no incurrir de omisa en el exceso,
a un sólo pie librada fía el peso
y en otro guarda el cálculo pequeño,
despertador reloj del leve sueño,
porque si necesario fue admitido
no pueda dilatarse continuado,
antes interrumpido
del regio sea pastoral cuidado.
¡Oh de la majestad pensión gravosa,
que aun el menor descuido no perdona!
Causa quizá que ha hecho misteriosa,
circular denotando la corona
en círculo dorado,
que el afán es no menos continuado.
El sueño todo, en fin, lo poseía:
todo. en fin, el silencio lo ocupaba.
Aun el ladrón dormía:
aun el amante no se desvelaba:
el conticinio casi ya pasando
iba y la sombra dimidiaba, cuando
de las diurnas tareas fatigados
y no sólo oprimidos
del afán ponderosos
del corporal trabajo, más cansados
del deleite también; que también cansa
objeto continuado a 1os sentidos
aún siendo deleitoso;
que la naturaleza siempre alterna
ya una, ya otra balanza,
distribuyendo varios ejercicios,
ya al ocio, ya al trabajo destinados,
en el fiel infiel con que gobierna
la aparatosa máquina del mundo.
Así pues, del profundo
sueño dulce los miembros ocupados,
quedaron los sentidos
del que ejercicio tiene ordinario
trabajo, en fin, pero trabajo amado
-si hay amable trabajo-
si privados no, al menos suspendidos.
Y cediendo al retrato del contrario
de la vida que lentamente armado
cobarde embiste y vence perezoso
con armas soñolientas,
desde el cayado humilde al cetro altivo
sin que haya distintivo
que el sayal de la púrpura discierna;
pues su nivel, en todo poderoso,
gradúa por esemptas
a ningunas personas,
desde la de a quien tres forman coronas
soberana tiara
hasta la que pajiza vive choza;
desde la que el Danubio undoso dora,
a la que junco humilde, humilde mora;
y con siempre igual vara
(como, en efecto, imagen poderosa
de la muerte) Morfeo
el sayal mide igual con el brocado.
El alma, pues, suspensa
del exterior gobierno en que ocupada
en material empleo,
o bien o mal da el día por gastado,
solamente dispensa,
remota, si del todo separada
no, a los de muerte temporal opresos,
lánguidos miembros, sosegados huesos,
los gajes del calor vegetativo,
el cuerpo siendo, en sosegada calma,
un cadáver con alma,
muerto a la vida y a la muerte vivo,
de lo segundo dando tardas señas
el de reloj humano
vital volante que, sino con mano,
con arterial concierto, unas pequeñas
muestras, pulsando, manifiesta lento
de su bien regulado movimiento.
Este, pues, miembro rey y centro vivo
de espíritus vitales,
con su asociado respirante fuelle
pulmón, que imán del viento es atractivo,
que en movimientos nunca desiguales
o comprimiendo yo o ya dilatando
el musculoso, claro, arcaduz blando,
hace que en él resuelle
el que le circunscribe fresco ambiente
que impele ya caliente
y él venga su expulsión haciendo activo
pequeños robos al calor nativo,
algún tiempo llorados,
nunca recuperados,
si ahora no sentidos de su dueño,
que repetido no hay robo pequeño.
Estos, pues, de mayor, como ya digo,
excepción, uno y otro fiel testigo,
la vida aseguraban,
mientras con mudas voces impugnaban
la información, callados los sentidos
con no replicar sólo defendidos;
y la lengua, torpe, enmudecía,
con no poder hablar los desmentía;
y aquella del calor más competente
científica oficina
próvida de los miembros despensera,
que avara nunca v siempre diligente,
ni a la parte prefiere más vecina
ni olvida a la remota,
y, en ajustado natural cuadrante,
las cuantidades nota
que a cada cual tocarle considera,
del que alambicó quilo el incesante
calor en el manjar que medianero
piadoso entre él y el húmedo interpuso
su inocente substancia,
pagando por entero
la que ya piedad sea o ya arrogancia,
al contrario voraz necio la expuso
merecido castigo, aunque se excuse
al que en pendencia ajena se introduce.
Esta, pues, si no fragua de Vulcano,
templada hoguera del calor humano,
al cerebro enviaba
húmedos, mas tan claros los vapores
de los atemperados cuatro humores,
que con ellos no sólo empañaba
los simulacros que la estimativa
dio a la imaginativa,
y aquesta por custodia más segura
en forma ya más pura
entregó a la memoria que, oficiosa,
gravó tenaz y guarda cuidadosa
sino que daban a la fantasía
lugar de que formase
imágenes diversas y del modo
que en tersa superficie, que de faro
cristalino portento, asilo raro
fue en distancia longísima se veían,
(sin que ésta le estorbase)
del reino casi de Neptuno todo,
las que distantes le surcaban naves.
Viéndose claramente,
en su azogada luna,
el número, el tamaño y la fortuna
que en la instable campaña transparente
arriesgadas tenían,
mientras aguas y vientos dividían
sus velas leves y sus quillas graves,
así ella, sosegada, iba copiando
las imágenes todas de las cosas
y el pincel invisible iba formando
de mentales, sin luz, siempre vistosas
colores. las figuras,
no sólo ya de todas las criaturas
sublunares, mas aun también de aquellas
que intelectuales claras son estrellas
y en el modo posible
que concebirse puede lo invisible,
en sí mañosa las representaba
y al alma las mostraba.
La cual, en tanto, toda convertida
a su inmaterial ser y esencia bella,
aquella contemplaba,
participada de alto ser centella,
que con similitud en sí gozaba.
I juzgándose casi dividida
de aquella que impedida
siempre la tiene, corporal cadena
que grosera embaraza y torpe impide
el vuelo intelectual con que ya mide
la cuantidad inmensa de la esfera,
ya el curso considera
regular con que giran desiguales
los cuerpos celestiales;
culpa si grave, merecida pena,
torcedor del sosiego riguroso
de estudio vanamente juicioso;
puesta a su parecer, en la eminente
cumbre de un monte a quien el mismo Atlante
que preside gigante
a los demás, enano obedecía,
y Olimpo, cuya sosegada frente,
nunca de aura agitada
consintió ser violada,
aun falda suya ser no merecía,
pues las nubes que opaca son corona
de la más elevada corpulencia
del volcán más soberbio que en la tierra
gigante erguido intima al cielo guerra,
apenas densa zona
de su altiva eminencia
o a su vasta cintura
cíngulo tosco son, que mal ceñido
o el viento lo desata sacudido
o vecino el calor del sol, lo apura
a la región primera de su altura,
ínfima parte, digo, dividiendo
en tres su continuado cuerpo horrendo,
el rápido no pudo, el veloz vuelo
del águila -que puntas hace al cielo
y el sol bebe los rayos pretendiendo
entre sus luces colocar su nido-
llegar; bien que esforzando
mas que nunca el impulso, ya batiendo
las dos plumadas velas, ya peinando
con las garras el aire, ha pretendido
tejiendo de los átomos escalas
que su inmunidad rompan sus dos alas.
Las pirámides dos -ostentaciones
de Menfis vano y de la arquitectura
último esmero- si ya no pendones
fijos, no tremolantes, cuya altura
coronada de bárbaros trofeos,
tumba y bandera fue a los Ptolomeos,
que al viento, que a las nubes publicaba,
si ya también el cielo no decía
de su grande su siempre vencedora
ciudad -ya Cairo ahora-
las que, porque a su copia enmudecía
la fama no contaba
gitanas glorias, menéficas proezas,
aun en el viento, aun en el cielo impresas.
Estas que en nivelada simetría
su estatura crecía
con tal disminución, con arte tanto,
que cuánto más al cielo caminaba
a la vista que lince la miraba,
entre los vientos se desaparecía
sin permitir mirar la sutil *****
que al primer orbe finge que se junta
hasta que fatigada del espanto,
no descendida sino despeñada
se hallaba al pie de la espaciosa basa.
Tarde o mal recobrada
del desvanecimiento,
que pena fue no escasa
del visual alado atrevimiento,
cuyos cuerpos opacos
no al sol opuestos, antes avenidos
con sus luces, si no confederados
con él, como en efecto confiantes,
tan del todo bañados
de un resplandor eran, que lucidos,
nunca de calurosos caminantes
al fatigado aliento, a los pies flacos
ofrecieron alfombra,
aun de pequeña, aun de señal de sombra.
Estas que glorias ya sean de gitanas
o elaciones profanas,
bárbaros hieroglíficos de ciego
error, según el griego,
ciego también dulcísimo poeta,
si ya por las que escribe
aquileyas proezas
o marciales, de Ulises, sutilezas,
la unión no le recibe
de los historiadores o le acepta
cuando entre su catálogo le cuente,
que gloría más que número le aumente,
de cuya dulce serie numerosa
fuera más fácil cosa
al temido Jonante
el rayo fulminante
quitar o la pescada
a Alcídes clava herrada,
que un hemistiquio solo
-de los que le: dictó propicio Apolo-
según de Homero digo, la sentencia.
Las pirámides fueron materiales
tipos solos, señales exteriores
de las que dimensiones interiores
especies son del alma intencionales
que como sube en piramidal *****
al cielo la ambiciosa llama ardiente,
así la humana mente
su figura trasunta
y a la causa primera siempre aspira,
céntrico punto donde recta tira
la línea, si ya no circunferencia
que contiene infinita toda esencia.
Estos pues, montes dos artificiales,
bien maravillas, bien milagros sean,
y aun aquella blasfema altiva torre,
de quien hoy dolorosas son señales
no en piedras, sino en lenguas desiguales
porque voraz el tiempo no ]as borre,
los idiomas diversos que escasean
el sociable trato de las gentes
haciendo que parezcan diferentes
los que unos hizo la naturaleza,
de la lengua por solo la extrañeza; .
si fueran comparados
a la mental pirámide elevada,
donde, sin saber como colocada
el alma se miró, tan atrasados
se hallaran que cualquiera
graduara su cima por esfera,
pues su ambicioso anhelo,
haciendo cumbre de su propio vuelo,
en lo más eminente
la encumbró parte de su propia mente,
de sí tan remontada que creía
que a otra nueva región de sí salía.
En cuya casi elevación inmensa,
gozosa, mas suspensa,
suspensa, pero ufana
y atónita, aunque ufana la suprema
de lo sublunar reina soberana,
la vista perspicaz libre de antojos
de sus intelectuales y bellos ojos,
sin que distancia tema
ni de obstáculo opaco se recele,
de que interpuesto algún objeto cele,
libre tendió por todo lo criado,
cuyo inmenso agregado
cúmulo incomprehensible
aunque a la vista quiso manifiesto
dar señas de posible,
a la comprehensión no, que entorpecida
con la sobra de objetos y excedida
de la grandeza de ellos su potencia,
retrocedió cobarde,
tanto no del osado presupuesto
revocó la intención arrepentida,
la vista que intentó descomedida
en vano hacer alarde
contra objeto que excede en excelencia
las líneas visuales,
contra el sol, digo, cuerpo luminoso,
cuyos rayos castigo son fogoso,
de fuerzas desiguales
despreciando, castigan rayo a rayo
el confiado antes atrevido
y ya llorado ensayo,
necia experiencia que costosa tanto
fue que Icaro ya su propio llanto
lo anegó enternecido
como el entendimiento aquí vencido,
no menos de la inmensa muchedumbre
de tanta maquinosa pesadumbre
de diversas especies conglobado
esférico compuesto,
que de las cualidades
de cada cual cedió tan asombrado
que, entre la copia puesto,
pobre con ella en las neutralidades
de un mar de asombros, la elección confusa
equívoco las ondas zozobraba.
Y por mirarlo todo; nada veía,
ni discernir podía,
bota la facultad intelectiva
en tanta, tan difusa
incomprensible especie que miraba
desde el un eje en que librada estriba
la máquina voluble de la esfera,
el contrapuesto polo,
las partes ya no sólo,
que al universo todo considera
serle perfeccionantes
a su ornato no más pertenecientes;
mas ni aun las que ignorantes;
miembros son de su cuerpo dilatado,
proporcionadamente competentes.
Mas como al que ha usurpado
diuturna obscuridad de los objetos
visibles los colores
si súbitos le asaltan resplandores,
con la sombra de luz queda más ciego:
que el exceso contrarios hace efectos
en la torpe potencia, que la lumbre
del sol admitir luego
no puede por la falta de costumbre;
y a la tiniebla misma que antes era
tenebroso a la vista impedimento,
de los agravios de la luz apela
y una vez y otra con la mano cela
de los débiles ojos deslumbrados
los rayos vacilantes,
sirviendo va piadosa medianera
la sombra de instrumento
para que recobrados
por grados se habiliten,
porque después constantes
su operación más firme ejerciten.
Recurso natural, innata ciencia
que confirmada ya de la experiencia,
maestro quizá mudo,
retórico ejemplar inducir pudo
a uno y otro galeno
para que del mortífero veneno,
en bien proporcionadas cantidades,
escrupulosamente regulando
las ocultas nocivas cualidades,
ya por sobrado exceso
de cálidas o frías,
o ya por ignoradas simpatías
o antipatías con que van obrando
las causas naturales su progreso,
a la admiración dando, suspendida,
efecto cierto en causa no sabida,
con prolijo desvelo y remirada,
empírica
witchy woman Jan 2014
I am but a single
dry dead leaf
laying beneath an endless willow tree
around the waters bend
close to the toadstool pow-wows
only inhabited by the faeries.

& the moon- she still shine,
captured but by a sphere, yet so free
her light may breathe
a chilling, frigid touch
between the memories you
have buried so deep.

So please do not fret your wondrous mind
over all of your insecurities,
though she may shine with a chilling reminder
I promise that in your eyes
a beautiful soul
is all she sees.

As my mind races I feel
I am unable to describe
the exact emotion you
have gently
injected into my mind.
My eyelids grow heavy
my minds afloat to space
all that is left in my world as I know it,
is the perfection on your face

      You see darling,
      I am a hija de la luna;
      the stars will align with
      Castor & Pollux
      Cancer, Aphrodite, & Fortuna.
      They greet me as old friends,
      join me in my nights of fantasy.
      tell me darling what do these strange constellations mean?

Oh how I pity thy cataracts
eyes white & glassy
but I promise the warmth will melt your frozen gaze
& in time, you will see.

       The horizon shifts as I do to you,
      how long do you wish to be at sea?

Alas, you know my poison  
doubt seeps into my skin
like an 80 patch.
Through thick & thin,
even on the sorest of feet
I will skip merrily along your path.

      Round my head I gaze,
      The sky has been stained
      with fuchsia & clementine
      among the blues.
      tell me again, how may I find your presence within the hues?

Wrap yourself within my blanket
of ease & security.
Trust me with your life or not,
for I want to be
there, when you most
need me

      You cannot help
      you are a broken bird
       I cannot deny my psyche as it worries
      does a dove not care about her nest back home
       when she soars above
       the sea?


Next to the beating arrhythmia
you try hold dear ‘twixt your ribs
my favourite poem of yours has changed
where I will weave a small nest
dream of your lips
& the sound of rain.
¿Por qué volvéis a la memoria mía,
Tristes recuerdos del placer perdido,
A aumentar la ansiedad y la agonía
De este desierto corazón herido?
¡Ay! que de aquellas horas de alegría
Le quedó al corazón sólo un gemido,
Y el llanto que al dolor los ojos niegan
Lágrimas son de hiel que el alma anegan.

¿Dónde volaron ¡ay! aquellas horas
De juventud, de amor y de ventura,
Regaladas de músicas sonoras,
Adornadas de luz y de hermosura?
Imágenes de oro bullidoras.
Sus alas de carmín y nieve pura,
Al sol de mi esperanza desplegando,
Pasaban ¡ay! a mi alredor cantando.

Gorjeaban los dulces ruiseñores,
El sol iluminaba mi alegría,
El aura susurraba entre las flores,
El bosque mansamente respondía,
Las fuentes murmuraban sus amores...
ilusiones que llora el alma mía!
¡Oh, cuán suave resonó en mi oído
El bullicio del mundo y su ruido!

Mi vida entonces, cual guerrera nave
Que el puerto deja por la vez primera,
Y al soplo de los céfiros suave
Orgullosa desplega su bandera,
Y al mar dejando que sus pies alabe
Su triunfo en roncos cantos, va velera,
Una ola tras otra bramadora
Hollando y dividiendo vencedora.

¡Ay! en el mar del mundo, en ansia ardiente
De amor velaba; el sol de la mañana
Llevaba yo sobre mi tersa frente,
Y el alma pura de su dicha ufana:
Dentro de ella el amor, cual rica fuente
Que entre frescuras y arboledas mana,
Brotaba entonces abundante río
De ilusiones y dulce desvarío.

Yo amaba todo: un noble sentimiento
Exaltaba mi ánimo, Y sentía
En mi pecho un secreto movimiento,
De grandes hechos generoso guía:
La libertad, con su inmortal aliento,
Santa diosa, mi espíritu encendía,
Contino imaginando en mi fe pura
Sueños de gloria al mundo y de ventura.

El puñal de Catón, la adusta frente
Del noble Bruto, la constancia fiera
Y el arrojo de Scévola valiente,
La doctrina de Sócrates severa,
La voz atronadora y elocuente
Del orador de Atenas, la bandera
Contra el tirano Macedonio alzando,
Y al espantado pueblo arrebatando:

El valor y la fe del caballero,
Del trovador el arpa y los cantares,
Del gótico castillo el altanero
Antiguo torreón, do sus pesares
Cantó tal vez con eco lastimero,
¡Ay!, arrancada de sus patrios lares,
Joven cautiva, al rayo de la luna,
Lamentando su ausencia y su fortuna:

El dulce anhelo del amor que guarda,
Tal vez inquieto y con mortal recelo;
La forma bella que cruzó gallarda,
Allá en la noche, entre medroso velo;
La ansiada cita que en llegar se tarda
Al impaciente y amoroso anhelo,
La mujer y la voz de su dulzura,
Que inspira al alma celestial ternura:

A un tiempo mismo en rápida tormenta
Mi alma alborotaban de contino,
Cual las olas que azota con violenta
Cólera impetuoso torbellino:
Soñaba al héroe ya, la plebe atenta
En mi voz escuchaba su destino:
Ya al caballero, al trovador soñaba,
Y de gloria y de amores suspiraba.

Hay una voz secreta, un dulce canto,
Que el alma sólo recogida entiende,
Un sentimiento misterioso y santo,
Que del barro al espíritu desprende;
Agreste, vago y solitario encanto
Que en inefable amor el alma enciende,
Volando tras la imagen peregrina
El corazón de su ilusión divina.

Yo, desterrado en extranjera playa,
Con los ojos extático seguía
La nave audaz que en argentado raya
Volaba al puerto de la patria mía:
Yo, cuando en Occidente el sol desmaya,
Solo y perdido en la arboleda umbría,
Oír pensaba el armonioso acento
De una mujer, al suspirar del viento.

¡Una mujer!  En el templado rayo
De la mágica luna se colora,
Del sol poniente al lánguido desmayo
Lejos entre las nubes se evapora;
Sobre las cumbres que florece Mayo
Brilla fugaz al despuntar la aurora,
Cruza tal vez por entre el bosque umbrío,
Juega en las aguas del sereno río.

¡Una mujer!  Deslizase en el cielo
Allá en la noche desprendida estrella,
Si aroma el aire recogió en el suelo,
Es el aroma que le presta ella.
Blanca es la nube que en callado vuelo
Cruza la esfera, y que su planta huella,
Y en la tarde la mar olas le ofrece
De plata y de zafir, donde se mece.

Mujer que amor en su ilusión figura,
Mujer que nada dice a los sentidos,
Ensueño de suavísima ternura,
Eco que regaló nuestros oídos;
De amor la llama generosa y pura,
Los goces dulces del amor cumplidos,
Que engalana la rica fantasía,
Goces que avaro el corazón ansía:

¡Ay! aquella mujer, tan sólo aquélla,
Tanto delirio a realizar alcanza,
Y esa mujer tan cándida y tan bella
Es mentida ilusión de la esperanza:
Es el alma que vívida destella
Su luz al mundo cuando en él se lanza,
Y el mundo, con su magia y galanura
Es espejo no más de su hermosura:

Es el amor que al mismo amor adora,
El que creó las Sílfides y Ondinas,
La sacra ninfa que bordando mora
Debajo de las aguas cristalinas:
Es el amor que recordando llora
Las arboledas del Edén divinas:
Amor de allí arrancado, allí nacido,
Que busca en vano aquí su bien perdido.

¡Oh llama santa! ¡celestial anhelo!
¡Sentimiento purísimo! ¡memoria
Acaso triste de un perdido cielo,
Quizá esperanza de futura gloria!
¡Huyes y dejas llanto y desconsuelo!
¡Oh qué mujer! ¡qué imagen ilusoria
Tan pura, tan feliz, tan placentera,
Brindó el amor a mi ilusión primera!...

¡Oh Teresa! ¡Oh dolor! Lágrimas mías,
¡Ah! ¿dónde estáis que no corréis a mares?
¿Por qué, por qué como en mejores días,
No consoláis vosotras mis pesares?
¡Oh! los que no sabéis las agonías
De un corazón que penas a millares
¡Ay! desgarraron y que ya no llora,
¡Piedad tened de mi tormento ahora!

¡Oh dichosos mil veces, sí, dichosos
Los que podéis llorar! y ¡ay! sin ventura
De mí, que entre suspiros angustiosos
Ahogar me siento en infernal tortura.
¡Retuércese entre nudos dolorosos
Mi corazón, gimiendo de amargura!
También tu corazón, hecho pavesa,
¡Ay! llegó a no llorar, ¡pobre Teresa!

¿Quién pensara jamás, Teresa mía,
Que fuera eterno manantial de llanto,
Tanto inocente amor, tanta alegría,
Tantas delicias y delirio tanto?
¿Quién pensara jamás llegase un día
En que perdido el celestial encanto
Y caída la venda de los ojos,
Cuanto diera placer causara enojos?

Aun parece, Teresa, que te veo
Aérea como dorada mariposa,
Ensueño delicioso del deseo,
Sobre tallo gentil temprana rosa,
Del amor venturoso devaneo,
Angélica, purísima y dichosa,
Y oigo tu voz dulcísima y respiro
Tu aliento perfumado en tu suspiro.

Y aún miro aquellos ojos que robaron
A los cielos su azul, y las rosadas
Tintas sobre la nieve, que envidiaron
Las de Mayo serenas alboradas:
Y aquellas horas dulces que pasaron
Tan breves, ¡ay! como después lloradas,
Horas de confianza y de delicias,
De abandono y de amor y de caricias.

Que así las horas rápidas pasaban,
Y pasaba a la par nuestra ventura;
Y nunca nuestras ansias la contaban,
Tú embriagada en mi amor, yo en tu hermosura.
Las horas ¡ay! huyendo nos miraban
Llanto tal vez vertiendo de ternura;
Que nuestro amor y juventud veían,
Y temblaban las horas que vendrían.

Y llegaron en fin: ¡oh! ¿quién impío
¡Ay! agostó la flor de tu pureza?
Tú fuiste un tiempo cristalino río,
Manantial de purísima limpieza;
Después torrente de color sombrío
Rompiendo entre peñascos y maleza,
Y estanque, en fin, de aguas corrompidas,
Entre fétido fango detenidas.

¿Cómo caiste despeñado al suelo,
Astro de la mañana luminoso?
Ángel de luz, ¿quién te arrojó del cielo
A este valle de lágrimas odioso?
Aún cercaba tu frente el blanco velo
Del serafín, y en ondas fulguroso
Rayos al mando tu esplendor vertía,
Y otro cielo el amor te prometía.

Mas ¡ay! que es la mujer ángel caído,
O mujer nada más y lodo inmundo,
Hermoso ser para llorar nacido,
O vivir como autómata en el mundo.
Sí, que el demonio en el Edén perdido,
Abrasara con fuego del profundo
La primera mujer, y ¡ay! aquel fuego
La herencia ha sido de sus hijos luego.

Brota en el cielo del amor la fuente,
Que a fecundar el universo mana,
Y en la tierra su límpida corriente
Sus márgenes con flores engalana.
Mas ¡ay! huid: el corazón ardiente
Que el agua clara por beber se afana,
Lágrimas verterá de duelo eterno,
Que su raudal lo envenenó el infierno.

Huid, si no queréis que llegue un día
En que enredado en retorcidos lazos
El corazón con bárbara porfía
Luchéis por arrancároslo a pedazos:
En que al cielo en histérica agonía
Frenéticos alcéis entrambos brazos,
Para en vuestra impotencia maldecirle,
Y escupiros, tal vez, al escupirle.

Los años ¡ay! de la ilusión pasaron,
Las dulces esperanzas que trajeron
Con sus blancos ensueños se llevaron,
Y el porvenir de oscuridad vistieron:
Las rosas del amor se marchitaron,
Las flores en abrojos convirtieron,
Y de afán tanto y tan soñada gloria
Sólo quedó una tumba, una memoria.

¡Pobre Teresa! ¡Al recordarte siento
Un pesar tan intenso!  Embarga impío
Mi quebrantada voz mi sentimiento,
Y suspira tu nombre el labio mío.
Para allí su carrera el pensamiento,
Hiela mi corazón punzante frío,
Ante mis ojos la funesta losa,
Donde vil polvo tu bondad reposa.

Y tú, feliz, que hallastes en la muerte
Sombra a que descansar en tu camino,
Cuando llegabas, mísera, a perderte
Y era llorar tu único destino:
¡Cuando en tu frente la implacable suerte
Grababa de los réprobos el sino!
Feliz, la muerte te arrancó del suelo,
Y otra vez ángel, te volviste al cielo.

Roída de recuerdos de amargura,
Árido el corazón, sin ilusiones,
La delicada flor de tu hermosura
Ajaron del dolor los aquilones:
Sola, y envilecida, y sin ventura,
Tu corazón secaron las pasiones:
Tus hijos ¡ay! de ti se avergonzaran
Y hasta el nombre de madre te negaran.

Los ojos escaldados de tu llanto,
Tu rostro cadavérico y hundido;
único desahogo en tu quebranto,
El histérico ¡ay! de tu gemido:
¿Quién, quién pudiera en infortunio tanto
Envolver tu desdicha en el olvido,
Disipar tu dolor y recogerte
En su seno de paz? ¡Sólo la muerte!

¡Y tan joven, y ya tan desgraciada!
Espíritu indomable, alma violenta,
En ti, mezquina sociedad, lanzada
A romper tus barreras turbulenta.
Nave contra las rocas quebrantada,
Allá vaga, a merced de la tormenta,
En las olas tal vez náufraga tabla,
Que sólo ya de sus grandezas habla.

Un recuerdo de amor que nunca muere
Y está en mi corazón: un lastimero
Tierno quejido que en el alma hiere,
Eco suave de su amor primero:
¡Ay de tu luz, en tanto yo viviere,
Quedará un rayo en mí, blanco lucero,
Que iluminaste con tu luz querida
La dorada mañana de mi vida!

Que yo, como una flor que en la mañana
Abre su cáliz al naciente día,
¡Ay, al amor abrí tu alma temprana,
Y exalté tu inocente fantasía,
Yo inocente también ¡oh!, cuán ufana
Al porvenir mi mente sonreía,
Y en alas de mi amor, ¡con cuánto anhelo
Pensé contigo remontarme al cielo!

Y alegre, audaz, ansioso, enamorado,
En tus brazos en lánguido abandono,
De glorias y deleites rodeado
Levantar para ti soñé yo un trono:
Y allí, tú venturosa y yo a tu lado.
Vencer del mundo el implacable encono,
Y en un tiempo, sin horas ni medida,
Ver como un sueño resbalar la vida.

¡Pobre Teresa!  Cuando ya tus ojos
Áridos ni una lágrima brotaban;
Cuando ya su color tus labios rojos
En cárdenos matices se cambiaban;
Cuando de tu dolor tristes despojos
La vida y su ilusión te abandonaban,
Y consumía lenta calentura,
Tu corazón al par de tu amargura;

Si en tu penosa y última agonía
Volviste a lo pasado el pensamiento;
Si comparaste a tu existencia un día
Tu triste soledad y tu aislamiento;
Si arrojó a tu dolor tu fantasía
Tus hijos ¡ay! en tu postrer momento
A otra mujer tal vez acariciando,
Madre tal vez a otra mujer llamando;

Si el cuadro de tus breves glorias viste
Pasar como fantástica quimera,
Y si la voz de tu conciencia oíste
Dentro de ti gritándole severa;
Si, en fin, entonces tú llorar quisiste
Y no brotó una lágrima siquiera
Tu seco corazón, y a Dios llamaste,
Y no te escuchó Dios, y blasfemaste;

¡Oh! ¡cruel! ¡muy cruel! ¡martirio horrendo!
¡Espantosa expiación de tu pecado,
Sobre un lecho de espinas, maldiciendo,
Morir, el corazón desesperado!
Tus mismas manos de dolor mordiendo,
Presente a tu conciencia lo pasado,
Buscando en vano, con los ojos fijos,
Y extendiendo tus brazos a tus hijos.

¡Oh! ¡cruel! ¡muy cruel!... ¡Ay! yo entretanto
Dentro del pecho mi dolor oculto,
Enjugo de mis párpados el llanto
Y doy al mundo el exigido culto;
Yo escondo con vergüenza mi quebranto,
Mi propia pena con mi risa insulto,
Y me divierto en arrancar del pecho
Mi mismo corazón pedazos hecho.

Gocemos, sí; la cristalina esfera
Gira bañada en luz: ¡bella es la vida!
¿Quién a parar alcanza la carrera
Del mundo hermoso que al placer convida?
Brilla radiante el sol, la primavera
Los campos pinta en la estación florida;
Truéquese en risa mi dolor profundo...
Que haya un cadáver más, ¿qué importa al mundo?
JM Feb 2013
I put the boy to bed
and sat reflecting
for a few minutes
about my blessed
offspring.
His face lit up
tonight
when I told him
that he was Grammas's favorite.
He is everybody's favorite.
My gift.

My salvation.

I looked up the story of Abraham
again,
and much like grade school,
I thought
**** That.

I listened to the new Trent Reznor project,
not bad.
I think of my
little brother whenever I see Trent's name.
I took him
to his first concert ever,
Nine Inch Nails.
Kicked ***.
I thought about my ******, ******* little bro.
I'm going to have to beat his ***, just ***.

I fired up a joint
as I put my
massive
music collection
on shuffle.

Genre: Electronic.

Shuffle: Puscifer.

I sifted through Craigslist
and saw an ad
for being a radio dj
for a grassroots
community based
nationwide
station
where you play whatever music you want
as long as it is not top 40 *******.
I could do that.
I could do lots.
Lots more than this, anyway.

Shuffle: Mike and Rich.

Buzzed.

I thought of my mother
and how
neither her nor I
are realizing our full potential creatively.
I called Mom
and we are
going to start going
to poetry readings.
She's gonna read my poems
and I'm gonna read hers.  
It's a start.
We are cool like that.
We laugh lots.

Shuffle: Awolnation.

I'm pretty high by now.
Then I read another article on NPR about mix tapes.
I thought about you.
Again.

Still.

I thought about you
and
the mix tapes we
used to give each other.

Shuffle: Massive attack.

****.

Angel.

I put this song on at least five of your mixes.
Even the cover by Sepultura.

The great nothing sighs deep and cold within me.

I started to write a poem.
This poem.
This poem for you.

They are all for you.

I know when I write I purge,
and you just keep coming,
like a
viscous
black
lie covered
rope
being endlessly pulled
from my gaping broken skull.
Will I ever reach the end of you in me?

Shuffle: Lords of Acid.
  
I rolled another joint.
You used to hate it when I
would pick you up
and have
Show Me Your *****
blasting.
But then again, you didn't like anything I used to listen to.
You didn't like much about me, did you?
Just that one thing.
It's no wonder though, you ******* hipster.

Shuffle: Moby.

Jesus man how many songs does this guy have?
He's like the ******* Bob Ross of geeked out techno.
That must make aphex twin the evil mad genius.

I made it through shuffling without crying
but I can't listen to the mixtapes.
Cd's, really but who's counting?
You would.
You.
I cannot
wait until
you becomes
her
and then
her
becomes a breeze of a memory,
wisping across my cheek
almost indiscernible
and
leaving
only the faintest whispers
of amber and earth.
Soil.
Soil and Ancient root.  
I can't listen to any of the great CD's baby.
My dearest.
My darkest.
My sickness.
My Love.
Beloved.
O, Fortuna, why?

 Shuffle: Dragonette,Take it like a man.

Ha! Well played, shuffle. Good timing.
I will eventually.
Until then
I will continue to pull your oily tendrils from my open throat.
I will continue to try and forgive both of us.
Myself most of all.

I will continue to write.
I will pull you
out of me
and
flog my canvas
with your shadows.

*They are all for you, Dearest.
Más gallarda que el nenúfar
Que sobre las verdes ondas,
Al soplo del manso viento
Se mece al rayar la aurora,
Es una linda doncella
Que tiene por nombre Rosa,
Y a fe que no hay en los campos
Igual a sus gracias otra.
Vive en Pátzcuaro, en la Villa
De hermoso lago señora,
Lago que retrata un cielo
Limpio y azul, donde flotan
Blancas nubes que semejan
Grupos de errantes gaviotas.

Está en la flor de la vida,
No empaña ninguna sombra
Las primeras ilusiones
Con que el amor ia corona
Ama Rosa y es amada
Con un amor que no estorban
Sus padres, porque comprenden
Que ei joven que para esposa
La pretende, nobies prendas
Y honrado nombre atesora.
Cuentan ios que io conocen
Que tal mérito le abona,
Que no hay otro que le iguale
Cien leguas a la redonda.

Y aunque alabanza de amigo
Pueda tacnarse de impropia,
Nadie niega que remando
Tiene ei alma generosa;
Que sus riquezas divide
Con ios que sufren y lloran,
Que es tan bravo, que el peligro
Desdeña y jamas provoca,
Pero io humilla y io vence
Cuando en su camino asoma.

No hay jinete más garboso
Ni más diestro, porque asombra
Cuando de potro rebelde
Los fieros ímpetus doma,
Y es tan amable en su trato,
Tan cumplido en su persona,
Tan generoso en sus hechos
Y tan resuelto en sus obras,
Que la envidia no se atreve
Con su lengua ponzoñosa
A manchar su justa fama
Cuando cualquiera lo nombra.

Ya se prepara la fiesta,
Cercanas están las bodas.
Los padres cuentan los días,
Los prometidos las horas;
Los amigos se disponen
Para obsequiar a la novia
Dando brillo con sus galas
A la nupcial ceremonia.
Y aunque es tiesta de familia
Por suya el pueblo la toma.
Y en llevarla bien al cabo
Se empeña la Villa toda.
¡Con qué profunda tristeza
Vive Rosa en su retiro!
Está pálida su frente
Y están sus ojos sin brillo;
De la noche a la mañana
Corre de su llanto el hilo,
Sus padres sufren con ella
Y están tristes y abatidos.

No le da el sueño descanso
Ni el sol le procura alivio,
Que son la luz y las sombras
Para el que sufre lo mismo.
Está muy lejos Fernando,
Muy lejos y en gran peligro
Por que al llegar de la boda
El instante apetecido,
Invadió como un torrente
La ciudad el enemigo.

El pabellón del imperio
Halla en Patzcuaro un asilo,
Los franceses se apoderan
Del sosegado recinto,
Su ley imponen a todos,
Subyugan al pueblo altivo,
Y Fernando en su caballo,
De pocos hombres seguido,
Sale a buscar la bandera
Que veneró desde niño,
Y que agita en las montañas
El viento del patriotismo.

Ni el amor ni la esperanza
Le cerraron el camino,
Que ciego a todo embeleso
Y sordo a todo atractivo,
La Patria, sólo la Patria
En tales horas ha visto,
Y por ella deja todo
A salvarla decidido.

Rosa se queda llorando
Y como agostado lirio,
No hay fuerza que la levante
Ni sol que le infunda brío;
De su amoroso Fernando
Sólo sabe lo que han dicho;
Fue a la guerra y lo conoce,
Firme, noble y decidido;
Lo sueña entre los primeros
Que acometen los peligros;
Sabe que en todos los casos,
Entre muerte y servilismo
Ha de preferir la muerte
Que es vida para los dignos
Y con profunda tristeza
Vive Rosa en su retiro
Sin consuelo ni descanso,
Sin esperanza ni alivio,
Que son la luz y las sombras
Para el que sufre lo mismo.
A la habitación de Rosa,
Al rayar de la mañana
Llega un indígena humilde
Que viene de la montaña,
Y sin despertar sospechas
Cruzó por las avanzadas
Trayendo un papel oculto
En su sombrero de palma.
En hablar con Rosa insiste
Cuando de oponerse tratan
Sus padres que en todo miran
Espionajes y asechanzas.
Oye la joven las voces
Y con interés indaga,
Porque el corazón le dice
Que la nueva será grata,
Y lo confirma mirando
Que al borde de su ventana
Un «salta-pared» ligero
Tres veces alegre canta,
Nuncio de buena fortuna
Del pueblo entre las muchachas.

Llama al indio presurosa,
Este con faz animada
La saluda, y del sombrero
Descose la tosca falda,
Y de allí con mano firme
Saca y le entrega una carta
Que vino tan escondida,
Que a ser otro no la hallara.

Rosa trémula no acierta
En su gozo a desplegarla
Y ya febril e impaciente
Tanta torpeza le enfada;
Abre al fin y reconoce
Que Fernando se la manda
Y en cortas frases le dice,
Esto que en su pecho guarda:

«Mi único amor, vida mía,
Mi pasión, alma del alma,
No puedo vivir sin verte,
Que sin ti todo me falta;
Y aunque tu amor me da aliento
Y tu recuerdo me salva,
Tengo sed de tu presencia,
Tengo sed de tus palabras.

»Hoy por fortuna muy cerca
Me encuentro de tu morada,
Y he de verte aunque se oponga
Todo el poder de la Francia.

»Esta noche, a media noche
Antes de rayar el alba,
Para verme y para hablarme
Asómate a la ventana.

»Adiós vida de mi vida
No tengas miedo, y aguarda
Al que adora tu recuerdo
Luchando entre las montañas».
Es pasada media noche,
Reina profundo silencio
Que sólo interrumpe a veces
El ladrido de los perros,
O el grito del centinela
Que lleva perdido el viento.

En su ventana está Rosa,
Entre las sombras queriendo
Penetrar con la mirada
De sus grandes ojos negros,
Las tinieblas que sepultan
Los callejones estrechos.

Para no inspirar sospechas
Oscuro está su aposento,
Y ni a suspirar se atreve
Por no vender su secreto.

De súbito, escucha pasos
Cautelosos a lo lejos,
Y al oírlos no le cabe
El corazón en el pecho.

Entre las sombras divisa
Algo que tomando cuerpo
A la ventana se llega
Y casi con el aliento,
Le dice: -Prenda del alma.
Aquí estoy-.
                    ¡Bendito el cielo!-
Contesta Rosa y las manos
En la oscuridad tendiendo
Halla el rostro de su amante
Que las cubre con sus besos.
-¿Dudabas de que viniera?
-¿Como dudar, si yo creo
Cuanto me dices lo mismo
Que si fuera el Evangelio?
-¡Tantas semanas sin verte!
-¡Tanto tiempo!
                        -¡Tanto tiempo!

-Pero temo por tu vida...
-No temas, Dios es muy bueno.
Ahora dime que me amas,
A que me lo digas vengo
Y a decirte que te adoro...
-¿Más que yo a ti, cuando siento
Hasta de la misma patria
El aguijón de los celos?
No te culpo, mi Fernando,
No te culpo, bien has hecho
Pero dudo y me atormenta
Pensar que esconde tu seno
Amor más grande que el mío
Y otro vínculo más tierno.

Escúchame: si algún día
Merced a tu noble esfuerzo,
Victoriosa tu bandera,
Por héroe te aclama el pueblo,
Yo disputaré a tu frente
Ese laurel, porque tengo
Ante la patria que gime,
Para adquirirlo derecho;
Tú, sacrificas tu vida,
Yo, débil mujer, le ofrezco,
Alentando tu constancia,
Todo el amor que te tengo.
¡Ay Fernando! ¿tú no mides
Este sacrificio inmenso?
Y al decir así, la mano
Atrajo del guerrillero
Y con su llanto al bañarla
La oprimió contra su pecho.
Limpia despunta la aurora
Y en la ventana Fernando
No se atreve a despedirse
Sin hacer del tiempo caso.

Mas de pronto, por la esquina,
Sobre fogoso caballo,
De la brida conduciendo
Un potro alazán tostado,
Un guerrillero aparece
Con el mosquete en la mano.

Acércase a la pareja,
Aquel coloquio turbando,
Y dirigiéndose al joven
Le dice: «Mi Jefe, vamos,
Monte, que nos han sentido
Y somos dos contra tantos».

-iVete, por Dios!-grita Rosa.
Salta a su corcel Fernando,
Toma su pistola, besa
A la doncella en los labios,
Y a tiempo que se despide,
Por un callejón cercano
Desembocan en desorden
Argelinos y zuavos.
-iAlto!-gritan los que vienen.
-¡Primero muerto que dado!-
Contesta el otro y se lanza
Para abrir en ellos paso...
Suenan discordantes gritos,
Y se escuchan los disparos
Y álzanse nubes de polvo
De los pies de los soldados;
Y al punto que Rosa enjuga
Sus ojos que anubla el llanto,
Ya mira como se alejan
A galope por el campo,
Libres de sus enemigos,
Ei asistente y Fernando.
Algunos años más tarde,
Y cuando pagó a su patria
La deuda de sus servicios
Y la vió libre y sin mancha,
Volvió Fernando a sus lares;
Colgó en el hogar su espada,
Y no quiso ser soldado
Después de triunfar su causa;
Que fue guerrero del pueblo,
Luchador en la montaña,
De los que sólo combaten
Si está en peligro la Patria.

Entonces cumplióle a Rosa
Sus ofertas más sagradas,
Y fue la boda una fiesta
Popular, risueña y franca.

Al verlos salir del templo,
Según refiere la fama,
Recordando aquellas frases
De la inolvidable carta,
Formando vistoso grupo
A las puertas de su casa,
Las más bonitas del pueblo,
Las más festivas muchachas,
Con melancólicas notas
(Que a nuestros tiempos alcanzan
En canción que «Los Capiros»
En Michoacán se la llama),
Al compás de las vihuelas,
De esta manera cantaban:

«Esta noche a media noche,
Y antes que llegue mañana
Si oyes que al pasar te silbo
Asómate a tu ventana».
Victor D López Feb 2019
Heroes Desconocidos: Parte V: Felipe 1931 - 2016  
© 2016, 2019 Victor D. López

Naciste cinco años antes del comienzo de la Guerra Civil Española que vería a tu padre exiliado.
El lenguaje llegó más tarde a ti que a tu hermano pequeño Manuel, y tartamudeaste por un
Tiempo, a diferencia de aquellos que hablan incesantemente sin nada que decir. Tu madre
Confundió la timidez con la falta de lucidez un trágico error que te marcó por vida.

Cuando tu hermano Manuel murió a los tres años de la meningitis, oíste a tu madre exclamar:
"Dios me llevó el listo y me dejó el tonto." Tenías apenas cinco años. Nunca olvidaste esas
Palabras. ¿Como podrías hacerlo? Sin embargo, amaste a tu madre con todo tu corazón.
Pero también te retiraste más en ti mismo, la soledad tu compañera y mejor amiga.

De hecho, eras un niño excepcional. La tartamudez se alejó después de los cinco años para no
Volver jamás, y cuando estaba en la escuela secundaria, tu maestra llamó a tu madre para una
Rara conferencia y le dijo que la tuya era una mente dotada, y que deberías ingresar a la
Universidad para estudiar ciencia, matemáticas o ingeniería.

Ella escribió a tu padre exiliado en Argentina para decirle la buena noticia, que tus profesores
Creían que fácilmente ganarías la entrada a la (entonces y ahora) altamente selectiva universidad Pública donde los asientos eran pocos, y muy difíciles de alcanzar basado en exámenes Competitivos ¿La respuesta de tu padre? Comprale un par de bueyes para arar las tierras.

Esa respuesta de un hombre muy respetado, un pez grande en un pequeño estanque en su nativo Olearos en ese tiempo está más allá de la comprensión. Había optado por preservar su interés
Propio en que continuaras su negocio familiar y trabajara sus tierras en su ausencia. Esa cicatriz También fue añadida a aquellas que nunca sanarían en tu enorme y poro corazón.

Sin la ayuda para los gastos de vida universitarios (todo lo que habrías requerido), quedaste
Decepcionado y dolido, pero no enfadado; Simplemente encontrarías otra opción. Tomaste los Exámenes competitivos para las dos escuelas de entrenamiento militar que proporcionarían una Educación vocacional excelente y un pequeño sueldo a cambio del servicio militar.

De los cientos de aspirantes a los pocos puestos premiados en cada una de las dos instituciones,
Marcaste primero para el más competitiva de las dos (El Parque) y decimotercero para la Segundo, La Fábrica de Armas. Escogiste la inferior para dejarle el puesto a un compañero de
Clase que había quedado eliminado por pocos puntos. Ese eras tú, siempre y para siempre.

En la escuela militar, finalmente estuviste en tu elemento. Te convertiría en una mecánico /
Maquinista de clase mundial, una profesión que te brindaría trabajo bien pagado en cualquier
Parte de la tierra de por vida. Fuiste verdaderamente un genio mecánico quien años más tarde
Añadiría electrónica, mecánica de automóviles y soldadura especializada a tus capacidades.

Dado un taller de máquinas bien montado, podrías con ingeniería inversa duplicar cada maquina
Y montar uno idéntico sin referencia a planes ni instrucciones. Te convertiste en un mecánico
Maestro dotado, y trabajaste en posiciones de línea y de supervisión en un puñado de empresas
En Argentina y en los Estados Unidos, incluyendo a Westinghouse, Warner-Lambert y Pepsi Co.

Te encantó aprender, especialmente en tus campos (electrónica, mecánica, soldadura), buscando
La perfección en todo lo que hiciste. Cada tarea difícil en el trabajo se te dio a ti toda tu vida.
No dormías por la noche cuando un problema necesitaba solución. Hacías cálculos,
Dibujos, planes y trabajabas incluso literalmente en tus sueños con pasión singular.

Estabas en tu elemento enfrentando los rigores académicos y físicos de la escuela militar,
Pero la vida era difícil para ti en la época de Franco cuando algunos instructores
Te llamaban "Roxo" - "rojo" en gallego - que se refería a la política de tu padre en
Apoyo a la República fallida. Finalmente, el abuso fue demasiado para soportar.


Una vez mientras estabas de pie en la atención en un pasillo con los otros cadetes esperando
Dar lista, fuiste repetidamente empujado en la espalda subrepticiamente. Moverte provocaría
Deméritos, y deméritos podrían causar la pérdida de puntos en tu grado final y arresto por
Los fines de semana sucesivos. Lo aguantaste un rato hasta perder la paciencia.

Volteaste hacia el cadete detrás tuyo y en un movimiento fluido lo cogiste por la chaqueta y con
Una mano lo colgaste en un gancho por encima de una ventana donde estaban Parados. Se
Arremolinó, hasta que fue rescatado por dos instructores militares furiosos.
Tuviste detención de Fin de semana durante meses, y una reducción del 10% en el grado final.

Un destino similar le ocurrió un compañero de trabajo unos años más tarde en Buenos Aires que
Te llamó hijo de puta. Lo levantaste en una mano por la garganta y lo mantuviste allí hasta que
Tus compañeros de trabajo intervinieron, rescatándolo al por la fuerza. La lección fue aprendida
Por todos en términos inconfundibles: Dejar a la mamá de Felipe en paz.

Eras increíblemente fuerte, especialmente en tu juventud, sin duda en parte debido a un trabajo
Agrícola riguroso, tu entrenamiento militar y participación en deportes competitivos. A los quince
Años, una vez te doblaste para recoger algo en vista de un carnero, presentando al animal un
Objetivo irresistible. Te cabeceo encima de un pajar. También aprendió rápidamente su lección.

Te sacudiste el polvo, y corriste hacia el pobre carnero, agarrándolo por los cuernos, girándolo
Alrededor varias vueltas, y lanzándolo encima del mismo pajar. El animal no resultó herido, pero Aprendió a mantener su distancia a partir de ese día. En general, fuiste muy lentos en enfadar
Ausente cabeceos, empujones repetidos o referencias irrespetuosas a tu madre.

Rara vez te vi enfadado; y era mamá, no tú, la disciplinaria, con zapatilla en la mano. Recibí
Muy pocas bofetadas tuyas. Mamá me golpeaba con una zapatilla a menudo cuando yo era
Pequeño, sobre todo porque podía ser un verdadero dolor de cabeza, queriendo Saber / intentar / Hacerlo todo, completamente ajeno al significado de la palabra "no" o de mis limitaciones.

Mamá a veces insistía en que me dieras una buena paliza. En una de esas ocasiones por una Transgresión olvidada cuando yo tenía nueve años, me llevaste a tu habitación, quitaste el
Cinturón, te sentaste a mi lado y te pegaste varias veces a tu propio brazo y mano susurrándome
"Llora", lo cual hice fácilmente. "No se lo digas a mamá." No lo hice. Sin duda lo sabía.

La perspectiva de servir en un ejército que te consideraba un traidor por la sangre se te hizo
Difícil de soportar, y en el tercer año de escuela, un año antes de la graduación, te fuiste a unirte
A tu padre exiliado en Argentina, a comenzar una nueva vida. Dejaste atrás a tu amada madre y a
Dos hermanas para comenzar de nuevo en una nueva tierra. Tu querido perro murió de pena.

Llegaste a Buenos Aires para ver a un padre que no recordabas a los 17 años. Eras demasiado
Joven para trabajar legalmente, pero parecías más viejo que tus años (un rasgo compartido).
Mentiste acerca de tu edad e inmediatamente encontraste trabajo como maquinista / mecánico de
Primer grado. Eso fue inaudito y te trajo algunos celos y quejas en el taller sindical.

El sindicato se quejó con el gerente general sobre tu sueldo y rango. Él respondió, "Daré el
Mismo rango y salario a cualquier persona en la compañía que pueda hacer lo que Felipe hace."
Sin duda, los celos y los gruñidos continuaron durante un tiempo. Pero no había compradores.
Y pronto ganaste el grupo, convirtiéndote en su mascota protegida como "hermano pequeño".

Tu padre partió hacia España dentro de un año de tu llegada cuando Franco emitió un perdón
General a todos los disidentes que no habían derramado sangre. Quería que volvieras a
Reanudar el negocio familiar asumido por tu madre en su ausencia con tu ayuda. Pero te negaste a Renunciar tu alto salario, el respeto y la independencia que se te negaban en su casa.

Tendrías escasamente 18 años, viviendo en una habitación que habías compartido con tu padre al
Lado de una escuela. Pero también habías encontrado una nueva querida familia en tu tío José,
Uno de los hermanos de tu padre, y su familia. su hija, Nieves con su esposo, Emilio, y
Sus hijos, Susana, Oscar (Rubén Gordé) y Osvaldo, se convirtieron en tu nueva familia nuclear.

Te casaste con mamá en 1955 y tuviste dos negocios fallidos en el rápido desvanecimiento en la
Argentina a finales de los años 1950 y comienzos de los años 1960. El primero fue un taller
Con una pequeña fortuna de contratos de gobierno no pagados. El segundo, una tienda de
Comestibles, también falló debido a la hiperinflación y el crédito extendió a clientes necesitados.

A lo largo de todo esto, seguiste ganando un salario excepcionalmente bueno. Pero a mediados
De los años 60, casi todo fue a pagar a los acreedores de la tienda de comestibles fallada.
Tuvimos años muy difíciles. Algún día escribiré sobre eso. Mamá trabajo de sirvienta, incluso
Para amigos ricos. Tu salías de casa a las 4:00 a.m. volviendo de noche para pagar las facturas.

El único lujo que tú y mamá retuvieron fue mi colegio católico. No había otra extravagancia. No
Pagar las facturas nunca fue una opción para ustedes. Nunca entró en sus mentes. No era una
Cuestión de ley u orgullo, sino una cuestión de honor. Pasamos por lo menos tres años muy
Dolorosos con tu y mamá trabajando muy duro, ganando bien pero éramos realmente pobres.

Tú y mamá se cuidaron mucho de esconder esto de mí y sufrieron grandes privaciones para
Aislarme lo mejor que pudieron de las consecuencias de una economía destrozada y su efecto a
Sus ahorros de vida y a nuestra cómoda vida. Llegamos a Estados Unidos a finales de los años 60 Después de esperar más de tres años por visas, a una nueva tierra de esperanza.

Tu hermana y cuñado, Marisa y Manuel, hicieron sus propios sacrificios para traernos aquí.
Traíamos unos $ 1, 000 del pago inicial por nuestra diminuta casa, y las joyas empeñadas de Mamá.
(La hiperinflación y los gastos comieron los pagos restantes). Otras posesiones preciadas
Fueron dejadas en un baúl hasta que pudieran reclamarlas. Nunca lo hicieron.

Incluso los billetes de avión fueron pagados por Marisa y Manuel. Insististe al llegar en términos
Escritos para el reembolso con intereses. Fuiste contratado en tu primera entrevista como un
Mecánico de primer grado a pesar de no hablar una palabra de inglés. Dos meses más tarde, la
Deuda fue saldada, mamá también trabajaba, y nos mudamos a nuestro primer apartamento.

Trabajaste largas horas, incluyendo sábados y horas extras diarias. La salud en declive te obligó
A retirarte a los 63 años y poco después, tú y mamá se mudaron de Queens al Condado de Orange. Compraron una casa a dos horas de nuestra residencia permanente en el Condado de Otsego, y, en la Próxima década, fueron felices, viajando con amigos y visitándonos a menudo.

Entonces las cosas empezaron a cambiar. Problemas cardíacos (dos marcapasos), cáncer de
Colon, Melanoma, enfermedad de hígado y renal causada por sus medicamentos, presión arterial
Alta, la gota, Cirugía de la vejiga biliar, diabetes.... Y aún seguiste hacia adelante, como el
Conejito “Energizer”, remendado, golpeado, magullado pero imparable e imperturbable.

Luego mamá comenzó a mostrar señas de pérdida de memoria junto con sus otros problemas de
Salud. Ella oculto bien sus propias dolencias, y nos dimos cuenta mucho más tarde que había un Problema grave. Hace dos años, su demencia empeoraba pero seguía funcionando hasta que
Complicaciones de cirugía de la vesícula biliar requirieron cuatro cirugías en tres meses.

Ella nunca se recuperó y tuvo que ser colocada en un asilo de ancianos con cuido intensivo.
Varios, de hecho, ya que Rechazó la comida y tú y yo nos negamos a simplemente dejarla ir, lo que Pudiera haber sido más noble. Pero "mientras hay vida, hay esperanza" como dicen los españoles.
No hay nada más allá del poder de Dios. Los milagros suceden.

Durante dos años tu viviste solo, rechazando ayuda externa, engendrando numerosos argumentos Acerca de tener a alguien unos días a la semana para ayudar a limpiar, cocinar, y hacer las tareas.
Tu no eras nada sino terco (otro rasgo compartido). El último argumento sobre el tema hace unas
Dos semanas terminó en tu llanto. No aceptarías ayuda externa hasta que mamá regresara a casa.

Sufriste un gran dolor debido a los discos abultados en la columna vertebral y caminabas con uno
De esos asientos ambulatorios con manillares que mamá y yo te elegimos hace años. Te
Sentabas cuando el dolor era demasiado, y luego seguías adelante con pocas quejas. Hace diez
Días, finalmente acordaste que necesitabas ir al hospital para drenar el líquido abdominal.
Tu hígado y riñones enfermos lo producían y se te hinchó el abdomen y las piernas hasta el punto
Que ponerte los zapatos o la ropa era muy difícil, como lo era la respiración. Me llamaste de una
Tienda local llorando que no podías encontrar pantalones que te cupieran. Hablamos, un rato y te
Calmé, como siempre, no permitiendo que te ahogaras en la lástima propia.

Fuiste a casa y encontraste unos pantalones nuevos extensibles que Alice y yo te habíamos
Comprado y quedaste feliz. Ya tenías dos cambios de ropa que aún te cabían para llevar al
Hospital. Listo, ya todo estaba bien. El procedimiento no era peligroso y lo había ya pasado
Varias veces.  Sería necesario un par de días en el hospital y te vería de nuevo el fin de semana.

No pude estar contigo el lunes 22 de febrero cuando tuviste que ir al hospital, como casi siempre
Lo había hecho, por el trabajo. Se suponía que debías ser admitido el viernes anterior, para yo Acompañarte, pero los médicos también tienen días libres y cambiaron la cita. No pude faltar al
Trabajo. Pero no estabas preocupado; Esto era sólo rutina. Estarías bien. Te vería en unos días.

Iríamos a ver a mamá el viernes, cuando estarías mucho más ligero y te sentirías mucho mejor.
Tal vez podríamos ir a comprate más ropa si la hinchazón no disminuía lo suficiente. Condujiste
Al médico y luego te transportaron por ambulancia al hospital. Yo estaba preocupado, pero no Demasiado. Me llamaste sobre las cinco de la tarde para decirme que estabas bien, descansando.

“No te preocupes. Estoy seguro aquí y bien cuidado." Hablamos un poco sobre lo usual, y te
Asegure que te vería el viernes o el sábado. Estabas cansado y querías dormir. Te pedí que me Llamaras si despertabas más tarde esa noche o te hablaría yo al día siguiente. Alrededor de
Las 10:00 p.m. recibí una llamada de tu celular y respondí de la manera habitual optimista.

“Hola, Papi.” En el otro lado había una enfermera que me decía que mi padre había caído.
Le aseguré que estaba equivocada, ya que mi padre estaba allí para drenar el líquido abdominal.
"No entiendes. Se cayó de su cama y se golpeó la cabeza en una mesita de noche o algo,
Y su corazón se ha detenido. Estamos trabajando en él durante 20 minutos y no se ve bien ".

"¿Puedes llegar aquí?" No pude. Había bebido dos o tres vasos de vino poco antes de la llamada
Con la cena. No pude conducir las tres horas a Middletown. Lloré. Oré. Quince minutos después
Recibí la llamada de que te habías ido. Perdido en el dolor, sin saber qué hacer, llamé a mi
Esposa. Poco después vino una llamada del forense. Se requirió una autopsia. No pudría verte.

Cuatro días después tu cuerpo fue finalmente entregado al director de funeraria que había
Seleccionado por su experiencia con el proceso de entierro en España. Te vi por última vez para Identificar tu cuerpo. Besé mis dedos y toqué tu frente mutilada. Ni siquiera podrías tener la
Dignidad de un ataúd abierto. Querías cremación. Tu cuerpo lo espera mientras escribo esto.

Estabas solo, incluso en la muerte. Solo. En el hospital, mientras desconocidos trabajaron en ti. En la Oficina del médico forense mientras esperabas la autopsia. En la mesa de la autopsia
Mientras pinchaban, empujaban, y cortaban tu cuerpo buscando indicios irrelevantes que no
Cambiarían nada ni beneficiarían a nadie, y menos que a nadie a ti.

Tendremos un servicio conmemorativo el próximo viernes con tus cenizas y una misa el sábado.
Nunca más te veré en esta vida. Alice y yo te llevaremos a casa, a tu pueblo natal, al
Cementerio de Olearos, La Coruña, España este verano. Allí esperarás el amor de tu vida.
Quién se unirá contigo en la plenitud del tiempo. Ella no comprendió mis lágrimas ni tu muerte.

Hay una bendición en la demencia. Ella pregunta por su madre, y dice que está preocupada
Porque no ha venido a visitarla en algún tiempo. “Ella viene”, me asegura siempre que la veo.
Tú la visitabas todos los días, excepto cuando la salud lo impedía. Pasaste este 10 de febrero aparte,
El aniversario 61 de bodas, demasiado enfermo para visitarla. Tampoco yo pude ir. Primera vez.

Espero que no te hayas dado cuenta de que estabais aparte el 10, pero dudo que sea el caso.
No te lo mencioné, esperando que lo hubieras olvidado, y tú tampoco. Eras mi conexión con Mamá.
No puede marcar o contestar un teléfono. Tu le ponías el teléfono celular al oído cuando
Yo no estaba en clase o en reuniones y podía hablar con ella. Ella siempre me reconoció.
Estoy a tres horas de ella. Los visitaba una o dos veces al mes. Ahora incluso esa línea de
Vida está cortada. Mamá está completamente sola, asustada, confundida, y no puedo en el corto
Plazo al menos hacer mucho sobre eso. No habías de morir primero. Fue mi mayor temor, y el
Tuyo, pero como con tantas cosas que no podemos cambiar, lo puse en el fondo de mi mente.

Me mantuvo en pie muchas noches, pero, como tú, todavía creía --y creo-- en milagros.
Yo te hablaba todas las noches, a menudo durante una hora o más, en el camino a casa del trabajo Tarde por la noche durante mi hora de viaje, o desde casa mientras cocinaba mi cena.
La mayoría del tiempo te dejaba hablar, tratando de darte apoyo y aliento.

Estabas solo, triste, atrapado en un ciclo sin fin de dolor emocional y físico. Últimamente eras Especialmente reticente a colgar el teléfono. Cuando mamá estaba en casa y todavía estaba
Relativamente bien, yo llamaba todos los días también, pero por lo general hablaba contigo sólo
Unos minutos y le dabas el teléfono a mamá, con quien conversaba por mucho más tiempo.

Durante meses tuviste dificultades para colgar el teléfono. Sabía que no querías volver al sofá,
Para ver un programa de televisión sin sentido, o para pagar más facturas. Me decías adiós, o
"Ya basta para hoy", y comenzar inmediatamente un nuevo hilo, repitiendo el ciclo, a veces cinco o seis Veces. Me dijiste una vez llorando recientemente, "Cuélgame o seguiré hablando".

Te quería, papá, con todo mi corazón. Discutimos, y yo a menudo te gritaba con frustración,
Sabiendo que nunca lo tomarías a pecho y que por lo general solo me ignorarías y harías lo que querías. Sabía lo desesperadamente que me necesitabas, y traté de ser tan paciente como pude.
Pero había días en los que estaba demasiado cansado, frustrado, y lleno de otros problemas.

Había días en los que me sentía frustrado cuando te quedabas en el teléfono durante una hora
Cuando necesitaba llamar a Alice, comer mi cena fría o incluso mirar un programa favorito.
Muy rara vez te corté una conversación por lo larga que fuese, pero si estuve frustrado a veces,
Incluso sabiendo bien cuánto me necesitabas y yo a ti, y cuán poco me pediste.

¿Cómo me gustaría oír tu voz de nuevo, incluso si fuera quejándote de las mismas cosas, o
Para contarme en detalle más minucioso algún aspecto sin importancia de tu día. Pensé que te haría
Tener al menos un poco más de tiempo. ¿Un año? ¿Dos? Sólo Dios sabía. Habría tiempo. Tenía
Mucho más que compartir contigo, mucho más de aprender cuando la vida se relajara un poco.

Tú me enseñaste a pescar (no tomó) y a cazar (que tomó aún menos) y mucho de lo que sé sobre
La mecánica y la electrónica. Trabajamos en nuestros coches juntos durante años--cambios de
Frenos, silenciadores, “tuneas” en los días en que los puntos, condensadores y luces de
Cronometraje tenían significado. Reconstruimos carburadores, ventanas eléctricas, y chapistería.

Éramos amigos, bunos amigos. Fuimos los domingos en coche a restaurantes favoritos o a
Comprar herramientas cuando yo era soltero y vivía en casa. Me enseñaste todo lo que necesito
Saber en la vida sobre todas las cosas que importan. El resto es papel sin sentido y vestidor.
Conocí tus pocas faltas y tus colosales virtudes y te conocí ser el mejor hombre de los dos.

Ni punto de comparación. Nunca podría hacer lo que hiciste. Nunca podría sobresalir en mis
Campos como lo hiciste en los tuyos. Eras hecho y derecho en todos los sentidos, visto desde
Todos los ángulos, a lo largo de tu vida. No te traté siempre así, pero te amé siempre
Profundamente, como lo sabe cualquiera que nos conoce. Te lo he dicho a menudo, sin vergüenza.

El mundo se ha enriquecido con tu viaje sobre él. No dejas atrás gran riqueza, ni obras que te Sobrevivan. Nunca tuviste tus quince minutos al sol. Pero importaste. Dios conoce tu virtud, tu
Integridad absoluta y la pureza de tu corazón. Nunca conoceré a un hombre mejor. Te amaré, te Extrañaré y te llevaré en mi corazón todos los días de mi vida. Que Dios te bendiga, papá.

  Si desean oír mi lectura de la versión original de este poema en inglés, pueden hacerlo aquí:
https://www.youtube.com/channel/UCRUiSZr1_rWDEObcWJELP7w
This is a translation from the English original I wrote immediately after my dad's passing in February of 2016.  Even in the hardest of times suffering from his own very serious medical conditions, my dad was full of love and easy laughter. I will never see his equal, or my mom's. Tears still blur my eyes as they do now just thinking of them with great love and an irreparable sense of loss.
A Simillacrum May 2018
whispers come out
of control
of the mouth
of the
selfish thinker

undertones
select know
while in air
their spare
venom lingers

cruelty whips the paranoid
not anxious for no reason
get in line good girls and boys
be one or zero
curve to the confines
of the basic language

meanwhile
the hermit sits
scooping sand
with her
hand and fingers

given that she has
felt the breadth
of human hate
from some the
closest to her

she will still
sit cross legged in pain
every new day
as each day past
spinning the comic
and the tragic

into verse
unique to her
as the voice
in her mind
convinces her

it could keep
others alive

so she sings
she screams
songs of hope
and victory
leaving

whispers
where they ought
to be

hanging
with the liars
unheard
for time enough
in futures
never said
inspired by and
for emnabee

as well as
for all the
Arachne Duana Fortuna

thank you for your secret words
they save and summon
keep on
keep on
¡Oh corvas almas, oh facinorosos
espíritus furiosos!
¡Oh varios pensamientos insolentes,
deseos delincuentes,
cargados sí, mas nunca satisfechos;
alguna vez cansados,
ninguna arrepentidos,
en la copia crecidos,
y en la necesidad desesperados!
De vuestra vanidad, de vuestro vuelo,
¿qué abismo está ignorado?
Todos los senos que la tierra calla,
las llanuras que borra el Oceano
y los retiramientos de la noche,
de que no ha dado el sol noticia al día,
los sabe la codicia del tirano.
Ni horror, ni religión, ni piedad, juntos,
defienden de los vivos los difuntos.
A las cenizas y a los huesos llega,
palpando miedos, la avaricia ciega.
Ni la pluma a las aves,
ni la garra a las fieras,
ni en los golfos del mar, ni en las riberas
el callado nadar del pez de plata,
les puede defender del apetito;
y el orbe, que infinito
a la navegación nos parecía,
es ya corto distrito
para las diligencias de la gula,
pues de esotros sentidos acumula
el vasallaje, y ella se levanta
con cuanto patrimonio
tienen, y los confunde en la garganta.
Y antes que las desórdenes del vientre
satisfagan sus ímpetus violentos,
yermos han de quedar los elementos,
para que el orbe en sus angustias entre.
Tú, Clito, entretenida, mas no llena,
honesta vida gastarás contigo;
que no teme la invidia por testigo,
con pobreza decente, fácil cena.
Más flaco estará, ¡oh Clito!,
pero estará más sano,
el cuerpo desmayado que el ahíto;
y en la escuela divina,
el ayuno se llama medicina,
y esotro, enfermedad, culpa y delito.
El hombre, de las piedras descendiente
(¡dura generación, duro linaje!),
osó vestir las plumas;
osó tratar, ardiente,
las líquidas veredas; hizo ultraje
al gobierno de Eolo;
desvaneció su presunción Apolo,
y en teatro de espumas,
su vuelo desatado,
yace el nombre y el cuerpo justiciado,
y navegan sus plumas.
Tal has de padecer, Clito, si subes
a competir lugares con las nubes.
De metal fue el primero
que al mar hizo guadaña de la muerte:
con tres cercos de acero
el corazón humano desmentía.
Éste, con velas cóncavas, con remos,
(¡oh muerte!, ¡oh mercancía!),
unió climas extremos;
y rotos de la tierra
los sagrados confines,
nos enseñó, con máquinas tan fieras,
a juntar las riberas;
y de un leño, que el céfiro se sorbe,
fabricó pasadizo a todo el orbe,
adiestrando el error de su camino
en las señas que hace, enamorada,
la piedra imán al Norte,
de quien, amante, quiere ser consorte,
sin advertir que, cuando ve la estrella,
desvarían los éxtasis en ella.
Clito, desde la orilla
navega con la vista el Oceano:
óyele ronco, atiéndele tirano,
y no dejes la choza por la quilla;
pues son las almas que respira Tracia
y las iras del Noto,
muerte en el Ponto, música en el soto.
Profanó la razón, y disfamóla,
mecánica codicia diligente,
pues al robo de Oriente destinada,
y al despojo precioso de Occidente,
la vela desatada,
el remo sacudido,
de más riesgos que ondas impelido,
de Aquilón enojado,
siempre de invierno y noche acompañado,
del mar impetüoso
(que tal vez justifica el codicioso)
padeció la violencia,
lamentó la inclemencia,
y por fuerza piadoso,
a cuantos votos dedicaba a gritos,
previno en la bonanza
otros tantos delitos,
con la esperanza contra la esperanza.
Éste, al sol y a la luna,
que imperio dan, y templo, a la Fortuna,
examinando rumbos y concetos,
por saber los secretos
de la primera madre
que nos sustenta y cría,
de ella hizo miserable anatomía.
Despedazóla el pecho,
rompióle las entrañas,
desangróle las venas
que de estimado horror estaban llenas;
los claustros de la muerte,
duro, solicitó con hierro fuerte.
¿Y espantará que tiemble algunas veces,
siendo madre y robada
del parto, a cuanto vive, preferido?
No des la culpa al viento detenido,
ni al mar por proceloso:
de ti tiembla tu madre, codicioso.
Juntas grande tesoro,
y en Potosí y en Lima
ganas jornal al cerro y a la sima.
Sacas al sueño, a la quietud, desvelo;
a la maldad, consuelo;
disculpa, a la traición; premio, a la culpa;
facilidad, al odio y la venganza,
y, en pálido color, verde esperanza,
y, debajo de llave,
pretendes, acuñados,
cerrar los dioses y guardar los hados,
siendo el oro tirano de buen nombre,
que siempre llega con la muerte al hombre;
mas nunca, si se advierte,
se llega con el hombre hasta la muerte.
Sembraste, ¡oh tú, opulento!, por los vasos,
con desvelos de la arte,
desprecios del metal rico, no escasos;
y en discordes balanzas,
la materia vencida,
vanamente podrás después preciarte
que induciste en la sed dos destemplanzas,
donde tercera, aún hoy, delicia alcanzas.
Y a la Naturaleza, pervertida
con las del tiempo intrépidas mudanzas,
transfiriendo al licor en el estío
prisión de invierno frío,
al brindis luego el apetito necio
del murrino y cristal creció ansí el precio:
que fue pompa y grandeza
disipar los tesoros
por cosa, ¡oh vicio ciego!,
que pudiese perderse toda, y luego.
Tú, Clito, en bien compuesta
pobreza, en paz honesta,
cuanto menos tuvieres,
desarmarás la mano a los placeres,
la malicia a la invidia,
a la vida el cuidado,
a la hermosura lazos,
a la muerte embarazos,
y en los trances postreros,
solicitud de amigos y herederos.
Deja en vida los bienes,
que te tienen, y juzgas que los tienes.
Y las últimas horas
serán en ti forzosas, no molestas,
y al dar la cuenta excusarás respuestas.
Fabrica el ambicioso
ya edificio, olvidado
del poder de los días;
y el palacio, crecido,
no quiere darse, no, por entendido
del paso de la edad sorda y ligera,
que, fugitiva, calla,
y en silencio mordaz, mal advertido,
digiere la muralla,
los alcázares lima,
y la vida del mundo, poco a poco,
o la enferma o lastima.
Los montes invencibles,
que la Naturaleza
eminentes crió para sí sola
(paréntesis de reinos y de imperios),
al hombre inaccesibles,
embarazando el suelo
con el horror de puntas desiguales,
que se oponen, erizo bronco, al cielo,
después que les sacó de sus entrañas
la avaricia, mostrándola a la tierra,
mentida en el color de los metales,
cruda y preciosa guerra,
osó la vanidad cortar sus cimas
y, desde las cervices,
hender a los peñascos las raíces;
y erudito ya el hierro,
porque el hombre acompañe
con magnífico adorno sus insultos,
los duros cerros adelgaza en bultos;
y viven los collados
en atrios y en alcázares cerrados,
que apenas los cubría
el campo eterno que camina el día.
Desarmaron la orilla,
desabrigaron valles y llanuras
y borraron del mar las señas duras;
y los que en pie estuvieron,
y eminentes rompieron
la fuerza de los golfos insolentes,
y fueron objeción, yertos y fríos,
de los atrevimientos de los ríos,
agora navegados,
escollos y collados,
los vemos en los pórticos sombríos,
mintiendo fuerzas y doblando pechos,
aun promontorios sustentar los techos.
Y el rústico linaje,
que fue de piedra dura,
vuelve otra vez viviente en escultura.
Tú, Clito, pues le debes
a la tierra ese vaso de tu vida,
en tan poca ceniza detenida,
y en cárceles tan frágiles y breves
hospedas alma eterna,
no presumas, ¡oh Clito!, oh, no presumas
que la del alma casa, tan moderna
y de tierra caduca,
viva mayor posada que ella vive,
pues que en horror la hospeda y la recibe.
No sirve lo que sobra,
y es grande acusación la grande obra;
sepultura imagina el aposento,
y el alto alcázar vano monumento.
Hoy al mundo fatiga,
hambrienta y con ojos desvelados,
la enfermedad antiga
que a todos los pecados
adelantó en el cielo su malicia,
en la parte mejor de su milicia.
Invidia, sin color y sin consuelo,
mancha primera que borró la vida
a la inocencia humana,
de la quietud y la verdad tirana;
furor envejecido,
del bien ajeno, por su mal, nacido;
veneno de los siglos, si se advierte,
y miserable causa de la muerte.
Este furor eterno,
con afrenta del sol, pobló el infierno,
y debe a sus intentos ciegos, vanos,
la desesperación sus ciudadanos.
Ésta previno, avara,
al hombre las espinas en la tierra,
y el pan, que le mantiene en esta guerra,
con sudor de sus manos y su cara.
Fue motín porfiado
en la progenie de Abraham eterna,
contra el padre del pueblo endurecido,
que dio por ellos el postrer gemido.
La invidia no combate
los muros de la tierra y mortal vida,
si bien la salud propria combatida
deja también; sólo pretende palma
de batir los alcázares de l'alma;
y antes que las entrañas
sientan su artillería,
aprisiona el discurso, si porfía.
Las distantes llanuras de la tierra
a dos hermanos fueron
angosto espacio para mucha guerra.
Y al que Naturaleza
hizo primero, pretendió por dolo
que la invidia mortal le hiciese solo.
Tú, Clito, doctrinado
del escarmiento amigo,
obediente a los doctos desengaños,
contarás tantas vidas como años;
y acertará mejor tu fantasía
si conoces que naces cada día.
Invidia los trabajos, no la gloria;
que ellos corrigen, y ella desvanece,
y no serás horror para la Historia,
que con sucesos de los reyes crece.
De los ajenos bienes
ten piedad, y temor de los que tienes;
goza la buena dicha con sospecha,
trata desconfiado la ventura,
y póstrate en la altura.
Y a las calamidades
invidia la humildad y las verdades,
y advierte que tal vez se justifica
la invidia en los mortales,
y sabe hacer un bien en tantos males:
culpa y castigo que tras sí se viene,
pues que consume al proprio que la tiene.
La grandeza invidiada,
la riqueza molesta y espiada,
el polvo cortesano,
el poder soberano,
asistido de penas y de enojos,
siempre tienen quejosos a los ojos,
amedrentado el sueño,
la consciencia con ceño,
la verdad acusada,
la mentira asistente,
miedo en la soledad, miedo en la gente,
la vida peligrosa,
la muerte apresurada y belicosa.
¡Cuán raros han bajado los tiranos,
delgadas sombras, a los reinos vanos
del silencio severo,
con muerte seca y con el cuerpo entero!
Y vio el yerno de Ceres
pocas veces llegar, hartos de vida,
los reyes sin veneno o sin herida.
Sábenlo bien aquellos
que de joyas y oro
ciñen medroso cerco a los cabellos.
Su dolencia mortal es su tesoro;
su pompa y su cuidado, sus legiones.
Y el que en la variedad de las naciones
se agrada más, y crece
los ambiciosos títulos profanos,
es, cuanto más se precia de monarca,
más ilustre desprecio de la Parca.
El africano duro
que en los Alpes vencer pudo el invierno,
y a la Naturaleza
de su alcázar mayor la fortaleza;
de quien, por darle paso al señorío,
la mitad de la vista cobró el frío,
en Canas, el furor de sus soldados,
con la sangre de venas consulares,
calentó los sembrados,
fue susto del imperio,
hízole ver la cara al captiverio,
dio noticia del miedo su osadía
a tanta presunción de monarquía.
Y peregrino, desterrado y preso
poco después por desdeñoso hado,
militó contra sí desesperado.
Y vengador de muertes y vitorias,
y no invidioso menos de sus glorias,
un anillo piadoso,
sin golpe ni herida,
más temor quitó en Roma que en él vida.
Y ya, en urna ignorada,
tan grande capitán y tanto miedo
peso serán apenas para un dedo.
Mario nos enseñó que los trofeos
llevan a las prisiones,
y que el triunfo que ordena la Fortuna,
tiene en Minturnas cerca la laguna.
Y si te acercas más a nuestros días,
¡oh Clito!, en las historias
verás, donde con sangre las memorias
no estuvieren borradas,
que de horrores manchadas
vidas tantas están esclarecidas,
que leerás más escándalos que vidas.
Id, pues, grandes señores,
a ser rumor del mundo;
y comprando la guerra,
fatigad la paciencia de la tierra,
provocad la impaciencia de los mares
con desatinos nuevos,
sólo por emular locos mancebos;
y a costa de prolija desventura,
será la aclamación de su locura.
Clito, quien no pretende levantarse
puede arrastrar, mas no precipitarse.
El bajel que navega
orilla, ni peligra ni se anega.
Cuando Jove se enoja soberano,
más cerca tiene el monte que no el llano,
y la encina en la cumbre
teme lo que desprecia la legumbre.
Lección te son las hojas,
y maestros las peñas.
Avergüénzate, ¡oh Clito!,
con alma racional y entendimiento,
que te pueda en España
llamar rudo discípulo una caña;
pues si no te moderas,
será de tus costumbres, a su modo,
verde reprehensión el campo todo.
liz May 2018
she likes to play rhythms
on the toughened bones
a little lightly in the dusk
and she doesn't wait
for the shadows to clear from your eyes, she knows
shadow hides beauty too

she likes the sounds
of blood pumping through body
and hearts lifting
in joy, ecstasy, the fluttering of birdlike emotion
uncontained and yet enclosed

she is the still small voice
& she doesn't give wisdom
    she gives experience
and lets you learn on your own
because in the dark of the soul
there is the pearl you seek
the toughened bones
yielding to you now, not fear
tangshunzi Jun 2014
<p><p> Call me prevedibile.ma mi piace un matrimonio cortile .tutto grazie al padre della sposa .E quando il cortile è questo grande .è il mio modo preferito per iniziare la giornata .Susan Beard design catturato una giornata così bella .che passerò la mia giornata proprio qui nella gallery !<p><p> ColorsSeasonsSummerSettingsal affresco 2StylesTraditional Elegance<p> dalla splendida sposa .Jen e Brian incontrati alla Georgetown University nell'autunno del 2004 ( Brian un sophomore .Jen un Freshman ) !Hanno iniziato ufficialmente incontri nel mese di aprile del 2005.in modo colpito nel segno otto anni prima del loro matrimonio l'8 giugno !Su  <a href="http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-corti-c-49"><b>abiti da sposa corti</b></a>  26 maggio.2013 Brian si mise su un ginocchio durante un viaggio in bicicletta sopra il Golden Gate Bridge di San Francisco .California!Hanno  <p><a href="http://www.belloabito.com/goods.php?id=695" target="blank"><img width="240" height="320" src="http://188.138.88.219/imagesld/td//t35/productthumb/1/4416335353535395744.jpg"></a></p>  continuato il viaggio a celebrare vigneti di tutto Sonoma e Napa Valley.Jen è un acquirente a Bloomingdale e Brian è un Associate Investment Banker presso Credit Suisse .Attualmente vivono insieme nel West Village di New York City.<p> Jen non può immaginare un posto più meraviglioso per crescere rispetto al suo 100 anni vecchia casa in pietra ( sapere come Colmar) nella linea principale di Filadelfia .Il destino può avere  <a href="http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-c-1"><b>abiti da sposa on line</b></a>  .Brian ' nonna vive a soli dieci minuti da Jen ' famiglia e quindi la zona è diventata una destinazione popolare per la coppia di trascorrere del tempo con la famiglia e prendersi una pausa dalla vita frenetica della città .Crescere con due sorelle .La casa di famiglia Donohoe era sempre vivace con le ragazze in giro la tenuta di 3 ettari che includono una piscina e un campo da tennis .Che si trattasse di una sfilata di moda .una festa in piscina .un gioco di dress up .tag o il tennis .negli ultimi tre decenni inondati questa casa con meravigliosi ricordi di un amore.famiglia felice e dell'infanzia .Jen e Brian si sono trovati la fortuna di avere l' opportunità di condividere non solo con i loro cari ad un bellissimo posto che è stato così speciale per entrambi .ma a fare la loro prima memoria.come marito e moglie in un luogo che incarna così chiaramente lo spiritodell'amore e della famiglia .Come le immagini mostrano chiaramente che era senza dubbio il giorno più bello sia Jen e la vita di Brian .<p> Il cortile è pieno di bellissimi giardini all'italiana ispirato un elegante tema festa in giardino .Immaginato come un affare giardino -chic romantico e lussureggiante .combinando elementi del giardino casuali ( ad esempio le tabelle fattoria di legno nella cena di tende ) con i dettagli formali.come vasi d'argento .tenting drappeggiato e lampadari appesi .La cravatta dress code facoltativo nero iniettato formalità al concetto di un matrimonio cortile.La serata è iniziata con un cocktail intorno alla piscina e giardini seguita da una cena seduti e balli sul campo da tennis tenda della famiglia <p> Fotografia : Susan Beard | dell'artista: . Blossom Productions | Wedding Planner : I DO Wedding Consulting | Floral Design : Table Art| Abito da sposa : Amsale | Inviti : Loveleigh Inviti | Catering : Feastivities | illuminazione : Eventions | banda : Starlight Orchestre | <b>abiti da sposa corti</b>  Hair \u0026 Make Up : Aleksandra Ambrozy | Tenda : EventQuipAmsale è un membro del nostro Look Book .Per ulteriori informazioni su come vengono scelti i membri .fare clic qui .Aleksandra Ambrozy Trucco e Capelli Artistry è un membro del nostro Little Black Book .Scopri come i membri sono scelti visitando la nostra pagina delle FAQ .Aleksandra Ambrozy Trucco e ... VISTA</p>
Tented Backyard Wedding Colmar_vestiti da sposa
Siendo mozo Alvargonzález,
dueño de mediana hacienda,
que en otras tierras se dice
bienestar y aquí, opulencia,
en la feria de Berlanga
prendóse de una doncella,
y la tomó por mujer
al año de conocerla.Muy ricas las bodas fueron
y quien las vio las recuerda;
sonadas las tornabodas
que hizo Alvar en su aldea;
hubo gaitas, tamboriles,
flauta, bandurria y vihuela,
fuegos a la valenciana
y danza a la aragonesa.   Feliz vivió Alvargonzález
en el amor de su tierra.
Naciéronle tres varones,
que en el campo son riqueza,
y, ya crecidos, los puso,
uno a cultivar la huerta,
otro a cuidar los merinos,
y dio el menor a la Iglesia.   Mucha sangre de Caín
tiene la gente labriega,
y en el hogar campesino
armó la envidia pelea.   Casáronse los mayores;
tuvo Alvargonzález nueras,
que le trajeron cizaña,
antes que nietos le dieran.   La codicia de los campos
ve tras la muerte la herencia;
no goza de lo que tiene
por ansia de lo que espera.   El menor, que a los latines
prefería las doncellas
hermosas y no gustaba
de vestir por la cabeza,
colgó la sotana un día
y partió a lejanas tierras.La madre lloró, y el padre
diole bendición y herencia.   Alvargonzález ya tiene
la adusta frente arrugada,
por la barba le platea
la sombra azul de la cara.   Una mañana de otoño
salió solo de su casa;
no llevaba sus lebreles,
agudos canes de caza;

  iba triste y pensativo
por la alameda dorada;
anduvo largo camino
y llegó a una fuente clara.   Echóse en la tierra; puso
sobre una piedra la manta,
y a la vera de la fuente
durmió al arrullo del agua.   Y Alvargonzález veía,
como Jacob, una escala
que iba de la tierra al cielo,
y oyó una voz que le hablaba.Mas las hadas hilanderas,
entre las vedijas blancas
y vellones de oro, han puesto
un mechón de negra lana.Tres niños están jugando
a la puerta de su casa;
entre los mayores brinca
un cuervo de negras alas.La mujer vigila, cose
y, a ratos, sonríe y canta.-Hijos, ¿qué hacéis? -les pregunta.Ellos se miran y callan.-Subid al monte, hijos míos,
y antes que la noche caiga,
con un brazado de estepas
hacedme una buena llama.   Sobre el lar de Alvargonzález
está la leña apilada;
el mayor quiere encenderla,
pero no brota la llama.-Padre, la hoguera no prende,
está la estepa mojada.   Su hermano viene a ayudarle
y arroja astillas y ramas
sobre los troncos de roble;
pero el rescoldo se apaga.Acude el menor, y enciende,
bajo la negra campana
de la cocina, una hoguera
que alumbra toda la casa.   Alvargonzález levanta
en brazos al más pequeño
y en sus rodillas lo sienta;-Tus manos hacen el fuego;
aunque el último naciste
tú eres en mi amor primero.   Los dos mayores se alejan
por los rincones del sueño.
Entre los dos fugitivos
reluce un hacha de hierro.   Sobre los campos desnudos,
la luna llena manchada
de un arrebol purpurino,
enorme globo, asomaba.Los hijos de Alvargonzález
silenciosos caminaban,
y han visto al padre dormido
junto de la fuente clara.   Tiene el padre entre las cejas
un ceño que le aborrasca
el rostro, un tachón sombrío
como la huella de un hacha.Soñando está con sus hijos,
que sus hijos lo apuñalan;
y cuando despierta mira
que es cierto lo que soñaba.   A la vera de la fuente
quedó Alvargonzález muerto.Tiene cuatro puñaladas
entre el costado y el pecho,
por donde la sangre brota,
más un hachazo en el cuello.Cuenta la hazaña del campo
el agua clara corriendo,
mientras los dos asesinos
huyen hacia los hayedos.Hasta la Laguna Negra,
bajo las fuentes del Duero,
llevan el muerto, dejando
detrás un rastro sangriento,
y en la laguna sin fondo,
que guarda bien los secretos,
con una piedra amarrada
a los pies, tumba le dieron.   Se encontró junto a la fuente
la manta de Alvargonzález,
y, camino del hayedo,
se vio un reguero de sangre.Nadie de la aldea ha osado
a la laguna acercarse,
y el sondarla inútil fuera,
que es la laguna insondable.Un buhonero, que cruzaba
aquellas tierras errante,
fue en Dauria acusado, preso
y muerto en garrote infame.   Pasados algunos meses,
la madre murió de pena.Los que muerta la encontraron
dicen que las manos yertas
sobre su rostro tenía,
oculto el rostro con ellas.   Los hijos de Alvargonzález
ya tienen majada y huerta,
campos de trigo y centeno
y prados de fina hierba;
en el olmo viejo, hendido
por el rayo, la colmena,
dos yuntas para el arado,
un mastín y mil ovejas.
    Ya están las zarzas floridas
y los ciruelos blanquean;
ya las abejas doradas
liban para sus colmenas,
y en los nidos, que coronan
las torres de las iglesias,
asoman los garabatos
ganchudos de las cigüeñas.Ya los olmos del camino
y chopos de las riberas
de los arroyos, que buscan
al padre Duero, verdean.El cielo está azul, los montes
sin nieve son de violeta.La tierra de Alvargonzález
se colmará de riqueza;
muerto está quien la ha labrado,
mas no le cubre la tierra.   La hermosa tierra de España
adusta, fina y guerrera
Castilla, de largos ríos,
tiene un puñado de sierras
entre Soria y Burgos como
reductos de fortaleza,
como yelmos crestonados,
y Urbión es una cimera.   Los hijos de Alvargonzález,
por una empinada senda,
para tomar el camino
de Salduero a Covaleda,
cabalgan en pardas mulas,
bajo el pinar de Vinuesa.Van en busca de ganado
con que volver a su aldea,
y por tierra de pinares
larga jornada comienzan.Van Duero arriba, dejando
atrás los arcos de piedra
del puente y el caserío
de la ociosa y opulenta
villa de indianos. El río
al fondo del valle, suena,
y de las cabalgaduras
los cascos baten las piedras.A la otra orilla del Duero
canta una voz lastimera:«La tierra de Alvargonzález
se colmará de riqueza,
y el que la tierra ha labrado
no duerme bajo la tierra.»   Llegados son a un paraje
en donde el pinar se espesa,
y el mayor, que abre la marcha,
su parda mula espolea,
diciendo: -Démonos prisa;
porque son más de dos leguas
de pinar y hay que apurarlas
antes que la noche venga.Dos hijos del campo, hechos
a quebradas y asperezas,
porque recuerdan un día
la tarde en el monte tiemblan.Allá en lo espeso del bosque
otra vez la copla suena:«La tierra de Alvargonzález
se colmará de riqueza,
y el que la tierra ha labrado
no duerme bajo la tierra».   Desde Salduero el camino
va al hilo de la ribera;
a ambas márgenes del río
el pinar crece y se eleva,
y las rocas se aborrascan,
al par que el valle se estrecha.Los fuertes pinos del bosque
con sus copas gigantescas
y sus desnudas raíces
amarradas a las piedras;
los de troncos plateados
cuyas frondas azulean,
pinos jóvenes; los viejos,
cubiertos de blanca lepra,
musgos y líquenes canos
que el grueso tronco rodean,
colman el valle y se pierden
rebasando ambas laderasJuan, el mayor, dice: -Hermano,
si Blas Antonio apacienta
cerca de Urbión su vacada,
largo camino nos queda.-Cuando hacia Urbión alarguemos
se puede acortar de vuelta,
tomando por el atajo,
hacia la Laguna Negra
y bajando por el puerto
de Santa Inés a Vinuesa.-Mala tierra y peor camino.
Te juro que no quisiera
verlos otra vez. Cerremos
los tratos en Covaleda;
hagamos noche y, al alba,
volvámonos a la aldea
por este valle, que, a veces,
quien piensa atajar rodea.Cerca del río cabalgan
los hermanos, y contemplan
cómo el bosque centenario,
al par que avanzan, aumenta,
y la roqueda del monte
el horizonte les cierra.El agua, que va saltando,
parece que canta o cuenta:«La tierra de Alvargonzález
se colmará de riqueza,
y el que la tierra ha labrado
no duerme bajo la tierra».
    Aunque la codicia tiene
redil que encierre la oveja,
trojes que guarden el trigo,
bolsas para la moneda,
y garras, no tiene manos
que sepan labrar la tierra.Así, a un año de abundancia
siguió un año de pobreza.   En los sembrados crecieron
las amapolas sangrientas;
pudrió el tizón las espigas
de trigales y de avenas;
hielos tardíos mataron
en flor la fruta en la huerta,
y una mala hechicería
hizo enfermar las ovejas.A los dos Alvargonzález
maldijo Dios en sus tierras,
y al año pobre siguieron
largos años de miseria.   Es una noche de invierno.
Cae la nieve en remolinos.
Los Alvargonzález velan
un fuego casi extinguido.El pensamiento amarrado
tienen a un recuerdo mismo,
y en las ascuas mortecinas
del hogar los ojos fijos.No tienen leña ni sueño.Larga es la noche y el frío
arrecia. Un candil humea
en el muro ennegrecido.El aire agita la llama,
que pone un  fulgor rojizo
sobre las dos pensativas 
testas de los asesinos.El mayor de Alvargonzález,
lanzando un ronco suspiro,
rompe el silencio, exclamando:-Hermano, ¡qué mal hicimos!El viento la puerta bate
hace temblar el postigo,
y suena en la chimenea
con hueco y largo bramido.Después, el silencio vuelve,
y a intervalos el pabilo
del candil chisporrotea
en el aire aterecido.El segundo dijo: -Hermano,
¡demos lo viejo al olvido!

  Es una noche de invierno.
Azota el viento las ramas
de los álamos. La nieve
ha puesto la tierra blanca.Bajo la nevada, un hombre
por el camino cabalga;
va cubierto hasta los ojos,
embozado en negra capa.Entrado en la aldea, busca
de Alvargonzález la casa,
y ante su puerta llegado,
sin echar pie a tierra, llama.   Los dos hermanos oyeron
una aldabada a la puerta,
y de una cabalgadura
los cascos sobre las piedras.Ambos los ojos alzaron
llenos de espanto y sorpresa.-¿Quién es?  Responda -gritaron.-Miguel -respondieron fuera.Era la voz del viajero
que partió a lejanas tierras.   Abierto el portón, entróse
a caballo el caballero
y echó pie a tierra. Venía
todo de nieve cubierto.En brazos de sus hermanos
lloró algún rato en silencio.Después dio el caballo al uno,
al otro, capa y sombrero,
y en la estancia campesina
buscó el arrimo del fuego.   El menor de los hermanos,
que niño y aventurero
fue más allá de los mares
y hoy torna indiano opulento,
vestía con ***** traje
de peludo terciopelo,
ajustado a la cintura
por ancho cinto de cuero.Gruesa cadena formaba
un bucle de oro en su pecho.Era un hombre alto y robusto,
con ojos grandes y negros
llenos de melancolía;
la tez de color moreno,
y sobre la frente comba
enmarañados cabellos;
el hijo que saca porte
señor de padre labriego,
a quien fortuna le debe
amor, poder y dinero.
De los tres Alvargonzález
era Miguel el más bello;
porque al mayor afeaba
el muy poblado entrecejo
bajo la frente mezquina,
y al segundo, los inquietos
ojos que mirar no saben
de frente, torvos y fieros.   Los tres hermanos contemplan
el triste hogar en silencio;
y con la noche cerrada
arrecia el frío y el viento.-Hermanos, ¿no tenéis leña?-dice Miguel.             -No tenemos
-responde el mayor.               Un hombre,
milagrosamente, ha abierto
la gruesa puerta cerrada
con doble barra de hierro.

El hombre que ha entrado tiene
el rostro del padre muerto.Un halo de luz dorada
orla sus blancos cabellos.
Lleva un haz de leña al hombro
y empuña un hacha de hierro.   De aquellos campos malditos,
Miguel a sus dos hermanos
compró una parte, que mucho
caudal de América trajo,
y aun en tierra mala, el oro
luce mejor que enterrado,
y más en mano de pobres
que oculto en orza de barro.   Diose a trabajar la tierra
con fe y tesón el indiano,
y a laborar los mayores
sus pegujales tornaron.   Ya con macizas espigas,
preñadas de rubios granos,
a los campos de Miguel
tornó el fecundo verano;
y ya de aldea en aldea
se cuenta como un milagro,
que los asesinos tienen
la maldición en sus campos.   Ya el pueblo canta una copla
que narra el crimen pasado:«A la orilla de la fuente
lo asesinaron.¡qué mala muerte le dieron
los hijos malos!En la laguna sin fondo
al padre muerto arrojaron.No duerme bajo la tierra
el que la tierra ha labrado».   Miguel, con sus dos lebreles
y armado de su escopeta,
hacia el azul de los montes,
en una tarde serena,
caminaba entre los verdes
chopos de la carretera,
y oyó una voz que cantaba:«No tiene tumba en la tierra.
Entre los pinos del valle
del Revinuesa,
al padre muerto llevaron
hasta la Laguna Negra».
    La casa de Alvargonzález
era una casona vieja,
con cuatro estrechas ventanas,
separada de la aldea
cien pasos y entre dos olmos
que, gigantes centinelas,
sombra le dan en verano,
y en el otoño hojas secas.   Es casa de labradores,
gente aunque rica plebeya,
donde el hogar humeante
con sus escaños de piedra
se ve sin entrar, si tiene
abierta al campo la puerta.   Al arrimo del rescoldo
del hogar borbollonean
dos pucherillos de barro,
que a dos familias sustentan.   A diestra mano, la cuadra
y el corral; a la siniestra,
huerto y abejar, y, al fondo,
una gastada escalera,
que va a las habitaciones
partidas en dos viviendas.   Los Alvargonzález moran
con sus mujeres en ellas.
A ambas parejas que hubieron,
sin que lograrse pudieran,
dos hijos, sobrado espacio
les da la casa paterna.   En una estancia que tiene
luz al huerto, hay una mesa
con gruesa tabla de roble,
dos sillones de vaqueta,
colgado en el muro, un *****
ábaco de enormes cuentas,
y unas espuelas mohosas
sobre un arcón de madera.   Era una estancia olvidada
donde hoy Miguel se aposenta.
Y era allí donde los padres
veían en primavera
el huerto en flor, y en el cielo
de mayo, azul, la cigüeña
-cuando las rosas se abren
y los zarzales blanquean-
que enseñaba a sus hijuelos
a usar de las alas lentas.   Y en las noches del verano,
cuando la calor desvela,
desde la ventana al dulce
ruiseñor cantar oyeran.   Fue allí donde Alvargonzález,
del orgullo de su huerta
y del amor a los suyos,
sacó sueños de grandeza.   Cuando en brazos de la madre
vio la figura risueña
del primer hijo, bruñida
de rubio sol la cabeza,
del niño que levantaba
las codiciosas, pequeñas
manos a las rojas guindas
y a las moradas ciruelas,
o aquella tarde de otoño,
dorada, plácida y buena,
él pensó que ser podría
feliz el hombre en la tierra.   Hoy canta el pueblo una copla
que va de aldea en aldea:«¡Oh casa de Alvargonzález,
qué malos días te esperan;
casa de los asesinos,
que nadie llame a tu puerta!»   Es una tarde de otoño.
En la alameda dorada
no quedan ya ruiseñores;
enmudeció la cigarra.   Las últimas golondrinas,
que no emprendieron la marcha,
morirán, y las cigüeñas
de sus nidos de retamas,
en torres y campanarios,
huyeron.           Sobre la casa
de Alvargonzález, los olmos
sus hojas que el viento arranca
van dejando. Todavía
las tres redondas acacias,
en el atrio de la iglesia,
conservan verdes sus ramas,
y las castañas de Indias
a intervalos se desgajan
cubiertas de sus erizos;
tiene el rosal rosas grana
otra vez, y en las praderas
brilla la alegre otoñada.   En laderas y en alcores,
en ribazos y en cañadas,
el verde nuevo y la hierba,
aún del estío quemada,
alternan; los serrijones
pelados, las lomas calvas,
se coronan de plomizas
nubes apelotonadas;
y bajo el pinar gigante,
entre las marchitas zarzas
y amarillentos helechos,
corren las crecidas aguas
a engrosar el padre río
por canchales y barrancas.   Abunda en la tierra un gris
de plomo y azul de plata,
con manchas de roja herrumbre,
todo envuelto en luz violada.   ¡Oh tierras de Alvargonzález,
en el corazón de España,
tierras pobres, tierras tristes,
tan tristes que tienen alma!   Páramo que cruza el lobo
aullando a la luna clara
de bosque a bosque, baldíos
llenos de peñas rodadas,
donde roída de buitres
brilla una osamenta blanca;
pobres campos solitarios
sin caminos ni posadas,¡oh pobres campos malditos,
pobres campos de mi patria!
    Una mañana de otoño,
cuando la tierra se labra,
Juan y el indiano aparejan
las dos yuntas de la casa.
Martín se quedó en el huerto
arrancando hierbas malas.   Una mañana de otoño,
cuando los campos se aran,
sobre un otero, que tiene
el cielo de la mañana
por fondo, la parda yunta
de Juan lentamente avanza.   Cardos, lampazos y abrojos,
avena loca y cizaña,
llenan la tierra maldita,
tenaz a pico y a escarda.   Del corvo arado de roble
la hundida reja trabaja
con vano esfuerzo; parece,
que al par que hiende la entraña
del campo y hace camino
se cierra otra vez la zanja.   «Cuando el asesino labre
será su labor pesada;
antes que un surco en la tierra,
tendrá una arruga en su cara».   Martín, que estaba en la huerta
cavando, sobre su azada
quedó apoyado un momento;
frío sudor le bañaba
el rostro.           Por el Oriente,
la luna llena, manchada
de un arrebol purpurino,
lucía tras de la tapia
del huerto.           Martín tenía
la sangre de horror helada.
La azada que hundió en la tierra
teñida de sangre estaba.   En la tierra en que ha nacido
supo afincar el indiano;
por mujer a una doncella
rica y hermosa ha tomado.   La hacienda de Alvargonzález
ya es suya, que sus hermanos
todo le vendieron: casa,
huerto, colmenar y campo.   Juan y Martín, los mayores
de Alvargonzález, un
Juan y Margot, dos ángeles hermanos
Que embellecen mi hogar con sus cariños
Se entretienen con juegos tan humanos
Que parecen personas desde niños.

Mientras Juan, de tres años, es soldado
Y monta en una caña endeble y hueca,
Besa Margot con labios de granado
Los labios de cartón de su muñeca.

Lucen los dos sus inocentes galas,
Y alegres sueñan en tan dulces lazos;
Él, que cruza sereno entre las balas;
Ella, que arrulla un niño entre sus brazos.

Puesto al hombro el fusil de hoja de lata,
El kepis de papel sobre la frente,
Alienta el niño en su inocencia grata
El orgullo viril de ser valiente.

Quizá piensa, en sus juegos infantiles,
Que en este mundo que su afán recrea,
Son como el suyo todos los fusiles
Con que la torpe humanidad pelea.

Que pesan poco, que sin odios lucen,
Que es igual el más débil el más fuerte,
Y que, si se disparan, no producen
Humo, fragor, consternación y muerte.

¡Oh, misteriosa condición humana!
Siempre lo opuesto buscas en la tierra;
Ya delira Margot por ser anciana,
Y Juan, que vive en paz, ama la guerra.

Mirándoles jugar me aflijo y callo:
¿Cuál será sobre el mundo su fortuna?
Sueña el niño con armas y caballo,
La niña con velar junto a la cuna.

El uno corre de entusiasmo ciego,
La niña arrulla a su muñeca inerme,
Y mientas grita el uno: Fuego! fuego,
La otra murmura triste: Duerme, duerme.

A mi lado ante juegos tan extraños
Concha, la primogénita, me mira:
¡Es toda una persona de ses años
Que charla, que comenta y que suspira!

¿Por qué inclina su lánguida cabeza
Mientras deshoja inquieta algunas flores?
¿Será la que ha heredado mi tristeza?
¿Será la que comprende mis dolores?

Cuando me rindo del dolor al peso,
Cuando la negra duda me avasalla,
Se me cuelga del cuello, me da un beso,
Se le saltan las lágrimas y calla.

Sueltas sus trenzas claras y sedosas,
Y oprimiendo mi mano entre sus manos,
Parece que medita en muchas cosas
Al mirar cómo juegan sus hermanos.

Margot, que canta en madre transformada,
Y arrulla a un hijo que jamás se queja,
Ni tiene que llorar desengañada,
Ni el hijo crece, ni se vuelve vieja.

Y este guerrero audaz de tres abriles
Que ya se finge apuesto caballero,
No logra en sus campañas infantiles
Manchar con sangre y lágrimas su acero.

¡Inocencia! ¡Niñez! ¡Dichosos nombres!
Amo tus goces, busco tus cariños;
Cómo han de ser los sueños de los hombres,
Más dulces que los sueños de los niños!

¡Oh, mis hijos! No quiera la fortuna
Turbar jamás vuestra inocente calma,
No dejéis esa espada ni esa cuna:
¡Cuando son de verdad, matan el alma!
tangshunzi Jul 2014
Ogni giorno si arriva a caratterizzare splendido lavoro di Lindsay Madden su SMP è un buon giorno .Ma un giorno in cui si arriva a caratterizzare un intero weekend di festeggiamenti splendidamente fotografato in Turk e Caicos ?Ebbene .non vi è un aggettivo nell'intera dizionario che può descrivere questo.Ma non significa che non si può godere fino all'ultimo abiti da sposa 2014 secondo della loro ripresa amore .cena di benvenuto e matrimonio sotto - e naturalmente c'è ancora di più vi aspetta qui .Oggi è un buon giorno davvero .


Da Lindsay Madden Fotografia .. Chris \u0026Laura ha optato per un amore tiro tropicale prima del giorno delle nozze per documentare il loro tempo speso su Turks e Caicos .Questi vestiti da sposa due erano così felice .rilassato ein amore .Mi è piaciuto molto trascorrere il pomeriggio catturare il loro amore bello sulla morbida sabbia fine e le acque turchesi di Grace Bay .


Da Lindsay Madden Fotografia.Come l'azzurro del cielo ha dato rapidamente il posto a un tramonto pesca.Laura .Chris \u0026i loro ospiti si stabilirono in sul ​​ponte ovest del Seven Stars Resort per Chris e la cena di benvenuto di Laura .Lanterne appeso da una palma all'altra e gli ospiti aveva una vista mozzafiato del tramonto sulla Grace Bay .Questo è stato Chris \u0026Weekend di nozze di Laura calcio d'inizio !Dopo una deliziosa cena tutti hanno fatto la loro strada verso la spiaggia per un falò completo di smores \u0026uno dei principali dance party grazie alla fascia isole Junkanoo .abbiamo FUNK .

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Da Lindsay Madden Photography.Turks e Caicos è un posto davvero speciale per avere un matrimonio di destinazione .Laura \u0026Chris sono nativi newyorkesi e condividere il mio amore \u0026affetto per i Caraibi .Così.quando mi hanno chiesto di volare giù per il paradiso per il loro matrimonio .io .ovviamente .ha detto di sì !Hanno scelto di sposarsi presso il Seven Stars Resort che si trova proprio sulla Grace Bay .La loro cerimonia ha avuto luogo sulla sabbia calda circa un'ora prima del tramonto del sole e il loro cocktail ora / ricevimento si è tenuto in Apollo suite dell'hotel.La suite in sé era un attico con vista sull'oceano e questo ha offerto Chris e ospiti una vista mozzafiato di Laura del tramonto durante l' ora del cocktail e posti in prima fila per la loro sorpresa fuochi d'artificio alla fine della notte .Fiori per Arts ambientali decorato la suite con bellissimi fiori dell'isola \u0026candele.L'atmosfera era calda einvitante che era perfetto per la loro storia intima.Chris \u0026Laura sorrise e si mise a ridere per tutta la giornata



e ** avuto la fortuna di catturare il loro sforzo bel matrimonio di destinazione.
Fotografia : Lindsay Madden Fotografia | Event Planner : NILA Eventi - Lynne Watts | Cake: Seven Stars Resort | Inviti : Jessica Leigh Paperie | Scarpe da sposa : Nine West | Wedding abiti da sposa 2014 Bands : Cartier | Scarpe sposo : Louis Vuitton | vestito dello sposo :su ordine dalla My.Suit | Bikini : lavanderia da Shelli Segal | Dress \u0026 Velo da sposa : Cymbeline | Chris ' Swim Trunks : Vilebrequin | Fuochi d'artificio : Seven Stars Resort | Fiori \u0026 Lighting : Fiori per Arte ambientale { Turks \u0026 Caicos } | Hair \u0026Make Up : Sheque da Shenique | Pantaloni di Laura : Letarte | Località : Seven Stars Resort .Turks e Caicos | Località : West Deck .Seven Stars Resort .Turks e Caicos | Posizione : Grace Bay.Turks e Caicos | Cappello per il sole : Joe FreshLindsay Madden Fotografiaè ñ/ a> e Nila Le destinazioni sono membri del nostro Little Black Book .Scopri come i membri sono scelti visitando la nostra pagina delle FAQ .Lindsay Madden Fotografia vedi portfolio Nila Meta vedi
http://www.belloabito.com/abiti-da-sposa-c-1
http://188.138.88.219/imagesld/td//t35/productthumb/1/986535353535_395299.jpeg
http://www.belloabito.com/goods.php?id=637
Turks e Caicos Wedding Weekend da Lindsay Madden Fotografia_abiti da sposa corti
«¿Hacia dónde?» dicen todos,
«Otra vez a España?»
                                -«Al centro,
A conquistar nuevas tierras,
Listo el brazo y firme el pecho.
Río arriba, que hay un río
Que vendrá desde muy lejos.
Habrá en sus orillas oro;
Riquezas habrá en su extremo.
Ese río es el camino,
Ante nosotros abierto,
Para la fortuna. ¡Vamos,
Los que no sepáis de miedo!»

«¿Miedo? Nadie lo conoce».
Todos a una dijeron.

Y en ir y venir constante
Es grande alborozo el puerto
De Santa Marta ese día
De Abril de mil y quinientos
Treinta y seis de nuestra Era.
El Licenciado en Derecho
Don Gonzalo de Jiménez
De Quesada, airoso, erecto,
En el casco blancas plumas
Que agita el marino viento;
Con la luciente coraza
Guarnecido el noble pecho,
Y el pendón de Carlos Quinto
En la diestra mano irguiendo,
Ve ante él desfilar su tropa:
Sus hombres son ochocientos;
Y ochenta y cinco jinetes,
Y aborígenes flecheros.

Fray Domingo de Las Casas,
En el aire mañanero
Alza la mano y bendice,
Pidiendo el favor del Cielo.

Todos inclinan la frente,
Y en fila siguen al puerto.
Las lonas y cabrestantes
Aprestan los marineros,
Y cabecean los barcos
En el mar, diáfano espejo.

En carabelas van unos
Y en bergantines ligeros;
Otros partirán por tierra:
Todos de ánimo resuelto.

-«¡Adiós!» -
«¡Adiós!»...
                                    Tras fatigas
Unos, contra el mar violento
Luchando, y sus bergantines
Por ciclones, rotos viendo;
Y los otros, que en el bosque
Van despejando sendero,
En Malambo, sobre el río,
Se unen al fin. Desaliento
Profundo embarga sus almas,
Y en airada voz dijeron:

-«¿Avanzar? ¡Es imposible!
Para el mar nos volveremos».

Don Gonzalo pensativo,
Ante ese gran desconsuelo,
Le dice al Padre Las Casas,
Ante el peligro, sereno:
«Como voz terrena falla,
Habladles con voz de cielo».

En el arenal del río
Que desciende amarillento
Sobre tabla que se apoya
En recién cortados leños,
Un crucifijo se yergue,
Un cáliz y un Evangelio;
Y terminada la misa
Entre alboroto del viento
Y entre el rumor de la selva,
Dice el fraile:

                      «Llegó el tiempo
De que a los reinos de Cristo
Unamos un nuevo reino»

Y se vio trocado en gozo
Entonces el desaliento


¡Río arriba!... Unos por agua,
Otros por tierra. Al estrépito
De las voces de «¡¡Adelante!!»
Se unió el rimbombo del trueno.
Fúlgidos rayos cruzaron
El espacio ceniciento.
Borrose el sol. De las fieras,
Por entre el follaje espeso,
Llegaban roncos rugidos;
Y torrencial aguacero
Cayó de pronto. La oril la
Fue entonces pantano inmenso.
Unos subían el río;
Otros, bajo árboles, quietos;
Y la tormenta seguía
Los árboles sacudiendo.
Eran torrentes los caños,
Y entre ese fragor siniestro
Sobre las carnes de todos
Caían nubes de insectos,
Arañas, negras avispas,
Jején y tábanos fieros,
Que en encendidas ampollas
Les convertían el cuerpo.

Amarrados a los troncos
Se columbraban muy lejos
Los barcos. Y los infantes
De los raudales huyendo,
Sobre horcones cavilaban,
Mirando inundado el suelo,
Cómo esa noche podrían
El cuerpo entregar al sueño.
Charco enorme era la tierra;
Seguía el río creciendo
Y en los gajos de los árboles
Eran los aventureros
De ese día -y que muy pronto
De un mundo serían dueños-
Pájaros que disputaban
A los pájaros sus lechos.

De vez en cuando caía,
Con rudo golpe, uno al suelo:
De los audaces «chimilas»
Bajo el venablo certero.

«¿Hacia donde?» -preguntaban,
Y Quesada, duro el ceño,
A caballo respondía:
«Río arriba, que esto es nuéstro»

Y el pendón de Carlos Quinto
Erguía entre el aguacero.

Cerca un tigre. De otro tigre
El rugir se oía lejos.

Un alto al fin. En «Barranca
Bermeja»... Entre el desaliento
Estalla el tumulto, y todos
Piden hacia el mar regreso.
-«¿Para qué bellos pasajes
En desamparo y enfermos?»
Así decían. Quesada
Sin vacilar en su empeño.

Por el Opón, dos canoas
Envía Quesada. El cielo
Es viva paleta. El ánimo
Volver parece a sus pechos.
Se alza la luna. Vihuelas
Y voces forman concento:
La primera serenata
Bajo centenarios cedros
A la orilla del gran río
Que desciende soñoliento,
Llevando en sus aguas, troncos
Vivos: los saurios; y muertos
Troncos, que arrancó en la playa
La corriente con estrépito.

En tanto, Quesada sueña;
Soñando está, mas despierto.
Piensa en rejas andaluzas
Y en algunos ojos negros;
Y como es poeta, entonces
Fulge en su memoria un verso,
-¿Quién un verso no recuerda
En sus noches de desvelo,
Un verso que muchas veces
Es lágrima de otro tiempo?-
Y evocando a Santillana
Ya su «Vaqueira», un ensueño
Radioso se alza en su mente,
Visión de gloria: otro reino
Para España, que en el mundo
Habrá de extender su imperio.
«España y amor», murmura,
Y a sus ojos baja el sueño.

Y regresan las canoas:
Traen sal y  traen lienzos;
Y todos alborazados,
Delante de un mundo nuevo
Surcan del Opón las aguas,
De la gloria aventureros;
Y a las serranías suben:
Sementeras, chozas, huertos,
Cielo distinto, otros campos,
Vegas  y valles y cerros,
En donde sopla en el día
Y en las noches aire fresco
Y después, la gran llanura
Que se abre a sus ojos, lejos:
Nuevo día. Bella aurora;
Azul y radiante el cielo,
Y entre silbido de flechas,
Al frente los macheteros.
Troncos iban derribando
Que tendían en deshechos
Raudales, cual recios puentes
De infantes y caballeros,
Mientras serpientes enormes
Entre el matorral espeso
Deslizábanse, y arteras
Dejaban mortal veneno
En las carnes de esos bravos
Postrados por hambre y sueño.
Unos caían. Los otros
Marchaban, camino abriendo
Entre trabas de bejucos
Y árboles corpulentos.

Para comida, raices,
Y hojas y barro, por lecho.
Saltaba un tigre de pronto
Entre la noche, uno menos.

Otro día. Azul y gualda
Y rojo. Horizonte espléndido.
Cada rama era una libre
Jaula a las aves del cielo.
Brilla la esperanza. Entonces
Temblando de fiebre, regios
Palacios, veían, oro
Y más oro entre sus sueños
De sobresalto en la selva;
Pero de repente el trueno
Retumbaba en el espacio
Y y volvía el desaliento...
Y luego... a buscar raíces,
Entre tupidos helechos ,
Donde arañas y serpientes
Acechaban en silencio

Tarde radiante del trópico...
Rojos celajes. En vuelo
Perezoso van las garzas
Por los dormidos esteros;
En la orilla esperan otras
A los peces, vivo argento
Las escamas, que en los picos
Un instante brillan luego,
En tanto que albas corolas
Mueve el aura sobre el cieno.
En la playa, centenares
De saurios se mueven lentos
Grandes bandadas de pájaros,
Azules, verdes y negros
Pasan ¡La tarde del trópico!
El sol es un rojo incendio...
«El valle de los alcázares»,
Como en un deslumbramiento.

Tan sólo ciento sesenta
Han llegado. Setecientos
Marcaron con sus cadáveres
El recorrido sendero.

Y aquellos desconocidos,
Terrones de gleba; aquellos
Que de humildes heredades
A heroica aventura fueron,
No pensaron quizá entonces,
De sólo harapos cubiertos,
Pordioseros de la gloria,
Mientras Quesada su acero
Alzaba en tierras del Zipa,
Que el suelo hollado por ellos
Iba, cual florón de España,
A ensanchar el universo.
Recuerde el alma dormida,
avive el seso e despierte
  contemplando
cómo se passa la vida,
cómo se viene la muerte
  tan callando;
  cuán presto se va el plazer,
cómo, después de acordado,
  da dolor;
cómo, a nuestro parescer,
cualquiere tiempo passado
  fue mejor.

  Pues si vemos lo presente
cómo en un punto s'es ido
  e acabado,
si juzgamos sabiamente,
daremos lo non venido
  por passado.
  Non se engañe nadi, no,
pensando que ha de durar
  lo que espera
más que duró lo que vio,
pues que todo ha de passar
  por tal manera.

  Nuestras vidas son los ríos
que van a dar en la mar,
  qu'es el morir;
allí van los señoríos
derechos a se acabar
  e consumir;
  allí los ríos caudales,
allí los otros medianos
  e más chicos,
allegados, son iguales
los que viven por sus manos
  e los ricos.

  Dexo las invocaciones
de los famosos poetas
  y oradores;
non curo de sus ficciones,
que traen yerbas secretas
  sus sabores.
  Aquél sólo m'encomiendo,
Aquél sólo invoco yo
  de verdad,
que en este mundo viviendo,
el mundo non conoció
  su deidad.

  Este mundo es el camino
para el otro, qu'es morada
  sin pesar;
mas cumple tener buen tino
para andar esta jornada
  sin errar.
  Partimos cuando nascemos,
andamos mientra vivimos,
  e llegamos
al tiempo que feneçemos;
assí que cuando morimos,
  descansamos.

  Este mundo bueno fue
si bien usásemos dél
  como debemos,
porque, segund nuestra fe,
es para ganar aquél
  que atendemos.
  Aun aquel fijo de Dios
para sobirnos al cielo
  descendió
a nescer acá entre nos,
y a vivir en este suelo
  do murió.

  Si fuesse en nuestro poder
hazer la cara hermosa
  corporal,
como podemos hazer
el alma tan glorïosa
  angelical,
  ¡qué diligencia tan viva
toviéramos toda hora
  e tan presta,
en componer la cativa,
dexándonos la señora
  descompuesta!

  Ved de cuán poco valor
son las cosas tras que andamos
  y corremos,
que, en este mundo traidor,
aun primero que muramos
  las perdemos.
  Dellas deshaze la edad,
dellas casos desastrados
  que acaeçen,
dellas, por su calidad,
en los más altos estados
  desfallescen.

  Dezidme: La hermosura,
la gentil frescura y tez
  de la cara,
la color e la blancura,
cuando viene la vejez,
  ¿cuál se para?
  Las mañas e ligereza
e la fuerça corporal
  de juventud,
todo se torna graveza
cuando llega el arrabal
  de senectud.

  Pues la sangre de los godos,
y el linaje e la nobleza
  tan crescida,
¡por cuántas vías e modos
se pierde su grand alteza
  en esta vida!
  Unos, por poco valer,
por cuán baxos e abatidos
  que los tienen;
otros que, por non tener,
con oficios non debidos
  se mantienen.

  Los estados e riqueza,
que nos dexen a deshora
  ¿quién lo duda?,
non les pidamos firmeza.
pues que son d'una señora;
  que se muda,
  que bienes son de Fortuna
que revuelven con su rueda
  presurosa,
la cual non puede ser una
ni estar estable ni queda
  en una cosa.

  Pero digo c'acompañen
e lleguen fasta la fuessa
  con su dueño:
por esso non nos engañen,
pues se va la vida apriessa
  como sueño,
e los deleites d'acá
son, en que nos deleitamos,
  temporales,
e los tormentos d'allá,
que por ellos esperamos,
  eternales.

  Los plazeres e dulçores
desta vida trabajada
  que tenemos,
non son sino corredores,
e la muerte, la çelada
  en que caemos.
  Non mirando a nuestro daño,
corremos a rienda suelta
  sin parar;
desque vemos el engaño
y queremos dar la vuelta
  no hay lugar.

  Esos reyes poderosos
que vemos por escripturas
  ya passadas
con casos tristes, llorosos,
fueron sus buenas venturas
  trastornadas;
  assí, que no hay cosa fuerte,
que a papas y emperadores
  e perlados,
assí los trata la muerte
como a los pobres pastores
  de ganados.

  Dexemos a los troyanos,
que sus males non los vimos,
  ni sus glorias;
dexemos a los romanos,
aunque oímos e leímos
  sus hestorias;
  non curemos de saber
lo d'aquel siglo passado
  qué fue d'ello;
vengamos a lo d'ayer,
que también es olvidado
  como aquello.

  ¿Qué se hizo el rey don Joan?
Los infantes d'Aragón
  ¿qué se hizieron?
¿Qué fue de tanto galán,
qué de tanta invinción
  como truxeron?
  ¿Fueron sino devaneos,
qué fueron sino verduras
  de las eras,
las justas e los torneos,
paramentos, bordaduras
  e çimeras?

  ¿Qué se hizieron las damas,
sus tocados e vestidos,
  sus olores?
¿Qué se hizieron las llamas
de los fuegos encendidos
  d'amadores?
  ¿Qué se hizo aquel trovar,
las músicas acordadas
  que tañían?
¿Qué se hizo aquel dançar,
aquellas ropas chapadas
  que traían?

  Pues el otro, su heredero
don Anrique, ¡qué poderes
  alcançaba!
¡Cuánd blando, cuánd halaguero
el mundo con sus plazeres
  se le daba!
  Mas verás cuánd enemigo,
cuánd contrario, cuánd cruel
  se le mostró;
habiéndole sido amigo,
¡cuánd poco duró con él
  lo que le dio!

  Las dávidas desmedidas,
los edeficios reales
  llenos d'oro,
las vaxillas tan fabridas
los enriques e reales
  del tesoro,
  los jaezes, los caballos
de sus gentes e atavíos
  tan sobrados
¿dónde iremos a buscallos?;
¿qué fueron sino rocíos
  de los prados?

  Pues su hermano el innocente
qu'en su vida sucesor
  se llamó
¡qué corte tan excellente
tuvo, e cuánto grand señor
  le siguió!
  Mas, como fuesse mortal,
metióle la Muerte luego
  en su fragua.
¡Oh jüicio divinal!,
cuando más ardía el fuego,
  echaste agua.

  Pues aquel grand Condestable,
maestre que conoscimos
  tan privado,
non cumple que dél se hable,
mas sólo como lo vimos
  degollado.
  Sus infinitos tesoros,
sus villas e sus lugares,
  su mandar,
¿qué le fueron sino lloros?,
¿qué fueron sino pesares
  al dexar?

  E los otros dos hermanos,
maestres tan prosperados
  como reyes,
c'a los grandes e medianos
truxieron tan sojuzgados
  a sus leyes;
  aquella prosperidad
qu'en tan alto fue subida
  y ensalzada,
¿qué fue sino claridad
que cuando más encendida
  fue amatada?

  Tantos duques excelentes,
tantos marqueses e condes
  e varones
como vimos tan potentes,
dí, Muerte, ¿dó los escondes,
  e traspones?
  E las sus claras hazañas
que hizieron en las guerras
  y en las pazes,
cuando tú, cruda, t'ensañas,
con tu fuerça, las atierras
  e desfazes.

  Las huestes inumerables,
los pendones, estandartes
  e banderas,
los castillos impugnables,
los muros e balüartes
  e barreras,
  la cava honda, chapada,
o cualquier otro reparo,
  ¿qué aprovecha?
Cuando tú vienes airada,
todo lo passas de claro
  con tu flecha.

  Aquel de buenos abrigo,
amado, por virtuoso,
  de la gente,
el maestre don Rodrigo
Manrique, tanto famoso
  e tan valiente;
sus hechos grandes e claros
non cumple que los alabe,
  pues los vieron;
ni los quiero hazer caros,
pues qu'el mundo todo sabe
  cuáles fueron.

  Amigo de sus amigos,
¡qué señor para criados
  e parientes!
¡Qué enemigo d'enemigos!
¡Qué maestro d'esforçados
  e valientes!
  ¡Qué seso para discretos!
¡Qué gracia para donosos!
  ¡Qué razón!
¡Qué benino a los sujetos!
¡A los bravos e dañosos,
  qué león!

  En ventura, Octavïano;
Julio César en vencer
  e batallar;
en la virtud, Africano;
Aníbal en el saber
  e trabajar;
  en la bondad, un Trajano;
Tito en liberalidad
  con alegría;
en su braço, Aureliano;
Marco Atilio en la verdad
  que prometía.

  Antoño Pío en clemencia;
Marco Aurelio en igualdad
  del semblante;
Adriano en la elocuencia;
Teodosio en humanidad
  e buen talante.
  Aurelio Alexandre fue
en desciplina e rigor
  de la guerra;
un Constantino en la fe,
Camilo en el grand amor
  de su tierra.

  Non dexó grandes tesoros,
ni alcançó muchas riquezas
  ni vaxillas;
mas fizo guerra a los moros
ganando sus fortalezas
  e sus villas;
  y en las lides que venció,
cuántos moros e cavallos
  se perdieron;
y en este oficio ganó
las rentas e los vasallos
  que le dieron.

  Pues por su honra y estado,
en otros tiempos passados
  ¿cómo s'hubo?
Quedando desamparado,
con hermanos e criados
  se sostuvo.
  Después que fechos famosos
fizo en esta misma guerra
  que hazía,
fizo tratos tan honrosos
que le dieron aun más tierra
  que tenía.

  Estas sus viejas hestorias
que con su braço pintó
  en joventud,
con otras nuevas victorias
agora las renovó
  en senectud.
  Por su gran habilidad,
por méritos e ancianía
  bien gastada,
alcançó la dignidad
de la grand Caballería
  dell Espada.

  E sus villas e sus tierras,
ocupadas de tiranos
  las halló;
mas por çercos e por guerras
e por fuerça de sus manos
  las cobró.
  Pues nuestro rey natural,
si de las obras que obró
  fue servido,
dígalo el de Portogal,
y, en Castilla, quien siguió
  su partido.

  Después de puesta la vida
tantas vezes por su ley
  al tablero;
después de tan bien servida
la corona de su rey
  verdadero;
  después de tanta hazaña
a que non puede bastar
  cuenta cierta,
en la su villa d'Ocaña
vino la Muerte a llamar
  a su puerta,

  diziendo: "Buen caballero,
dexad el mundo engañoso
  e su halago;
vuestro corazón d'azero
muestre su esfuerço famoso
  en este trago;
  e pues de vida e salud
fezistes tan poca cuenta
  por la fama;
esfuércese la virtud
para sofrir esta afruenta
  que vos llama."

  "Non se vos haga tan amarga
la batalla temerosa
  qu'esperáis,
pues otra vida más larga
de la fama glorïosa
  acá dexáis.
  Aunqu'esta vida d'honor
tampoco no es eternal
  ni verdadera;
mas, con todo, es muy mejor
que la otra temporal,
  peresçedera."

  "El vivir qu'es perdurable
non se gana con estados
  mundanales,
ni con vida delectable
donde moran los pecados
  infernales;
  mas los buenos religiosos
gánanlo con oraciones
  e con lloros;
los caballeros famosos,
con trabajos e aflicciones
  contra moros."

  "E pues vos, claro varón,
tanta sangre derramastes
  de paganos,
esperad el galardón
que en este mundo ganastes
  por las manos;
e con esta confiança
e con la fe tan entera
  que tenéis,
partid con buena esperança,
qu'estotra vida tercera
  ganaréis."

  "Non tengamos tiempo ya
en esta vida mesquina
  por tal modo,
que mi voluntad está
conforme con la divina
  para todo;
  e consiento en mi morir
con voluntad plazentera,
  clara e pura,
que querer hombre vivir
cuando Dios quiere que muera,
  es locura."

  "Tú que, por nuestra maldad,
tomaste forma servil
  e baxo nombre;
tú, que a tu divinidad
juntaste cosa tan vil
  como es el hombre;
tú, que tan grandes tormentos
sofriste sin resistencia
  en tu persona,
non por mis merescimientos,
mas por tu sola clemencia
  me perdona".

  Assí, con tal entender,
todos sentidos humanos
  conservados,
cercado de su mujer
y de sus hijos e hermanos
  e criados,
  dio el alma a quien gela dio
(el cual la ponga en el cielo
  en su gloria),
que aunque la vida perdió,
dexónos harto consuelo
  su memoria.
Heme aquí ya, profesor
de lenguas vivas (ayer
maestro de gay-saber,
aprendiz de ruiseñor),
en un pueblo húmedo y frío,
destartalado y sombrío,
entre andaluz y manchego.Invierno. Cerca del fuego.
Fuera llueve un agua fina,
que ora se trueca en neblina,
ora se torna aguanieve.Fantástico labrador,
pienso en los campos.¡Señor
qué bien haces!  Llueve, llueve
tu agua constante y menuda
sobre alcaceles y habares,
tu agua muda,
en viñedos y olivares.Te bendecirán conmigo
los sembradores del trigo;
los que viven de coger
la aceituna;
los que esperan la fortuna
de comer;
los que hogaño,
como antaño,
tienen toda su moneda
en la rueda,
traidora rueda del año.¡Llueve, llueve; tu neblina
que se torne en aguanieve,
y otra vez en agua fina!¡Llueve, Señor, llueve, llueve!   En mi estancia, iluminada
por esta luz invernal
-la tarde gris tamizada
por la lluvia y el cristal-,
sueño y medito.                 Clarea
el reloj arrinconado,
y su tic-tic, olvidado
por repetido, golpea.Tic-tic, tic-tic... Ya te he oído.
Tic-tic, tic-tic... Siempre igual,
monótono y aburrido.Tic-tic, tic-tic, el latido
de un corazón de metal.En estos pueblos, ¿se escucha
el latir del tiempo?  No.En estos pueblos se lucha
sin tregua con el reló,
con esa monotonía
que mide un tiempo vacío.Pero ¿tu hora es la mía?
¿Tu tiempo, reloj, el mío?(Tic-tic, tic-tic...) Era un día
(Tic-tic, tic-tic) que pasó,
y lo que yo más quería
la muerte se lo llevó.   Lejos suena un clamoreo
de campanas...Arrecia el repiqueteo
de la lluvia en las ventanas.Fantástico labrador,
vuelvo a mis campos. ¡Señor,
cuánto te bendecirán
los sembradores del pan!Señor, ¿no es tu lluvia ley,
en los campos que ara el buey,
y en los palacios del rey?¡Oh, agua buena, deja vida
en tu huida!¡Oh, tú, que vas gota a gota,
fuente a fuente y río a río,
como este tiempo de hastío
corriendo a la mar remota,
en cuanto quiere nacer,
cuanto espera
florecer
al sol de la primavera,
sé piadosa,
que mañana
serás espiga temprana,
prado verde, carne rosa,
y más: razón y locura
y amargura
de querer y no poder
creer, creer y creer!   Anochece;
el hilo de la bombilla
se enrojece,
luego brilla,
resplandece
poco más que una cerilla.Dios sabe dónde andarán
mis gafas... entre librotes
revistas y papelotes,
¿quién las encuentra?... Aquí están.Libros nuevos. Abro uno
de Unamuno.¡Oh, el dilecto,
predilecto
de esta España que se agita,
porque nace o resucita!Siempre te ha sido, ¡oh Rector
de Salamanca!, leal
este humilde profesor
de un instituto rural.Esa tu filosofía
que llamas diletantesca,
voltaria y funambulesca,
gran don Miguel, es la mía.Agua del buen manantial,
siempre viva,
fugitiva;
poesía, cosa cordial.¿Constructora?-No hay cimiento
ni en el alma ni en el viento-.Bogadora,
marinera,
hacia la mar sin ribera.Enrique Bergson: Los datos
inmediatos
de la conciencia. ¿Esto es
otro embeleco francés?Este Bergson es un tuno;
¿verdad, maestro Unamuno?Bergson no da como aquel
Immanuel
el volatín inmortal;
este endiablado judío
ha hallado el libre albedrío
dentro de su mechinal.No está mal;
cada sabio, su problema,
y cada loco, su tema.Algo importa 
que en la vida mala y corta
que llevamos
libres o siervos seamos:
mas, si vamos
a la mar,
lo mismo nos ha de dar.¡Oh, estos pueblos!  Reflexiones,
lecturas y acotaciones
pronto dan en lo que son:
bostezos de Salomón.¿Todo es
soledad de soledades.
vanidad de vanidades,
que dijo el Eciesiastés?Mi paraguas, mi sombrero,
mi gabán...El aguacero
amaina...Vámonos, pues.   Es de noche. Se platica
al fondo de una botica.-Yo no sé,
don José,
cómo son los liberales
tan perros, tan inmorales.-¡Oh, tranquilícese usté!
Pasados los carnavales,
vendrán los conservadores,
buenos administradores
de su casa.Todo llega y todo pasa.
Nada eterno:
ni gobierno
que perdure,
ni mal que cien años dure.-Tras estos tiempos vendrán
otros tiempos y otros y otros,
y lo mismo que nosotros
otros se jorobarán.Así es la vida, don Juan.-Es verdad, así es la vida.
-La cebada está crecida.
-Con estas lluvias...
                    Y van
las habas que es un primor.
-Cierto; para marzo, en flor.
Pero la escarcha, los hielos...
-Y, además, los olivares
están pidiendo a los cielos
aguas a torrentes.
                  -A mares.¡Las fatigas, los sudores
que pasan los labradores!En otro tiempo...
                  Llovía
también cuando Dios quería.-Hasta mañana, señores.
  Tic-tic, tic-tic... Ya pasó
un día como otro día,
dice la monotonía
del reloj.   Sobre mi mesa Los datos
de la conciencia, inmediatos.No está mal
este yo fundamental,
contingente y libre, a ratos,
creativo, original;
este yo que vive y siente
dentro la carne mortal
¡ay! por saltar impaciente
las bardas de su corral.
Ottis Blades Feb 2010
Esta boca es mía
nací con ella, me crié con ella
aprendí a hablar y a conjugar adjetivos
palabras, sujetos y predicados
escupiendo cosas que nunca debí decir
masticando en ella la vida como menta
saboreando cada momento, cada prosa
con mi boca la que no procesa
lo que de la mente llega
mas aun sale al desnudo
como un bebe al recién nacer.
De mi boca
la que muerde siente y se arrepiente
la que delira a cada rato
la que conoce un vocabulario sin sentido
rima frases sin diccionario
porque si no existen se las inventa
hasta que lleguen a existir
casi así como el Latín
un idioma al extinguir
una lengua sin domesticar
diciendo cosas sin sugerir
sin ninguna delicadeza
que interrumpe sin excusar
sea mentira o sea ******
es una boca sin conciencia
que deja de ser boca
en el momento que empieza hablar.

[Mi boca tiene sed, un receso.]

[Ahem]

[Como decía...]

Talvez tengo una fijación oral
sea por angustia o ansiedad
mi boca no conoce nicotina
ni mariscos ni invertebrados
que se sacuden en el piso
pero si una buena botella de vino
y un trago de whisky,
mejor ni hablar...

Sabes que mi boca se fue de gira
y de paso conoció a otras
enternecidas, endurecidas por los años
secuestradas por amores baratos
sin ningún tipo de amnistía
mas para mi boca fue un contrabando
ladrona de besos prestados
que suben de precio en el mercado
en los burdeles de los gitanos
y de mis fantasías cuando ya no estas.

Y es así que me quede sin boca
cuando paso hacer tuya
porque no hay boca con mas levadura
no hay boca con mas fortuna
tan pesimista y tan conformista
y al final de cuenta tan habladora
que se resbala en mi camisa
bajando de botón a botón
subiendo denuevo
se esconde y la encuentro
visitando a la mía,
la mía misma
que después de tantos años
dejo de ser boca
porque ya no se conforma
ni se entiende ni se toca
si no te besa a ti.
Lector: escúchame atento
Esta tosca narración
Y júzgala la tradición,
Fábula, conseja o cuento.
En un libro polvoriento
La encontré leyendo un día,
Y hoy entra a la poesía
Desfigurada y maltrecha;
El verso es de mal cosecha
Y la conseja no es mía.

Hubo en un pueblo de España,
Cuyo nombre no es del caso
Porque el tiempo con su paso
Todo lo borra o lo empaña,
Un noble que cada hazaña,
De las que le daban brillo,
Celebraba en su castillo
Dando dinero a su gente
Construyendo un nuevo puente
O alzando un nuevo rastrillo.

Era el noble de gran fama,
De carácter franco y rudo,
Con campo azul en su escudo
Y en su torre una oriflama.
Era señor de una dama
Piadosa como ninguna;
Dueño de inmensa fortuna
Por trabajo y por herencia
Y tan limpio de conciencia
Como elevado de cuna.

Una vez, para decoro
De sus ricas heredades
Cruzó yermo y ciudades
Para combatir al moro.
Llevóse como tesoro
Y como escudo a la par,
Un talismán singular
Atado a viejo rosario
Un modesto escapulario
Con la Virgen del Pilar.

Era el precioso legado
De sus ínclitos mayores;
Desde sus años mejores
Lo tuvo siempre a su lado.
Y como voto sagrado
De cristiano y caballero
Juzgó su deber primero
En el combate reñido
Llevarlo siempre escondido
Tras de su cota de acero.

En ocasión oportuna
El noble llegó a creer
Que ante el moro iba a perder
Honra, blasón y fortuna.
Soñó que la media luna
Nuncio de sangre y de penas,
En horas de espanto llenas
Iba en sus feudos a entrar
Y hasta la vio coronar
Sus respetadas almenas.

Y no sueño, realidad
Pudo ser en un momento,
Pues fue tal presentimiento
Engendro de la verdad.
Acércanse a su heredad
Muslef y sus caballeros;
Mira brillar los aceros
Al fugor de alta linterna
Y sale por la poterna
En busca de sus pecheros.

Anda con paso inseguro
De un hachón a los reflejos;
«Alarma», grita a lo lejos
El arquero sobre el muro.
Como a la voz de un conjuro
Del noble los servidores
Surgen entre los negrores
De aquella noche maldita
Y lo siguen cuando grita:
«¡Sus! ¡A degollar traidores!

Corren y, en breves instantes,
Terror y espanto difunden
Y en una masa se funden
Asaltados y asaltantes.
Los cascos y los turbantes,
Revueltos y confundidos,
Entre quejas y alaridos
Vense en las sombras surgir,
Sin lograrse distinguir
Vencedores y vencidos.

El noble señor avanza
En pos del blanco alquicel
De un moro que en su corcel
Huye blandiendo su lanza.
Resuelto a asirlo le alcanza
Por ciega rabia impelido,
Y cruel y enardecido
Le mata con gran fiereza
Y le corta la cabeza,
Pues Muslef era el vencido.

Al tornar lleno de gloria
A su castillo feudal
Dijo: «Es un ser celestial
El que me dio la victoria.
El que ampara la memoria
Y el lustre de mis abuelos;
El que me otorga consuelos
Cuando vacila mi planta;
Es... ¡la imagen sacrosanta
De la Reina de los cielos!

»Siempre la llevé conmigo
Y hoy de mi fe como ejemplo
He de levantarle un templo
Donde tenga eterno abrigo.
El mundo será testigo
De que ferviente la adoro,
Y cual reclamo sonoro
De su gloria soberana
Daré al templo una campana
Hecha con armas del moro».

El tiempo corrió ligero
Y el templo se construyó
Como que el noble empeñó
Palabra de caballero.
Sobre su recinto austero,
Todo el feudo acudió a orar
Venerando en el altar
En lujoso relicario,
Un modesto escapulario
Con la Virgen del Pilar.

Los siglos, que todo arrastran
Lo más sólido destruyen,
Los hombres llegan y huyen
Y los monumentos pasan.
Templos que en la fe se abrasan
Ceden del tiempo al estrago;
Todo es efímero y vago
Y en las sombras del no ser
Lo que vistió el oro ayer
Hoy lo encubre el jaramago.

Quedóse el templo en ruinas,
Sus glorias estaban muertas
Y ya en sus naves desiertas
Volaban las golondrinas.
Sobre sus muros, espinas;
Verde yedra en la portada
La Virgen, abandonada
Por ley aciaga e injusta,
Y la campana vetusta
Eternamente calada.

En cierta noche el horror
De algo extraño se apodera
De aquel pueblo cuando oyera
De la campana el rumor.
Desde el más alto señor
Al pobre y al pequeñuelo,
Acuden con vivo anhelo
A mirar quién la profana
Y se encuentran la campana
Sola, repicando a vuelo.

Asaltan con gran trabajo
La torre donde repica
Y su espanto multiplica
Ver que toca sin badajo.
El noble, el peón del tajo,
El alcalde, el alguacil,
Con agitación febril
Y con ánima turbada
Exclaman: «¡Está hechizada
Por los siervos de Boabdil!»

Entre temores y enojos,
Propios de aquellos instantes,
Los sencillos habitantes
Ya no pegaron los ojos.
Con sobresalto y sonrojos
El temor al pueblo excita
Lleva el cura agua bendita
Y como todos, temblando,
Comienza a rezar, regando
A la campana maldita.

A medida que mojaba
El agua bendita el hierro,
Cual diabólico cencerro
Más la campana sonaba.
La gente se santiguaba
Triste, amedrentada y loca,
El cura a Jesús invoca
Y por fin llega a exclamar:
«No la podemos callar
Porque el diablo es quien la toca».

Tras esa noche infernal
Se dio cuenta al nuevo día
De aquella aventura impía
Al consejo y al fiscal.
Este, en tono magistral,
Bien estudiado el conjunto,
Resolvió tan grave punto
Y por solución perfecta
Dijo: «Que tuvo directa parte
El diablo en el asunto».

Y como sentencia sana,
Poniendo al espanto un dique,
Declaró nulo el repique
De la maldita campana;
Que cualquier mano profana
Con un golpe la ofendiera
Que el pueblo la maldijera,
Siendo el alcalde testigo
Y desterrada, en castigo,
Para las Indias saliera.

Cumplida aquella sentencia,
Maldecida y sin badajo,
A Méjico se la trajo
Antes de la Independencia.
De algún Virrey la indolencia
La dio castigo mayor
Quedando en un corredor
Del Palacio abandonada,
Por ser campana embrujada
Que a todos causaba horror.

Alguien la alzó en el espacio,
Le dio voz y útil empleo,
Y fue un timbre y un trofeo
En el reloj de palacio.
El tiempo a todo reacio
Y que méritos no advierte,
Puso un término a su suerte
Cambiando su condición
Y encontró en la fundición
Metamorfosis y muerte.

En el libro polvoriento
Que a tal caso registré,
La descripción encontré
De tan raro monumento.
Tuvo como un ornamento
De sus nobles condiciones,
De su abolengo pregones
En la parte principal,
Una corona imperial
Asida por dos leones.

En el cuerpo tosco y rudo,
Consagrando sonidos,
Se miraban esculpidos
Un calvario y un escudo,
Y como eterno saludo
De la tierra en que nació
En sus bordes se grabó
Una fecha y un letrero:
«Maese Rodrigo» (el obrero
Que la campana fundió).

Produjo tal sensación
Entre la gente más llana
Ver un reloj con campana
En la virreinal mansión,
Que son eterna expresión
De aquel popular contento
Las calles que el pueblo atento
«Del Reloj» sigue llamando
Constante conmemorando
Tan fausto acontecimiento.

Dos centenares de auroras
La campana de palacio
Lanzó al anchuroso espacio
Sus voces siempre sonorazas.
Después de marcar las horas
Con solemne majestad,
Dejóle nuestra ciudad
Recuerdo imperecedero,
Que es su toque postrimero
Vibrando en la eternidad.
I said it more last night than I've said it in ages,
Since I was truly in love.

I heard it more last night than I've heard it in ages,
Since she was truly in love.
Francisco DH Jan 2013
Tu eres mi amor, you are my love
and tu tienes mi corazón para siempre

Nothing can compare to the love I have for you
Not the sun or the Luna
Nor las  estrellas
you are the goddess(more of a god) of fortune and good luck, Fortuna

The love for you has been building up
Like a volcano and it wants to explode
its fuegos artificiales going up in the sky

Tu eres mi amor
and you have my heart forever

You are my love
This poem was written A while back but lost it so I had to start over, not as good as the first but it will have to do.
Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor né fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
Dè tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna dè mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi dè potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive .
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
Di cui lor sorte rea padre ti fece,
Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra sé. Non io
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avrò quanto si possa aperto:
Ben ch'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civiltà, che sola in meglio
Guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci diè. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fè palese: e, fuggitivo, appelli
Vil chi lui segue, e solo
Magnanimo colui
Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell'alma generoso ed alto,
Non chiama sé né stima
Ricco d'or né gagliardo,
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma sé di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire
Fraterne, ancor più gravi
D'ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che dè mortali
Madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L'umana compagnia,
Tutti fra sé confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul più vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch'ha in error la sede.
Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e su la mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Cò tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente età, che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell'altra è la strage,
Non avvien ciò d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.
Ben mille ed ottocento
Anni varcàr poi che spariro, oppressi
Dall'ignea forza, i popolati seggi,
E il villanello intento
Ai vigneti, che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla e incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
Fatal, che nulla mai fatta più mite
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
Dell'ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando più volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall'inesausto grembo
Su l'arenoso dorso, a cui riluce
Di Capri la marina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l'acqua
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
Vede lontan l'usato
Suo nido, e il picciol campo,
Che gli fu dalla fame unico schermo,
Preda al flutto rovente,
Che crepitando giunge, e inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
Dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all'aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri,
Per li templi deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per vòti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell'uomo ignara e dell'etadi
Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,
Sta natura ognor verde, anzi procede
Per sì lungo cammino
Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l'uom d'eternità s'arroga il vanto.
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
FatherCookie Dec 7
Many people wish to die
And I think I know why…

Why ‘cuz life’s just a shake
of the dice!
Gamble fortune!
Gamble faith!
Gamble health!
Gamble state!

Just don’t go a-gambling
for luck to sway, ‘cuz that’s
inviting a very, very
bad man to play

P.S. don’tyougoaskingifthediceareweightedoranythinglikethatbecausethen­you’refuckingaskingforit
Nigel Morgan Dec 2013
In Venice walking takes on
a whole new meaning:
the abruptness of the right turn,
the obliqueness in the left,
the straight on for a bit,
the step up, the step down,
and that always glance
for the prospect of a view.

Water, suddenly interrupts; the cool,
placid, rolling drunkenly in the canals
green water, where on this November day
there is somewhat more than necessary.
So you climb aboard the passarelle
to take a walk above the acqua alta.  

But you have your wellingtons
per fortuna, and are happy
to stand in a flooded passage
to eat that picniced lunch
fresh from the supermercato.
Alas, no seat, no bench to recline on
anywhere, absent from public places,
to ward off I vagabondi.

You stand or move, walk and turn,
then at the lagoon’s edge:
go back and back and back
again - by another way.
TR3F1LD May 2023
his own & this world's realities are like the fuzz in the States
they're ones to escape, which is a plan of attack
that, like a unit of ammo dispatched
to the bean of a **** autocrat dying physically damaged & sad
hits his deli̲ght-bankrupt brain; like Donald the dung piece, today
he feels bold, so maybe there'll be, like abundance of cake
["bald"]
fortune coming his way; this one's a schmuck thing to say
["fortis fortuna adiuvat"/"fortune favors the bold"]
but this club reminds of Ukraine (what?)
he, like motorized cavalcades
from the next-door empire, invades
its territory causing, like unaccommodating writer, a sla[ɛ]m
[Eminem & his "Unaccommodating" song]
as he shuts the door frame; obvi, sO̲me people may
find them bars offensive, like an armed aggression
so my apologies, I'm somewhat ashamed
mainstream house stuff is on play
a thought in his skull: "this is lame"
Michael S. straight after he turned around & stumbled on blamed
Toby F.; through the crowd he cuts like a blade
[the ending of the "Frame Toby" episode cold open from "The Office" series]
having hopped U̲p on the stage
as if it were a narcotic substance you've ta'en
he, so loud as if with his cullions in grave
nU̲t-wrenching pain, bawls: "THIS ****** *****!", like a brace
of thigh highs colored with stains of blood; yanderE̲[eɪ]
["*****"; "so[ɑ]cks"]
schoolgirl; disgruntled, he makes for the f#cking DJ
delivers a verbal punch in his face by the fo[ɑ]llowing phrase:
"boy, go house-sit with your confounded
boring house sh#t, just like a housewyf"
whereafter thrusts him away
ending the uproar with "ciao, drip!"
music-wise, it's gon' go hard as nuts in this place
as if a flock of ones who're deranged
["who're" is supposed to be read/pronounced as "whoor"]
swung by a club in the wake of a ****** **[ɑ]spital break (nuts in this place)
he puts on midtempo dark cyberpunky synthwave
Gesaffelsteinish mid-paced
type of music; that's what drives his crumpet insane
speaking of crumpets, he spots a buxomish babe
while nodding his ******* nut to this cray
music, he feels like a **** being aimed
at, for she stands with her sight, like one of a gun, fixed his way
for a few secs, at each other they gaze
she's quite a fox with her vibrant locks
reminding of flame; somebody call a fire brigade
hourglass-shaped & rigged out in tight pa[ɛ]nts & a blouse
with a U̲-neck, like a fella without
*****, & leaving her waist a bit out
["******"]
on display; he makes his way to this frau
salutates her with "ciao"
she greets him with just the same, then he mouths
the following: "babe, you're way like a house
for lodging that's nowhere to be found
that is, in the deep of a labyrinth"
she's like: "what in the void's name's this about?"
he replies: "I'ma translate that one now"
"the way you look's amazing, ten out
of ten", like that "KleanColor" skin bro[ɑ]nzer
["a maze inn"; "Tan Out Of Tan"]
she makes a soft smile, then replies: "ain't you nice, pal
when you lay your thoughts out?"
"not being nice would be a crime
when you face a fine gal
like you", - he replies
"if so, rejecting the company of a guy so gracious would count"
as a crime too", - she replies
the guy asks the gI̲rl if she
fa[ɛ]ncies this sound
her reply is affirmative
she says she, mostly, faves underground
kinds of music; they vibe
to these tunes being pU̲t on, just like
that loony sh#twipe the whole antifa community'd like
to see end up ruined, just like
Aleppo or Mariupol; stop, I'd
like, before the main telling resumes, to rewind
a little: the newly-met vibe
to these hard-hitting beats put on; he finds
out, when asking her what drinkable fluid she'd like
to have, that she deems it uncool to imbibe (*****)
he replies: "to tell you the truth, so do I"
so if there's somebody to end up lit during this night
it is the moon in the sky
["some body"]
soon after having their soft drinks taken, they bounce
like the name of the style
of music brought into this wO̲rld heaps
before chicks twerking
blew into the mainstream like "blaow!"
["hips"]
like a sick pervert that digs scourging
while engaged in a bout
of carnal fun, he's got a whip ordered
they wait for several mins for it
finally, the motorized conveyance comes out
like a deb girlie
[debutante]
he trails this fox like she's prey to hunt down
watching her proceed to[–]ward it
in a way like she's on a catwalk waving around
a rig splurgy
having hopped in it, to a lodging place they set out
the saucy look in her eyes
once his palm is put on her thigh
a kind of luminous sign–
–board reading: "absolutely alright
with going on a lewd spree tonight"
"a night out rhyme tale, part I" by TR3F1LD (TRFLD) is licensed under CC BY-NC-SA 4.0 (to view a copy of this license, visit creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/4.0)

"a night out rhyme tale, part II":
hellopoetry.com/poem/4883683

"a night out rhyme tale, part III":
hellopoetry.com/poem/4883684
Donall Dempsey Aug 2020
O FORTUNA!
("You Will Become Yourself")



She's three.
A distinct reek of Old Spice!

"And who's been splashing on
my aftershave!"

I growl in my best
Daddy Bear voice.

"Me...me!"
she answers in her best George Washington.

"Mummy's perfume
smells yucky sweet!"

She -  a good judge of smell
this little girl.

What is...what isn't nice
sides with the Old Spice.

"So. Are we right then?"
I ask.

We go for a walk.
The cat on the leash.

Because.
We haven't got a dog.

And so we head off.
Dad, cat and little girl.

The cat none too pleased
at "What's that meow smell!"

Old Spice
not for cats.

Only for
Dads and daughters.

We step into the light
chant: “da Da DA DAAA!”

Etc., etc., . . . ETC!
Old Spice is the smell of my Dad...it is forever him.... deeply ingrained in the olfactory memory of many generations...the essence of childhood thus becoming an archetypal perfume that stands for all things that he meant...safety, warmth, and security.

It was what I always gave him as a birthday and Christmas present....saving up all my pennies to be able to do so and foregoing chocolate and sweeties all during the year. My mum on the other hand
was always the equally iconic 4711. I still have both in my bathroom even now...how Proust like!

So it was odd to pass it on to...my daughter.

Her mum said it always reminded her of a Mexican drink called Horchata de arroz which is flavoured with the Aztec Marigold. and made her feel drunk even if she hadn't imbibed.

Darling daughter said it smelt of mummy's potpourri on the coffee table.

Oh and of... Daddy.

Old Spice was founded in New York by William Lightfoot Schultz in 1934. He was a soap and toiletries maker, and his first fragrance was, ironically, a woman’s scent: Early American Old Spice.

It is said that Shultz was inspired by his mother’s rose jar when creating this early version of Old Spice. A rose jar usually held a moist potpourri of rose petals, spices and herbs in a base of salt to preserve them. Those notes can still be detected in Old Spice’s products to this day. This perfume was released in 1938 to great acclaim, and he followed it with some men’s products in time for Christmas sales at the end of the year.
Although the original scent of classic Old Spice has most likely changed with time and reformulation (as a number of fragrances do), it still retains its primary scent profile, and it could be argued that it represents its own classification. Unlike many other men’s scents that fall easily into labels like fougère, leather or musk, Old Spice brought carnation, pimento, nutmeg and cinnamon to the forefront, omitting some of the classic men’s notes of pine, vetiver and lavender. This iconic mixture summoned up images of seafaring explorers and adventure, but the image and reality were often the same: Old Spice found its way wherever American G.I.’s were stationed during and after the war, and this helped to influence its proliferation around the globe.
Aún estaba conmovido
El bajo pueblo de Anáhuac
Recordando el fin postrero
De los dos hermanos Ávila;

Aún al cruzar por las noches
La anchurosa y triste plaza,
Al mirar en pie las horcas
Las gentes se santiguaban;

Y aún en algunos conventos
Rezábanse las plegarias
A fin de que los difuntos
Lograsen salvar sus almas;

Cuando un pregón le decía
A la curiosa canalla
Que por atroces delitos,
Que por pudor se callaban,

Iba a ser ajusticiado
Por voluntad del monarca
Un ***** recién venido
Con un noble a Nueva España.

Como se anunció la fecha
La gente acudió a la plaza,
En tal número y desorden
Que un turbión asemejaba,

Porque en los terribles casos
En que la justicia mata
La humanidad se desvive
Por mostrar que no es humana.

Desde que lució la aurora
Acudió la gente en masa
Y muchos allí durmieron
Esperando la mañana.

Mirábanse a los verdugos
Que el cadalso custodiaban
Ya con los rostros cubiertos
Con una insultante máscara.

El sol estaba muy alto,
La gente con vivas ansias,
Los verdugos en acecho
Y los soldados en guardia;

Y ninguno suponía
Que el acto aquel se frustrara
Cuando de mirar al reo
Perdieron las esperanzas.

De pronto, a galope llega
Un dragón junto a las tablas
Del cadalso, y con alguno
De los centinelas habla.

Los verdugos, para oírlo
Descienden la escalinata,
Y corre un rumor que anuncia
Que la ejecución se aplaza.

El toque de los clarines
Pronto anuncia retirada,
Y en diversas direcciones
Plebe y soldados marchan.

Hay disgusto en los semblantes
De mozuelas y beatas,
Pues como a ninguno ahorcaron
Han perdido la mañana.

Y se resienten de verse
Por el Pregón engañadas,
Y viendo solo el cadalso,
Rezan, murmuran y charlan.

Los curiosos insistentes
Que averiguan la causa
Del retardo, al fin descubren
Lo que nadie se explicaba.

Cuentan que trayendo al *****
De San Lázaro a la plaza,
Cuando apenas por oriente
Se vislumbró la mañana,

Cercado por alguaciles
Y por mucha gente armada,
Bebiéndose de amargura
Sus propias, ardientes lágrimas,

Con voz fúnebre pidiendo
Que hicieran bien por su alma,
Un sacerdote entregado
A cumplir siempre estas mandas;

Mirando a todas las gentes
En balcones y ventanas
Darle el adiós postrimero
Entre llantos y plegarias.

El ***** que parecía
De susto no tener alma,
Cruzó por una calleja
Tan angosta como larga,

Donde entre humildes jacales
Surgía como un alcázar
Un caserón de tezontle
Con paredes almenadas,

Con toscas rejas de hierro
En forma de antiguas lanzas,
Con canales cual cañones
Que el alto muro artillaban,

Y bajo el vetusto escudo
De ininteligible heráldica
Un ancho portón forrado
De gruesas y obscuras láminas;

Teniendo como atributo
Que las gentes veneraban,
Una cadena de acero burda,
Negra, tosca y larga.

Con sus ojos que vertían
Raudales de vivas llamas,
Mira el ***** de soslayo
Aquella ostentosa casa,

Y sin que evitarlo puedan
Los cien que lo custodiaban
Tan ligero como un rayo
Del centro se les escapa,

Gana de un salto la acera,
Se arrodilla en la portada
Y cogiendo la cadena
En las dos manos, con ansia

Grita con voz que parece
Un rugido: «¡Pido gracia!
¡Pido gracia a la nobleza
De nuestro amado monarca!»

Y corchetes y alguaciles
Y arcabuceros y guardias
Se quedaron asombrados
Y sin responder palabra.

Porque sabido de todos era
Que en aquella casa vivía
Un señor de abolengo
Entre los grandes de España,

Que por fuero de linaje
En sus títulos estaba
Tener cadena en su puerta
Y pendón en la fachada.

El reo que esa cadena,
Por su fortuna tocara
Al marchar para el cadalso,
De la muerte se libraba.

Y el *****, que esto sabía,
Tuvo la fortuna extraña
De alcanzar tal privilegio
Que otro ninguno lograra.

Mirando lo sucedido,
Nobles, corchetes y guardias,
Con gran susto de la escena
No siguieron a la plaza,

Pues tornaron al presidio
La víctima afortunada;
Al Virrey le dieron parte
Y todo quedóse en calma.

Hoy sólo existen los muros
De la mansión legendaria,
Sin huellas de las almenas
Ni escudo de la portada.

Y dicen los que lo saben,
Doctos en antiguas causas,
Que la angosta callejuela
De «La Cadena» hoy se llama.
John F McCullagh Sep 2013
A Roman, noble and Patrician,
moved his Legions into position.
The morning Sun was in their eyes
as they advanced upon Cannae.
The Day was hot, they lacked hydration
as they fought this battle of annihilation.
The hot winds swept dust in their eyes
as they advanced upon Cannae.
Hannibal troops seemed to retreat,
The Legions were in hot pursuit.
The Carthaginians moved to surround
the Romans on the killing ground.
Eighty thousand Roman dead,
Mars’ thirst quenched by the blood they shed
Their arms and armor cast aside
upon the fields around Cannae.
Fortuna always smiled on Rome
before this battle at Cannae
Rome’s Senators refused to yield
though their Sons lay dead upon the field.
In the Pantheon of gods
echo prayers from the devout
to a new god born of that rout.
Some say it is the god of doubt.
This poem might be about the battle of Cannae fought on 08/02 216B.c.  or it may be a cautionary tale about military disasters born of overconfidence.
tangshunzi Jul 2014
Sono così incredibilmente eccitato quando data la possibilità di condividere qualcosa di totalmente incantevole con tutti voi ;e in questo caso .sto morendo di presentarvi Doie Lounge .Questi abiti splendidi .realizzati con materiali eco-compatibili più morbide .sono davvero l'ultimo regalo per le vostre donne di indossare il vostro grande giorno !


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Photo Credits vestiti da sposa : 1 : Valorie Cara Fotografia / capelli: Trace Hennigsen / Make Up : Artistry da Danika 2 : Maggie Thalheimer di Gerber e Scarpelli 3 : Jeff Tisman Fotografia 3 : Katie Hall Photo 4: ES Fotografia Creation abiti da sposa 2014 5 : Swords
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Doie Lounge Robes + A Giveaway !_abiti da sposa corti
I run
Away from good fortune
and into the fray
Fortuna favet fortibus
Or so someone once said

I run from the city skies poisoned
by the blinding lights of frivolity
Desperate for blackouts
Rolling and unpredicatble
I hope they last months
So I can fill a mason jar with fire flys

I run from the pretty faces
Claiming exasperatedly that mine is just
Unconventional
And that pretty faces are often
If not always
Attached to liars

I run from the honesty
The unyielding truth that I
have ceased to be me
And have been replaced
by an imposter
Who laughs when I look in the mirror

I run until my lungs gasp
For the air between two stars
And until the blood flowing
In the sinew of my thigh
Begins to burn and clot

I run
Until my legs fall off

Just to crawl across the finish
And pretend that I
am a martyr
For a purpose that kept me running
And I forget now
James Leggett Apr 2017
it's less about staring at the walls
and more about them staring back
leaving you speechless even
when you didn't have words to share

it's looking at an application page
the way you look at one of her pictures
unsure how you should go about this
and how disappointed you'll allow yourself to be

it's waking up on the wrong side of your twenties
admitting there's nothing to discuss
still stuck in this limbo
you swore you'd never visit in the first place

it's volunteering your insecurity
to navigate conversations
and dictate decisions
made inside days
irrelevant to dates or names of the week
and unprepared to call any of it a moment

it's spending days in shopping malls
and bookstores
turning your back on time
like a bad dream
or a bad idea
you can't help but run with

it's finding a rear view mirror
in an unexpected place
seeing yourself before some background
a single reflection with no intent
to leave a lasting impression
¡Y pensar que pudimos no habernos conocido!
¿No meditas cuán buena nuestra fortuna ha sido
para que al fin estemos uno del otro al lado,
para que seas mía, para ser yo tu amado?

«El uno para el otro nacimos...» Así dices.
Pero ¡qué coincidencias para ser tan felices!
Antes de que en la vida, con un amor profundo,
la suerte unido hubiera tu corazón al mío
-siendo el tiempo tan largo, siendo tan grande el mundo-;
vivimos separados, solos, con hondo hastío…
¡Y pudimos entonces, por capricho del hado,
en el haz de la tierra no habernos encontrado!

¿No has pensado, en el arduo sendero recorrido,
en los peligros graves y azares que ha corrido
nuestra dicha -esa dicha, manantial de ilusiones,
que el mundo entero ahora nos hace ver hermoso-
cuando el uno hacia el otro, con poder misterioso,
gravitaban callados nuestros dos corazones?
¿No sabes que ese viaje no tenía certeza,
el viaje hacia una noche por mí no presentida,
de que un capricho apenas o un dolor de cabeza
han podido apartarnos para siempre en la vida?

Nunca te había dicho, ¡cosa muy rara!, que
cuando por vez primera te vi, no me fijé
en que eras tú bonita; lo digo francamente:
te miré aquella noche con aire indiferente.
Con su risa, tu amiga mi tedio distraía;
fue más tarde cuando ambos cruzamos la mirada,
y si algo sentí entonces que hacia ti me atraía,
tú no lo comprendiste… Mas no me atreví a nada.

Si esa noche tu madre te hubiera conducido
más temprano a su casa, ¿qué habría sucedido?
¿Y si el rubor no hubiera de pronto, cuando el manto
te coloqué en los hombros, a tu rostro subido?
Porque ésa fue la causa de todo lo ocurrido.
Aquella noche, aquélla de inolvidable encanto,
un retardo cualquiera, cualquier inconveniente
que en ese viaje hubiera surgido de repente,
esta embriaguez de ahora ninguno sentiría,
ni este placer sin nombre que absorbe nuestra mente.
En mi alma, que es otra, tu amor no existiría,
¡y tu vida, en mi vida nada… nada sería!
Corazoncito mío, que me apartas lo triste
de la vida, y alegras con luz mi porvenir…
Pienso en aquellos días cuando enferma estuviste
y creíamos todos que te ibas a morir.

— The End —